giovedì 4 ottobre 2012

Tutela Ambiente. 6 TUTELA DEI PARCHI.


CAPITOLO VI
LA TUTELA DEI PARCHI.

SOMMARIO: 1. Le aree protette.
1.1. Le misure di salvaguardia.
2. I parchi nazionali.
2.1. L’approvazione del piano del parco. Gli effetti.
3. I parchi regionali.
3.1. L’approvazione.
3.2. Le misure di salvaguardia.
4. Il nulla osta dell’ente parco.
5. I rapporti tra la disciplina del parco e le cave.
6. La vigilanza dell’Ente parco.
7. Il potere di vigilanza del Ministro dell'ambiente.
8. I reati previsti dalla l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette.
9. Il concorso con i reati urbanistici.
9.1. Il concorso con i reati previsti dalla l. 431/1985.
10. La costituzione di parte civile dell'Ente parco.
11. Il risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica.

1. Le aree protette.

Legislazione l. 6.12.1991, n. 394, artt. 1, 3.
Bibliografia Assini e Mantini 1997.

La legge quadro sulle aree protette, l. 6.12.1991, n. 394, art. 1, ha fissato i principi generali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, col fine di garantire la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale della nazione.

La composizione di interessi di diversa natura e la configurazione del giusto equilibrio tra conservazione e sviluppo trovano momento di sintesi nella elaborazione del piano dell’area protetta.
(Assini e Mantini 1997, 881).

Il patrimonio naturale è costituito dalle formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale.
Una speciale tutela e una particolare gestione sono adottate nei territori che possiedono i valori che caratterizzano il patrimonio naturale e costituiscono le aree naturali protette.
In dette aree la compressione dello ius aedificandi è massima; è dovuto, infatti, il più totale rispetto dell’ambiente anche se non sono esclusi gli interventi edilizi; essi sono considerati possibili solo previo parere dell’ente preposto.
La l. 6.12.1991, n. 394 istituisce una apposita amministrazione di settore cui compete la gestione delle aree protette e la loro tutela (Desideri e Fonderico 1998, 20).
Al vertice di tale amministrazione l’art. 3 della l. 394/1991 pone il Comitato per le aree naturali protette, un organo a composizione paritetica Stato-regioni.
I compiti del Comitato sono quelli di individuare lo stato dell’ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali e i profili di vulnerabilità del settore, ed inoltre di adottare il programma triennale delle aree protette.
I compiti del Comitato sono stati successivamente limitati dall’abrogazione del programma effettuata dall’art. 76, d.lg. 112/1998, in relazione ai compiti attribuiti alla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome dal d.lg. 281/1997, su delega dell'art. 1, 4° co., lett. c) della l. 59/1997.
Il Comitato è assistito da un organo tecnico, la Consulta tecnica per le aree naturali protette.
Sono, però, gli enti gestori dei parchi, sia nazionali che regionali, che hanno i poteri di programmazione e di pianificazione, oltre a quelli regolamentari e di tutela.
Ai sensi dell’art. 34 del d. lg. 267/2000, lo Stato, le regioni e gli enti locali devono realizzare forme di collaborazione e d’intesa per la tutela e la gestione delle aree naturali protette.

1.1. Le misure di salvaguardia.

Legislazione l. 6.12.1991, n. 394, artt. 4, 6.
Bibliografia Desideri e Fonderico 1998.

Le misure di salvaguardia consistono nella sospensione di ogni attività di modifica del territorio in attesa della pianificazione disposta dal piano per il parco; esse sono previste in rapporto a fasi diverse (Desideri e Fonderico 1998, 45).
L’art. 4, 9° co. della l. 394/1991, prevede l’adozione delle misure di salvaguardia in rapporto all’adozione del programma delle aree protette.
Le misure di salvaguardia scattano ancora quando è individuata l’area da destinare a protezione.
La giurisprudenza ritiene necessario l’intervento consultivo delle regioni.

Solo dopo avere sentito le Regioni interessate ovvero solo dopo che siano decorsi trenta giorni dalla data di richiesta del parere senza che questo sia stato espresso, il Ministro dell’ambiente possa adottare le misure di salvaguardia nelle zone individuate come aree da destinare a riserve naturali d’importanza nazionale o internazionale.
(Corte cost., 22.11.1991, n. 422. Corte cost., 13.12.1991, n. 464).

Il Ministro dell'ambiente e le regioni possono individuare, in caso di necessità ed urgenza, aree da proteggere ed adottare su di esse misure di salvaguardia, ex art. 6, l. 394/1991.
Per quanto concerne le aree protette marine detti poteri sono esercitati dal Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro della marina mercantile.
La proposta d'istituzione dell'area protetta e le relative misure di salvaguardia devono essere esaminate dal Comitato nella prima seduta successiva alla pubblicazione del provvedimento di individuazione dell'area stessa.
Dalla pubblicazione del programma fino all'istituzione delle singole aree protette operano direttamente le misure di salvaguardia.
Per gravi motivi di salvaguardia ambientale sono vietati fuori dei centri edificati di cui all'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e, con provvedimento motivato, anche nei centri edificati, l'esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell'utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta.
In caso di necessità ed urgenza, il Ministro dell'ambiente, con provvedimento motivato, sentita la Consulta, può consentire deroghe alle misure di salvaguardia in questione, prescrivendo le modalità di attuazione di lavori ed opere idonei a salvaguardare l'integrità dei luoghi e dell'ambiente naturale.
1.1. Le misure di salvaguardia.
Le misure di salvaguardia, stabilite dall'art. 6, l. 394 del 1991, hanno lo scopo di preservare le aree sottoposte alla particolare tutela da ogni evento che potesse pregiudicare la pianificazione e la regolamentazione di competenza dell'Ente Parco, e quindi consentissero l'integrale conservazione dei siti, per quanto possibile, non solo sino alla istituzione del Parco, ma anche sino alla relativa regolamentazione.

L’art. 8, 5° co., l. 394 del 1991, consente che le misure di salvaguardia possano essere integrate, con il provvedimento che istituisce l'Ente Parco, "sino all'entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta.

2. I parchi nazionali.

Legislazione l. 6.12.1991, n. 394, artt. 9, 12.
Bibliografia Desideri e Fonderico 1998.

Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’ambiente, sentita la Regione, sono istituiti e delimitati i parchi nazionali, individuati dal programma triennale; in tale fase non è, quindi, richiesta la partecipazione degli enti locali (Desideri e Fonderico 1998, 37).
L’Ente Parco ha la gestione del parco; esso, la cui istituzione è regolamentata dall'art. 9, l. 394/1991, ha personalità di diritto pubblico; l’Ente ha sede legale ed amministrativa nel territorio del parco ed è sotto la vigilanza del Ministero dell’ambiente.
Organi dell’Ente sono: il Presidente; il Consiglio direttivo; la Giunta esecutiva, che può essere eletta su decisione del Consiglio direttivo; il vice Presidente, il quale è compreso, assieme al Presidente, fra i membri che formano la Giunta; il Collegio dei Revisori dei conti.
L'obbligo di stabilire la sede legale e amministrativa dell'ente Parco nel territorio del parco stesso è introdotto dall'art. 9, 1° co. l. 6.12.1991, n. 394:

L'obbligo deve ritenersi operante non soltanto per gli enti Parco di nuova istituzione, ma anche per gli enti Parco già istituiti, nel rispetto del principio fondamentale di territorialità stabilito in via generale dalla legge stessa.
(T.A.R. Lazio sez. II, 3.5.1995, n. 766, FA, 1996, 210).

L’Ente Parco tutela i valori naturali ed ambientali mediante il piano per il Parco.

1. La tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici tradizionali affidata all'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco, di seguito denominato “piano”, che deve, in particolare, disciplinare i seguenti contenuti:
a) organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela;
b) vincoli, destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano;
c) sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli anziani;
d) sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agro-turistiche;
e) indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale in genere.
2. Il piano suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
a) riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità;
b) riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione delle opere esistenti, ai sensi delle lettere a) e b) del primo comma dell'art. 31 della l. 5.8.1978, n. 457;
c) aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità ai criteri generali fissati dall'Ente parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. Sono ammessi gli interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma dell'art. 31 della citata legge n. 457 del 1978, salvo l'osservanza delle norme di piano sulle destinazioni d'uso;
d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.
(art. 12, l. 394/1991, mod.art. 2, 30° co., l. 9.12.1998, n. 426).

La scelta dei territori da includere nella perimetrazione provvisoria del Parco nazionale, che l'art. 34, l. 6.12.1991, n. 394 demanda al Ministero dell'ambiente, concreta un'attività tecnico discrezionale insindacabile in sede di giudizio di legittimità se non per palese illogicità o arbitrarietà della scelta operata dall'amministrazione (T.A.R. Lazio sez. II, 22.6.1995, n. 1093, FA, 1996, 218).

2.1. L’approvazione del piano del parco. Gli effetti.

L’Ente Parco, entro diciotto mesi dalla sua istituzione, deve predisporre il piano che deve essere adottato, sentiti gli enti locali.
Il piano è depositato presso le sedi dei Comuni, delle Comunità montane e delle Regioni per 40 giorni:

E' illegittimo il provvedimento di perimetrazione di un parco nazionale, ove non sia stato acquisito, ai sensi dell'art. 34, 3° co. della l. 6.12.1991, n. 394, il parere delle regioni interessate.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 22.6.1995, n. 1092, DGA, 1996, 342)

Chiunque può inviare osservazioni scritte entro i successivi 40 giorni e ad esse l’Ente deve rispondere, esprimendo il proprio parere, entro i successivi 30 giorni.
La Regione, in accordo con l’Ente Parco ed i Comuni, per quanto riguarda le disposizioni del piano relative alle attrezzature e ai servizi che consentono la gestione sociale del parco stesso, emana il provvedimento di approvazione entro 90 giorni dal ricevimento del piano e del parere sulle osservazioni presentate.
L’impugnazione va proposta dal momento di pubblicazione nel BUR.
Il piano territoriale di coordinamento del Parco nazionale del Mincio va impugnato nel prescritto termine di decadenza, decorrenti dalla pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione dell'avviso di deposito del detto piano presso la segreteria del consorzio del parco, anche da parte dell'utente di acqua pubblica, tenuto ad osservare i vincoli stabiliti dal piano stesso.
(Trib. sup. acque, 2.10.1992, n. 64, CS, 1992, II, 1535).

Il piano, ogni 10 anni, è modificato con la stessa procedura ed è aggiornato.
Esso equivale ad una dichiarazione di interesse pubblico generale e gli interventi in esso previsti assumono il carattere di indifferibilità ed urgenza.
Esso sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali od urbanistici ed ogni altro strumento di pianificazione.
Dal momento della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e sul B.U.R. il piano è immediatamente vincolante sia per le amministrazioni sia per i privati (art. 12, l. 6.12.1991, n. 394).
La protezione si estende anche alle aree contigue.

La nozione di zona contigua di cui all'art. 32 della l. 6.12.1991, n. 394, sostituisce quella di zona limitrofa, di cui all'art. 2 della l. 12.7.1923, n. 1511, istitutiva del Parco nazionale d'Abruzzo, pur restando comune la funzione di entrambe di assicurare tutela alle specie protette, garantendo la permanenza di una disciplina controllata e limitata della caccia immediatamente al di fuori del parco.
(T.A.R. Molise, 10.1.1996, n. 1, T.A.R., 1996, I, 999).

L'art. 34 della l. 6.12.1991, n. 394 istituisce alcuni parchi e aree di reperimento come, ad esempio, i parchi nazionali del Cilento e del Vallo di Diano, del Gargano, del Gran Sasso e Monti della Laga, della Maiella, della Val Grande e del Vesuvio.

3. I parchi regionali.

Legislazione l. 6.12.1991, n. 394, artt. 22, 23.
Bibliografia Assini e Mantini 1997 - Desideri e Fonderico 1998 - Centofanti 2004.

La legge quadro sulle aree protette fissa, all’art. 22, le norme quadro cui deve riferirsi la legislazione regionale, che deve definire la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, nonché il soggetto gestore e deve poi indicare gli elementi del piano del parco e i principi del regolamento (Assini e Mantini 1997, 881).
Il parco regionale è istituito con legge regionale che deve definire la sua perimetrazione provvisoria.

1. La legge regionale istitutiva del parco naturale regionale, tenuto conto del documento di indirizzo di cui all'articolo 22, comma 1, lettera a) , definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il soggetto per la gestione del parco e indica gli elementi del piano per il parco, di cui all'articolo 25, comma 1, nonché i princìpi del regolamento del parco. A tal fine possono essere istituiti appositi enti di diritto pubblico o consorzi obbligatori tra enti locali od organismi associativi ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142. Per la gestione dei servizi del parco, esclusa la vigilanza, possono essere stipulate convenzioni con enti pubblici, con soggetti privati, nonché con comunioni familiari montane.
(art. 23, l. 6.12.1991, n. 394).

I piani territoriali di coordinamento di parco regionale sostituiscono quelli territoriali paesistici nei territori compresi nei parchi naturali ed hanno la funzione non solo di coordinamento al fine di indirizzare le successive pianificazioni sottordinate, ma comportano immediatamente e direttamente vincoli e limiti anche per i privati.
La normativa regionale deve prevedere la partecipazione degli enti locali al procedimento pianificatorio (Desideri e Fonderico 1998, 43).

3.1. L’approvazione.

Il procedimento di approvazione è richiesto dalla giurisprudenza per ogni provvedimento che identifichi un’area soggetta a tale normativa:

L'approvazione del piano territoriale di ogni stazione di parco regionale, ai sensi dell'art. 9, l. r. Emilia Romagna, 2.4.1988, n. 11, deve essere preceduta, oltre che dalla relativa delibera di adozione, da talune fasi procedimentali dirette in particolare ad assicurare a chiunque, mediante il deposito per sessanta giorni del piano adottato, la possibilità di presentare osservazioni e proposte scritte.
(T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, Bologna, 5.10.1991, n. 480, FA, 1992, 2764).

La dottrina nota che la legislazione regionale nell’istituzione dei parchi prescinde da un documento programmatico pianificatorio anche se individua le aree protette - come ad esempio la l.r. Abruzzo 38/1996 - e difficilmente essa si inserisce nella pianificazione territoriale, come fa, invece, la l.r. Toscana 49/1995 (Desideri e Fonderico 1998, 47).
Ai fini dell’impugnazione, la giurisprudenza ha affermato che la procedura - prevista dalla l. r. Lombardia n. 86 del 1983, di formazione, adozione e approvazione dei piani territoriali di coordinamento di parco regionale - è suddivisa in due fasi autonome
La prima, esclusivamente amministrativa, è diretta a realizzare la partecipazione ed il concorso dei soggetti pubblici e privati portatori dei molteplici interessi coinvolti, come apporto non solo meramente collaborativo, ma con funzione anche garantistica del ruolo dei Comuni, cioè con il concorso attivo degli enti locali e con la facoltà di intervento di altri soggetti privati interessati.
In detta fase sono posti in essere atti, adottati da organi amministrativi e nell'esercizio di attività amministrativa, con efficacia non limitata all'interno del procedimento di formazione e adozione del piano territoriale - ma suscettibili di ledere immediatamente, attraverso l'automatica imposizione della salvaguardia, le posizioni di tutti i soggetti interessati che soggiacciono alle previsioni del progetto di piano.

Spetta allo Stato, e per esso al giudice amministrativo, con la sentenza del T.a.r. Lombardia, sez. II, 8.10.1997, n. 1738, annullare le delibere della Giunta regionale della Lombardia relative alla verifica e alle modifiche del piano territoriale dei parchi naturali e dei parchi di cintura metropolitana, in accoglimento di ricorsi proposti dai soggetti immediatamente lesi dall'applicazione delle misure di salvaguardia.
I vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e della delibera di modifiche da parte della Giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica e partecipazione, non sono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidano immediatamente su posizioni giuridiche soggettive.
(Corte cost., 11.6.1999, n. 226, GC, 1999, 2046).

Gli eventuali vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e della delibera di modifiche da parte della Giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica e partecipazione non rimangono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidono su situazioni giuridiche soggettive.
Per tali motivi la Corte Cost. ha respinto la questione di legittimità costituzionale dato che il procedimento così configurato non può paralizzare l’impugnazione giurisdizionale degli atti amministrativi (Centofanti 2004, 67).
La seconda fase è di mera approvazione di natura politica da parte dell'assemblea regionale, che tuttavia non attribuisce al contenuto del piano valore di legge né assume il significato di conversione dell'atto di pianificazione del parco (Corte cost., 11.6.1999, n. 225, R, 1999, 1029 nota Cecchetti).

3.2. Le misure di salvaguardia.

Le misure di salvaguardia scattano quando è realizzata la perimetrazione provvisoria del parco regionale, ai sensi degli artt. 22 e 23 della l. 394/1991.
Le misure di salvaguardia scattano in relazione alle fattispecie previste e non abbisognano dell’approvazione di ulteriori strumenti pianificatori.

Ai sensi dell'art. 6, 3° co. della L. reg. Toscana 13.12.1979, n. 61, istitutiva del Parco naturale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, l'efficacia delle misure di salvaguardia relative alla cessazione delle attività di cava in corso non è subordinata all'approvazione del piano territoriale, essendo sufficiente la sola sua adozione. Le misure di salvaguardia hanno efficacia temporanea e perdono la forza vincolante se entro cinque anni dall'entrata in vigore del piano territoriale di recupero non siano approvati i relativi piani di gestione, quali atti secondari di pianificazione e programmazione.
(Cons. St., sez. VI, 25.3.1996, n. 497, CS, 1996, I, 491).

Tra le misure di salvaguardia, stabilite dall’art. 6, l. 394/1991, è annoverato il divieto di realizzazione di nuove costruzioni e di trasformazione di quelle esistenti, che è previsto nei siti al di fuori dei centri abitati e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, nei centri edificati.
Il legislatore ha inteso salvaguardare le aree sottoposte alla particolare tutela da ogni evento che potesse pregiudicare la pianificazione e la regolamentazione di competenza dell'Ente Parco, dettando norme che, come è tipico delle misure di salvaguardia, consentissero, per quanto possibile, l'integrale conservazione dei siti sino all'istituzione del Parco ed alla relativa regolamentazione.
La considerazione è coerente con le finalità della legislazione in materia e trova argomento testuale nell’art. 8, 5° co., l. 394/1991 che dispone che, con il provvedimento d'istituzione del Parco possono essere integrate le misure di salvaguardia introdotte dall'art. 6 sino all'entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta.

Tra le misure di salvaguardia, stabilite dall'art. 6, l. 394 del 1991 unitamente alla tassativa sanzione ripristinatoria, è annoverato il divieto di realizzazione di nuove costruzioni e di trasformazione di quelle esistenti, previsto nei siti al di fuori dei centri abitati ed anche, per gravi motivi di salvaguardia ambientale e con provvedimento motivato, nei centri edificati.
(T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 22.4.2003, n. 329, FATAR, 2003, 1751).

Qualora non siano ancora adottati il Piano e il Regolamento del parco la giurisprudenza afferma che sono correttamente applicate le misure di salvaguardia approvate dall'Ente parco.
L'art. 6, 4° co°, l. 394/1991, nell'occuparsi di misure di salvaguardia, stabilisce che, dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento, operano i divieti e le procedura per eventuali deroghe di cui all'art. 11, 3° co., l. 394/1991.
Quest'ultima norma tra l'altro stabilisce, con disposizione di carattere generale attributiva di un potere di valutazione discrezionale da parte dell'Amministrazione, che nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.
Inoltre, l'art. 8, 5° co., l. 394/91, precisa che con il provvedimento di istituzione del parco possono essere integrate, sino alla entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta, le misure di salvaguardia introdotte dall'art. 6, l. 394/91.

L'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394, che disciplina il rilascio del nulla osta da parte dell'ente parco a concessioni o autorizzazioni relative a interventi, impianti ed opere all'interno dei parchi nazionali, e prevede un termine di sessanta giorni per la formazione del silenzio - assenso, si applica solo dopo l'approvazione del piano e del regolamento del parco.
Nella attesa della formazione e approvazione del piano e del regolamento di un parco nazionale, operano le misure di salvaguardia previste dall'art. 6 e i divieti di cui all'art. 11, l. 6.12.1991 n. 394, che possono essere integrati da misure dettate dal provvedimento di istituzione dell'ente parco.
Il nulla osta di competenza dell'ente parco ai sensi dell'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394 e l'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, ora art. 151, t.u. 490 del 1999, sono atti diversi e concorrenti, attribuiti ad autorità differenti e preposte alla cura di interessi solo in parte coincidenti; pertanto, l'autorizzazione paesaggistica non tiene luogo del nulla osta né delle misure di salvaguardia dettate dal provvedimento istitutivo del parco nazionale.
(T.A.R. Toscana, sez. I, 19.2.2002, n. 288, FI, 2002, III, 599).



4. Il nulla osta dell’ente parco.

Legislazione l. 6.12.991, n. 394, artt. 13, 30, 2° co.
Bibliografia Desideri Fonderico 1998.

Ogni intervento edilizio all’interno del parco deve essere sottoposto al preventivo nulla osta dell’ente (Desideri C. Fonderico F. 1998, 116).
Per la realizzazione degli interventi, opere e costruzioni in aree protette - quali parchi nazionali, regionali, riserve naturali - occorrono tre distinti ed autonomi provvedimenti: la concessione edilizia, l'autorizzazione paesaggistica ed il nulla osta dell'ente parco. Questi ultimi sono, in ogni caso, il frutto di una duplice valutazione, anche se rimessi ad un unico organo, e mantengono la loro autonomia ad ogni effetto in quanto espressione di due discipline concorrenti. Di conseguenza né il nulla osta del parco né il suo diniego fanno venire meno la necessità dell'autorizzazione paesaggistica (Cons. St., sez. IV, 28.2.2005, n. 714, FACDS, 2005, f. 2, 398).

Il nulla osta di competenza dell'ente parco ai sensi dell'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394, e l'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, sono atti diversi e concorrenti, attribuiti ad autorità differenti e preposte alla cura di interessi solo in parte coincidenti; pertanto, l'autorizzazione paesaggistica non tiene luogo del nulla osta né delle misure di salvaguardia dettate dal provvedimento istitutivo del parco nazionale.

Il nulla osta previsto dall'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette, non funziona nel senso di "rimuovere divieti" né di "costituire posizioni soggettive", ma solo in quello di accertare la conformità o meno delle attività proposte alle figure consentite.

Il nulla osta dell'ente parco, previsto dall'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394 per interventi, impianti ed opere da realizzarsi all'interno dell'area protetta non elimina la necessità, oltre che dell'ordinaria concessione edilizia, anche dell'autorizzazione paesistica, salvo che la l. reg. attribuisca espressamente al nulla - osta il valore anche di autorizzazione paesistica.
Ne consegue che, mancando tale condizione, la realizzazione abusiva di opere all'interno dell'area protetta rende configurabile tanto il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, quanto quello di cui all'art. 30, l. 6.12.1991, n. 394.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1998, n. 12917, UA, 1999, 1148).

Il nulla-osta è regolato dal sistema del silenzio assenso.

L'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394, prevede che il nulla-osta necessario per l'edificazione nell'ambito dei parchi nazionali, qualora non intervenga entro il termine di 60 giorni, decorrente dalla presentazione della domanda, si intende assentito.
E’ illegittimo il provvedimento di diniego del nulla-osta adottato dall'ente parco dopo la scadenza del detto termine.
(T.A.R. Abruzzo, sez. L'Aquila, 24.9.1993, n. 434, T.A.R., 1993, I, 4148).

L’obbligo del nulla-osta scatta dal momento dell’approvazione del piano del parco.

In tema di attività edilizia e tutela delle bellezze naturali, fino alla approvazione del regolamento e del piano del parco previsti dalla l. 6.12.1991, n. 394, non sono applicabili gli artt. 13 e 30 della stessa legge.
Non è imputabile, pertanto, né il sindaco per aver rilasciato una concessione edilizia per la costruzione di un edificio all'interno del perimetro del Parco Nazionale d'Abruzzo in assenza del nullaosta dell'ente parco in violazione degli artt. 13 e 30 della legge, né i titolari del manufatto per l'illecito urbanistico.
(Cass. pen., sez. III, 27.6.1995, n. 10407, RTDPE, 1996, 1114).

E’ ammessa la sanatoria delle opere eseguite abusivamente nell'ambito di parchi solo dopo l'acquisizione del nulla osta dell'Ente Parco.

Qualora l'intervento abusivo sia stato eseguito su area ricadente nell'ambito di un parco, la sanatoria delle opere eseguite abusivamente nell'ambito di parchi e riserve è disciplinata dalla disposizione di cui all'art. 24, l. r. Sicilia n. 37 del 1985 la quale prevede (ad eccezione di opere ricadenti in zone assolutamente inedificabili realizzate in data successiva alla imposizione del vincolo) l'acquisizione del nulla osta dell'Ente Parco ai fini del rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria; ne consegue che su tale disposizione nessuna refluenza ha l'art. 17, l. r. n. 4 del 2003 che ha innovato unicamente le procedure nelle quali debbano essere acquisiti i nulla osta di cui ai commi 8 e 10, art. 23, l. r. n. 37 del 1985 e per le quali soltanto opera l'istituto del silenzio assenso.



5. I rapporti tra la disciplina del parco e le cave.

La legislazione regionale può disporre delle limitazioni nella realizzazione di determinate attività nelle zone destinate a parco, come, ad esempio, escludere l’attività di cava.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, commi 2, 3 e 5, l. reg. Umbria 3.1.2000, n. 2, come sostituito dall'art. 5, l. r. Umbria 29.12.2003, n. 26, censurato, in riferimento all'art. 117, comma 2, lett. l), cost., in quanto, nel prevedere, in linea di principio, il divieto di condurre cave nei parchi regionali, stabilisce altresì, in alcune ipotesi, la possibilità di deroghe a tale divieto.
L'art. 11, l. 6.12.1991, n. 394, prevede infatti tale possibilità, e pertanto le disposizioni censurate, limitandosi a riprodurre i principi fondamentali per la disciplina delle aree protette di cui all'art. 22 della medesima l. n. 394 del 1991, non consentono arbitrariamente deroghe in peius in materia di ambiente, giacché non esiste, per i parchi regionali, disposizione analoga a quella che, per i parchi nazionali, demanda al regolamento dell'Ente Parco la possibilità di prevedere deroghe al divieto di esercizio di cava, e dovendosi ritenere che, essendo i parchi regionali espressione dell'autonomia regionale, la disciplina delle deroghe debba, in mancanza di un regolamento adottato dal parco, essere dettata dalla Regione; e, nella specie, la disciplina impugnata è rispettosa altresì del principio della partecipazione degli enti locali interessati alla gestione dell'area protetta.
(Corte cost., 18.3.2005, n. 108, FACDS, 2005, f. 3, 679).


6. La vigilanza dell’Ente parco.

L'Autorità di gestione del Parco ha il potere di disporre la riduzione in pristino dei luoghi e di ricostituzione delle specie vegetali o animali danneggiate, ex art. 6, 6° co., della l. 394/1991, per i casi di violazione delle misure di salvaguardia, dettate dall'art. 6, 3° co., in attesa della pianificazione e della regolamentazione dell'Ente Parco.
L’art. 6 della l. 6.12.1991, n. 394, prevede, nei casi di violazione delle misure di salvaguardia, la riduzione in pristino e la ricostituzione delle specie vegetali e animali danneggiate dall'edificazione.
Il presidente dell’Ente parco vigila, inoltre, sulle attività difformi dal nulla osta o realizzate in carenza del suo rilascio con potere cautelare di intervento.
Egli, infatti, dispone l’immediata sospensione dell’attività medesima ed ordina in ogni caso la riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore.
In caso di inottemperanza provvede all’esecuzione in danno, ai sensi dell’art. 29, l. 394/1991.
L’art. 30, 2° co., l. 6.12.1991, n. 394, prevede sanzioni pecuniarie per la violazione delle norme emanate dagli organi di gestione che vanno da euro 25 a euro 1032.

La norma non è in contrasto con lo statuto speciale per la regione Trentino Alto Adige e relative norme di attuazione, poiché i citati articoli hanno valore dispositivo e sono quindi applicabili, nel caso di ambienti naturali di rilievo regionale, solo allorché le regioni non vi abbiano provveduto con apposite norme.
(Corte Cost., 27.7.1992, n. 366, CS, 1992, II, 1107).
La legislazione regionale può disporre che il nulla osta possa sostituire la autorizzazione statale prevista per le zone soggette a vincolo idrologico.

Non è fondata, in riferimento all'art. 117 cost. la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, 2° co., l. r. Toscana 16.3.1994, n. 24 - Istituzione degli enti parco per la gestione dei parchi regionali della Maremma e di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli e soppressione dei relativi consorzi - nella parte in cui prescrive che il rilascio del nulla osta dell'ente parco tiene luogo delle autorizzazioni previste dalla normativa statale per gli interventi in zone sottoposte a vincoli paesaggistici e idrogeologici.
(Corte cost., 21.3. 1997, n. 67, RGE, 1997, I, 238).


7. Il potere di vigilanza del Ministro dell'ambiente.

Legislazione l. 6.12.1991, n. 394, art. 21.
Bibliografia Centofanti 2005.

La vigilanza sulla gestione delle aree protette è esercitata, per le aree terrestri, dal Ministro per l’ambiente e, per le aree marine, congiuntamente dal Ministro per l’ambiente e dal Ministro per la marina mercantile (Centofanti N. 2005, 386)
E’ stata posta la questione di legittimità costituzionale di tale attribuzione, per contrasto con le competenze regionali, da parte di alcune regioni a statuto speciale.

L'art. 21, l. 6.12.1991, n. 394, che attribuisce al Ministro dell'ambiente il potere di vigilanza, tramite il corpo forestale, sulla gestione delle aree naturali protette di interesse nazionale ed internazionale, non è in contrasto con lo statuto del Trentino Alto Adige, rientrando i compiti di vigilanza ivi previsti nelle competenze statali.
(Corte Cost., 27.7.1992, n. 366, RGE, 1992, I, 779).


8. I reati previsti dalla l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette.

Legislazione c.p., art. 624 – l. 6.12.1991, n. 394, artt. 1, 11, 3° co., lett. a) e f), 30, 1° co.,
Bibliografia Centofanti 2006.

La l. 394 del 1991, all’art. 30, prevede due distinti reati.
Il primo reato prevede due distinte fattispecie, sanzionate con l’arresto fino a dodici mesi e con l’ammenda da euro 103 a euro 25.822.
La prima punisce il mancato rispetto delle misure di salvaguardia emanate dal Ministero dell’ambiente e dalle regioni volte a proteggere le aree del cosiddetto patrimonio naturale in cui siano presenti, come precisa l’art. 1 della stessa legge, formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche che hanno rilevante valore naturalistico o ambientale.
La seconda sanziona la mancanza di preventivo nulla osta dell'Ente parco per interventi, impianti ed opere all'interno del parco.

La realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree protette deve essere preceduta da tre autonomi provvedimenti: il permesso di costruire disciplinato dal t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, d.p.r. 6.6.2001, n. 380, l'autorizzazione paesaggistica di cui al d.lg. 22.1.2004, n. 42, ed il nulla osta dell'ente parco di cui alla l. 6.12.1991, n. 394. La circostanza che il rilascio di questi due ultimi provvedimenti sia attributo, con legge regionale, ad un unico organo, non fa perdere agli stessi la loro autonomia, con la conseguente necessità di una duplice valutazione in merito.
(Cass. Pen., sez. III, 9.10.2003, n. 47706, CP, 2004, 3760).

Il secondo reato prevede altre due distinte fattispecie, sanzionate con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da euro 103 a euro 12.911 (Centofanti N. 2006, 74).
La prima colpisce le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, come l’apertura di cave o la realizzazione di un campeggio.

In tema di aree protette, l'allestimento di un campeggio all'interno di un parco senza la prescritta autorizzazione integra il reato di cui agli artt. 11, 3° co., e 30, l. 6.12.1991, n. 394, in quanto la prima norma, pur recando un elenco di specifiche condotte vietate che non comprende la realizzazione di un campeggio abusivo, proibisce in generale tutte le attività ed opere che possano compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati in relazione alla flora ed alla fauna protette. In motivazione la Corte ha rilevato che la realizzazione di un campeggio pone in pericolo quanto meno la flora del parco, attraverso opere di sbancamento della terra, accensione di fuochi ed altro.
(Cass. Pen., sez. III, 22.10.2002, n. 42209, CP, 2004, 1742).

Detta fattispecie colpisce inoltre la modificazione del regime delle acque con particolare riguardo alla flora, come il relativo danneggiamento delle specie vegetali protette, o della fauna, come la cattura, l’uccisione, il danneggiamento e il disturbo delle specie animali.

L'ipotesi contravvenzionale prevista e punita dagli artt. 11, 3° co., lett. a) e f) e 30, 1° co., l. 6.12.1991, n. 394, che vieta la cattura nei parchi delle specie animali, senza distinzione alcuna, è da ritenersi speciale rispetto a quella delittuosa di cui all'art. 624, c.p.
Gli elementi tipici, specializzati, sono rappresentati dalla particolarità del luogo, aree protette, in cui si deve attuare il comportamento volto alla realizzazione di atti diretti alla cattura e alla natura della res che è oggetto di questa, specie animale.
Nella specie si trattava di pesca di trote all'interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
(Cass. pen., sez. IV, 9.11.1995, n. 12680, CP, 1997, 708).

La seconda sanziona le attività vietate nelle aree marine protette, come la cattura, la raccolta ed il danneggiamento delle specie animali e vegetali, l’alterazione delle caratteristiche delle acque, la navigazione a motore, la discarica dei rifiuti e il sorvolo.

Ai fini della sussistenza del reato di effettuazione di navigazione a motore nelle aree protette marine - nella specie nelle acque dell'isola di Giannutri - di cui all'art. 30, 1° co., seconda parte, in relazione all'art. 19, 3° co., l. 6.12.1991, n. 394, è necessario, per stabilire il tipo di navigazione, verificare quale sia il mezzo di propulsione usato in concreto dal natante.
Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio, perché il fatto non sussiste, di sentenza di condanna con la quale il pretore aveva ritenuto che si sarebbe ugualmente realizzata un'ipotesi di navigazione a motore perché la barca dell'imputato, pur utilizzando soltanto le vele, era dotata di un motore ausiliario e quindi la sua navigazione deve qualificarsi sempre navigazione a motore.
La S.C. ha, invece, affermato che l'imputato, avendo utilizzato le vele e non il motore, aveva posto in essere una navigazione a vela e non a motore.
(Cass. pen., sez. III, 15 7.1997, n. 9159, CP, 1998, 3406).

Il sorvolo deve essere preventivamente autorizzato per non incorrere nel relativo reato.

Nei Parchi Nazionali è la l. 6.12.1991, n. 394, con l'art. 11, 3° co., a prescrivere espressamente la necessità della preventiva autorizzazione dell'Ente Parco per il "sorvolo di veicoli" - e tali devono considerarsi anche gli elicotteri - in quanto il divieto riguarda testualmente "il sorvolo di veicoli non autorizzati", ossia un'attività che per legge si presume potenzialmente pericolosa per gli equilibri naturali dell'area protetta.
Poiché il legislatore fissa con sufficiente chiarezza le condotte vietate nell'art. 11, 3° co., e prevede una specifica sanzione penale nell'art. 30, 1° co., deve ritenersi che la normativa in oggetto è immediatamente applicabile, pur in mancanza di ulteriori determinazioni nel regolamento di fatto adottato nel Parco.
Fattispecie relativa a rigetto di ricorso avverso sentenza di condanna per sorvolo del Parco Nazionale dello Stelvio con un elicottero senza autorizzazione dell'Ente Parco per la pratica dello eli-ski.
(Cass. pen., sez. III, 2.6.1995, n. 8561, RP, 1996, 744).

La giurisprudenza ha escluso l’esistenza del reato qualora dalla condotta dell’agente non derivi alcun danneggiamento. Ad esempio, il reato non sussiste nel caso di ormeggio.

Il transito e l'ormeggio in acque protette, nella specie circostanti l'isola di Giannutri, non integrano il reato di cui all'art. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431, in riferimento all'art. 30, l. 6.12.1991, n. 394, poiché manca l'alterazione dello stato dei luoghi vincolati e cioè una modificazione non momentanea, ma destinata a durare nel tempo.
La nozione di "alterazione" non può poi essere desunta da leggi regionali, nella specie della Toscana, applicativa di quella n. 431 citata, poiché detto concetto deve essere unitario in tutto il territorio.
Nel caso la Corte ha rigettato il ricorso del p.m. avverso il proscioglimento per oblazione dal reato di cui all'art. 164, c.p.
(Cass. pen., sez. III, 10.2.1993, CP, 1994, 1062).



9. Il concorso con i reati urbanistici.

Le opere abusive in zone soggette ad autorizzazione dell’Ente parco integrano il concorso formale con il reato edilizio disciplinato dall’art. 44, lett. c), d.p.r. 380/2001 che sost. art. 20, lett. c), l. n. 47/85.

Integra la contravvenzione di cui all'art. 20, lett. c), l. n. 47/85, l'aver chiuso con mattoni le pareti perimetrali aperte ad arcata di un edificio già adibito a fornace e sottoposto a vincolo archeologico (archeologia industriale) e paesaggistico (parco regionale), l'aver creato una soletta interna per realizzare due piani, nonché l'aver eretto alcuni tavolati interni, trattandosi di interventi che per loro natura, anche a prescindere da un cambio di destinazione d'uso o meno dell'immobile, necessitano di concessione edilizia, non solo in relazione ai muri di "tamponamento" esterni, ma anche per le opere interne, riguardando le stesse edifici vincolati. I medesimi interventi integrano in concorso formale con il reato edilizio, entrambe le contravvenzioni di cui agli artt. 151, 163 e 146, 1° co., lett. d), d.lg. 490/1999, 13 e 30, 1° co., l. 394/1991, poiché sono stati effettuati in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico (parco), in assenza del rilascio obbligatorio dell'autorizzazione paesaggistica e del nulla osta dell'ente parco: l'istituzione del parco regionale, infatti, non fa venir meno la necessità dell'autorizzazione paesaggistica.
(Trib. Milano, 4.11.2002, FAmbr, 2003, 99).



9.1. Il concorso con i reati previsti dalla l. 431/1985.

Legislazione l. 8.8.1985, n. 431, art. 1 sexies, l. 6.12.1991, n. 394, artt. 19, 3° co., 30.
Bibliografia D’Agostino 1991.

La dottrina si è posta il problema se, dato il carattere di specialità della l. 394/1991, vi sia concorso con i reati previsti dalla l. 431/1985 (D’Agostino A. 1991, 80).
La giurisprudenza prevalente afferma che si ha concorso di reati con quelli previsti dalla l. 431/1985 solo per le fattispecie nelle quali si abbia carenza di autorizzazione.

Il nulla osta dell'ente parco, previsto dall'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394, per interventi, impianti ed opere da realizzarsi all'interno dell'area protetta non elimina la necessità, oltre che dell'ordinaria concessione edilizia, anche dell'autorizzazione paesistica, salvo che la l. reg. attribuisca espressamente al nulla-osta il valore anche di autorizzazione paesistica.
Ne consegue che, mancando tale condizione, la realizzazione abusiva di opere all'interno dell'area protetta rende configurabile tanto il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, quanto quello di cui all'art. 30, l. 6.12.1991, n. 394.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1998, n. 12917, RP, 1999, 43).

Il reato previsto dagli artt. 13 e 30, l. 394/91, che sanziona la mancanza di preventivo nulla osta dell'ente parco per interventi, impianti ed opere all'interno del parco, non sostituisce, per gli interventi eseguiti all'interno del parco, quello previsto dall'art. 1 sexies della l. 431 del 1985, essendo diversi i beni giuridici tutelati e le procedure da seguire per ottenere, rispettivamente, il nulla osta dell'ente parco e quello dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
(Pret. Castiglione S., 11.12.1992, GM, 1994, 171).

Non si ha, invece, concorso di reati con quelli previsti dalla l. 431/1985 per le fattispecie contemplate dagli artt. 19, 3° co. e 30, della l. 394/91, nel caso di condotte illecite che abbiano cagionato danno o pericolo all'ecosistema dell'area protetta, visto il rapporto di specialità che esiste fra le due normative.

La fattispecie in esame riguarda l'arcipelago toscano, che dall'art. 31 della legge sulla difesa del mare, l. 979/82, era individuato tra le aree da sottoporre ad accertamento ai fini della costituzione di una riserva marina, e che è stato successivamente scelto come parco nazionale marino e territoriale, con la conseguenza dell'applicazione del regime giuridico specifico dei parchi nazionali.
(Cass. pen., sez. III, 12.11.1993, CP, 1994, 2196).

10. La costituzione di parte civile dell'Ente parco.

E’ ammessa la costituzione di parte civile dell'Ente parco nei giudizi penali tesi a reprimere gli abusi derivanti da opere realizzate in mancanza di autorizzazione.

La costituzione di parte civile dell'Ente parco nei giudizi riguardanti fatti dolosi o colposi che possano compromettere l'integrità del patrimonio naturale dell'area protetta si rende necessaria allorché impianti od opere siano state realizzate senza il nulla osta previsto dall'art. 13, l. n. 394 del 1991, la cui finalità è quella di assicurare in via preventiva la conformità con il Piano del parco, che una volta pubblicato è immediatamente vincolante nei confronti delle amministrazioni e dei privati, sostituendo ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali e urbanistici ed ogni altro strumento.
In conseguenza, pur rimanendo fermo il potere urbanistico dei comuni inseriti in un Parco nazionale, la realizzazione di eventuali opere è possibile solo con il concorde consenso degli enti locali e degli enti parco.
(Cass. pen., sez. III, 26.2.1998, n. 3443, RP, 1998, 694).


11. Il risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica.

L'art. 15, 3° co., l. 6.12.1991, n. 394, dispone che l'ente parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco.
Il regolamento del parco deve stabilire le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi che devono essere pagati entro novanta giorni dal verificarsi del nocumento, ex art. 15, 4° co., l. 6.12.1991, n. 394.
Vi è controversia in giurisprudenza sull’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario o al giudice amministrativo in materia di risarcimento dei danni arrecati dalla selvaggina protetta alle colture agricole.
L’orientamento giurisprudenziale ha attribuito essenziale rilievo, a tal fine, al concreto atteggiarsi della disciplina positiva.
La giurisprudenza, in particolare, occupandosi di una fattispecie in cui il privato aveva lamentato danni a due appezzamenti di terreno inclusi nel comprensorio del Parco naturale dei Monti Sibillini, che erano stati invasi in ore notturne da cinghiali usciti dai boschi circostanti, ha posto in risalto la singolarità della figura dei parchi naturali e del regime giuridico dei terreni agricoli in essi compresi, soggetti a forti restrizioni del diritto di proprietà e di godimento in vista delle perseguite finalità di tutela e miglioramento della flora e della fauna e della conservazione dell'ambiente.
La giurisprudenza ha affermato che le situazioni di eventuale pregiudizio che i proprietari di tali terreni possono subire, o per limitazioni dirette di attività o per una forma indiretta di limitazione di sfruttamento, derivante dall'impossibilità di abbattimento degli animali selvatici, sono situazioni meramente conseguenti e connesse alla tutela dell'interesse collettivo, rispetto al quale la situazione giuridica del privato è degradata ad interesse.
L’interpretazione giurisprudenziale ha finito, però, col ritenere risolutivo, ai fini della affermata giurisdizione del giudice amministrativo, il fatto che, coerentemente con tutto questo, nella disciplina dettata dalla l. 12.7.1923, n. 1511 e dal relativo regolamento approvato con r.d. 27.9.1923, n. 2124, per il Parco Nazionale d'Abruzzo, non era disposto alcun indennizzo ragguagliato alla effettività dei danni cagionati dagli animali selvatici a singole coltivazioni.
Detta normativa ha previsto solo un compenso che, in assenza di elementi normativamente prefissati per la sua determinazione e liquidazione, non assumeva alcun carattere di certezza, almeno nel quantum, cosicché doveva ritenersi che la situazione riconosciuta al privato danneggiato fosse solo di interesse legittimo.

È devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia proposta, contro la regione Marche, la provincia di Ascoli Piceno e il Ministero dell'ambiente dal privato per ottenere il risarcimento dei danni patiti per essere stato un proprio terreno coltivato a patate, sito nel comprensorio del Parco dei Monti Sibillini, invaso in ore notturne da cinghiali usciti dai boschi circostanti.
(Cass. civ., Sez. U., 23.11.1995, n. 12106, GC, 1996, I, 702).

Un altro indirizzo giurisprudenziale ha dichiarato che la domanda di risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, perché fondata sull'art. 15 della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991.
La norma, infatti, prevede, senza margini di discrezionalità, l'obbligo dell'ente parco di indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco nel termine di novanta giorni dal loro verificarsi (Cass. Civ., 30.12.1998, n. 12901).
La dottrina censura il criterio individuato dalla giurisprudenza poiché non lo ritiene sufficientemente discriminante.

Il nuovo criterio proposto dalla Cassazione tiene invece conto esclusivamente del tenore letterale della normativa di riferimento (soprattutto di quella regionale) a prescindere da ogni considerazione sistematica avente riguardo alla normativa statale quadro.
(Deledda M. 1999, 507).

Altra giurisprudenza determina la giurisdizione avendo a riferimento la posizione giuridica che si intende tutelare.
Il fatto che nella legge e nel regolamento del Parco sia adoperata l'espressione indennizzo, in luogo di quella di risarcimento del danno, non incide sulla posizione giuridica del privato danneggiato.
I termini indennizzo o indennità indicano, in generale, una posizione giuridica che deve essere riparata nello stesso modo del risarcimento del danno propriamente detto.
Indennizzo o indennità, infatti, si riferiscono ad una prestazione, per conseguire la quale la legge ha già attribuito all'interessato una tutela per equivalente monetario. In questo caso, il diritto si trasforma da diritto al bene in diritto all'indennizzo e parlare d'interesse legittimo non è corretto.
Cosa diversa dal riconoscimento del diritto al bene è la liquidazione della somma dovuta che la pubblica amministrazione può determinare secondo criteri che l'interessato può chiedere di verificare attraverso il ricorso al giudice ordinario.
Gli eventuali poteri limitativi previsti nel Regolamento del Parco non incidono sulla posizione di diritto soggettivo del danneggiato.
Si tratta, infatti, di poteri che sono volti a circoscrivere la sola liquidazione del danno e non interferiscono sull'esistenza del diritto al risarcimento.
La domanda di risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica, nell'ambito del Parco nazionale del Cilento e Vallo del Diano, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo fondata sull'art. 15 della legge quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991 n. 394, il quale prevede, senza margini di discrezionalità, l'obbligo dell'ente parco di indennizzare i danni suddetti nel termine di novanta giorni dal loro verificarsi, così configurando come diritto soggettivo la posizione giuridica del privato danneggiato.


CAPITOLO VIa
IL CONTROLLO DEI BOSCHI E TERRENI MONTANI.

SOMMARIO: 1. Le funzioni regionali. Problemi di costituzionalità.
2. Il parere dell'autorità competente in tema di vincoli idrogeologici, ex art. 7, r.d. 30.12.1923, n. 3267.
3. Le sanzioni penali.
4. Sanzioni amministrative.
4.1. L’ordinanza ingiunzione.
4.2. L'opposizione.
5. La giurisdizione del giudice di pace e del tribunale.
6. Il rapporto di specialità.

1. Le funzioni regionali. Problemi di costituzionalità.

La materia del taglio dei boschi rientrava espressamente nella competenza regionale dell'agricoltura e foreste, ex art. 117 della Costituzione nel testo anteriore alla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.
L’art. 117, cost., come modificato dall’art. 3, l. cost. 18.10.2001, n. 3, ripartisce la potestà legislativa fra Stato e Regioni.
L’art. 177, 3° co., cost. definisce le materie a legislazione concorrente ove la potestà legislativa spetta alle regioni, salvo per la determinazione dei criteri fondamentali riservata alla legislazione dello Stato.
Il governo del territorio è oggetto di legislazione concorrente delle regioni con riserva dello Stato della determinazione dei principi fondamentali
L'attribuzione ai comuni di funzioni diverse da quelle esclusivamente locali nella materia non può, pertanto, essere disposta con legge statale, occorrendo un intervento legislativo della Regione.
E’ stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 2° co., della l. 11.12.2000, n. 365, che attribuiva al sindaco del comune, nelle regioni danneggiate da calamità naturali, il potere di autorizzare il taglio dei boschi, in zone con vincolo idrogeologico.
È costituzionalmente illegittimo l'art. 2, 2° co., l. 11.12.2000, n. 365, che attribuiva al sindaco del comune, nelle regioni danneggiate da calamità naturali, il potere di autorizzare il taglio dei boschi, in zone con vincolo idrogeologico.
(Corte cost., 9.12.2002, n. 524, RGE, 2003, I, 45).


2. Il parere dell'autorità competente in tema di vincoli idrogeologici, ex art. 7, r.d. 30.12.1923, n. 3267.

Legislazione: r.d. 30.12.1923, n. 3267, artt. 7, 12 - d.p.r. 24.7.1977, n. 616, art. 69, 2° co.

Bibliografia: Cosentino e Frasca 2002.

Lo scopo del vincolo idrogeologico è quello di assoggettare determinati terreni all'obbligo della coltura boschiva limitandone l'utilizzazione onde evitare la denudazione che può cagionare perdita di stabilità o turbamento del regime delle acque (T.A.R. Lombardia-Milano II Sez. 14.9.2000, n. 5597).
L'indirizzo giurisprudenziale prevalente afferma che la tutela di carattere idrogeologico esclude le attività di tipo edificatorio e si estende anche agli interventi che interessano terreni non boschivi, purché compresi all'interno dell'area vincolata, essendo palese l'irrilevanza, ai fini delle esigenze di tutela, che la superficie assoggettata al vincolo sia boschiva ovvero priva di alberi (Cons. St., sez. V, 28.1.1997, n. 88. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 22.7.1999, n. 384).
La mancanza in un'area più o meno estesa, organicamente inserita nel tessuto
boschivo, di alberi ad alto fusto o di vegetazione non esclude la estraneità di
tale area dal rispetto dei valori di tutela delle zone boschive, conseguentemente è assoggettabile al vincolo di inedificabilità (T.A.R. Toscana III Sez. 23/03/1996 n. 237).L'intensa attività edificatoria in una determinata zona, ampiamente lottizzata, non esclude, ma fa emergere con maggiore evidenza la necessità di rapportare l'incidenza negativa di ulteriori interventi edilizi agli scopi propri del vincolo idrogeologico. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 8 aprile 2005, n. 1981).
Le zone che possono subire danni per effetto della eliminazione dei boschi sono sottoposte a vincolo idrogeologico.

Le norme del r.d. 30.12.1923, n. 3267, consentono sia la sottoposizione a vincolo idrogeologico di terreni privati che, per effetto di forme di utilizzazione, "possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque" (art. 1), sia le trasformazioni di detti terreni - originariamente riferite alle sole attività agricole e forestali e successivamente estese dalla giurisprudenza anche ad ogni lavoro di trasformazione che sia per sua natura o per i mezzi usati capace di arrecare danni analoghi o maggiori rispetto alle mere trasformazioni agricole (ex art. 21 del regolamento n. 1126/26), incluse le attività di tipo edificatorio - previa valutazione dell'autorità competente alla gestione e alla tutela del vincolo stesso (art. 7, r.d. n. 3267 del 1923), perché l'esistenza del vincolo non interdice in modo assoluto l'attività edificatoria, ma richiede soltanto che l'intervento progettato sia espressamente autorizzato da quella autorità.

La giurisprudenza ha stabilito che il vincolo non ha carattere di divieto assoluto.
Per il regime di utilizzazione controllata dei terreni boschivi e montani legittimamente la pubblica amministrazione può subordinare ad autorizzazione l'esercizio di quelle forme di godimento del bene che, in astratto, siano in contrasto con le suddette finalità, e, corrispondentemente, può vietare quelle utilizzazioni che, in concreto, pregiudichino l'equilibrio idrogeologico.
La regione è competente a rilasciare, mediante l’organo fissato dalla relativa legislazione, l'autorizzazione contemplata dall'art. 7, r.d. 30.12.1923, n. 3267 per gli interventi da effettuarsi nelle zone sottoposte a vincolo idrogeologico, trattandosi di autorizzazione affidata alla competenza regionale, ai sensi dell'art. 69, 2° co., del d.p.r. 24.7.1977, n. 616 (Cosentino e Frasca 2002, 79).

Il vincolo idrogeologico e forestale disciplinato dal r.d.l. n. 3267 del 1923 non comporta inedificabilità assoluta, per questo non ogni opera edilizia in zona vincolata arreca pregiudizio all'interesse pubblico tutelato, ma solo quelle (opere) che, a seguito di puntuale accertamento, da condursi caso per caso, risultino con esso pubblico interesse in effettivo contrasto.

Il mancato rilascio dell’autorizzazione comporta che l’autorità comunale deve negare il permesso di costruire richiesto.

Pur dovendosi riconoscere che gli interessi pubblici tutelati dalla legislazione in materia di boschi e da quella urbanistica sono nettamente distinti ed autonomi, nel caso in cui l'Autorità comunale, in sede di esame della domanda del permesso di costruire, ne abbia subordinato il rilascio alla presentazione del nullaosta del dipartimento alle foreste relativo al vincolo idrogeologico, lo stesso nullaosta diviene presupposto di legittimità al rilascio della concessione edilizia e la sua mancanza legittima il diniego dell'assenso edilizio.

Il mancato rilascio dell’autorizzazione rende comunque inefficaci i provvedimenti eventualmente emessi dall’autorità comunale sia quelli relativi ad un singolo permesso di costruire sia quelli inerenti ad un piano di lottizzazione.

Il piano di lottizzazione insistente su un terreno sottoposto a vincolo idrogeologico forestale privo della necessaria autorizzazione dell'autorità competente deve considerarsi inefficace, per cui legittimamente l'amministrazione ne prescinde in occasione della formazione del piano regolatore generale.
(T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 16.6.2003, n. 2032, FATAR, 2003, 2075).

Nel caso di mancata autorizzazione, o di diniego della stessa, il privato può tutelare il proprio interesse solo ricorrendo alla giustizia amministrativa.

La deliberazione della commissione permanente per l'agricoltura, le foreste e l'economia montana presso la camera di commercio, con la quale è espresso parere non favorevole sotto l'aspetto idrogeologico e forestale, in ordine a domanda di sanatoria edilizia presentata ai sensi dell'art. 31 della l. 28.2.1985, n. 47, e il conforme parere negativo dell'ispettorato compartimentale delle foreste costituiscono determinazioni amministrative idonee a produrre un definitivo arresto procedimentale e a ledere, conseguentemente, con il carattere dell'attualità e dell'immediatezza, la posizione giuridica del soggetto interessato alla conclusione del procedimento, il quale non ha altro modo di tutelare il proprio interesse pretensivo, se non quello di azionare il proprio interesse strumentale all'eliminazione dell'atto o del comportamento preclusivo del successivo sviluppo del procedimento.
(T.A.R. Lazio, sez. Latina, 21.6.1994, n. 677, FA, 1995, 164).



3. Le sanzioni penali.
L’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42, sanziona chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità ad essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici.
Le pene sono determinate per rinvio a quelle previste dall'articolo 20 della l. 28.2.1985, n. 47, sost. art. 44, d.p.r. 380/2001.
La fattispecie è stata ritenuta applicabile anche al taglio di alberi avvenuto senza preventiva autorizzazione.

In materia paesaggistica, il taglio del bosco eseguito con tecnica a raso e non colturale configura il reato di cui all'art. 163, d.lg. 29.10.1999, n. 490, ora sostituito dall'art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42, stante anche il contrasto con l'art. 6, d.lg. 18.5.2001, n. 227, disciplinante le attività selvicolturali.
(Cass. Pen., sez. III, 22.4.2004, n. 18695, DGA, 2005, 400 nota Abrami).

Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Copia della sentenza è trasmessa alla regione ed al comune nel cui territorio è stata commessa la violazione

4. Sanzioni amministrative.

La violazione alle disposizioni degli artt. 8, 26, e 28 del r.d. 30.12.1923, n. 3267, costituisce contravvenzione espressamente sanzionata con pena pecuniaria il cui ammontare può variare dal doppio al quadruplo del valore delle piante tagliate.

Coloro che nei boschi vincolati per scopi idrogeologici o per gli scopi previsti dall'art. 17 taglino o danneggino piante o arrechino altri danni, in contravvenzione alle prescrizioni emanate dal comitato forestale ed alle disposizioni impartite dalle autorità, di cui al comma secondo dell'articolo predetto, saranno puniti con una pena pecuniaria dal doppio al quadruplo del valore delle piante tagliate o del danno commesso, salvo gli obblighi imposti dagli articoli precedenti.
(art. 26, r.d. 30.12.1923, n. 3267).

Essa è stata depenalizzata per effetto della l. 24.10.1981, n. 689, costituendo in precedenza reato a norma dell'art. 10 della l. 1.3.1975, n. 47 (Cass. 9.6.1989, n. 2792).
È ad essa applicabile l'orientamento ribadito dalla Cass. Pen., Sez. Un., 18.11.1988, n. 6255, che, con riguardo a reato contravvenzionale, commesso prima dell'entrata in vigore della l. 24.11.1981, n. 689, e poi depenalizzato da tale legge, ha affermato la pregressa estinzione del reato stesso per amnistia.
Tale interpretazione è invocabile dall'autore della violazione, in forza del principio del favor rei di cui all'art. 2 c. p., prevalente sulla retroattività della legge di depenalizzazione, ed è deducibile con l'opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria amministrativa, quale ipotesi di insussistenza del fatto sanzionato.
La normativa è ora disciplinata dalla legislazione regionale.
La sanzione trova applicazione anche nei casi in cui non si sia verificato un danno in conseguenza delle opere stesse.

Dalle disposizioni degli artt. 1, 25 e 27, l. forestale r. Lombardia 5.4.1976, n. 8, nonché da quella dell'art. 55 del regolamento della stessa regione 23.2.1993, n. 1, e mod., si evince che la specifica finalità normativa è quella di attuare misure di prevenzione per la conservazione dello stato dei luoghi, disponendo a tal fine che qualsiasi attività diretta a mutare l'assetto dei terreni soggetti a vincolo idrogeologico sia preceduta da autorizzazione amministrativa, in vista di un pericolo di danno (sempre immanente in quei terreni) che si vuole scongiurare, punendo le opere abusive (tra le quali gli scavi) con sanzioni amministrative.
(Cass. civ., sez. I, 19.4.2002, n. 5723, GCM, 2002, 684).

Le funzioni di controllo sul patrimonio boschivo sono attribuite al Corpo forestale regionale e/o agli organi delle comunità montane.

La giurisprudenza ha stabilito che il potere del Corpo forestale regionale di procedere all'accertamento delle violazioni degli art. 130 e 26, r.d. 30.12.1923, n. 3267, per il taglio di piante in un bosco, atteso che l'art. 13, 4° co., l. 24.11.1981, n. 689, legittima all'accertamento delle violazioni punite con le sanzioni amministrative pecuniarie anche gli ufficiali di polizia giudiziaria, tra i quali rientrano anche gli agenti forestali. Nella specie si tratta di violazione avvenuta nella regione Friuli Venezia Giulia.
(Cass. Civ., sez. I, 2.2.1995, n. 1223, DGA, 1996, 242 nota Abrami).

La specifica finalità normativa è quella di attuare misure di prevenzione per la conservazione dello stato dei luoghi, disponendo a tal fine che qualsiasi attività diretta a mutare l'assetto dei terreni soggetti a vincolo idrogeologico sia preceduta da autorizzazione amministrativa, in vista di un pericolo di danno sempre immanente in quei terreni che si vuole scongiurare, punendo le opere abusive con sanzioni amministrative.

La sanzione prevista dal combinato disposto degli artt. 25 e 27, l. Lombardia 5.4. 1976, n. 8, che sanziona l’esecuzione di opere senza la prescritta autorizzazione. trova applicazione anche nei casi in cui non si sia verificato un danno in conseguenza delle opere stesse.
(Cass. civ., sez. I, 19.4.2002, n. 5723, GCM, 2002, 684).

Dalla combinata lettura dell'art. 3, l. 26.1.1865, n. 2134, dell'art. 124, 2° co., lett. e), r.d. 30.12.1923, n. 3267 e dell'art. 18, l. 5.1.1933, n. 30, risulta inequivocabilmente espresso il principio per cui agli agenti accertatori di violazioni alla normativa forestale spetta la somma corrispondente al quarto dell'importo incassato a titolo di ammenda, oblazione, pena pecuniaria.
La giurisprudenza distingue infatti il compenso spettante ai dipendenti del corpo forestale che è inquadrabile come personale militare, che tuttora persiste, da quello spettante ai dipendenti civili che è stato riassorbito.

Sebbene l'art. 6, l. 15.11.1973, n. 734, abbia previsto il versamento integrale dei proventi contravvenzionali al bilancio dello Stato, con abrogazione di tutte le disposizioni di ripartizione dei proventi stessi a favore del personale statale, l'applicazione di tale norma è stata correttamente esclusa nei confronti del personale militare, in quanto non rientrante nell'ambito dei "dipendenti civili" dello Stato cui la legge medesima si riferisce, di modo che anche il personale del Corpo Forestale dello Stato è rimasto escluso dal divieto di riparto contenuto nel predetto art. 6.



4.1. L’ordinanza ingiunzione.

L'autorità competente, sentiti gli interessati ed esaminati i documenti, se ritiene fondato l'accertamento, determina, con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento, insieme con le spese, all'autore della violazione ed alle persone che vi sono obbligate solidalmente; altrimenti emette ordinanza motivata di archiviazione degli atti.
L'ordinanza ingiunzione costituisce titolo esecutivo per il pagamento, art. 18, l. 689/1981.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza il pagamento, da parte dell'indicato autore della violazione amministrativa, della sanzione irrogata con l'ordinanza-ingiunzione - il che avviene, di regola, a scopo cautelativo ed al fine di evitare le conseguenze derivanti dalla natura di titolo esecutivo del provvedimento sanzionatorio - non comporta di per sé acquiescenza ad essa, né incide sull'interesse dello stesso ad insorgere in sede giurisdizionale avverso il provvedimento medesimo. Altrimenti opinando, potrebbero porsi seri dubbi di illegittimità costituzionale di una interpretazione siffatta per violazione, ai sensi dell'art. 24, c. 1, cost., del diritto alla tutela giurisdizionale (Cass. Civ., n. 3735 del 2004).

4.2. L'opposizione.

Legislazione l. 24.11.1981, n. 689, artt. 22 e 22 bis.
Bibliografia Galli 1996.

L'eventuale opposizione all'ordinanza si deve presentare al giudice ordinario competente per territorio entro trenta giorni dalla notifica, ai sensi dell'art. 22 della l. 689/1981.
La giurisprudenza ha affermato che la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto l'opposizione ad una sanzione amministrativa emessa dalla p.a. è devoluta al giudice ordinario, ai sensi degli artt. 22 e 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689 - norme speciali rispetto agli artt. 2 e 3, l. 6.12.1971, n. 1034 - a nulla rilevando l'eventuale pendenza di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo per l'annullamento del provvedimento, la cui inottemperanza è stata sanzionata, rilevando gli effetti di quel giudizio non sulla giurisdizione, ma sul merito del giudizio di opposizione (Cass. Civ., Sez. U., 8.3.2005, n. 4954).
L'opposizione all'ordinanza irrogativa di una sanzione amministrativa introduce un ordinario giudizio di cognizione sul fondamento della pretesa dell'autorità amministrativa, cui spetta l'onere di dimostrarne gli elementi costitutivi. Tuttavia, detta autorità può avvalersi di presunzioni che trasferiscono a carico dell'intimato l'onere della prova contraria, purché i fatti sui quali esse si fondano siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio insindacabile in sede di legittimità se convenientemente motivato sulla base di detti criteri (Cass. Civ., sez. I, 4.2.2005, n. 2363).
Eccezionalmente si consente al giudice ordinario la possibilità, nel caso in cui consideri l'opposizione fondata, di annullare un provvedimento amministrativo contrariamente al principio generale che demanda tale funzione al giudice amministrativo.
Il giudice ordinario può sia annullare per illegittimità l’atto sanzionatorio sia modificarlo intervenendo sull’entità della sanzione. (Galli R. 1996, 704).
L'ordinanza è provvedimento esecutivo, l'opposizione non ne sospende l'esecuzione.
Essa può essere sospesa dal giudice per gravi motivi.
L'opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una somma a titolo di sanzione amministrativa introduce un giudizio disciplinato dalle regole proprie del processo civile di cognizione.
Ne consegue che, in caso di mancata comparizione della parti ad un'udienza successiva alla prima, il giudice non può convalidare l'ordinanza - ingiunzione e, più in generale, deve astenersi dal pronunciare nel merito, essendo tenuto ad applicare la norma dettata dall'art. 309, c.p.c. (Cass. Civ., sez. I, 10.3.2005, n. 5290).
La Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell'art. 23, 5° co., , l. 24.11.1981, n. 689, nella parte in cui prevede che il giudice convalidi il provvedimento opposto in caso di assenza ingiustificata dell'opponente (o del suo procuratore) alla prima udienza "anche quando l'illegittimità del provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall'opponente" (Corte cost. n. 534 del 1990) nonché "quando l'amministrazione irrogante abbia omesso il deposito dei documenti di cui allo stesso art. 23, 2° co., l. 24.11.1981, n. 689 (Corte cost. 507 del 1993).
L'emanazione dell'ordinanza di convalida è subordinata alla duplice condizione della mancata comparizione dell'opponente o del suo procuratore e della non fondatezza dell'opposizione, da valutarsi peraltro in relazione ai motivi del ricorso dai quali è stabilito l'oggetto del giudizio di opposizione.
Ne consegue l'obbligo del giudice di motivare in ordine ad entrambi gli indicati presupposti, restando in particolare escluso che, con riferimento al giudizio di non fondatezza dell'opposizione, valga a soddisfare siffatto obbligo un generico richiamo alla "non evidente illegittimità" del provvedimento opposto. (Cass. Civ., sez. I, 16.3.2005, n. 5715).




5. La giurisdizione del giudice di pace e del tribunale.

Legislazione l. 24.11.1981, n. 689, art. 22 bis - d.lg. 30.12.1999, n. 507, art. 98.
Bibliografia Barbuto 1999.

L’art. 98, d.lg. 30.12.1999, n. 507, che mod. l’art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689, attribuisce la competenza in materia di ordinanze ingiunzione al giudice di pace.

1. Salvo quanto previsto dai commi seguenti, l'opposizione di cui all'articolo 22 si propone davanti al giudice di pace.
2. L'opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia:
omissis
d) di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette;
(art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689).

La giurisprudenza ha riconosciuto che l'opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione di pagamento di sanzione pecuniaria amministrativa si propone non più davanti al pretore del luogo in cui è stata commessa la violazione, ma davanti al giudice di pace del luogo in cui questa è stata commessa, individuato a norma dell'art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689, come introdotto dal d.lg. 30.12.1999, n. 507, attuativo della legge di delega 25.6.1999, n. 205.
Rimane al Tribunale la competenza per determinate materie tassativamente indicate dallo stesso articolo, quali la tutela del lavoro, la previdenza, l’urbanistica, la tutela dell’ambiente, l’igiene degli alimenti, le società finanziarie, i tributi, oltre al caso in cui la sanzione sia superiore a trenta milioni (Barbuto M. 1999, 143).

3. L'opposizione si propone altresì davanti al tribunale:
a) se per la violazione è prevista una sanzione pecuniaria superiore nel massimo a lire trenta milioni;
b) quando, essendo la violazione punita con sanzione pecuniaria proporzionale senza previsione di un limite massimo, è stata applicata una sanzione superiore a lire trenta milioni;
c) quando è stata applicata una sanzione di natura diversa da quella pecuniaria, sola o congiunta a quest'ultima, fatta eccezione per le violazioni previste dal regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, dalla legge 15 dicembre 1990, n. 386 e dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
4. Restano salve le competenze stabilite da diverse disposizioni di legge.
(art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689).

L’interprete deve verificare se la legge regionale sia manifestamente legata alla tutela dell'ambiente dall'inquinamento e della flora per accertare la competenza del tribunale.
Alle violazioni concernenti disposizioni in materia di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette è riconducibile la violazione dell'art. 31 lett. g), l. reg. Molise 10.8.1993, n. 19, avente ad oggetto la bruciatura di terreno incolto con erbe infestanti secche e cespugli. (
Cass. Civ., sez. I, 30.10.2003, n. 16312).



6. Il rapporto di specialità.

Legislazione l. 24.11.1981, n. 689, art. 9, 2° co.

La giurisprudenza ha notato che il bene giuridico protetto dalla legge regionale è la risorsa sociale ed economica del settore agro-silvo-pastorale; sicché la tutela del bosco per la legge regionale prescinde da ogni considerazione relativa alla bellezza naturale dello stesso, trovando fondamento in interessi di carattere economico-sociali legati alla produzione e alla commercializzazione del legno.
Da ciò consegue che diversi essendo i beni giuridici protetti dalle due norme non può essere applicato l'
art. 9, 2° co., l. 689/1981, che presuppone oltre allo stesso fatto, nella specie taglio del bosco, anche un rapporto di specialità fra la norma statale e la norma regionale escluso come detto dalla diversità dei beni giuridici protetti.
Le norme regionali peraltro sarebbero ugualmente applicabili anche in assenza
della legge statale posto che la finalità delle leggi regionali non è quella di prevenire la scomparsa di bellezze naturali, ma quella di preservare i boschi, anche se non di particolare pregio naturale.
La giurisprudenza ha rilevato che l'art. 9, 2° co., l. 689/1981, trova applicazione solo quando le norme che sanzionino un medesimo fatto, nella specie taglio del bosco, si trovino fra loro in rapporto di specialità, che deve escludersi quando sia diversa l'obiettività giuridica degli interessi protetti dalle due norme.
In tema di sanzioni amministrative, l'art. 9, 2 °co., l. 24.11.1981, n. 689 - a tenore del quale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale - in tanto opera in quanto le norme sanzionanti un medesimo fatto si trovino fra loro in rapporto di specialità, il quale deve escludersi quando sia diversa l'obiettività giuridica degli interessi protetti dalle due norme. Non sussiste pertanto un rapporto di specialità tra la disposizione penale di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, dettata a protezione delle bellezze naturali, e gli art. 6 e 11 l. reg. Lombardia 27.1.1977, n. 9, che - configurando come illecito amministrativo il taglio senza denuncia o non autorizzato dei boschi - prescindono da ogni considerazione relativa alla bellezza naturale dello stesso.

Il fondamento della disposizione è costituito dalla necessità di non eludere il comando più gravemente sanzionato attraverso disposizioni amministrative favorevoli.
L'art. 9, 2° co., l. 689/1981, afferma l'impossibilità di eludere il precetto penale attraverso la disposizione - da parte del legislatore regionale o provinciale - di sanzioni amministrative applicabili in luogo di quelle penali, per la riferita relazione di specialità, senza possibilità di cumularle (Cass. Civ., sez. I, 22.11.2004, n. 21967).


CAPITOLO VI B
LA TUTELA DEGLI HABITAT NATURALI.

SOMMARIO: 1. La conservazione degli habitat naturali.
2. Le funzioni statali e regionali nell’interpretazione della Corte costituzionale.

1. La conservazione degli habitat naturali.

Legislazione: dir. 92/43/CE, artt. 5, 21 - d.p.r. 8.9.1997, n. 357, art. 3.

Il Ministero dell'ambiente, con il d.m. 3.4.2000, ha pubblicato l'elenco dei siti di importanza comunitaria e delle zone di protezione speciale che meritano particolare tutela.
Questi siti sono individuati e proposti dalle Regioni e dalle Province autonome e trasmessi, dallo stesso Ministero, alla Commissione europea in attuazione della direttiva 79/409/CEE e della direttiva 92/43/CE.
Quest'ultima, finalizzata a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo, ex art. 2, dir. 92/43/CE, prevede la costituzione di una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata Natura 2000, ex art. 3, dir. 92/43/CE.
A tal fine, ogni Stato membro propone alla Commissione europea un elenco di siti degli habitat naturali e delle specie locali scelti tra quelli indicati nella direttiva.
La Commissione, d'accordo con ciascuno degli Stati, elabora un progetto di elenco dei siti di importanza comunitaria che è poi approvato secondo il complesso procedimento descritto nell'art. 21, dir. 92/43/CE.
Inoltre, l'art. 5, dir. 92/43/CE, prevede anche che la Commissione, ove constati l'assenza di un sito particolarmente significativo da un elenco nazionale, possa attivare una procedura di concertazione con lo Stato interessato e, ove questa non si risolva entro sei mesi, far decidere in materia il Consiglio dei ministri della Comunità europea.
Quando un sito è stato scelto dalla Commissione sulla base delle descritte procedure, esso deve essere designato dallo Stato interessato come zona speciale di conservazione entro il termine massimo di sei anni.
Solo al momento in cui un sito risulti iscritto nell'elenco approvato in sede comunitaria, esso diventa soggetto al regime di tutela previsto dalle disposizioni dell'art. 6, paragrafi 2, 3 e 4, dir. 92/43/CE.
In base a tali previsioni, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le opportune misure atte ad evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché il turbamento delle specie presenti nel sito; inoltre, si stabilisce la necessità di una preventiva valutazione di incidenza sul sito di qualunque piano o progetto che non sia direttamente connesso o necessario alla sua gestione, con l'ulteriore conseguenza, in caso di valutazione negativa, dell'obbligo per lo Stato membro di adottare misure compensative.

Non risulta violato l'art. 6, 3° co., della direttiva n. 92/43 né il regolamento di recepimento di cui al d.p.r. 8.9.1997, n. 357, che impongono la necessaria valutazione di incidenza degli effetti dell'opera su habitat, flora e fauna su siti di importanza comunitaria - SIC e zone di protezione speciale - ZPS laddove nell'ambito della più ampia procedura di valutazione di impatto ambientale sia presentato uno studio di impatto comprensivo di un'analisi globale sull'ambiente, incluse flora, fauna ed habitat naturale che analizzi adeguatamente le interferenze delle opere sull'ambiente in termini sostanzialmente corrispondenti a quanto richiesto dalla direttiva n. 92/43 e dal d.p.r. 357 del 1997.
(T.A.R. Veneto, sez. I, 26.7.2004, n. 2480, RGA, 2005, 359. Nota Barichello E. 2005, 363).

La Commissione ha, peraltro, invitato gli Stati membri ad adeguarsi affinché sia evitato il degrado dei siti iscritti negli elenchi nazionali.
Il d.p.r. 8.9.1997, n. 357, ha dato attuazione alla direttiva 92/43/CE; in particolare, l'art. 3 di tale regolamento definisce la procedura d'individuazione dei siti comprendenti gli habitat e le specie di cui agli allegati I e II della direttiva.
Esso stabilisce che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano individuano, con proprio procedimento, i siti in cui si trovano tipi di habitat che abbiano le caratteristiche di quelli elencati nell'allegato A e habitat che comprendano le specie di cui all'allegato B e ne diano comunicazione al Ministero dell'ambiente, ai fini della formulazione della proposta dei siti di importanza comunitaria da parte del Ministro dell'ambiente alla Commissione europea, per costituire la rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione denominata Natura 2000.
Nella formazione della rete ecologica europea "Natura 2000-programma Bioitaly", volta a individuare a livello europeo i "Siti di interesse comunitario" (Sic) nonché le "Zone di protezione speciale" (Zps), la direttiva n. 92/43/Cee "Habitat" del 21.5.1992 evidenzia l'obbligo della conservazione degli habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche mediante l'individuazione appunto dei Sic e delle Zps, queste ultime designate anche ai sensi della direttiva n. 79/409/Cee "Uccelli".
Queste direttive hanno avuto la loro applicazione normativa mediante il d.p.r. 8.9.1997 n. 357.
Questo decreto prevede, tra l'altro, che i proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore presentino al Ministero dell'ambiente, se di rilevanza nazionale, o alle regioni, se di rilevanza regionale o provinciale, la "valutazione di incidenza", ex art. 5, d.p.r. 8.9.1997 n. 357, ossia una relazione documentata per individuare e valutare i principali effetti di valenza naturalistico-ambientale che il piano può avere sul Sic, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo.
Ne sono esclusi gli interventi ai quali già si applica la procedura di valutazione d'impatto ambientale (Via), ex art. 6, l. 8.7.1986, n. 349, e d.p.r. 12.4.1996, nell'ambito della quale deve operare anche il subprocedimento della "valutazione di incidenza", secondo l'art. 5, 3° e 4° co., d.p.r. 8.9.1997 n. 357 (T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 23.3.2004, n. 206, FATAR, 2004, 805).
Gli Stati membri devono adottare le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva.
La giurisprudenza limita l’obbligatorietà di queste misure di salvaguardia solamente ai siti iscritti.

L'art. 4, n. 5, della direttiva del Consiglio 21.5.1992, n. 92/43/Cee, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che le misure di salvaguardia da questa previste all'art. 6, n. 2 - 4, si impongono soltanto in relazione ai siti che siano iscritti, in conformità dell'art. 4, n. 2, comma 3, della direttiva stessa, nell'elenco di quelli selezionati come siti di importanza comunitaria adottato dalla Commissione delle Comunità europee secondo la procedura prevista dall'art. 21 del detto testo normativo.
(Corte giust. CE, sez. II, 13.1.2005, n. 117, DGA, 2005, 224 nota Di Dio).

La compressione del diritto di edificare effettuata da tale procedura imposta dalla direttiva 92/43/CE è sicuramente rilevante e tale da modificare anche gli strumenti attuativi già adottati.
Si tratta di provvedimenti tesi ad accertare lo stato naturale dei luoghi che non comportano l’obbligo di indennizzo delle proprietà interessate.

L'avvenuta adozione di un piano regolatore particolareggiato di iniziativa privata (in pratica di una lottizzazione) non ne comporta necessariamente l'approvazione, ben potendo il Consiglio comunale, in base all'art. 45, 4° co., l. r. 19.11.1991, n. 52, deliberarne la riadozione o rielaborazione totale o parziale, ed a tale risultato si può pervenire anche per la tutela di una specie classificata come prioritaria ai sensi della direttiva 92/43/Cee, scoperta nell'ambito della lottizzazione, e di tali esigenze non può farsi carico, ai sensi dell'art. 4, d.p.r. n. 357, del 1997 la sola Regione, estranea al procedimento di approvazione, ma anche il Comune, in quanto l'art. 6 paragrafo 2, della predetta direttiva obbliga gli Stati membri, e quindi tutte le loro articolazioni, ad adottare le misure necessarie ad evitare il degrado delle specie protette.
(T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 23.2.2002, n. 38, FATAR, 2002, 432).

2. Le funzioni statali e regionali nell’interpretazione della Corte costituzionale.

La Corte costituzionale ha definito l'esatta portata del d.p.r. 357/1997 nei confronti del conseguente potere ministeriale.
La Corte ha precisato che esso sarebbe limitato ad un mero compito di formalizzazione e trasmissione alla Commissione europea di decisioni assunte in sede locale.

Il d.p.r. n. 357 del 1997, mira esclusivamente a porre l'autorità di governo nazionale in condizione di adempiere all'obbligo di comunicazione derivante dalla direttiva, senza che vi sia in essa alcun elemento da cui arguire uno spostamento di competenze circa il diverso potere di individuazione sostanziale dei siti da sottoporre a speciale protezione, potere che rimane disciplinato dalle norme sui rapporti Stato-Regioni e Province autonome in materia ambientale.
(Corte cost., 10.11.1999, n. 425).

Sulla base di tali norme, nonché del dettato dell'art. 3 del d.p.r. 357 del 1997, secondo l'interpretazione datane dalla Corte costituzionale con la sentenza richiamata, sarebbe riservato alla competenza costituzionale della Regione il procedimento di individuazione sostanziale dei siti di importanza comunitaria ai sensi della direttiva 92/43/CE.
Esso sarebbe distinto rispetto alle operazioni preliminari di ricognizione scientifica dei luoghi costituenti habitat naturali delle specie vegetali ed animali potenzialmente meritevoli di tutela che le Regioni dovevano eseguire nell'ambito del progetto Bioitaly predisposto dal Ministero in vista dell'attuazione della direttiva.
La Corte ha dichiarato inammissibile il conflitto di interessi fra Stato e regioni in quanto il d.m. 3.4.2000 rappresenta soltanto lo strumento attraverso il quale si è ritenuto opportuno rendere pubblici elenchi di siti proposti già trasmessi alla Commissione europea e, proprio al fine di evitare interpretazioni distorte del decreto stesso, il legislatore ha provveduto a correggere il suo titolo evidenziando che i siti ivi elencati sarebbero soltanto oggetto di proposta.

È inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla provincia autonoma di Trento nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Ministro dell'ambiente 3.4.2000, nonché all'atto, avente estremi non noti, con cui il Ministero dell'ambiente ha trasmesso alla Commissione europea l'elenco dei siti di importanza comunitaria ubicati nel territorio della provincia di Trento.
Premesso che l'art. 3, d.p.r. 8.9.1997, n. 357, il quale riserva alle regioni e alle province autonome il compito di individuare, con proprio procedimento, i siti in cui si trovano gli habitat elencati in allegato al decreto stesso ed assegna al Ministero il compito di formulare alla Commissione europea la proposta dei siti di importanza comunitaria, mira esclusivamente a porre l'autorità di governo nazionale in condizione di adempiere all'obbligo di comunicazione derivante dalla direttiva, senza che vi sia in essa alcun elemento da cui arguire uno spostamento di competenze circa il diverso potere di individuazione sostanziale dei siti da sottoporre a speciale protezione - potere che rimane disciplinato dalle norme sui rapporti Stato-regioni e province autonome in materia ambientale - deve escludersi che gli atti impugnati siano idonei ad incidere sulle attribuzioni costituzionali della provincia di Trento, non avendo determinato alcuna lesione delle potestà di quest'ultima, che ben avrebbero potuto e potrebbero tuttora essere esercitate.
(Corte cost., 22.7.2003, n. 265).


1.        2. Le sanzioni.



Rilevato come Luigi Di Biase abbia adito quest'ultimo giudice in sede di opposizione avverso l'ordinanza n. 4212 emessa dalla Provincia di Campobasso il 12.12.2001 con la quale gli era stato ingiunto il pagamento a favore della Regione Molise della somma di lire 400.000 (euro 206,58), oltre gli accessori, a titolo di sanzione amministrativa per avere, in violazione dell'art. 31, lettera g), della legge della medesima Regione n. 19 del 10 agosto 1993, punita a norma dell'art. 38, comma secondo, lettera c), della legge sopra citata, praticato "la bruciatura di terreno incolto con erbe infestanti secche e cespugli e sporadiche piante di cerro, ciliegio selvatico e pero selvatico, per una superficie ragguagliata di mq. 500 circa".
Rilevato come detto giudice, con ordinanza del 1 1.2002, abbia "rigettato" il ricorso sul rilievo che, a norma dell'art. 98 del decreto legislativo n. 205 del 1999 di modifica della legge n. 689 del 1981 (rectius, dell'art. 98 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, il quale ha aggiunto l'art. 22 - bis alla richiamata legge n. 689 del 1981), "la contestazione sollevata al ricorrente dal Corpo Forestale di Sant'Elia a Pianisi in data 12.9.2001 oggetto del presente ricorso non rientra nelle ipotesi ivi enunciate".
Rilevato come il già menzionato art. 22 - bis della legge n. 689-1981, al primo comma, stabilisca che l'opposizione di cui all'art. 22 si propone davanti al giudice di pace "salvo quanto previsto dai commi seguenti".
Rilevato come il secondo comma del medesimo art. 22 - bis preveda espressamente che l'opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia, tra l'altro, "di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette" (lettera "d").
Ritenuto che in siffatta previsione debba ricondursi la violazione ascritta al Di Biase, contemplata da una disposizione (l'art. 31, lettera "g") la quale figura racchiusa in una legge regionale (la n. 19 del 1993) recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Ecologia" e che, nella parte in cui fa divieto di "bruciare sui campi le stoppie delle culture graminacee e leguminose nonché prati, erbe palustri ed infestanti, anche nei terreni incolti...", appare manifestamente legata alla "tutela dell'ambiente dall'inquinamento (e) della flora".

In tema di sanzioni amministrative ed in ipotesi di opposizione ad ordinanza ingiunzione, ai sensi dell'art. 22 bis comma 2 l. n. 689 del 1981, è competente il tribunale quando si tratti di violazioni concernenti disposizioni in materia di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette. Ad esse è riconducibile la violazione dell'art. 31 lett. g) l. reg. Molise 10 agosto 1993 n. 19, avente ad oggetto la bruciatura di terreno incolto con erbe infestanti secche e cespugli.

































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