giovedì 4 ottobre 2012

Tutela Ambiente. 7 CONTROLLO DELLE ACQUE.


CAPITOLO VII
IL CONTROLLO DELLE ACQUE.

SOMMARIO: 1. Gli scarichi.

2. Le competenze. Il potere sostitutivo dello Stato.
3. L’autorizzazione comunale e provinciale allo scarico.
3.1. La tutela giurisdizionale sul diniego e sul silenzio inadempimento sulla domanda di autorizzazione. L’art. 2, l. 205/2000.
4. I controlli. La fase amministrativa.
5. Gli illeciti amministrativi.
6. Il controllo del giudice penale. Il processo verbale di prelevamento di campioni.
7. I reati previsti dalla l. 152/1999.
8. IL soggetto attivo del reato.
9. Il danno ambientale.
10. Piani di tutela delle acque.
11. La tutela del mare.

1. Gli scarichi.


Legislazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, artt. 1, lett. a), 2, lett. h), lett. bb), 3, 45, 59, 5° co.
Bibliografia Conti 1998 - Santoloci 1999 - Fimiani 2000.

La l. 319/1976, detta legge Merli dal nome del suo presentatore, ha disciplinato in maniera organica gli scarichi - siano essi pubblici o privati, diretti ed indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature sul suolo e nel sottosuolo (Conti L. 1998, 458).
Essa è stata abrogata e sostituita dal d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Essa ha come primo obiettivo quello di prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati, art. 1, lett. a), d. lg. 11.5.1999, n. 152.
La normativa amplia il concetto di scarico comprendendo in tale termine qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche se sottoposte a preventivo trattamento di depurazione, art. 2, lett. bb), d. lg. 11.5.1999, n. 152 (Fimiani P. 2000, 3).
La norma definisce il confine fra scarico e rifiuto.
Viene, infatti, proibito lo scarico indiretto.
Per scarico si intende il versamento diretto dei reflui nel corpo ricettore.
Nel caso la linea di collegamento tra fonte di versamento e corpo ricettore sia interrotta, dando origine a quello che finora è stato classificato dalla giurisprudenza come scarico indiretto, essa è ora definita come una entità totalmente diversa, perché cessa la nozione di scarico e quella sostanza è definita rifiuto liquido, disciplinato dal d.lg. 22/1997 sui rifiuti (Santoloci M. 1999, n. 5, 112).

In tema di scarico da insediamento produttivo di cui all'art. 21, l. n. 319 del 1976 - coincidente con lo scarico di acque reflue industriali di cui all'art. 59, d.lg. n. 152 del 1999 - è da rilevarsi che per scarico deve intendersi il liquido proveniente dall'insediamento produttivo nella sua totalità.
Cioè nell'inscindibile composizione dei suoi elementi confluenti nel corpo ricettore, a nulla rilevando che parte di esso sia composto da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli dei servizi igienici o delle acque meteoriche immesse in un unico corpo ricettore.
Nella specie, lo scarico risultava dal percolamento intrinseco di vinacce e ceneri depositate sul terreno o dal dilavamento di tale complessivo materiale per effetto delle acque meteoriche.
(Cass. pen., sez. III, 30.9.1999, n. 12186, RP, 1999, 1093. Cass. pen., sez. III, 7.5.1997, n. 5734).

Alla luce di quanto dispone il d. lg. 11.5.1999, n. 152, si può ritenere scomparso il concetto di scarico indiretto, ovvero la sua trasformazione in rifiuto liquido.
Se per scarico si intende ora, più esattamente, il riversamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido.
(Cass. pen., sez. III, 24.6.1999, n. 2358, RP, 1999, 725).

Nella nuova disciplina diventa fondamentale la distinzione tra scarico di acque reflue industriali ed immissione occasionale.
L’art. 59, d.lg. 11.5.1999, n. 152 ha modificato la precedente disciplina della l. 10.5.1976, n. 319.
Lo scarico di acque reflue industriali deve avvenire tramite condotta, ex art. 2, lett. bb, e, cioè, a mezzo di qualsiasi sistema stabile - anche se non esattamente ripetitivo e non necessariamente costituito da una tubazione - di rilascio delle acque predette; il secondo tipo di scarico ha il carattere dell'eccezionalità collegata con la menzionata occasionalità.

L’immissione occasionale non è più prevista come reato con riferimento alla mancanza di autorizzazione; mentre è ancora tale in relazione al superamento dei limiti d'accettabilità, poiché espressamente disciplinata, ex art. 59, 5° co., d.lg. 11.5.1999, n. 152.
Il giudice di merito, nel caso in cui l'imputato assuma che l'immissione sia stata occasionale, ha, pertanto, il dovere di verificare tale estremo anche in relazione ai fatti commessi prima della vigenza della nuova disciplina, che è ad essi applicabile, essendo disposizione più favorevole, ex art. 2, c.p.
Nell'ipotesi in cui la menzionata occasionalità risulta dal testo della sentenza impugnata deve essere la Corte di cassazione ad annullare senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non è previsto come reato.
Con riguardo ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del d.lg. 11.5.1999, n. 152, qualora l'imputato assuma che si sia trattato di immissioni occasionali, il giudice di merito deve verificare la fondatezza di tale assunto, ai fini dell'eventuale applicabilità, ai sensi dell'art. 2, c.p., della sopravvenuta norma più favorevole.
Tale verifica può essere compiuta anche dalla Corte di cassazione, ove il requisito dell'occasionalità risulti dal testo della sentenza impugnata con la quale, in applicazione della disciplina previgente, sia stata affermata la responsabilità dell'imputato.
In tal caso detta sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Alla stregua del combinato disposto degli artt. 2, lett. h) e bb), 45 1° co., 59, 1° e 5° co., d.lg. 11.5.1999, n. 152, le immissioni occasionali non autorizzate di acque reflue industriali non costituiscono reato salvo che diano luogo a superamento dei valori limite fissati nella tabella 3 allegata al suddetto decreto legislativo, essendo penalmente sanzionato per difetto di autorizzazione solo il vero e proprio "scarico", il quale deve avvenire "tramite condotta", e cioè a mezzo di qualsiasi sistema stabile - anche se non esattamente ripetitivo e non necessariamente costituito da una tubazione - di rilascio delle acque predette.
(Cass. pen., sez. III, 3.9.1999, n. 2774, RP, 1999, 974).



2. Le competenze. Il potere sostitutivo dello Stato.

Legislazione d. lg. 31.3.1998, n. 112, artt. 5, 80, 81 - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 3, 3° co., 53.
Bibliografia Centofanti 1999 - Tescaroli 2000.

Le competenze nelle materie disciplinate dal presente decreto sono stabilite dal d. lg. 31.3.1998, n. 112, e dagli altri provvedimenti statali e regionali adottati ai sensi della l. 15.3.1997, n. 59 (Tescaroli S. 2000, 1768).
Lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le autorità di bacino, l'Agenzia nazionale e le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente assicurano l'esercizio delle competenze già spettanti alla data di entrata in vigore della l. 15.3.1997, n. 59, fino all'attuazione delle disposizioni di cui all’art. 3, d. lg. 31.3.1998, n. 112.
Allo Stato sono riservate, ex art. 80, d. lg. 31.3.1998, n. 112, le funzioni generali in materia ad esempio di aggiornamento delle sostanze nocive e di fissazione dei valori limite delle emissioni; per contro, alle regioni e agli enti locali sono demandate tutte le funzioni non espressamente attribuite allo Stato, ex art. 81, d. lg. 31.3.1998, n. 112.
In caso di accertata inattività dell’organo competente che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea o pericolo di grave pregiudizio alla salute o all'ambiente o inottemperanza agli obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti, esercita i poteri sostitutivi, in conformità all'art. 5, d. lg. 31.3.1998, n. 112, ex artt. 3, 3° co., 53, d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Il controllo sostitutivo governativo è disciplinato, in particolare da questo provvedimento, nei settori che sono soggetti ad adempimenti derivanti da obblighi determinati dall’appartenenza all’unione europea, o in via generale o nel caso di pericolo di grave pregiudizio per gli interessi nazionali.
Per l’esercizio del potere lo schema procedimentale prevede un atto del presidente del consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente per materia, che diffidi l’amministrazione inadempiente assegnandole un congruo termine a provvedere.
Nel caso di inadempimento il consiglio dei ministri, sentita l’amministrazione inadempiente, nomina un commissario ad acta che si sostituisce all’amministrazione nell’emanare il provvedimento intimato.
In caso di assoluta urgenza è prevista una procedura semplificata (Centofanti N. 1999, 134).



3. L’autorizzazione comunale e provinciale allo scarico.

Legislazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, artt. 45, 4° co., 46.
Bibliografia Tricomi 1999 - Fimiani 2000.

L’autorizzazione conserva ancora la struttura giuridica di atto amministrativo necessario per l’attivazione dello scarico, ex art. 45, d.lg. 11.5.1999, n. 152.
La mancanza dell’autorizzazione fa scattare le sanzioni amministrative penali a seconda che lo scarico riguardi insediamenti civili od industriali (Fimiani P. 2000, 111).

Dopo l'entrata in vigore della l. 172 del 1995, gli scarichi (nuovi) provenienti da insediamenti civili o equiparati effettuati senza autorizzazione sono soggetti alla sanzione amministrativa prevista dall'art. 21, l. 319 del 1976 e non a quella penale prevista dall'art. 23, 1° e 2° co., che configura come reato l'effettuazione di uno scarico prima che l'autorizzazione, chiesta nelle forme prescritte, sia stata concessa, applicandosi tale disposizione solo nei confronti dei titolari di scarichi provenienti da insediamenti produttivi.
(Cass. pen., sez. III, 26.11.1996, FI, 1997, II, 217).

Le regioni devono definire il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane che è distinto da quello degli scarichi industriali (Tricomi L. 1999, 122).
Gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell'osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato.
Per gli insediamenti le cui acque reflue non recapitano in reti fognarie il rilascio della concessione edilizia è comprensiva dell'autorizzazione dello scarico, ex art. 45, 4° co., d.lg. 11.5.1999, n. 152.
Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero al comune se lo scarico è in pubblica fognatura, ex art. 45, 9° co., d.lg. 11.5.1999, n. 152.
L'autorità competente provvede entro novanta giorni dalla ricezione della domanda, ex art. 45, 6° co., d.lg. 11.5.1999, n. 152, salve diverse disposizioni regionali.
L'autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere richiesto il rinnovo.
La domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali deve essere accompagnata dall'indicazione delle caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico, della quantità di acqua da prelevare nell'anno solare, del corpo ricettore e del punto previsto per il prelievo al fine del controllo e dalla descrizione del sistema complessivo di scarico, ex art. 46, d.lg. 11.5.1999, n. 152.


3.1. La tutela giurisdizionale sul diniego e sul silenzio inadempimento sulla domanda di autorizzazione. L’art. 2, l. 205/2000.

Legislazione t.u. 3/1957, art. 25 - l. 241/1990, art. 2, 3° co. - d.lg. 11.5.1999, n. 152, art. 45, 6° co. - l. 205/2000, art. 2, 3° co., 9.
Bibliografia Centofanti 1999 - Volpe 2000.

I provvedimenti di diniego sulla domanda di autorizzazione allo scarico sono soggetti alla giurisdizione amministrativa.

Con riguardo alle domande proposte dal comune contro i provvedimenti di rigetto delle sue istanze di autorizzazione allo scarico delle acque fognarie, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, vertendosi in tema di interesse legittimo dell'ente pubblico al corretto esercizio, da parte della provincia, del suo potere discrezionale di concessione o di diniego di atti permissivi.
(Cass. civ., Sez. U., 14.10.1997, n. 10036, GCM, 1997, 1936).

E' illegittimo il diniego di autorizzazione allo scarico di sostanze inquinanti, adottato dalla giunta comunale non nell'esercizio del potere ad essa conferito dalla l. 10.5.1976, n. 319, bensì per perseguire il soddisfacimento di interessi urbanistici.
(T.A.R. Toscana, 3.4..1982, n. 141, T.A.R., 1982, I, 1599).

Se l’autorità competente non provvede nel termine di novanta giorni previsto dalla ricezione della domanda, ex art. 45, 6° co., d.lg. 11.5.1999, n. 152, non si forma un provvedimento assentivo.
Anche se la dizione legislativa, l. 241/1990, art. 2, 3° co., afferma il principio dell’obbligo a provvedere entro termini prefissati da regolamenti - o, in carenza, entro trenta giorni dalla domanda - l’interpretazione giurisprudenziale prevalente ritiene ancora sussistere il silenzio inadempimento con la necessità della diffida, ai sensi dell’art. 25 del t.u. 3/1957.
La procedura è richiesta, in via generale, per tutti i procedimenti che tendono ad acclarare il comportamento di rifiuto a provvedere.

Perché il comportamento tacito dell'amministrazione possa configurare il silenzio-rifiuto, impugnabile davanti al giudice amministrativo, è necessaria, ai sensi dell'art. 25, t.u. 10.1.1957, n. 3, la presentazione dell'istanza da parte dell'interessato diretta all'emanazione del provvedimento amministrativo richiesto.
(Cons. Giust. Amm. Sicilia, 25.2.1994, n. 73, CS, 1994, I, 262).

La dottrina considera ininfluente la nuova normativa ai fini della tutela giurisdizionale (Centofanti N. 1999, 44).
L’art. 2, l. 205/2000, mantiene l’onere della messa in mora e delle diffida ad adempiere nei riguardi dell’amministrazione per configurare l’inadempimento, ma presenta un nuovo sistema di tutela (Volpe I. 2000, 50).
I ricorsi avverso il silenzio possono decidersi direttamente in camera di consiglio, analogamente a quanto avviene in relazione alla domanda di provvedimenti cautelari.
La forma della decisione è quella della sentenza succintamente motivata, prevista dall’art. 9, l. 205/2000.
I termini da osservare per la decisione sono di trenta giorni dalla scadenza del termine di legge per il deposito, che è di trenta giorni dall’ultima notifica del ricorso.
Del pari sono previsti tempi strettissimi anche per l’appello che deve essere proposto entro trenta giorni dalla notifica o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione.
La modifica più sostanziale attiene alle possibilità totalmente nuove offerte al giudice amministrativo qualora persista il comportamento inerte dell’amministrazione.
Nel caso di accoglimento definitivo – esperito l’eventuale gravame - totale o parziale del ricorso di primo grado il giudice amministrativo, su istanza del ricorrente, che ha invano preventivamente diffidato l’amministrazione a provvedere, ordina direttamente all’amministrazione di provvedere entro un termine di trenta giorni.
Qualora l’amministrazione resti inadempiente oltre detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta del ricorrente, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa amministrazione accertando preventivamente che questa, nelle more della sua nomina, non abbia già provveduto, ex art. 2, 3° co., l. 205/2000.

La giurisprudenza ha precisato che le controversie relative a scarichi riguardanti concessioni di derivazione sono affidate alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche

Il giudizio sulla legittimità di un provvedimento di diniego allo scarico nella rete fognante delle acque reflue utilizzate da una cartiera, titolare di una concessione di derivazione, è devoluto alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, avendo diretta incidenza sulla concessione medesima.
(Trib. sup. acque, 17.2.1997, n. 10, CS, 1997,II, 294).



4. I controlli. La fase amministrativa.

Legislazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 28 - l. 10.5.1976, n. 319, art. 9, 3° co.
Bibliografia Fimiani 2000.

L’art. 28, d. lg. 11.5.1999, n. 152, dedica ampio spazio alla disciplina dei controlli introducendo il principio della programmazione degli stessi.
La disciplina dei poteri d’accesso è regolata in maniera tale da assicurare i poteri di accertamento e di ispezione all’interno degli stabilimenti (Fimiani P. 2000, 247).
La dottrina si pone il problema se la fase del prelievo e del campionamento rientra nell’attività amministrativa o in quella di polizia giudiziaria.
Essa propende per la prima teoria con la conseguenza che, nella fase del prelievo, non deve essere assicurata alcuna garanzia difensiva; in tale fase, inoltre, non deve essere dato preavviso ai soggetti nei cui confronti sono eseguiti gli accertamenti (Fimiani P. 2000, 257).

In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, l'attività di prelievo di campioni ha natura amministrativa e non richiede il preavviso degli interessati, mentre l'avviso della data e luogo delle analisi è prescritto a pena di nullità.
(Cass. pen., sez. III, 19.4.1999, n. 4993, DGA, 1999, 424).
A norma dell'art. 9, 3° co., l. 10.5.1976, n. 319, la misurazione degli scarichi industriali deve essere effettuata subito a monte del punto di immissione nei corpi recettori di cui all'art. 1, lett. a), che, a sua volta, individua, quali corpi recettori le acque superficiali, il suolo e il sottosuolo.
(T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 18.2.1998, n. 376).

In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, l. 10.5.1976, n. 319, deve affermarsi che l'attività relativa al prelevamento dei campioni ha natura amministrativa.
Ne consegue che, prevedendo la legge - in via generale ed alternativa - sia il campionamento istantaneo che quello medio, la scelta del metodo più appropriato al caso specifico è rimessa alla discrezionalità tecnica della p.a. ai fini penali, peraltro, non è rilevante l'atto amministrativo del verbale di prelievo, bensì il risultato delle analisi, qualora esso non sia conforme anche ad uno soltanto dei limiti indicati dalla legge nelle apposite tabelle.
La mancanza di motivazione in ordine alla scelta del metodo del prelievo non è sanzionata da alcuna nullità: essa comporta una irregolarità di tipo procedimentale superabile dal giudice che può ritenere attendibile e rappresentativo il prelievo sulla base degli elementi di fatto risultanti dagli atti.
(Cass. pen., sez. III, 19.1.1996, n. 2033, CP, 1998, 621).

In materia di tutela delle acque l'attività di campionamento ha natura esclusivamente amministrativa, ed è documentata da un apposito verbale sottoscritto dall'operatore e dal titolare dell'insediamento o da un dipendente.
Il verbale documenta il luogo del prelievo, il metodo di campionamento, istantaneo o medio, utilizzato, indica la data di inizio delle analisi e quant'altro appare tecnicamente utile ai fini della valutazione della attendibilità e rappresentatività, affidata al giudice nel caso concreto.
La mancata consegna del campione all'interessato, se richiesta, non essendo previste analisi di revisione, implica una irregolarità amministrativa, non una nullità processuale, in quanto l'interessato può essere presente all'apertura del campione sigillato al momento di inizio delle analisi, con la presenza di un consulente e far verbalizzare eventuali osservazioni.
(Cass. pen., sez. III, 2.11.1992, GP, 1993, III, 204).

Per ovvii motivi è esclusa la disciplina dell’accesso al procedimento di accertamento, potendo l’interessato facilmente eliminare le conseguenze della sua condotta illegittima.
E' legittima la norma che non preveda il preavviso delle operazioni di campionamento delle acque, al fine di accertare se queste superino i limiti di accettabilità stabiliti dalla legge e dell'adozione delle misure antinquinamento, poiché altrimenti il responsabile potrebbe far sparire le tracce di ogni irregolarità degli scarichi e pregiudicare l'attività amministrativa diretta alla tutela delle acque dall'inquinamento.
Pertanto, l'art. 15, 7° co., l. 10.5.1976, n. 319, non è in contrasto con l'art. 24, 2° co., cost., nella parte in cui non prevede l'obbligo del preavviso delle operazioni di campionamento delle acque all'interessato, perché possa farsi assistere da un difensore o da persona di sua fiducia nelle operazioni stesse.
(Corte cost., 13.7.1990, n. 330, CS, 1990, II, 1054).
5. Gli illeciti amministrativi.

Legislazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 54, 1°, 2°, 3° co.
Bibliografia Tescaroli N. 2000, 1785 - Fimiani 2000.

Il sistema delineato dal d. lg. 11.5.1999, n. 152 trasforma da reato in illecito amministrativo di una parte dei superamenti tabellari riferibili agli scarichi domestici - e assimilati - e fognari, la modifica delle entità delle sanzioni penali per le ipotesi previste dalla recente legislazione e la loro diversificazione secondo che i parametri superati siano o meno di natura tossica, persistente o bioaccumulabile, l’esclusione di qualsiasi sanzione nei confronti dei pubblici amministratori nell’ipotesi di progetti esecutivi cantierabili, purché i parametri violati siano privi di natura tossica.
La nuova disciplina sanzionatoria, quando si presenti più favorevole di quella preesistente rispetto ai fatti compiuti prima della dell’entrata in vigore della legge, si applica retroattivamente ed ha effetti a favore del reo, anche rispetto ai giudizi penali in corso (Tescaroli N. 2000, 1785)
Costituisce illecito amministrativo l’aprire o, comunque, l’effettuare scarichi di edifici civili e di pubbliche fognature, servite o meno da impianti pubblici di depurazione delle acque, sul suolo o nel sottosuolo, senza aver richiesto l'autorizzazione ovvero continuare ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che la citata autorizzazione sia stata negata o revocata.
L’elemento, che differenzia l’applicazione del regime sanzionatorio penale da quello amministrativo, è costituito dalla natura dello scarico.
Lo scarico di acque reflue domestiche costituisce illecito amministrativo, mentre lo scarico di acque reflue industriali costituisce illecito penale (Fimiani P. 2000, 61).
Con una concezione prettamente analitica le sanzioni sono state diversificate secondo tre ipotesi principali.
Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell'effettuazione di uno scarico ovvero di una immissione occasionale, superi i valori limite di emissione fissati nelle tabelle, ovvero i diversi valori limite stabiliti dalle regioni ovvero quelli fissati dall'autorità competente è punito con la sanzione amministrativa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni, ex art. 54, 1° co., d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Chiunque apra o, comunque, effettui scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l'autorizzazione ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni, ex art. 54, 2° co., d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, effettui o mantenga uno scarico senza osservare le prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione ovvero le prescrizioni regolamentari e le altre norme tecniche fissate dall'ente gestore, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire venticinque milioni, ex art. 54, 3° co., d. lg. 11.5.1999, n. 152.



6. Il controllo del giudice penale. Il processo verbale di prelevamento di campioni.

Legislazione c.p.p., artt. 55, 57, 431, lett. b) - c.p.p., disp. att., art. 220, 223, 229, 3° co. - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 28.
Bibliografia Fimiani 2000.

Trovano applicazione, invece, le garanzie difensive qualora vi sia un indiziato di reato.

In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, l'attività di prelievo dei campioni ha natura amministrativa e sussiste una discrezionalità tecnica nella scelta del metodo, sempre che essa non venga eseguita su disposizione del magistrato o non esista già un soggetto determinato, indiziabile di reati. Solo in tal caso trovano applicazione le garanzie difensive previste dall'art. 220, disp. att. c.p.p., mentre, vertendosi in attività amministrativa, è applicabile l'art. 223 disp. att. cit.
(Cass. pen., sez. III, 16.10.1998, n. 12390).
In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, i processi verbali di prelevamento di campioni e quelli di analisi dei campioni stessi, essendo atti irripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria, ex art. 431, lett. b), c.p.p. e 229, 3° co., d.lg. 28.7.1989, n. 271, possono essere inclusi nel fascicolo per il dibattimento. Invero i funzionari delle UU.SS.LL. quando effettuano le analisi dei campioni, a seguito del connesso prelievo, assicurano le fonti di prova del reato, e quindi esercitano funzioni di polizia giudiziaria, artt. 55, 57, c.p.p.
(Cass. pen., sez. III, 14.10.1994, CP, 1996, 296).

Le analisi dei campioni per le quali non è possibile la revisione - come per i campioni di acque di scarico di rapida deteriorabilità - sono atti tipicamente amministrativi e non atti giudiziari, che hanno piena rilevanza probatoria nell'ambito del processo penale, purché vi sia stato il preavviso all'interessato, onde consentirgli di presenziare, eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico.
Il preavviso costituisce l'unico requisito di utilizzabilità delle analisi anche alla luce del nuovo codice di procedura penale, art. 223 comma ultimo, disposizioni di attuazione d.l. 28.7.1989, n. 271, che sul punto ha codificato la regola già introdotta con la nota sentenza n. 248 del 1983 della corte costituzionale, recepita dalla Cass. pen., Sez. U. 3.9.1991.
Una volta che l'interessato abbia ricevuto l'avviso e non sia stato presente all'inizio delle operazioni di analisi non potrà ex post, in sede processuale, eccepire eventuali irregolarità delle operazioni tecniche di prelievo e di analisi, lasciate alla discrezionalità degli operatori, in quanto il diritto di difesa è garantito nella fase degli accertamenti amministrativi solo con il preavviso, in forma attenuata, secondo la sentenza n. 248 del 1983 della corte costituzionale, per l'impossibilità pratica di una revisione delle analisi medesime.
Di conseguenza non si possono trasferire nel processo quelle deduzioni, che si aveva la possibilità di proporre al momento dello svolgimento delle analisi e che per propria scelta o inerzia non sono state compiute.
(Cass. pen., sez. III, 18.3.1993, DGA, 1995, 363).
Il reato di cui all'art. 21, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 236, configurabile a carico di chi "fornisce al consumo umano acque che non presentano i requisiti di qualità previsti dall'allegato I", presuppone la verificata non corrispondenza dell'acqua ai suddetti parametri e, pertanto, l'espletamento di analisi, da effettuarsi, a pena dell'inutilizzabilità dei risultati nel processo penale, con l'osservanza del procedimento previsto dall'art. 223 att. c.p.p.
Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato una pronuncia di condanna per il reato anzidetto, siccome fondata sul risultato di analisi non precedute in difformità di quanto prescritto dall’art. 223, att. c.p.p., dall'avviso all'interessato del giorno, dell'ora e del luogo in cui le stesse sarebbero state effettuate.
(Cass. pen., sez. III, 21.2.1994, RP, 1994, 1237).

La giurisprudenza prevede che l'avviso relativo all'inizio delle operazioni di analisi sui campioni debba essere dato al titolare dello scarico pena l’annullamento dei provvedimenti successivi.

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, l'avviso relativo all'inizio delle operazioni di analisi sui campioni deve essere dato al titolare dello scarico, il quale, essendo responsabile dell'eventuale superamento dei limiti di accettabilità dei liquami, deve essere messo nella condizione di preparare tutte le difese che ritenga necessarie ed opportune per dimostrare la sua innocenza.
Nella specie, relativa ad annullamento di sentenza di condanna, l'avviso era stato dato ad un socio.
(Cass. pen., sez. III, 2.10.1987, GP, 1988, III, 484).



7. I reati previsti dalla l. 152/1999.

Legislazione l. 10.5.1976, n. 319, artt. 9, 21, 1°, 2° co. - l. 17.5.1995, n. 172, art. 3 - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 1, lett. a).
Bibliografia Oberdan 1999 - Tescaroli 2000.

L'art. 21, l. 10.5.1976, n. 319, mod. l. 17.5.1995, n. 172, prevede distinte figure criminose.
Costituisce reato effettuare uno scarico senza aver richiesto la prevista autorizzazione o se la stessa è stata negata o revocata - per quanto attiene gli scarichi provenienti da insediamenti civili o produttivi che versano in acque superficiali, nel suolo o nel sottosuolo (Tescaroli N. 2000, 1785).
Tale reato è punito con ammenda da L. 500.000 a L. 10.000.000 o con l’arresto da due mesi a due anni, ai sensi dell'art. 21, 1° co., l. 10.5.1976, n. 319, mod. art. 3, l. 17.5.1995, n. 172.

Nell'ipotesi di scarico da insediamento produttivo in fogna la mancanza dell'autorizzazione, richiesta dall'art. 9, l. 10.5.1976, n. 319, non integra gli estremi del reato di cui all'art. 21, 1° co., l. cit., in quanto tale norma concerne soltanto gli scarichi, oltre che nel suolo e nel sottosuolo, nelle acque indicate nell'art. 1, tenute distinte dalle fognature, alle quali il legislatore, quando ha voluto, ha fatto riferimento espressamente, pure in altri commi dello stesso art. 21 legge citata.
(Cass. pen., sez. IV, 8.4.1998, n. 5014, CP, 1999, 1587).

Nell'ipotesi di scarico d’insediamento produttivo in fogna, la mancanza dell'autorizzazione non integra gli estremi del reato di cui all'art. 21, l. 10.5.1976, n. 319, poiché quest'ultima norma concerne soltanto gli scarichi che avvengono in tre dei vari corpi ricettori, menzionati nell'art. 1, e cioè "acque, suolo e sottosuolo" e non anche nelle fognature, pur tenute presenti ed espressamente previste nei commi successivi della stessa disposizione.
Nel rispetto del principio di tassatività delle fattispecie penali, inoltre, la suddetta elencazione, chiara, precisa ed univoca, non può essere arbitrariamente integrata attraverso l'interpretazione giurisprudenziale.
La determinazione legislativa, già incensurabile in sé, non è neppure illogica, specialmente in base alla l. 17.5.1995, n. 172, che ha depenalizzato gran parte dell'intera materia degli scarichi fognari.
(Cass. pen., sez. III, 28.9.1998, n. 11915, DGA, 1999, 50).

Lo scarico da insediamento produttivo in pubblica fognatura non è depenalizzato, poiché la l. 17.5.1995, n. 172, non ha apportato sostanziali modifiche alla l. 10.5.1976, n. 319, che continua ad applicarsi a tutti gli scarichi, ossia agli scarichi di qualsiasi tipo di cui all'art. 1, l. cit., compresi quelli pubblici e relativi alle pubbliche fognature.
Permane il principio del controllo preventivo per tutti gli scarichi ai sensi dell'art. 9, comma ultimo, essendo irrilevante che tra i corpi recettori non sia indicata espressamente la fognatura, poiché la norma richiama le acque menzionate dall'art. 1, l. cit., quindi anche i corpi recettori intermedi, tra i quali rientra la fognatura.
L'obbligo di autorizzazione per tutti gli scarichi da insediamento produttivo comprende anche quelli effettuati in tale sito.
(Cass. pen., sez. III, 27.11.1998, n. 603).

Nell'ipotesi di scarico di insediamento produttivo in fogna, la mancata autorizzazione, richiesta dall'art. 9, l. n. 319 del 1976, non integra gli estremi del reato di cui all'art. 21 l. cit., poiché quest'ultima norma concerne soltanto gli scarichi che avvengono in tre dei vari corpi ricettori, menzionati nell'art. 1, e cioè le "acque, suolo e sottosuolo" e non anche nelle fognature, pur tenute presenti ed espressamente disciplinate nei commi successivi della stessa disposizione.
Nel rispetto del principio di tassatività delle fattispecie penali, inoltre, la suddetta elencazione chiara, precisa ed univoca, non può essere arbitrariamente integrata attraverso l'interpretazione giurisprudenziale. La determinazione legislativa già incensurabile in sé non è neppure illogica, specialmente in base alla l. n. 172 del 1995 che ha depenalizzato gran parte dell'intera materia degli scarichi fognari.
(Cass. pen., sez. III, 16.12.1997, n. 1790, RTDPE, 1997,1349).

Per essere sanzionata l’apertura deve riguardare un nuovo scarico non avendo rilevanza le modifiche soggettive del titolare.

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, nel caso di cessione di azienda, il nuovo titolare non deve presentare ulteriore domanda di autorizzazione allo scarico, perché l'autorizzazione è concessa all'insediamento produttivo in sé e non al titolare dello stesso.
La ratio evidente che ispira la disciplina dell'autorizzazione agli scarichi ha riguardo alle loro caratteristiche oggettive e non all'identità soggettiva di chi effettua lo scarico.
(Cass. pen., sez. III, 29.4.1997, n. 6304, CP, 1998, 2467).

Il superamento dei limiti previsti dalla Tab. A, per quanto riguarda gli scarichi provenienti da insediamenti produttivi, o il superamento dei limiti risultanti dal regolamento di accettabilità, se lo scarico versa in fognatura, è punito con l’ammenda da L. 15.000.000 a L. 150.000.000 o con l’arresto fino ad un anno, ai sensi dell'art. 21, 2° co., l. 10.5.1976, n. 319, mod. art. 3, l. 17.5.1995, n. 172.; la condanna comporta l’incapacità di contrattare con la p.a.
Il superamento dei limiti inerenti agli elementi bioaccumulabili e di natura tossico persistente, fissati dalla deliberazione del 30/12/1989 del Comitato interministeriale previsto dall’art. 3, l. 319 del 1976 - per quanto attiene gli scarichi provenienti da pubbliche fognature, da insediamenti civili e da insediamenti produttivi - è punito con ammenda da L. 25.000.000 a L. 250.000.000 o con l’arresto da due mesi a due anni, ai sensi dell'art. 21, 3° co., l. 10.5.1976, n. 319, come modificato dall'art. 3, l. 17.5.1995, n. 172.
La condanna determina l’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione.
La nuova disciplina, contenuta nel d.lg. 152/1999, prevede come reato solo lo scarico non autorizzato di acque reflue industriali sono puniti solo i nuovi scarichi che provengono da edifici in cui si svolgono attività commerciali o industriali, diverse da quelle reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento, ex art. 2, l° co., lett. h), d.lg. 152/1999 (Oberdan F. 1999, 131).

Lo scarico non autorizzato di liquami provenienti da un allevamento di animali - nella specie, suini - ed il superamento dei limiti tabellari in tanto possono costituire reato, anche ai sensi del sopravvenuto d.lg. n. 152 del 1999, in quanto risulti accertato che i suddetti liquami non siano assimilabili alle acque reflue domestiche, secondo le previsioni di cui all'art. 28, 7° co., lett. b), d.lg. n. 152 del 1999.
L'assimilazione alle acque reflue domestiche sussiste quando trattisi di liquami provenienti da impresa dedita all'allevamento del bestiame le quali dispongano di "almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 Kg di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e di distribuzione.
(Cass. pen., sez. III, 3.6.1999, n. 11542, RP, 1999, 1094).

Pur dopo l'entrata in vigore del d.lg. n. 152 del 1999, costituisce reato lo scarico, senza autorizzazione, in una vasca a tenuta stagna dei reflui derivanti dal lavaggio delle autobotti adibite al trasporto dei rifiuti.
(Cass. pen., sez. III, 14.6.1999, FI, 1999, II, 553).

L'art. 59, 6° co., d.lg. n. 152 del 1999, punisce il superamento dei limiti tabellari da parte di scarico proveniente da impianto comunale di depurazione solo per dolo o colpa grave.

Nel caso di superamento dei limiti tabellari da parte di scarico proveniente da impianto comunale di depurazione, il sindaco, nella qualità di gestore di tale impianto, risponde penalmente, ai sensi dell'art. 59, 6° co., d.lg. n. 152 del 1999, solo a titolo di dolo o di colpa grave, con esclusione, quindi, dell'ipotesi della colpa lieve.
Nella specie il S.C. - essendo fuori discussione il dolo - ha ritenuto che fosse da escludere anche la colpa grave, residuando quindi la sola colpa lieve, tale dovendosi intendere quella consistita nel non avere il sindaco disposto che si procedesse ad una verifica dell'idoneità dell'impianto in questione - realizzato sotto una precedente amministrazione - eventualmente imponendo anche agli utenti il divieto di scarico di determinate sostanze inquinanti non eliminabili.
(Cass. pen., sez. III, 25.6.1999, n. 11301, RP, 1999, 1097).

Il d.lg. 11.5.1999, n. 152 si applica solo nel caso di fattispecie punite in maniera meno grave per il principio del favor rei, sancito dall'art. 2, 3° co., c.p..

Poiché il d.lg. 11.5.1999, n. 152, in tema di disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento, pur elencando nell'art. 63 una serie di atti normativi dichiarati in modo espresso abrogati, si colloca in posizione di sostanziale continuità rispetto ad essi, quantunque preveda in parte un regime sanzionatorio piu' mite, ai fini della configurabilità come reato e della punibilità di condotta posta in essere prima della sua entrata in vigore occorre accertare in via prioritaria l'eventuale sua depenalizzazione e, successivamente, la possibilità di applicare l'art. 2, 3° co., c.p.
Fattispecie relativa al reato di scarico non autorizzato di acque reflue industriali con superamento dei limiti di accettabilità, per il quale la S.C. ha ritenuto il diritto sopravvenuto meno favorevole della l. n. 319 del 1976.
(Cass. pen., sez. III, 16.6.1999, n. 9739).


8. IL soggetto attivo del reato.

Legislazione c.p., art. 62, n. 1, - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 59.
Bibliografia Tescaroli 2000.

Viene sanzionato penalmente chiunque apre o, comunque, effettua nuovi scariche di acque reflue industriali senza autorizzazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 59.
Si rende necessario individuare, nell’ambito delle aziende industriali, quale è la persona che debba rispondere di detti reati (Tescaroli N. 2000, 1783).
In materia di personalizzazione della responsabilità la giurisprudenza ha precisato che l’imprenditore non è penalmente responsabile in ordine alla tutela delle acque dall’inquinamento, se ha assegnato la gestione ed il controllo degli impianti di depurazione ad un funzionario o ad un direttore.
Tale incarico deve però essere conferito con delega espressa e formale e deve essere approvato dagli organi statutari.

La personalizzazione della responsabilità, riconoscendo la legittimità della delega e l'autonomia dei poteri e doveri del delegato, è configurabile anche nella materia ambientale.
I criteri per ritenere legittima ed applicabile la medesima vanno individuati sotto due profili.
Sotto l'aspetto oggettivo sono: le dimensioni dell'impresa, che devono essere tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità; l'effettivo trasferimento dei poteri in capo al delegato con l'attribuzione di una completa autonomia decisionale e di gestione e con piena disponibilità economica; l'esistenza di precise ed ineludibili norme interne o disposizioni statutarie, che disciplinano il conferimento della delega ed adeguata pubblicità della medesima; uno specifico e puntuale contenuto della delega. Sotto l'aspetto soggettivo vanno considerati: la capacità e l'idoneità tecnica del soggetto delegato; il divieto e l'ingerenza da parte del delegante nell'espletamento delle attività del delegato; l'insussistenza di una richiesta d'intervento da parte del delegato; la mancata conoscenza della negligenza o della sopravvenuta inidoneità del delegato.
(Cass. pen., sez. III, 23.4.1996, CP, 1997, 1868).

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, la delega a terzi può escludere la responsabilità del titolare solo quando l'azienda ha notevoli dimensioni e si articola in varie branche, che rendano impossibile ad una sola persona il controllo dell'intera attività produttiva.
In questi casi è necessario che al delegato sia attribuita completa autonomia decisionale e finanziaria per provvedere all'adeguamento delle situazioni produttive ai dettami normativi.
In ogni caso il titolare delegante è responsabile qualora i fatti penalmente rilevanti dipendano dalla gestione centrale dell'azienda o quando, venuto a conoscenza di disfunzioni nei reparti affidati ai delegati, non compia alcuna attività per adeguare gli impianti alle norme di legge.
Fattispecie relativa a rigetto di ricorso di imputati condannati per contravvenzioni in materia di discariche abusive e di inquinamento del suolo con acque reflue della lavorazione di castagne.
(Cass. pen., sez. fer., 31.8.1993, CP, 1994, 1937, 2206).

In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, l'amministratore di un insediamento produttivo è responsabile per la mancata richiesta di autorizzazione allo scarico, essendo il connesso dovere posto a carico proprio di chi ha la responsabilità legale della ditta.
(Cass. pen., sez. III, 4.3.1992, CP, 1993, 1209).

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, il legale rappresentante di una impresa non è penalmente responsabile, qualora abbia affidato la gestione ed il controllo degli impianti di depurazione ad un funzionario o direttore.
Tale affidamento deve, però, risultare dalla struttura organizzativa della società o ente e deve essere conferito mediante delega espressa e formale ed approvata dagli organi statutari.
(Cass. pen., sez. III, 24.9.1990, CP, 1992, 747).

La responsabilità penale è stata estesa dalla giurisprudenza anche al trasportatore.

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, è responsabile dello scarico non autorizzato non solo chi produce, ma anche colui che trasporta i rifiuti, non essendo la contravvenzione prevista dall'art. 21, 1° co., l. 10.5.1976, n. 319, reato proprio.
Infatti per l'art. 1, lett. a), di detta legge, che disciplina qualsiasi tipo di scarico, sia diretto che indiretto, sia nelle acque che sul suolo e nel sottosuolo, il concetto di scarico deve essere inteso in senso ampio, sicché anche lo scarico indiretto ed occasionale è penalmente punibile.
(Cass. pen., sez. IV, 16.11.1988, CP, 1991, I, 301).
In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, è responsabile dello scarico non autorizzato non solo chi produce, ma anche colui che trasporta i rifiuti. Infatti, per l'art. 1, lett. a) l. 10.5.1976, n. 319, che disciplina "qualsiasi tipo" di scarico, sia "diretto che indiretto" sia "nelle acque", che "sul suolo" e "nel sottosuolo", il concetto di scarico deve essere inteso in senso ampio, sicché anche lo scarico indiretto ed occasionale è penalmente punibile.
Nella specie è stata affermata la responsabilità di trasportatore il quale, impegnatosi con la società produttrice dei rifiuti al trasporto presso un depuratore, ne aveva invece effettuato il versamento senza autorizzazione in una discarica comunale.
(Cass. pen., sez. III, 8.10.1985, CP, 1986, 2028).

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, nei grossi complessi industriali, quando in virtù di precise ed ineludibili norme interne preventivamente fissate ed approvate dai competenti organi di gestione, ai singoli settori interessati venga preposta persona adatta, dotata di capacità ed autonomia decisionale, la colpa del titolare dello scarico per fenomeni di inquinamento può essere ravvisata soltanto quando si dimostri - con giudizio ex ante - la inidoneità del soggetto prescelto come responsabile del singolo ramo o si acclari la sua interferenza nell'espletamento dei compiti a quest'ultimo riservati.
Nella specie è stata ritenuta la colpevolezza del direttore di uno degli stabilimenti di una industria, in assenza di una rigorosa prova circa la preventiva e puntuale attribuzione di responsabilità ai dirigenti dei singoli rami e servizi, disciplinata da precise norme interne.
Si è precisato che la responsabilità del titolare non esclude - ex se - quella dei collaboratori, ove ne sussistano gli estremi).
(Cass. pen., sez. III, 13.3.1987, CP 1988, 922).

La giurisprudenza ritiene che l’inquinamento non possa essere giustificato da esigenze occupazionali non concedendo le relative attenuanti.

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, non può invocare l'attenuante di cui all'art. 62, n. 1, c.p., ossia avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale, colui che si rende responsabile dell'inquinamento ed adduca di averlo cagionato per esigenze produttive e di tutela dei posti di lavoro, in quanto il valore ambientale e la qualità della vita sono percepiti oggi quali valori sociali e morali primari nella coscienza sociale.
(Cass. pen., sez. III, 10.11.1993, CP, 1995, 1351).

La responsabilità di un responsabile di consorzio per la depurazione va accertata con particolare riferimento ai suoi compiti di coordinamento nella depurazione dei singoli scarichi.

Il responsabile di un consorzio privato o pubblico per la depurazione delle acque provenienti da vari insediamenti, associati al consorzio medesimo, è tenuto ad accertare con rigore che i singoli scarichi, gravanti sull'impianto consortile di depurazione, siano conformi alle prescrizioni di legge e non determinino, per quantità e qualità, condizioni di incapacità dell'impianto consortile alla funzione essenziale di prevenzione dell'inquinamento delle acque.
Infatti, il consorzio di depurazione delle acque deve essere considerato come insediamento produttivo distinto da quelli associati ad esso, con la conseguenza, sotto il profilo penale, di una piena responsabilità, per dolo o per colpa, del titolare in aggiunta a quella dei gestori di singoli insediamenti.
Pertanto, il carico inquinante che grava sull'impianto consortile di depurazione deve essere controllato in modo costante perché l'impianto medesimo possa funzionare regolarmente sotto il profilo tecnico, né il titolare del consorzio, perciò responsabile del servizio di depurazione, può invocare genericamente il caso fortuito in relazione ad eventi naturali, anche gravi, come eccezionali piogge, posto che trattasi di circostanze non imponderabili e imprevedibili.
(Cass. pen., sez. III, 25.3.1987, CP, 1988, 1098).

E’, inoltre, sanzionato penalmente il gestore di impianti di depurazione che per dolo o grave negligenza nell’effettuazione di uno scarico supera i valori limite previsti dalla normativa nazionale e regionale.
Il diverso ruolo far amministratori pubblici e privati ha legittimato, per la Corte costituzionale la diversità di sanzioni comminate dalla legge.

E' manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 3, l. 17.5.1995, n. 172, che ha sostituito l'art. 21, 3° co., l. 10.5.1976, n. 319, in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, dedotta per violazione dell'art. 3, cost., sull'assunto della disparità di trattamento fra amministratori pubblici e privati, data la diversità della posizione delle due categorie di amministratori.
Quelli privati, in assenza delle condizioni che assicurino la regolarità dello sversamento, hanno sempre la possibilità di decidere autonomamente se effettuare o meno tale attività da cui discendono conseguenze penali.
L’amministratore pubblico, che dispone di un progetto esecutivo cantierabile finalizzato alla depurazione delle acque, a meno che non sia aliunde responsabile della mancata realizzazione dell'opera pubblica, nelle more dell'attivazione non ha il potere di interrompere il servizio che genera il flusso dell'acqua da depurare.
(Cass. pen., sez. III, 13.3.1997, n. 1263).

La giurisprudenza, inoltre, ha distinto il ruolo degli amministratori locali ed i dirigenti di ufficio delegato ad incombenze ambientali rimanendo la inosservanza ad incombenze tecniche sotto la responsabilità del tecnico ed il controllo politico sotto la responsabilità del sindaco ove configuri omissione.

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, al sindaco non è addebitabile alcun profilo di colpevolezza, qualora trovi giustificazione che egli non abbia curato di persona i doveri inerenti alla sua posizione di destinatario della norma penale e non abbia impedito il verificarsi dell'evento in ragione dell'ordinamento dell'ente di appartenenza e della disposta, rituale delega, nonché in relazione alla particolare natura tecnica delle funzioni delegate, estranee alla politica ambientale ed ai suoi compiti di "governo" dell'ente.
Occorre, inoltre, che, in considerazione delle circostanze di fatto e della natura del precetto violato, il sindaco medesimo non sia nelle condizioni di rendersi conto preventivamente dell’inadempienza del delegato e quindi della necessità del suo intervento al fine di garantire il rispetto della norma penale violata dallo stesso "delegato".
La S.C., nell'annullare senza rinvio la sentenza di condanna, ha osservato che il dirigente di un ufficio, "delegato" di specifiche incombenze ambientali proprie dal legale rappresentante dell'ente, risponde penalmente per l'inosservanza degli obblighi rientranti nelle funzioni trasferibili, già di competenza del sindaco, su cui grava, a seguito ed in ragione della delega, un nuovo, specifico dovere di vigilanza e controllo dell'incaricato, nella specie non violato, circa l'esatto adempimento di detti obblighi.
Nella specie si tratta del sindaco quale responsabile del macello comunale per l'avvenuto superamento di alcuni limiti di accettabilità.
(Cass. pen., sez. III, 29.5.1996, n. 9053, CP, 1999, 2646).

Va ritenuto responsabile del reato di aumento di inquinamento delle acque, di cui all'art. 25, l. 10.5.1976, n. 319, il sindaco che non abbia adottato provvedimenti amministrativi di sua competenza, idonei a ridurre gli effetti inquinanti provocati dagli scarichi dell'impianto comunale di pubblica fognatura.
(Pret. Vibo Valentia, 24.11.1986, FI, 1988, II, 48).

Le ipotesi di reato previste dalla legislazione a tutela delle acque dall'inquinamento si riferiscono, quali soggetti attivi, soltanto a coloro cui siano direttamente imputabili specifiche violazioni nella particolare materia e non investono il diverso profilo dell'esercizio dei poteri-doveri di sorveglianza con particolare collegamento agli effetti conseguenti alla loro inosservanza.
E pertanto, il sindaco, in qualità di ufficiale sanitario, che indebitamente non adotta i provvedimenti urgenti per fronteggiare fenomeni di inquinamento suscettibili di costituire pericolo per la salute pubblica, è responsabile del reato di omissione di atti d'ufficio.
Tale situazione di pericolo si ha non soltanto a causa del possibile insorgere di una specifica malattia o infermità, ma anche a causa di qualsiasi fenomeno obiettivamente individuato che, per la qualità e/o la quantità di sostanze tossiche presenti nelle acque, sia in grado di interessare l'intero complesso ambientale influenzato dalle stesse: fauna, flora, irrigazione.
(Cass. pen., sez. VI, 21.6.1985, GP, 1986, II, 1).



9. Il danno ambientale.

Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 18 - d. lg. 5.2.1997, n. 22, art. 17 - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 58.
Bibliografia Tescaroli N. 2000, 1791.

L’art. 58, d. lg. 11.5.1999, n. 152, prevede nei confronti di chi con il proprio comportamento omissivo e commissivo provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale, l’obbligo di procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento.
Il progetto di bonifica è predisposto dal comune, con la possibilità di intervento regionale e deve essere eseguito nei tempi prefissati dall’ente locale, secondo il procedimento di cui all'art. 17, d. lg. 5.2.1997, n. 22.
E’ fatto salvo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno non eliminabile con la bonifica ed il ripristino ambientale, ex art. 18, l. 8.7.1986, n. 349.
Nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione del danno, lo stesso si presume, salvo prova contraria, di ammontare non inferiore alla somma corrispondente alla sanzione pecuniaria amministrativa, ovvero alla sanzione penale, in concreto applicata (Tescaroli N. 2000, 1791).



10. I piani di tutela delle acque.

Legislazione d.lg. 112/1998, art. 79 - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 44.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

Il ruolo programmatico delle regioni è valorizzato dal decreto 152, che conferma sostanzialmente la distribuzione delle competenze prevista dal d.lg. 112 del 1998, cui viene attribuita l’approvazione del piano di tutela delle acque.
Il piano di tutela delle acque costituisce un piano stralcio di settore del piano di bacino ai sensi dell'art. 17, comma 6-ter, della legge 18 maggio 1989, n. 183.
Il piano di tutela contiene, oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui al d. lg. 11.5.1999, n. 152, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico, ex art. 44, d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Le norme sono, peraltro, meramente precettive, rinviando a futuri adempimenti.
Entro il 31 dicembre 2001 le Autorità di bacino di rilievo nazionale ed interregionale, sentite le province e le autorità d'ambito, definiscono gli obiettivi su scala di bacino, cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonché le priorità degli interventi.
Entro il 31 dicembre 2003, le regioni, sentite le province, previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il piano di tutela delle acque e lo trasmettono alle competenti Autorità di bacino.
Sono stati soppressi il piano nazionale di risanamento delle acque, il piano di risanamento del mare Adriatico, il piano degli interventi a tutela della balneazione, il piano generale di risanamento delle acque dolci superficiali destinate a essere potabili, ai sensi dell’art. 79, d.lg. 112/1998, ma tale soppressione è stata bilanciata dalla potestà, attribuita allo Stato, di adottare il piano d’azione nazionale e di definire i criteri generali per l’elaborazione dei piani regionali di tutela, ai sensi dell’art. 80, comma 1, lett. n, d.lg. 112 del 1998.
Viene ancora riconosciuta, invece, la competenza statale a disporre il piano generale di difesa del mare e della costa marina dall’inquinamento
e ad attuare e verificare il piano straordinario di completamento dei sistemi di raccolta e depurazione delle acque reflue, art. 80, d.lg. 112 del 1998.
Il piano di tutela svolge una essenziale funzione ricognitiva e conoscitiva della situazione esistente e, inoltre, adotta le misure necessarie per la protezione e gestione dei beni idrici che si trovano nella propria competenza territoriale.
Esso è, quindi, uno strumento con particolari finalità, dato che prevede misure di prevenzione, di tutela e risanamento, dotate di efficacia di prescrizione, in quanto dispone sia direttive rivolte a soggetti pubblici sia ordini conformativi degli usi idrici e delle modalità di scarico, e nello stesso tempo prevede vincoli di immediata efficacia nei confronti dei soggetti privati.
Il procedimento di approvazione è affidato alla regione assicurando la partecipazione di tute le parti interessate (Dell’Anno P. 2000, 361).




11. La tutela del mare.

Legislazione l. 31.12.1982, n. 979, art. 1 - l. 24.12,1993, n. 537, art. 1.
Bibliografia Narducci 2000.

Il Ministro dell'ambiente attua la politica intesa alla protezione dell'ambiente marino ed alla prevenzione di effetti dannosi alle risorse del mare, provvedendo alla formazione, di intesa con le regioni, del piano generale di difesa del mare e delle coste marine dall'inquinamento e di tutela dell'ambiente marino, valido per tutto il territorio nazionale, tenuto conto dei programmi statali e regionali anche in materie connesse, degli indirizzi comunitari e degli impegni internazionali, ex art. 1, l. 31.12.1982, n. 979, mod. art. 1, l. 24.12,1993, n. 537.
Tale piano, di durata non inferiore al quinquennio, è approvato dal CIPE.
Con la stessa procedura sono adottate le eventuali modifiche e varianti che si rendessero necessarie in relazione alla evoluzione orografica, urbanistica, economica ed ecologica delle coste.
Il piano delle coste indirizza, promuove e coordina gli interventi e le attività in materia di difesa del mare e delle coste dagli inquinamenti e di tutela dell'ambiente marino, secondo criteri di programmazione e con particolare rilievo alla previsione degli eventi potenzialmente pericolosi e degli interventi necessari per delimitarne gli effetti e per contrastarli una volta che si siano determinati.
Ai fini della formazione del piano, il Ministro dell'ambiente comunica alle singole regioni le proposte di piano relative al rispettivo territorio. Entro 60 giorni da tale comunicazione il Ministro dell'ambiente sente la Commissione consultiva interregionale di cui all'articolo 13 della legge 16 maggio 1970, n. 281, al fine di definire e coordinare le osservazioni e le proposte delle regioni stesse che concorreranno alla formazione del piano.
Entro i successivi 30 giorni le regioni debbono comunque esprimere il loro motivato avviso sulle proposte formulate dal Ministro dell'ambiente.
Ove le regioni non provvedano entro il termine predetto, il Ministro dell'ambiente procede autonomamente.
La mancata adozione de piano non ha comportato effetti di salvaguardia.

L'art. 1, l. 31.12.1982, n. 979, attributivo della potestà di formulazione di un piano di difesa del mare e delle coste, è norma non immediatamente precettiva.
In difetto di formulazione del piano suddetto, non è precluso, pertanto, di operare in sede amministrativa mediante concessione a privati di un tratto di superficie demaniale per costruire e gestire un approdo per il diporto nautico.
(Corte Conti, sez. contr., 1.6.1989 n. 2129, CS, 1990, II, 510).

I provvedimenti concessori devono peraltro, essere rispettosi dell’ambiente marino.

Le iniziative per la creazione di porti turistici devono ritenersi soggette - ai sensi dell'art. 1 della l. 31 dicembre 1982 n. 979 - ad una valutazione di incidenza sulla morfologia o sull'assetto costiero che impone al competente Ministero dei trasporti e della navigazione di tutelare, in ogni caso, l'ambiente marino.
(Cons. Stato, sez. II, 12.12.1994, n. 1280, DGA, 1996, 342).

E' illegittima una concessione di superficie demaniale marittima al fine di costruire e gestire un approdo pluriennale per il diporto nautico - nella specie: per cinquant'anni - approvata dal ministro della marina mercantile senza alcuna previa dimostrazione non solo in ordine alla compatibilità dell'interesse del concessionario con "le esigenze del pubblico uso" del mare - come richiesto dall'art. 36, c. n. - ma anche e soprattutto in ordine all'osservanza dell'art. 1 l. 31.12. 1982, n. 979 sulla difesa del mare - che impone, in via primaria la tutela dell'ambiente.
Il provvedimento si pone in contrasto, fra l'altro con quanto disposto dallo stesso ministro della marina mercantile con circ. n. 154, 24.5.1975 e dalla presidenza del consiglio dei ministri con nota n. 5162, 8.10.1985.
(Corte Conti, sez. contr., 1.6.1989 n. 2129, CS, 1990, II, 510).

Sono salve le responsabilità penali di chi ha causato l’inquinamento.

Nell'ipotesi di inquinamento marino causato da fuoriuscita di idrocarburi da una nave, il comandante è penalmente responsabile allorché abbia omesso di verificare lo stato dei serbatoi, avendo tale omissione una precisa rilevanza causale ed essendo egli obbligato a verificare lo stato di tutti i serbatoi di zavorra e a controllare l'esistenza di certificati e registri, regolarmente tenuti, attinenti alle acque di zavorra.
Qualora l'inquinamento marino da idrocarburi si sia verificato per errore la responsabilità del comandante della nave non è esclusa, salvo che si provi che l'errore è stato incolpevole, e cioè determinato da caso fortuito o forza maggiore, ovvero quando ci sia la prova di una volontà contraria alla violazione di legge.
Nel caso di inquinamento marino da idrocarburi il danno alla flora e alla fauna del mare va valutato sul presupposto generale e notorio che gli olii combustibili sono sostanze recanti danno alla flora e alla fauna del mare e sussiste a prescindere dall'immediato verificarsi della scomparsa improvvisa dell'ittiofauna e del calo progressivo dei prodotti ittici catturati nella fascia di mare interessata all'inquinamento, potendo tali effetti manifestarsi in tempi successivi all'evento e con conseguenze non precisamente determinabili con giudizio ex ante.
Essendo tale danno certo nella sua esistenza ma non accertabile con precisione nella sua entità è sicuramente legittimo il ricorso alla valutazione equitativa e la relativa rimessione alla competente sede civile, pur potendosi concedere alla parte civile che ne faccia richiesta una provvisionale.
(Pret. Vasto 5.4.1990, RP, 1990, 957).

Le aree marine protette sono disciplinate dall’art. 19, l. 394/1991 (Narducci F. 2000, 1716).


12. La azione di risarcimento del danno.

Legislazione
Bibliografia

L'eventuale danno che consegue al privato dal mancato esercizio da parte della p.a. dei poteri discrezionali inerenti compiti di prevenzione e di polizia di sua competenza in materia di attività inquinanti (disciplinati, nella specie, dalla l. 10 maggio 1976 n. 319) non integra l'ipotesi di responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 c.c. in quanto l'interesse del privato al rispetto di tali norme non assurge a dignità di diritto soggettivo.
Tribunale Rimini, 19 dicembre 1994
Assoc. Faiat albergatori c. Reg. Lombardia
Riv. giur. ambiente 1996, 523 nota (BERLUCCHI)

Berlucchi M.
1996 Alghe sulle spiagge adriatiche e risarcimento del danno. Nota a
Trib. Rimini, 19.12.1994, in RGA, 1996, 3, 523-527.

Il primo riguarda il problema della competenza territoriale, affrontato e risolto preventivamente dal Tribunale come punto di passaggio necessario per giungere alla pronunzia di reiezione nel merito (su cui si dirà poi). La sentenza ha respinto l'eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla Regione Lombardia (che invocava il foro del convenuto cioè il Tribunale di Milano), rifacendosi a quella giurisprudenza che identifica il forum delicti commissi non già nel luogo dell'azione o omissione, bensì in quello ove si è prodotto l'evento dannoso


CAPITOLO VII A

1.      IL CONTROLLO SUI LAVORI A RIDOSSO DELLE ACQUE PUBBLICHE


SOMMARIO: 1. Le opere soggette a tutela.
2. L'autorizzazione idraulica.
3. L’intervento repressivo. Le sanzioni.
4. La giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.

1. Le opere soggette a tutela.

Legislazione r.d. 25.7.1904, n. 523, artt. 96, 97 - 97, l. 13.7.1911, n. 774.
Bibliografia Cosentino e Frasca 2002.

Il regime delle acque pubbliche è soggetto a particolari tutele.
L’art. 96, r.d. 523/1904, prevede il divieto di realizzare opere a ridosso del piede degli argini o delle sponde dei corsi d’acqua.

Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i seguenti:
a) la formazione di pescaie, chiuse, petraie ed altre opere per l'esercizio della pesca, con le quali si alterasse il corso naturale delle acque. Sono eccettuate da questa disposizione le consuetudini per l'esercizio di legittime ed innocue concessioni di pesca, quando in esse si osservino le cautele od imposte negli atti delle dette concessioni, o già prescritte dall'autorità competente, o che questa potesse trovare conveniente di prescrivere;
b) le piantagioni che si inoltrino dentro gli alvei dei fiumi, torrenti, rivi e canali, a costringerne la sezione normale e necessaria al libero deflusso delle acque;
c) lo sradicamento o l'abbruciamento dei ceppi degli alberi che sostengono le ripe dei fiumi e dei torrenti per una distanza orizzontale non minore di nove metri dalla linea in cui arrivano le acque ordinarie. Per i rivi, canali e scolatoi pubblici la stessa proibizione è limitata ai piantamenti aderenti alle sponde;
d) la piantagione sulle alluvioni delle sponde dei fiumi e torrenti e loro isole a distanza dalla opposta sponda minore di quella, nelle rispettive località, stabilita o determinata dal prefetto, sentite le amministrazioni dei comuni interessati e l'ufficio del Genio civile;
e) le piantagioni di qualunque sorta di alberi ed arbusti sul piano e sulle scarpe degli argini, loro banche e sottobanche, lungo i fiumi, torrenti e canali navigabili;
f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi;
g) qualunque opera o fatto che possa alterare lo stato, la forma, le dimensioni, la resistenza e la convenienza all'uso, a cui sono destinati gli argini e loro accessori come sopra, e manufatti attinenti;
h) le variazioni ed alterazioni ai ripari di difesa delle sponde dei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatori pubblici, tanto arginati come non arginati, e ad ogni altra sorta di manufatti attinenti;
i) il pascolo e la permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe, o banchine dei pubblici canali e loro accessori;
k) l'apertura di cavi, fontanili e simili a distanza dai fiumi, torrenti e canali pubblici minori di quella voluta dai regolamenti e consuetudini locali, o di quella che dall'autorità amministrativa provinciale sia riconosciuta necessaria per evitare il pericolo di diversioni e indebite sottrazioni di acque;
l) qualunque opera nell'alveo o contro le sponde dei fiumi o canali navigabili, o sulle vie alzaie, che possa nuocere alla libertà ed alla sicurezza della navigazione ed all'esercizio dei porti natanti e ponti di barche;
m) i lavori od atti non autorizzati con cui venissero a ritardare od impedire le operazioni del trasporto dei legnami a galla ai legittimi concessionari;
n) lo stabilimento di molini natanti.
(art. 96, r.d 523/1904, mod., l. 13.7.1911, n. 774).
L'art. 96, lett. f), r.d. 25.7.1904, n. 523, contempla, tra l'altro, un assoluto divieto di edificare a meno di 10 metri dal piede degli argini dei corsi d'acqua, prevedendone altresì la deroga solo allorquando la materia sia contemporaneamente disciplinata agli stessi fini da normative locali, che ricomprendono anche quelle contenute nei piani regolatori generali e nei regolamenti edilizi (T.A.R. Emilia Romagna Parma, 6.11.2003, n. 581, FATAR, 2003, 3226).
In particolare la giurisprudenza ha precisato che il divieto di cui all'art. 96, lett. g), r.d. 25.7.1904, n. 523 (t.u. delle leggi sulle opere idrauliche) appare riferito ad opere e atti che investono gli alvei delle acque pubbliche, le sponde e difese, e cioè lo spazio soggiacente alle piene ordinarie, le sponde e le ripe interne, formanti con l'alveo del corso d'acqua una unità inscindibile per il contenimento e l'economia di scorrimento delle acque, o, comunque, le opere e i fatti che incidano sull'economia e sul regime dell'alveo del corso d'acqua, come sopra definito (Cass. Pen., sez. III, 8.3.1994, CP, 1996, 908).
La giurisprudenza ha affermato che i divieti di edificazione sanciti dall'art. 96 r.d. 25.7.1904, n. 523 sono informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali ovvero di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici; pertanto, quando risulta oggettivamente non sussistente una massa di acqua pubblica suscettibile di essere utilizzata ai predetti fini, deve escludersi l'operatività dei menzionati divieti (Cass. Civ., Sez. U., 5.7.2004, n. 12271, FACDS, 2004, 1994).
L’art. 97, r.d 523/1904 elenca, invece, le opere che si devono eseguire con speciale permesso del prefetto e sotto l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte (Cosentino e Frasca 2002, 79).
Tali opere indicate tassativamente sono, fra l’altro, la realizzazione di pennelli, chiuse ed altre simili opere nell'alveo dei fiumi e torrenti; la formazione di riparti a difesa delle sponde; i dissodamenti dei terreni boscati e cespugliati laterali ai fiumi e torrenti; le piantagioni a protezione dalle alluvioni a qualsivoglia distanza dalla opposta sponda; il trasporto in altra posizione dei molini natanti eseguiti sia con chiuse sia senza chiuse; l'estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici; l'occupazione delle spiagge dei laghi con opere stabili.



2. L'autorizzazione idraulica.

Legislazione r.d. 25.7.1904, n. 523, art. 96, 97 – r.d. 28.5.1931, n. 601, art. 1 - r.d. 11.12.1933 n. 1775, art. 143.

La specifica competenza in tema di controllo sull'esecuzione di opere che può incidere, anche indirettamente, sul regime dei corsi d'acqua statale è prevista dagli art. 2 e 57 t.u. 25.7.1904, n. 523 ed è affidata allo Stato.
Essa non è venuta meno con l'entrata in vigore del d.p.r. 24.7.1977, n. 616, non rientrando nell'ambito delle materie trasferite o di quelle delegate alle regioni (Trib. sup.re acque, 13.10.1999, n. 117, CS, 1999, II,1562)
La norma assoggetta al controllo della pubblica amministrazione i progetti per modificazioni di argini e per costruzioni e modificazioni di altre opere di qualsiasi genere che possono direttamente o indirettamente influire sul regime dei corsi d'acqua.

I progetti per modificazione di argini e per costruzione e modificazione di altre opere di qualsiasi genere, che possano direttamente o indirettamente influire sul regime dei corsi d'acqua, quantunque di interesse puramente consorziale o privato, non potranno eseguirsi senza la previa omologazione del prefetto.
I progetti saranno sottoposti all'approvazione del Ministero dei lavori pubblici, quando si tratti di opera che interessi notevolmente il regime del corso d'acqua; quando si tratti di costruire nuovi argini; e infine quando concorrano nella spesa lo Stato o le provincie.
(art. 57, r.d. 25.7.1904, n. 523).

L’art. 58, r.d. 25.7.1904, n. 523, consente una eccezione per le opere eseguite dai privati per semplice difesa, aderente alle sponde dei loro beni, che non alterino in alcun modo il regime dell'alveo.

Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio di sentenza di condanna perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, le opere non sonos tate ritenute soggetttte ad autotizzazione. L'imputato, per riparare le vasche di decantazione dell'acqua proveniente dal lavaggio degli inerti (ghiaia e sabbia), aveva rialzato l'argine del fiume (operando peraltro sulla sua proprietà), e ciò non solo non aveva cagionato alcun pregiudizio all'ambiente e al paesaggio, ma aveva rinforzato l'argine del fiume, senza incidere sul regime dell'alveo e sul suo assetto.
(Cass. Pen., sez. III, 8.3.1994, CP, 1996, 908).


L'autorizzazione idraulica prescritta dal t.u. 25.7.1904, n. 523, ha l'evidente scopo di prevenire possibili pericoli per la corretta e regolare regimazione delle acque.
Il tipico contenuto provvedimentale, di conseguenza, riguarda esclusivamente la valutazione delle opere da eseguire sotto il profilo idraulico, per cui nulla vieta all'amministrazione di inserire prescrizioni accessorie, purché queste, però, non vadano ad alterare la tipicità funzionale del provvedimento autorizzatorio (Trib. sup.re acque, 8.5.2002, n. 65, FACDS, 2002, 1356).
Per quanto riguarda l’estrazione dall'alveo dei fiumi e torrenti di ghiaia e sabbia la giurisprudenza ha precisato che la concessione amministrativa è richiesta in relazione all'uso eccezionale del bene pubblico che intenda farne il privato nel proprio interesse, ai sensi dell'art. 97, r.d. 25.7.1904, n. 523.
Detto uso comporta il pagamento di un canone ed il previo accertamento che esso non leda i preminenti interessi pubblici attinenti alla salvaguardia del regime delle acque, mentre la suddetta concessione non deve ritenersi necessariamente richiesta ove l'estrazione si colleghi, con carattere di necessità, al compimento di un'opera idraulica sul fiume o torrente (Cass. civ., sez. I, 5.12.1998, n. 12332, GCM, 1998, 2544).
La autorizzazione idraulica non esclude che qualora le opere siano da eseguirsi in zone di particolare interesse ambientale, sia necessaria l'autorizzazione per effettuare un intervento in zone protette.
Per raggiungere il risultato di un equilibrato sviluppo degli interventi sul territorio ed evitare danni all'ambiente, l'art. 181, d.lg. 42/2004, stabilisce che le modifiche su di esso si svolgano secondo le linee preordinate dalla autorità amministrativa; pertanto, ogni intervento effettuato in zone protette - esclusi quelli di irrilevante entità non idonei ad incidere neppure in astratto sullo ambiente - deve essere preceduto dalla autorizzazione paesaggistica.
Pertanto, la realizzazione di un argine, con deviazione delle acque di un fiume, deve essere sottoposta al controllo di impatto ambientale, nè è invocabile l'applicabilità dell'art. 58 del testo unico sulla disciplina delle acque pubbliche, il quale - a sua volta - consente ai privati di eseguire opere idrauliche a difesa della proprietà solo quando non sia in alcun modo alterato il regime dell'alveo.

La mancanza della autorizzazione idraulica legittima il diniego di altre autorizzazioni da parte dia utorità legittimamente rpeposte al rilascio.

L'art. 17 l. n. 64 del 1974, obbliga chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni nelle zone sismiche, a darne preavviso scritto al sindaco ed all'ufficio tecnico della regione od all'ufficio del genio civile, secondo le rispettive competenze. La valenza antisismica di tale onere di preavviso non impedisce l'esame del progetto nel suo insieme, onde rilevarne le eventuali anomalie rispetto ad altre norme, comprese quelle idrauliche (nella specie, concernenti le prescritte distanze dagli argini), ben potendo, comunque, l'ufficio del genio civile (per evidenti fini di economia procedimentale) non esaminare l'istanza di nulla osta di un progetto ai fini antisismici, qualora il progetto stesso sia difforme dalle prescrizioni idrauliche.
(Trib. sup.re acque, 27.4.2005, n. 58, FACDS, 2005, f. 4, 1301).


3. L’intervento repressivo. Le sanzioni.

Legislazione l. 20.3.1865, n. 2248, all. f, art. 374 - r.d. 25.7.1904, n. 523, artt. 96, 97 – r.d. 28.5.1931, n. 601, art. 1 - d.lg. 42/2004, art. 181.

L’intereento repressivo è demandato il comune può intervenire per la mancanza di un'autorizzazione, per esempio, paesaggistica o idraulica, sempreché però si tratti di un'opera di trasformazione edilizia o urbanistica del territorio comunale, necessitante di concessione o autorizzazione edilizia, e realizzata in assenza di quelle altre, distinte e preliminari autorizzazioni.
Il Comune può intervenire per la mancanza di un'autorizzazione paesaggistica o idraulica, sempre che si tratti di un'opera di trasformazione edilizia o urbanistica del territorio comunale, necessitante di concessione o autorizzazione edilizia, e realizzata in assenza di quelle altre, distinte e preliminari autorizzazioni.

I divieti formulati dagli artt. 96, 97, t.u. 25.7.1904, n. 523, sulle opere idrauliche, soggiacciono alla sanzione stabilita dall'art. 374, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), non abrogata dal testo unico che si è limitato a riordinare la materia.
Alle pene di polizia e alla multa, comminate dalla disposizione del 1865, in virtù dell'art. 1, r.d. 28.5.1931, n. 601, corrispondono quelle dell'arresto e dell'ammenda (Cass. pen., sez. III, 5.2.1996, CP, 1997, 1852).
E’ ammessa anche la facoltà di esigere la rimessone in rpistino qaulora sia accertata la pericolosità delle opere che escludono ogni possibile sanatoria.

Una determinazione assunta dall'amministrazione preposta alla tutela di un vincolo che, ritenute l'abusività e la pericolosità delle opere (in quanto prive di ogni pur necessaria concessione od autorizzazione da parte dell'autorità stessa) e, quindi, la loro incompatibilità con il vincolo medesimo, ne abbia decretato la rimozione nell'esclusivo esercizio dei propri poteri, discendenti dalle disposizioni di cui al r.d. 25.7.1904, n. 523, rientra nell'esercizio di prerogative volte alla tutela dell'interesse e dell'incolumità pubblici che, in quanto tali, possono e devono essere esercitate, dall'autorità competente, anche in pendenza di domande di sanatoria edilizia.
La sanatoria non può, comunque, essere accordata in presenza di opere rischiose per la collettività (nella specie, con pericolo di esondazioni, peraltro già verificatesi in presenza delle opere in contestazione), tanto più che le eventuali inadempienze dell'interessato (nella specie, sul piano del completamento della pratica edilizia) non possono certamente costituire valido presupposto per paralizzare l'esercizio dei poteri di vigilanza sui corpi idrici e delle relative potestà sanzionatorie, assegnati all'autorità preposta alla tutela del vincolo nell'esercizio dei propri primari e generali compiti di salvaguardia dell'interesse pubblico.
(Trib. sup.re acque, 21.11.2003, n. 155, FACDS, 2003, 3460).



4. La giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.

Legislazione r.d. 11.12.1933 n. 1775, art. 143, 1° co. - d.lg. 31.3.1998, n. 80, art. 34.

L’art. 143, 1° co., r.d. n. 1775/1933 attribuisce la alla giurisdizione del giudice delle acque.

a) i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti presi dall'amministrazione in materia di acque; b) i ricorsi, anche per il merito, contro i provvedimenti dell'autorità amministrativa adottati ai sensi degli artt. 217 e 221 della presente legge; nonché contro i provvedimenti adottati dall'autorità amministrativa in materia di regime delle acque pubbliche ai sensi dell'art. 2 del testo unico delle leggi sulle opere idrauliche approvato con r.d. 25 luglio 1904, n. 523, modificato con l'art. 22 della l. 13 luglio 1911, n. 774, del r.d. 19 novembre 1921, n. 1688, e degli artt. 378 e 379 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F.
(art. 143, 1° co., r.d. 1775 del 1933).

La giurisprudenza ha affermato che la controversia relativa ad un provvedimento che, anche indirettamente, si propone di tutelare il corretto deflusso delle acque, va sottoposta alla giurisdizione del Trib. sup. acque pubbl., ai sensi dell'art. 143, r.d. 11.12.1933 n. 1775.

Nella vigenza dell'art. 34, d.lg. 31.3.1998, n. 80 - successivamente modificato, in parte, dalla l. 21.7.2000, n. 205 - sussiste la giurisdizione diretta di legittimità del tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell'art. 143, t.u. 11.12.1933, n. 1775, per le impugnazioni di tutti i provvedimenti con incidenza diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche.
Tale giurisdizione speciale sussiste, quindi, per le controversie relative all'autorizzazione o concessione per la realizzazione di costruzioni ed opere attinenti all'utilizzazione od al regime delle acque nella regione Lombardia, nella quale esiste una specifica legislazione limitativa delle concessioni di costruzione in zona a destinazione agricola.
(Trib. sup.re acque, 21.5.2003, n. 74, FACDS, 2003, 1735).

La diretta incidenza del provvedimento amministrativo sulla materia delle acque pubbliche, radicante la giurisdizione di legittimità in unico grado del tribunale superiore delle acque, si configura anche in rapporto ad atti di organi amministrativi non direttamente deputati alla cura di interessi in detta materia, ma comunque interferenti con i provvedimenti specificamente concernenti la realizzazione di un'opera idraulica.

Nella specie, il tribunale superiore ha ritenuto, in particolare, che l'eventuale destinazione agricola di una zona impedisce ogni insediamento di tipo abitativo-residenziale, ma non la localizzazione di opere idroelettriche di pubblico interesse.
(Trib. sup.re acque, 3.5.2005, n. 63, FACDS, 2005, f. 5,1639).

La controversia che riguarda la verifica della legittimità di permessi di costruire concerne solo indirettamente il regime degli argini - che entra in questione esclusivamente quale riferimento per la verifica del rispetto o meno, nell'edificazione di fabbricati residenziali, delle distanze previste dall'art. 96, r.d. 25.7.1904, n. 523 - è ritenuta dalla giurisprudenza estranea al regime delle acque pubbliche.
La giurisdizione generale di legittimità del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in unico grado ha per oggetto i ricorsi contro provvedimenti amministrativi caratterizzati da incidenza diretta sulla materia di tali acque, ossia questioni in ordine ad opere che su queste influiscono immediatamente; esorbita, pertanto, da tale giurisdizione ed appartiene a quella del giudice amministrativo, l'impugnazione di una concessione edilizia, trattandosi di provvedimento non destinato, in quanto tale, ad avere riflessi immediati sul regime delle acque secondo un criterio di efficacia diretta, ed inidoneo, quindi, a fondare la competenza tecnica richiesta per verificare la validità degli atti relativi alla realizzazione, modificazione, sospensione od eliminazione di un'opera idraulica.
(Cass. Civ., Sez.. U., 10.12.1993, n. 12167).
Secondo la Corte di Cassazione, la giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado ha per oggetto i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi che incidono direttamente sulla materia delle acque pubbliche, mentre ricorre la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo riguardo ai provvedimenti aventi un'incidenza strumentale ed indiretta su tale materia (Cass. Civ., Sez. U., 20.6.2000 n. 457).


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