giovedì 4 ottobre 2012

Tutela ambiente. 3 LA PROTEZIONE DELLE BELLEZZE NATURALI.


CAPITOLO III
LA PROTEZIONE DELLE BELLEZZE NATURALI.

SOMMARIO: 1. La tutela delle bellezze naturali attraverso i vincoli.
2. Il regime dei vincoli nella l. 8.8.1985, n. 431.
2.1. I beni archeologici.
3. L’autorizzazione paesistica di cui all’art. 151, d.lg. 490/1999.
3.1. I rapporti tra autorizzazione paesistica e concessione edilizia.
4. Il potere ministeriale di annullamento.
5. La sospensione dei lavori.
6. Le sanzioni. La remissione in pristino.
7. La sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.
7.1. I ricorsi.
8. Costruzioni abusive in aree demaniali.
9. Il reato di distruzione o il deturpamento di bellezze naturali.
10. Il potere del giudice.
10.1. Gli effetti del condono sulla contravvenzione.
11. Il concorso di reati di deturpamento e di violazione delle norme sull’ambiente.
12. Il reato di realizzazione di opere in zone vincolate, previsto dall’art. 20 lett. c), l. 47/1985.
13. Il reato di violazione di norme a tutela dell’ambiente, previsto dall’art. 163, d.lg. 490/1999.
13.1. Il rilascio di autorizzazione paesistica illegittima.
14. I soggetti attivi.
15. La sanzione applicabile.
16. Sentenza penale di condanna e di remissione in pristino.
17. le funzioni del giudice dell’esecuzione.

1. La tutela delle bellezze naturali attraverso i vincoli.

Legislazione l. 1497/1939, artt. 1, n. 1, n. 2, n. 3, n. 4, 2, 4, 7, 8, 9 - l. 431/1985, art. 1, 1 bis - d.p.r. 616/1977, artt. 81, 82 - d.lg. 490/1999, artt. 10, 140.
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Mengoli 1997.

La tutela delle bellezze naturali trova la sua fonte normativa nella l. 1497/1939, sost. d.lg. 490/1999, che dispone un meccanismo di vincolo di interesse pubblico sulle bellezze naturali e panoramiche, notificato con un procedimento previsto dagli artt. 10 e segg., l. 1497/1939, sost. artt. 10 e segg., d.lg. 490/1999 (Assini N. Mantini P. 1997, 916).
La l. 1497/1939, art. 2, sost. art. 140 e segg., d.lg. 490/1999 ha attribuito ad una apposita Commissione, istituita in ogni provincia, l’identificazione dei beni e dei luoghi di notevole interesse ambientale.
La l. 1497/1939, art. 1, sost. art. 139, d.lg. 490/1999, prevede la possibilità di imporre vincoli speciali su singoli beni individuati tramite appositi elenchi.

Deve ritenersi sufficientemente motivata l'imposizione del vincolo di particolare interesse storico e artistico, sia ai sensi dell'art. 1, per il rilevante pregio artistico, sia ai sensi dell'art. 2, per il collegamento con la storia della cultura della città, l. 1.6.1939, n. 1089, ove risulti accertata la sussistenza sia dell'immedesimazione e compenetrazione dei valori storico-culturali con le strutture materiali, nonché del collegamento dei beni e della loro utilizzazione con gli eventi storico-culturali della città, sia del pregio artistico del locale e di alcuni arredi in esso contenuti.
Nella specie, il provvedimento di vincolo di particolare interesse, ritenuto legittimo, riguarda il "Caffé Genovese" di Cagliari.
(Cons. Stato, sez. VI, 17.2.1999, n. 170, FA, 1999, 394).

La costituzione di un vincolo indiretto presuppone la previa adozione di un vincolo sul bene oggetto della tutela principale, mediante formale dichiarazione dell'interesse culturale, anche qualora lo stesso, non rientrante in una delle tipologie nominate dall'art. 1, l. 1.6.1939, n. 1089, ma nella categoria aperta delle cose aventi riferimento con la storia della cultura di cui all'art. 2, sia di proprietà pubblica e già assoggettato a regime demaniale.
(Cons. Stato, sez. VI, 2.11.1998, n. 1479, FI, 1999, III, 174).

Il vincolo storico artistico di cui agli artt. 1 e 2, l. n. 1089 del 1939 riguarda le cose materiali incorporanti i valori culturali che sono la ragion d'essere della tutela e non si estende fino a comprendere la gestione commerciale o l'esercizio artigianale di determinate attività - svolte in detti locali e/o con detti arredi - con una interpretazione analogica fortemente restrittiva del principio di legalità che caratterizza i poteri ablatori della pubblica amministrazione dell'art. 11, l. n. 1089 del 1939.
Essa vieta che le cose materiali soggette a detta tutela possano essere adibite ad usi non compatibili con il loro carattere storico ed artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione o integrità forzando la lettura e la ratio complessiva della legge al punto da trasformare la disposizione permissiva del godimento del proprietario in conformità di limiti di interesse generale, in un precetto impositivo di una servitù pubblica legislativamente innominata, in contrasto con gli artt. 42 e 43, cost.
La norma in parola non necessita per la sua osservanza di pervenire all'imposizione di un vincolo di destinazione d'uso che investa i locali in cui siano conservate le cose soggette a vincolo.
(Cons. Stato, sez. VI, 16.9.1998, n. 1266).

In sede di imposizione dei vincoli su beni di interesse storico e artistico ai sensi degli artt. 1, 2 e 3, l. 1.6.1939, n. 1089, l'Amministrazione è tenuta a valutare gli interessi secondari coinvolti, compresi quelli privati, il cui sacrificio va commisurato in relazione all'intensità di tutela del bene culturale obiettivamente presente.
(Cons. Stato, sez. VI, 2.9.1998, n. 1179, CS, 1998, I, 1311).

La giurisprudenza conferma che gli effetti del vincolo cominciano a decorrere dal momento della pubblicazione all'albo.

Premesso che, per quanto il piano paesistico territoriale attenga ad una fase successiva e necessaria rispetto a quella dell'imposizione del vincolo paesaggistico nella quale solo si realizzano le esigenze concrete di programmazione e di salvaguardia del territorio interessato dal vincolo, nell'intertempo non può essere consentito ai privati possessori dei suoli compresi nel vincolo di anteporre il proprio interesse privato all'edificazione.
Il vincolo d'immodificabilità temporaneo, previsto dalla l. 29.6.1939, n. 1497, comincia a decorrere dal momento della pubblicazione all'albo dei comuni interessati dell'elenco delle località in esso comprese e non da quello della definitiva approvazione.
(T.A.R. Sicilia, sez. I, Palermo, 16.1.1998, n. 7, FA, 1998, 2557).

Al procedimento la giurisprudenza ha ritenuto applicabile i disposti della l. 241/1990.

L'obbligo di comunicazione di avvio di procedimento previsto dall'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, trova applicazione anche per i procedimenti finalizzati all'imposizione dei vincoli di cui agli artt. 1, 3 e 21, l. 1.6.1939, n. 1089.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 29.6.1998, n. 292, FA, 1999, 832).
Il potere di vincolo ora spetta alla regione (Mengoli G. C. 1997, 411).
Contro il provvedimento di imposizione del vincolo i proprietari possono fare ricorso al Ministero, ai sensi dell'art. 4, l. 29.6.1939, n. 1497, sost. art. 144, d.lg. 490/1999.

Il ricorso può essere proposto solo dai proprietari, possessori o detentori di beni immobili situati nelle zone vincolate ai sensi della legge citata; pertanto è inammissibile il ricorso de quo prodotto da un Comune o da una Associazione di industriali non proprietari di beni vincolati.
(Cons. St., sez. II, 17.5.1978, n. 925, RGE, 1981, I, 146).

Sulla base degli elenchi viene ordinata la notificazione in via amministrativa della dichiarazione di notevole interesse pubblico ai proprietari degli immobili; il che comporta la necessità di munirsi di apposita autorizzazione rilasciata da parte della sovrintendenza inerente ai progetti dei lavori, ai sensi dell’art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, sost. art. 151, d.lg. 490/1999 (Filippi M. 1996, 195).
La mancata notifica degli elenchi ai proprietari non è stata considerata causa di illegittimità del procedimento:

E' infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della l. 29.6.1939, n. 1497, nella parte in cui non dispongono la notificazione degli elenchi di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 1 della stessa legge, ai proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, degli immobili così come previsto per gli elenchi delle cose di cui ai nn. 1 e 2 del medesimo art. 1, in riferimento agli artt. 3, 24, c. 2, e 97, c. 1, della costituzione.
(Corte cost., 28.7.1995, n. 417, FI, 1996, I, 422).

Le competenze degli organi statali centrali e periferici inerenti alla tutela dei beni ambientali ed alle funzioni delle Commissioni provinciali sono state delegate alle Regioni dall’art. 82, secondo comma, lettera b) del d.p.r. 616/1977, sost. art. 151, d.lg. 490/1999.
Le Regioni hanno emanato proprie leggi per disciplinare l’esercizio delle funzioni loro delegate.
Alcuni compiti amministrativi sono stati riservati agli organi regionali, altri sono stati subdelegati ai Comuni.
Ad esempio, nella regione Emilia Romagna la competenza al rilascio dell'autorizzazione ambientale è stata subdelegata ai comuni dall'art. 10 della l. r. 1.8.1978, n. 26.
Del pari la l. r. Lombardia 18/1997 ha delegato ai comuni il rilascio dell'autorizzazione.
Essa in base al principio di sussidiarietà, che impone all’ente di grado superiore di non espletare l’attività amministrativa attribuita all’ente sotto ordinato, ha riservato alla regione le funzioni in materia di autorizzazione ambientale per le opere di competenza dello Stato.



2. Il regime dei vincoli nella l. 8.8.1985, n. 431.

Legislazione d.p.r. 616/1977, art. 82, 5° co. - l. 431/1985, art. 1 ter, 1 quinquies - d.lg. 490/1999, art. 146.
Bibliografia Filippi 1996 - Centofanti 2000 - Forlenza 2000.

La l. 8.8.1985, n. 431, art. 1, sost. art. 146, d.lg. 490/1999 prevede tre tipi fondamentali di vincoli (Centofanti N. 2000, 32).
Il primo concerne le zone tassativamente elencate, quali i territori costieri, i territori contermini ai laghi, i fiumi, le montagne, i ghiacciai, le zone di interesse archeologico.
L’elencazione proposta evidenzia che si possono distinguere due differenti categorie di beni.
La prima comprende i beni il cui riconoscimento è automatico.
Non vi sono difficoltà a classificare nella categoria, ad esempio, i fiumi, le cui caratteristiche sono evidenti.

L'ambito di operatività dell'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, nella parte riguardante i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua, comprende tutte le porzioni di territorio interessate da attività di trasformazione di natura edificatoria e ricadenti nella fascia di protezione paesaggistica prevista per le acque fluenti espressamente menzionate.
Tali acque devono essere incluse in elenchi provinciali attraverso la complessa procedura regolamentare di cui all'art. 1, r.d. 11.12.1933, n. 1775, che ha approvato il testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici.
(Cass. pen., sez. III, 24.3.1998, n. 1091, CP, 1999, 2963).

La seconda categoria comprende beni il cui riconoscimento presuppone un atto ricognitivo ad opera della pubblica amministrazione.
In tal caso, come, ad esempio, nell’ipotesi di beni di interesse archeologico, il vincolo può essere posto solo ove sussista un idoneo atto di ricognizione da parte degli organi competenti, che attesti il presupposto stesso per l’apposizione del vincolo:

Ai fini dell'inclusione di una zona determinata fra quelle sottoposte al vincolo paesaggistico di cui all'art. 1, lett. m), l. 8.8.1985, n. 431, l'attività ricognitoria dell'interesse archeologico non può prescindere dall'effettiva presenza di valori archeologici - ancorché non accertati attraverso provvedimenti formali - il cui particolare rapporto con il paesaggio costituisce la ragione della tutela prevista dalla stessa l. n. 431 del 1985.
(Cons. Stato, sez. VI, 14.10.1998, n. 1391, RGE, 1999, I, 318).

Sebbene il vincolo gravante sulle zone di interesse archeologico, ai sensi dell'art. 1, lett. m), l. 8.8.1985, n. 431, abbia natura paesaggistica, e come tale sia affidato in via diretta all'Autorità regionale, - e soltanto in sede di controllo e vigilanza allo Stato - non è consentito che l'attività ricognitiva dell'interesse archeologico di una zona determinata, ai fini dell'inclusione della medesima fra quelle sottoposte a vincolo ex lege, prescinda dalla effettiva presenza di valori archeologici, il cui particolare rapporto col paesaggio costituisce la ratio della tutela prevista dalla l. 431/1985.
La sussistenza di emergenze archeologiche sul territorio o, quantomeno, la accertata e notoria possibilità che in esso si trovino reperti archeologici costituisce il presupposto necessario e sufficiente perché una zona sia dichiarata di interesse archeologico e, come tale, assoggettata al vincolo paesaggistico di cui all'art. 1, lett. m), l. 431/1985.
Qualora siano assenti gli elementi minimi necessari da cui dedurre la presenza di valori archeologici - sia sul piano dell'effettivo rinvenimento di reperti, sia su quello della accertata e notoria possibilità che essi si trovino su un'area determinata - non sussistono le condizioni per l'inserimento dell'area fra le dette zone di interesse archeologico.
(T.A.R. Toscana, sez. III, 6.3.1996, n. 185, TAR, 1996, I, 1981).

Il secondo vincolo attiene alle aree individuate dalle regioni e assoggettate a tutela paesaggistica fino all’approvazione dei piani paesistici regionali (Filippi M. 1996, 201).
Tali disposizioni, fino all'adozione dei piani paesistici regionali, impongono vincoli di inedificabilità assoluta.

I vincoli temporanei d'inedificabilità, di cui agli art. 1 bis e 1 quinquies, l. 8.8.1985, n. 431, sono efficaci fino alla data di effettiva adozione dei piani paesistici regionali, anche oltre il termine, non perentorio, previsto dalla l. n. 43/1985.
(Cons. Stato, sez. VI, 20.10.1999, n. 1509, FA, 1999, 2147).

Il piano paesistico - così come, per le aree assoggettate a vincoli paesaggistici, il piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali - è, rispetto al vincolo, in posizione di sottordinazione e, rispetto all'autorizzazione paesaggistica, in posizione di sopraordinazione.
Pertanto tale piano, nel dettare la specifica normativa d'uso del territorio vincolato, non può mai derogare, per porzioni di quel territorio, o per categorie di opere, alla necessità della autorizzazione paesaggistica, perché la valutazione di compatibilità che presiede all'autorizzazione costituisce l'effetto legale tipico del vincolo, ed escluderla significherebbe derogare al vincolo stesso affrancandone ambiti o interventi.
(Cons. Stato, sez. II, 20.5.1998, n. 549, RGE, 1999, I, 792).

Nell'ambito delle aree individuate dalle regioni, ai sensi dell’art. 1 ter della l. 8.8.1985, n. 431 e dell’art. 82, 5° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616 ai fini dell'applicazione delle misure di salvaguardia vanno compresi anche gli immobili in esse ricadenti, che vengono, pertanto, assoggettati ad una temporanea inedificabilità fino all'approvazione dello strumento programmatorio, piano paesistico e/o piano urbanistico territoriale.
(Cons. St., sez. VI, 20.9.1995, n. 941, RGA, 1996, 483).

Il vincolo è operante a prescindere dall'adozione dei piani paesistici regionali ed è quindi sempre necessaria l'autorizzazione paesistica per opere che possano stabilmente alterare l'ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 1.3.1991, DGA, 1992, 610).

Il terzo divieto assoluto di edificare comprende le aree e i beni individuati nei decreti ministeriali, cosiddetti Galassini, che hanno posto vincoli di inedificabilità prima della legge e i cui effetti sono confermati, appunto, dalla l. 431/1985, salvo il potere di integrare gli elenchi delle bellezze naturali.

In materia ambientale, dopo la entrata in vigore della l. 8.8.1985, n. 431 non possono esser individuati dallo Stato altri beni od aree, per cui sia vietata ogni modificazione (vincolo assoluto), ex art. 1- quinquies della stessa legge, fino all'adozione dei piani paesistici od urbanistici territoriali con valenza paesistica.
Non vi è dubbio, però, che il Ministro per i beni culturali ed ambientali, anche dopo la l. n. 431 del 1985, conservi il potere di integrare gli elenchi delle bellezze naturali approvati dalle regioni, a norma dell'art. 82 comma 2, lett. a), d.p.r. 24.7.1977, n. 616.
L'imposizione di un vincolo paesaggistico di tale tipo non comporta la dichiarazione di assoluta immodificabilità del bene riconosciuto come bellezza naturale, ma la sola sussistenza di un vincolo di inedificabilità relativo, cioè la possibilità di eseguire interventi previa acquisizione dell'autorizzazione di cui all'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497.
(Cass. pen. sez. III, 3.7.1998, n. 2096, CP, 1999, 2962).

Non sono sottoposte a vincolo le zone A e B e - limitatamente alle parti comprese nei piani pluriennali di attuazione - le zone delimitate dagli strumenti urbanistici, ai sensi del d.m. 2.4.1968, n. 1444, e, inoltre, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, i centri edificati perimetrati, ai sensi dell'art. 18 della l. 865/1971.
Il divieto assoluto di edificabilità, conseguente ai vincoli imposti dalla l. 431/1985, persiste fino all’approvazione formale del piano paesistico regionale.

In tema di bellezze naturali la norma eccezionale di cui all'art. 82 del d.p.r. 24.7.1977, n. 616 dispone che il vincolo di cui all'art. 1, l. n. 431 del 1985 non si applica alle zone A e B e - limitatamente alle parti comprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate dagli strumenti urbanistici ai sensi del d.m. 2.4.1968, n. 1444 e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri perimetrati ai sensi dell'art. 18, l. 22 .10.1971, n. 865.
Essa riguarda soltanto i vincoli imposti dall'art. 1, l. n. 431 del 1985 su intere categorie di beni e non si applica ai vincoli imposti con provvedimenti amministrativi ai sensi della l. n. 1497 del 1939.
(Cass. pen., sez. III, 4.6.1998, n. 7941, CP, 1999,2960).

Ai sensi dell'art. 1 quinquies della l. 431/1985 l'operatività di tale salvaguardia cautelare non tollera deroghe sino a quando non vengano adottati dalle Regioni i piani paesistici previsti dal precedente art. 1 bis; peraltro, per ritenere adottati i suddetti piani non è sufficiente la loro materiale predisposizione, occorrendo invece che, concluso il loro processo formativo, essi siano stati approvati e siano quindi operativi.
Ne consegue che non avendo il Consiglio regionale della Campania provveduto ad approvare il piano paesistico, persiste in tale Regione il divieto assoluto di edificabilità stabilito dal ricordato art. 1 quinquies, l. 431/1985.
(Cass. pen., Sez. U., 25.3.1993, RGE, 1993, I, 973).

La giurisprudenza ha affermato che il decreto, anche in caso di mancata pubblicazione sulla gazzetta ufficiale vale a produrre gli effetti ordinari ossia ad identificare il bene come bellezza naturale e a sottoporlo ad autorizzazione paesistica (Forlenza O. 2000, n. 35, 89).
Benché il d.m. che ha imposto il vincolo di inedificabilità assoluta debba essere ritenuto inefficace a causa della sua mancata pubblicazione sulla gazzetta ufficiale in data anteriore a quella di entrata in vigore della cosiddetta legge Galasso.
Nondimeno, in questi casi non si può ritenere altresì caducata l’autonoma dichiarazione d’interesse ambientale contenuta nel suddetto d.m., la quale conserva piena efficacia per quanto concerne il regime di inedificabilità relativa, che comporta l'assoggettabilità controllo preventivo di qualsiasi intervento di trasformazione del territorio suscettibile di arrecare pregiudizio ai beni dichiarati di bellezza naturale.
(T.A.R. Marche, 23.2.200, n.742, GD, 2000, n. 35, 78).


2.1. I beni archeologici.

L'assenso prestato dalla sovrintendenza ai monumenti alla destinazione, nel piano regolatore generale, di una zona all'edilizia residenziale non preclude l'imposizione, a distanza di qualche anno, dei vincoli che appaiono convenienti alla tutela di interessi storico-archeologici, precedentemente non considerati sufficientemente o non adeguatamente protetti, sia perché la valutazione dell'amministrazione va fatta in base a criteri suscettibili di evoluzione nel tempo, col mutare dei giudizi di valore della collettività e di concetti (come quello di ambiente) e delle esperienze, sia perché l'esistenza, in un piano urbanistico, di una determinata sistemazione del bene oggetto di valutazione sotto il profilo della rilevanza archeologica, non impedisce al ministero di far uso dei poteri che gli competono ai sensi della l. 1 giugno 1939 n. 1089.
Consiglio Stato, sez. VI, 24 aprile 1992, n. 339
Ministero beni culturali e ambientali c. Consorzio La Galla
Cons. Stato 1992, I,633.

Il provvedimento col quale il ministero dei beni culturali impone vincoli alla proprietà privata a tutela di interessi storici ed artistici richiede una motivazione succinta, dato l'ampio potere discrezionale affidato all'amministrazione nella valutazione degli elementi di fatto, purché l'apprezzamento finale sia nel complesso sorretto da un "iter" logico idoneo ad inquadrare la fattispecie nell'ipotesi prevista dalla legge; pertanto, è legittimo il decreto che pone una fascia inedificabile a rispetto di una zona archeologica motivato con le necessità di conservare inalterato l'ambiente circostante.
T.A.R. Marche, 28 aprile 1982, n. 231
Società Tombolini c. Ministero beni culturali
T.A.R. 1982, I,2159 (s.m.).

L’art 21 della legge n. 1089/1939 seleziona specifiche finalità in base alle quali beni, che di per sé non sono espressione di valori storici, artistici ed archeologici, ma versano in rapporto di contiguità o complementarità con altri beni appartenenti alle categorie individuate dagli artt. 1 e 2 della menzionata legge n. 1089/1939, possono essere assoggettati a specifiche prescrizioni. Detti fini di rilievo pubblico sono identificati: nell'esigenza di: garantire "l'integrità delle cose immobili" soggette a vincolo diretto; prevenire il danno alla "prospettiva" alle condizioni di "luce"; impedire l'alterazione delle "condizioni di ambiente e di decoro".
Il provvedimento impositivo di dette misura deve, quindi, indicare, oltre ai beni oggetto delle stesso, le cose di interesse artistico o archeologico in funzione delle quali il vincolo diretto è imposto; il rapporto di complementarità fra la misura limitativa ed il fine pubblico perseguito e, segnatamente, quale fra i diversi aspetti presi in considerazione dall'art. 21 della legge n. 1089/1939 (integrità, decoro, prospettiva, condizioni di illuminamento e di ambiente) l'Amministrazione abbia inteso tutelare.
Siffatto "iter" e valutativo non si rinviene nella parte motiva dell'atto gravato, né nell'annessa relazione tecnica.
Il provvedimento amministrativo che, ai sensi dell'art. 21 l. 1 giugno 1939 n. 1089, imponga misure ed ogni altra prescrizione a tutela dell'integrità, delle prospettive e delle condizioni di luce, ambiente e decoro delle cose di interesse storico, artistico ed archeologico, deve indicare: a) i beni oggetto delle stesse; b) le cose di interesse storico archeologico ecc. in funzione delle quali il vincolo indiretto è imposto; c) il rapporto di complementarietà fra le misure limitative ed il fine pubblico perseguito; d) le specifiche ragioni, segnatamente quando il provvedimento impedisce ogni utilizzazione economica del bene vincolato, che hanno indotto l'amministrazione ad adottare le misure interdittive.
T.A.R. Lazio, sez. II, 6 aprile 1993, n. 407
Micheli Gigotti e altro c. Min. beni culturali e altro
T.A.R. 1993, I,1634

È legittimo il vincolo indiretto ex art. 21 l. 1 giugno 1939 n. 1089 su area limitrofa a zona archeologica qualora l'autorità vigilante abbia inteso proteggere, oltre al bene di interesse storico artistico, anche l'area stessa per tutelarla da eventuali danni alla prospettiva ovvero alla luce ad evitare che possano esserne alterate le condizioni di ambiente e di decoro.
T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 5 giugno 2001, n. 901

Il potere discrezionale di cui l'Amministrazione dispone ai sensi dell'art. 21, l. 1 giugno 1939 n. 1089 nel fissare l'ampiezza del vincolo indiretto finalizzato a costituire una fascia di rispetto attorno al bene archeologico oggetto di tutela diretta è sindacabile in sede di legittimità solo per macroscopica incongruenza ed illogicità; giustificata è la scelta di istituire una fascia di rispetto a salvaguardia dei reperti, al fine di garantirne non solo l'integrità e la visibilità, ma di mantenerne inalterato anche l'ambiente circostante ed il decoro.
T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 20 maggio 2003, n. 816
Zagami e altro c. Assess. beni culturali e altro
Foro amm. TAR 2003, 1795 (s.m.)

Le prescrizioni imposte, ai sensi dell'art. 21 l. 1 giugno 1939 n. 1089, su beni che di per sè non sono espressione di valori storici, artistici e archeologici, ma versano in rapporto di contiguità o complementarietà con beni appartenenti alle predette categorie, devono indicare il rapporto di complementarietà tra la misura limitativa ed il fine pubblico perseguito e segnatamente quale tra i diversi aspetti presi in considerazione dalla menzionata norma (integrità, decoro, prospettiva, condizioni di illuminazione e di ambiente) l'amministrazione abbia inteso tutelare.
Soc. Prima immob. c. Min. beni culturali
Dir. e giur. agr. 1999, 125 (s.m.)

Come innanzi esposto, nelle premesse del decreto datato 27.3.1995 è fatto richiamo al solo contenuto precettivo dell'art. 21 della legge n. 1089/1939, senza specificare in che misura le attività interdette sul terreno di proprietà della Società istante potrebbero arrecare nocumento alla "visibilità, prospettiva e decoro" dei rinvenuti reperti archeologici, di cui non è indicata l'ubicazione, consistenza, l'elevazione sul piano di campagna, nonchè la non eludibile necessità di mantenere punti di veduta per tutta l'estensione del terreno preso in considerazione. Quanto al richiamo alla collocazione dei reperti in un "ambito archeologico e paesistico di eccezionale importanza" - enunciazione cui potrebbe collegarsi l'esigenza di preservare le condizioni di "ambiente" in eccedenza ai luoghi di ubicazione dei reperti - nessun elemento è indicato circa _ il rapporto di complementarità ed integrazione, anche in relazione alle sue oggettive caratteristiche, dell'area appartenente alla ricorrente con il sito in cui sono stati rinvenuti i depositi archeologici.
2). Va, altresì, condiviso il secondo capo di doglianza con il quale la Soc. I. sostiene che l'imposto vincolo indiretto - preclusivo in assoluto di ogni possibilità di utilizzazione a fini economici delle aree di proprietà - non si configura improntato a criteri di congruità, ragionevolezza, cui va improntato l'esercizio del potere discrezionale tecnico conferito all'Amministrazione e la cui inosservanza si risolve in vizio per eccesso di potere l'atto gravato.
La giurisprudenza amministrativa - muovendo dal rilievo che la misura vincolistica in questione viene ad incidere su beni che di per sé non appartengono alle categorie individuate dall'art. 1 della legge n. 1089/1939, ma che rispetto agli stessi vengono a trovarsi in rapporto di complementarità e/o contiguità topografica - ha ripetutamente affermato che il potere previsto dell'art. 21 deve essere esercitato, segnatamente nelle ipotesi in cui esso si traduce in prescrizioni particolarmente gravose per i terreni interessati, secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità, così da contemperare il sacrificio imposto al privato con il fine di interesse pubblico perseguito

2.2. I boschi. Vedi cap 11a dell'art. 7 della legge 30.12.1923, n. 3267

La nozione di "territorio coperto da bosco", ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 1 lett. g) l. 8 agosto 1985 n. 431, non può assumere una portata riduttiva, così da farvi rientrare solo i boschi in senso naturalistico, ma va intesa anche in senso normativo, perciò con riferimento agli elementi idonei ad individuare il suddetto territorio ricavabili da provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, e da atti amministrativi generali o particolari.
Cassazione penale, sez. III, 15 gennaio 2003, n. 18296
C.
Dir. e giur. agr. 2004, 181 nota (MAZZA)

terreno sottoposto a vincolo idrogeologico (contrassegnato con i mappali 2314, 2315 e 1346) aveva chiesto all'Amministrazione provinciale di Como l'autorizzazione a mutare la destinazione di detto terreno ai sensi dell'art. 7 della legge 30.12.1923, n. 3267, per realizzare su di esso una casa di civile abitazione.
L'Amministrazione provinciale di Como, con il decreto impugnato in primo grado, sulla base del parere sfavorevole dello Servizio Provinciale Agricoltura, Foreste e Alimentazione, ha ritenuto di non autorizzare il richiesto mutamento di destinazione in considerazione che sul terreno insisteva un bosco di alto fusto.

Ai sensi dell'art. 40 comma 2, l. reg. Lombardia 15 aprile 1975 n. 51, nelle zone con vincolo idrogeologico sono vietate nuove costruzioni ed opere di urbanizzazione su tutte le aree di boschi ad alto fusto o di rimboschimento.
L.B. c. Prov. Como e altro
Foro amm. CDS 2003, 3774 (s.m.)

scopo del vincolo idrogeologico è quello di assoggettare determinati terreni all'obbligo della coltura boschiva limitandone l'utilizzazione onde evitare il denudamento che può cagionare la perdita di stabilità o turbamento del regime delle acque ( T.A.R. Lombardia-Milano II Sez. 14/09/2000 n. 5597), ritiene il collegio di poter condividere l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui "la tutela di carattere idrogeologico esclude le attività di tipo edificatorio e si estende anche agli interventi che interessano terreni non boschivi, purchè compresi all'interno dell'area vincolata, essendo palese l'irrilevanza, ai fini delle esigenze di tutela dianzi indicate, che la superficie assoggettata al vincolo sia boscata ovvero priva di alberi" (Cons.St. V Sez. 28/01/1997 n. 88; T.A.R. Emilia Romagna - Bologna II Sez. 22/07/1999 n. 384).
Ciò significa che pur in presenza di un'area più o meno estesa priva di alberi di alto fusto o di vegetazione, ma organicamente inserita nel tessuto boschivo, deve ritenersi la non estraneità di tale area rispetto ai valori di tutela delle zone boschive, con conseguente assoggettabilità al vincolo di inedificabilità (T.A.R. Toscana III Sez. 23/03/1996 n. 237).
Per quanto riguarda poi l'assenza di un pregiudizio all'assetto idrogeologico, desumibile secondo i ricorrenti dall'intensa attività edificatoria spiegatasi in zona, è agevole evidenziare come soprattutto in relazione ad un contesto ampiamente lottizzato, emerge vieppiù la necessita di rapportare l'incidenza negativa di ulteriori interventi edilizi agli scopi propri del vincolo idrogeologico.
Vero è infatti che gli interessi pubblici, tutelati rispettivamente dalla legislazione in materia di boschi e da quella urbanistica, sono nettamente distinti ed autonomi (Cons. St. IV Sez. 03/02/1992 n. 140); nel caso di specie, tuttavia, acquista decisivo rilievo la circostanza che la stessa autorità comunale, in sede di esame della domanda del permesso di costruire, ne ha subordinato il rilascio alla presentazione del "nulla-osta del dipartimento alle foreste relativo al vincolo idrogeologico."

Pur dovendosi riconoscere che gli interessi pubblici tutelati dalla legislazione in materia di boschi e da quella urbanistica sono nettamente distinti ed autonomi, nel caso i cui l'Autorità comunale, in sede di esame della domanda del permesso di costruire, ne abbia subordinato il rilascio alla presentazione del nullaosta del dipartimento alle foreste relativo al vincolo idrogeologico, lo stesso nullaosta diviene presupposto di legittimità al rilascio della concessione edilizia e la sua mancanza legittima il diniego dell'assenso edilizio.

3. L’autorizzazione paesistica di cui all’art. 151, d.lg. 490/1999.

Legislazione l. 1497/1939, artt. 7, 9, 15 - d.p.r. 616/1977, art. 82 - d.lg. 490/1999, artt. 151, 156.
Bibliografia Mengoli 1997.

La pianificazione paesistica comporta come effetto che ogni intervento edilizio sull’immobile deve essere autorizzato dall’autorità competente.
I proprietari o i detentori, a qualsiasi titolo, di un immobile che sia soggetto a tutela a seguito di un’apposita notifica o sia inserito negli elenchi delle località di notevole interesse pubblico, ai sensi dell’art. 7 della l. 1497/1939, sost. art. 151, d.lg. 490/1999, non possono, di propria iniziativa, né abbatterlo né introdurvi modifiche tali da alterare il suo aspetto esteriore protetto dalla legge (Mengoli G.C. 1997, 421).
Essi devono presentare i progetti dei lavori all’organo competente previsto dalla legislazione regionale per la concessione delle autorizzazioni o dei nulla osta.

I provvedimenti concernenti l'autorizzazione ad edificare, prevista dall'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, devono essere adeguatamente motivati con riferimento all'interesse pubblico alla salvaguardia paesistica di aree protette, anche nel caso in cui tali provvedimenti siano favorevoli al privato.
(Cons. Stato, sez. VI, 15.12.1999, n. 2073, FA, 1999, 2586).

L'autorizzazione, ex art. 9, l. 29.6.1939, n. 1497 - alla quale è assimilabile il parere di cui all'art. 32, l. 28.2.1985, n. 47 - deve essere adeguatamente motivata, in considerazione di un'esigenza di serietà e ponderatezza dell'apprezzamento espresso in una materia che involge un valore - quello paesaggistico - di rilevanza primaria del sistema.
Detta esigenza è preservata in presenza di un giudizio in cui le prescrizioni - di carattere cromatico - formale per un verso, e di carattere spaziale per altro verso - sono idonee a denotare la sintonia tra la costruzione edilizia ed il quadro ambientale.
(T.A.R. Campania, sez. II, Napoli, 8.5.1998, n. 1455).

Il potere di controllo del Ministero dei beni culturali e ambientali sugli atti di autorizzazione paesaggistica emanati dall'autorità locale, ai sensi dell'art. 7, l. 1.6.1939, n. 1497, è limitato alla legittimità degli atti stessi, escludendosene il riesame nel merito.
(Cons. Stato, sez. VI, 27.4.1999, n. 529, FA, 1999, 812).
La realizzazione d'un parcheggio, che implichi la radicale trasformazione di un'area a verde privato con l'inserzione di strutture murarie e di pavimentazione, costituisce un intervento non meramente manutentivo o ristrutturativo e, come tale - oltre ad essere soggetto a concessione edilizia e non alla sola autorizzazione gratuita, qualora non ricorrano i presupposti, ex art. 9, l. 24.3.1989 n. 122 - è altresì necessariamente sottoposto al nulla - osta ambientale, ex art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, qualora l'area de qua sia sottoposta al relativo vincolo.
(Cons. Stato, sez. V, 5.11.1999, n. 1835, FA, 1999, 2446).

L'ordinanza del commissario liquidatore recante approvazione del progetto esecutivo del Parco archeologico dell'area flegrea sostituisce, ad ogni effetto anche di natura ambientale, il nulla - osta paesaggistico previsto dalla l. 29.6.1939, n. 1497, art. 7.
(Cons. Stato, sez. VI, 10 12.1999, n. 2070, FA, 1999, 2583).

Il potere che si esprime nella pronuncia sulle istanze di autorizzazione, ex art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, è soggetto ad un ben preciso onere di adeguata motivazione, e ciò anche in caso di provvedimenti positivi sulle ragioni di compatibilità degli interventi progettati, considerati nella loro globalità, che incidono su aree paesaggisticamente protette.
(T.A.R. Veneto, sez. II, 12.8.1998, n. 1414, RGA, 1999, 364).

I progetti dei lavori che si vogliono effettuare devono essere presentati da parte dai soggetti interessati all’organo competente previsto dalla legislazione regionale per la concessione delle autorizzazioni o dei nulla osta per le modifiche progettate:

Il parere della commissione consultiva, di cui all'art. 79 della l. r. Veneto 27 giugno 1985, n. 61, previsto per la realizzazione di opere edilizie su beni tutelati, non ha natura di condicio iuris dell'efficacia del provvedimento sindacale, ma costituisce un elemento indefettibile del procedimento che si conclude col rilascio della concessione o della autorizzazione, per cui tale parere deve precedere il rilascio dell'autorizzazione o concessione edilizia.
(Cons. St., sez. V, 14.12.1994, n. 1486, RA, 1995, 152).

Il nulla osta non è necessario di norma per le opere di manutenzione straordinaria, ex art. 152, d.lg. 490/1999, con le precisazioni dalla giurisprudenza.

Per gli interventi di manutenzione straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo, che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, nonché per l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi per costruzioni edilizie od altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio, non è richiesta l'autorizzazione di cui all'art. 7, l. 29.6.1939 n. 1497.
(Cons. Stato, sez. IV, 28.5.1999, n. 885, FA, 1999, 980).

La l. 431 del 1985 non richiede l'autorizzazione paesaggistica per gli interventi di manutenzione, di consolidamento e di restauro conservativo, che non alterino l'aspetto esteriore degli edifici. In ogni caso comporta alterazione della superficie esterna soltanto l’opera che ne muti in modo rilevante o essenziale le sue caratteristiche originali, in particolare i prospetti che siano visibili dalla generalità dei consociati. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto l'insussistenza del reato di cui all'art. 1 sexies della l. 431 del 1985 quando il mutamento venga apportato su pareti che prospettino su cortili o aree interne agli edifici e chiuse su ogni lato mediante due aperture e due balconi.
(Cass. pen., sez. III, 24.4.1992, CP, 1993, 666).

Il nulla osta che autorizzi opere in contrasto con le prescrizioni dettate dal piano territoriale paesistico è illegittimo.

E' illegittimo il nulla osta emesso ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, il quale autorizzi opere in contrasto con le prescrizioni dettate dal piano territoriale paesistico, la cui funzione è proprio quella di predeterminare in astratto, e quindi a livello normativo, i criteri, le condizioni e le modalità per il rilascio del medesimo nulla osta.
(T.A.R. Lazio, sez. I, 29.11.1994, n. 1852, FA, 1995, 426).

Il piano paesistico territoriale per l'isola d'Ischia, approvato il 18.2.1943, che prevede una zonizzazione del territorio, nel cui ambito sono contemplati specifici indici di fabbricabilità, non ha un'efficacia di massima, ma è immediatamente vincolante per l'attività edificatoria.
E' pertanto illegittimo il nulla osta della soprintendenza ai monumenti che autorizzi una costruzione in contrasto con le prescrizioni del piano, in quanto, per le dimensioni del fabbricato, l'area disponibile è largamente inferiore a quella richiesta.
(Cons. Stato, sez. V, 24.4.1986, n. 236, RGE, 1987, I, 74).

I lavori non possono essere iniziati prima che sia stata rilasciata l’autorizzazione o il nulla osta.
Essa deve essere rilasciata entro il termine perentorio di 60 giorni.
Gli interessati, trascorso tale termine, entro i successivi 30 giorni, possono richiedere l’autorizzazione al Ministero, che deve pronunciarsi entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta, ai sensi dell’art. 82 d.p.r. 616/1977, mod. art. 151, d.lg. 490/1999.


3.1. I rapporti tra autorizzazione paesistica e concessione edilizia.

Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 7 - r.d. 3.6.1940, n. 1357, art. 25, - l. 28.2.1985, n. 47, art. 20 lett. c) - l. 8.8.1985, n. 431, art. 1 sexies
Bibliografia Mengoli 1997.

Il nulla osta deve necessariamente precedere il rilascio della concessione edilizia (Mengoli G.C. 1997, 423).

L'autorizzazione ai fini paesaggistici, richiesta dall'art. 25, r.d. 3.6.1940, n. 1357, costituisce un provvedimento autonomo rispetto alla concessione edilizia, nei cui confronti si pone tuttavia come condizione di efficacia, nel senso che la concessione, pur potendo essere emanata dal sindaco ancor prima dell'adozione del provvedimento posto a protezione del vincolo paesaggistico, diviene efficace solo dopo il rilascio dell'autorizzazione predetta.
Ne consegue che una concessione edilizia rilasciata in assenza dell'autorizzazione paesaggistica non è illegittima, ma solo inefficace, sicché non è consentito dar corso ai lavori prima della conclusione dell'intero procedimento, configurandosi, nel caso contrario, i reati urbanistici e paesaggistici di cui all'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47 ed all’art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431.
(Cass. pen., sez. III, 1.12.1997, n. 1492).

Il nulla osta rilasciato ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497 dalla regione, immediatamente valido ed efficace, costituisce titolo legittimamente, sotto il profilo paesaggistico, ai fini del rilascio della concessione edilizia e della realizzazione delle opere assentite.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 12.10.1993, n. 1174, T.A.R., 1993, 3928).

La giurisprudenza ritiene, inoltre, efficace l’autorizzazione paesistica solo dopo scaduto il termine di intervento del Ministero per i beni e le attività culturali.

Poiché, secondo quanto dispone l'art. 7, l. 8.8.1985, n. 431, l'autorizzazione paesaggistica è sottoposta al potere di annullamento del Ministero per i beni e le attività culturali, essa non può considerarsi efficace prima che siano decorsi sessanta giorni dalla data in cui il provvedimento è pervenuto all'autorità tutoria.
La concessione edilizia relativa a lavori che richiedono l'autorizzazione paesaggistica può a sua volta dirsi efficace solo dopo il decorso di tale ulteriore termine e, allo stesso, modo solo dopo il decorso di questo può formarsi, nel caso in cui sia stata rilasciata un'autorizzazione espressa, il silenzio assenso su un'istanza di concessione.
(Cass. pen., sez. III, 1.12.1997, n. 1492).



4. Il potere ministeriale di annullamento.

Legislazione l. 1497/1939, artt. 9,15 - l. 431/1985, art. 1, - d.p.r. 616/1977, art. 82 - d.lg. 490/1999, artt. 10, 140.
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Mengoli 1997.

Al Ministero beni culturali è attribuito un autonomo potere di annullamento dell'autorizzazione regionale per l'utilizzo di beni sottoposti a vincolo ambientale, ai sensi dell'art. 82, d.p.r. 24.7.1977, n. 616, come mod. art. 1, l. 8.8.1985, n. 431.
Tale potere s'inquadra nell'esercizio di una funzione di vigilanza e/o controllo dell'attività regionale.

Il potere di annullamento spettante al Ministero per i beni e le attività culturali nei confronti delle autorizzazioni paesaggistiche, rilasciate ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, ben può essere oggetto di preventivi condizionamenti e limitazioni in virtù di accordi stipulati dal Ministero titolare del potere.
(Cons. Stato, sez. IV, 16.9.1999, n. 1458, FA, 1999, 1709).

Il controllo assegnato dall'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, al Ministero per i beni culturali e ambientali in ordine alla legittimità dei nulla osta paesaggistici rilasciati dalle amministrazioni delegate, ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, si configura del tutto autonomo rispetto ad eventuali pareri e valutazioni espressi dalla locale soprintendenza, ed è ancorato a parametri di sola legittimità per il rispetto delle locali bellezze naturali.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 3.11.1998, n. 1810, FA, 1999, 2255).

Il provvedimento è sottoposto ad un termine di decadenza di sessanta giorni dalla data della trasmissione degli atti della soprintendenza al competente ufficio ministeriale.

Il d.m. di annullamento degli atti autorizzativi di nuove costruzioni, ai sensi della l. 29.6.1939 n. 1497, art. 7 ed in estrinsecazione del potere di cui alla l. 8.8.1985, n. 431, art. 1, deve essere emanato e non anche comunicato al destinatario, nel termine di sessanta giorni dalla trasmissione degli atti della soprintendenza al competente ufficio ministeriale.
(Cons. Stato, sez. VI, 3.6.1999, n. 737, RGE, 1999, I, 1152).

Il termine di sessanta giorni, stabilito dall'art. 82, 9° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616, nel testo modificato dall'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, entro il quale può intervenire il decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali di annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato, ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939 n. 1497, dalla provincia, ancorché perentorio, attiene al solo esercizio del potere di annullamento, restando estranea alla previsione normativa l'ulteriore fase della comunicazione o notificazione.
(Cons. Stato, sez. VI, 10.2.1999, n. 121, GI, 1999, 2179)

Il termine previsto dall'art. 82, 9° co., d.p.r. 24.7.1977 n. 616, mod. dalla l. 8.8.1985, n. 431, per l'esercizio del potere di annullamento ministeriale degli atti autorizzatori connessi alla tutela di beni culturali e ambientali emessi in sede periferica, decorre dalla data di ricezione della documentazione relativa al provvedimento e non dalla ricezione di quest'ultimo, ove ne sia disposta la separata trasmissione.
(Cons. Stato, sez. VI, 14.7.1999, n. 956, FA, 1999, 1489).

Il termine di sessanta giorni, di cui all'art. 82, 9° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616, assegnato al Ministero per i beni culturali e ambientali per l'annullamento dell'autorizzazione regionale o delle autorità subdelegate, in materia di costruzioni nelle zone soggette a vincolo paesaggistico, ancorché perentorio, attiene al solo esercizio del potere di annullamento, restando estranea alla previsione normativa l'ulteriore fase della comunicazione o notificazione.
(Cons. Stato, A. P., 22.7.1999, n. 20, FA, 1999, 1423).

Il relativo procedimento deve essere conforme ai disposti della l. 7.8.1990, n. 241.

L'obbligo di previa comunicazione dell'interessato dell'inizio del procedimento di cui all'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, sussiste anche nel caso di procedimento ministeriale preordinato all'annullamento d'ufficio del nulla osta all'edificazione in zone di interesse paesistico, rilasciato dal sindaco ai sensi dell'art. 7, l. 29.6. 1939, n. 1497.
(T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 17.4.1999, n. 300, T.A.R., 1999, I, 2442).

Il procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione in sanatoria ai fini del condono edilizio in zona soggetta a vincolo ambientale, ai sensi dell'art. 7, l. 1.6.1939, n. 1497, si configura quale procedimento instaurato ad istanza di parte e non sussiste l'obbligo per l'amministrazione statale procedente di comunicare l'avviso di inizio all'interessato.
(T.A.R. Campania, sez. II, Napoli, 5.1.1999, n. 53, FA, 1999, 1875).

Il controllo ministeriale non può comunque essere eluso dalla legislazione regionale.
La l. r. Abruzzo 27.4.1996, n. 23, che detta norme per gli impianti pubblici o di pubblico interesse, ove si stabilisce, al comma 1 dell'art. unico, che gli impianti a rete pubblici o di pubblico interesse "si configurano come opere di urbanizzazione e pertanto non necessitano di conformità urbanistica e non sono soggette a concessione edilizia, ma a semplice autorizzazione da parte delle amministrazioni comunali” è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 3, 1° co., cost.

La l. r. Abruzzo 27.4.1996, n. 23, oggetto di impugnazione si pone in irrimediabile contrasto con la legislazione nazionale, perché omette l’autorizzazione del Ministro per i beni culturali e ambientali ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497.
(Corte cost., 21.11.1997, n. 345, CS, 1997, II, 1730).

Il potere ministeriale trova un limite nelle disposizioni degli strumenti urbanistici regionali e nelle motivazioni che non hanno specificatamente carattere ambientale, come quelle che attengono al processo costruttivo.

Nel caso in cui il piano territoriale paesistico regionale preveda espressamente la possibilità di realizzare vasche destinate all'acquacoltura è illegittimo il provvedimento ministeriale che nega l'autorizzazione alla costruzione di un impianto, peraltro di ridotte dimensioni, di troticoltura che sia genericamente motivato dalle prescrizioni del piano stesso e dall'esigenza di tutelare l'ambiente circostante.
(Trib. sup. acque, 21.12.1995, n. 105, CS, 1995, II, 2262).

E' illegittimo il decreto del Ministro dei beni culturali e ambientali che annulla una concessione di costruzione rilasciata dal sindaco in zona protetta paesisticamente e valida anche come autorizzazione, ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, che motivi con riferimento non ad esigenze di tutela paesaggistica, ma a questioni di carattere edilizio - costruttivo rientranti nella sfera di attribuzioni del Comune.
(Cons. Stato, sez. VI, 20.11.1998, n. 1583, AUE, 1999, 609).

Nell'esercizio del potere di annullamento delle autorizzazioni rilasciate dall'amministrazione regionale ai sensi dell'art. 7, l. n. 1497 del 1939, l'autorità ministeriale esercita un potere di riesame sotto il profilo della loro legittimità, ma non può rinnovare le valutazioni discrezionali già compiute nel merito da parte della regione.
(Cons. Stato, sez. VI, 6.10. 1998, n. 1348, RAm, 1998, 1015).

L'avvenuta adozione del piano urbanistico territoriale da parte della regione non sottrae, dunque, le suddette autorizzazioni al controllo ministeriale.
(T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 21.5.1992, n. 289, FA, 1993, 517).


5. La sospensione dei lavori.

Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 9 - r.d. 3.6.1940, 1357, art. 17, 2°, co. - d.p.r. 616/1977, art. 82 - d. lg. 29.10.1999, n. 490, art. 153.
Bibliografia Forlenza 2000.

Il Ministro per i beni culturali ed ambientali - ora la regione, ex art. 82, d.p.r. 616/1977 - può disporre la sospensione dei lavori quando essi rechino pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali, anche indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi.

E' legittimo il provvedimento con il quale viene disposta la sospensione cautelativa dell'attività estrattiva di cava, a norma degli artt. 8 e 9 della l. 1497 del 1939, nonostante la località in questione non sia inclusa nell'elenco delle località panoramiche predisposto dalla commissione provinciale e prescindendosi, altresì, da una completa ed approfondita indagine sulla reale situazione di fatto e di diritto.
Nella specie il provvedimento cautelare era diretto a sospendere l'attività estrattiva limitatamente alle aree colpite da vincolo archeologico.
(Cons. Stato, sez. VI, 30.1.1991, n. 47, RGE, 1991, I, 438).

Il potere di inibizione di cui agli artt. 8 e 9, l. 29.6.1939, n. 1497 è soggetto al generale onere di motivazione, proprio di tutti i provvedimenti di carattere ablatorio, ma anche allo specifico disposto di cui all'art. 17, r.d. 3.6.1940, n. 1357, che richiede espressamente una specifica motivazione come requisito di legittimità dei provvedimenti cautelari.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 9.2.1988 n. 272, T.A.R., 1988, I, 734).

L’art. 9, l. 29.6.1939, n. 1497, sost. art. 153, d. lg. 29.10.1999, n. 490, afferma che i provvedimenti di sospensione sono revocati se nel termine di tre mesi non sia stato comunicato all’interessato che la commissione preposta ha espresso parere favorevole alla apposizione del vincolo che giustifica la sospensione dei lavori.

L'ordine di sospensione dei lavori edilizi in aree sottoposte a vincolo paesistico può essere legittimamente impartito, ai sensi dell'art. 8, l. 29.6.1939, n. 1497, indipendentemente dall'inclusione della località nell'elenco delle zone vincolate, nel caso in cui essi siano stati iniziati senza autorizzazione.
Quando quest'ultima è intervenuta - e i lavori sono stati eseguiti in conformità o in difformità di tale autorizzazione - il citato art. 8 non è applicabile e l'ordine di demolizione può essere impartito, ai sensi del successivo art. 15, senza che esso debba essere preceduto dall'ordine di sospensione.
(Cons. Stato, sez. VI, 9 4.1998, n. 429, CS, 1998, I, 634).

L’art. 17, 2°, co. r.d. 3.6.1940, 1357, prevede che l’ordine di sospensione dei lavori edilizi deve essere notificato a cura del prefetto il quale provvede alla notifica dello stesso entro il terzo giorno dal suo ricevimento.
La dottrina conferma che si tratta di un termine acceleratorio posto ala pubblica amministrazioni non già di un termine perentorio per l’esercizio del potere cautelare (Forlenza O. 2000, n. 35, 90).

Il termine di tre giorni assegnato al prefetto, dall’art. 17, r.d. 3.6.1940, 1357, per la notifica dell’ordine di sospensione dei lavori edilizi, adottato da organi del ministero dei Beni culturali, ha natura ordinatoria.
(T.A.R. Marche, 23.2.200, n.742, GD, 2000, n. 35, 78).
6. Le sanzioni. La remissione in pristino.

Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 15 - d.p.r. 616/1977, art. 82 - l. 28.2.1985, n. 47, art. 5 - d. lg. 29.10.1999, n. 490, artt. 156, 164.
Bibliografia Centofanti 2000.

Le sanzioni previste dall’art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, sost. art. 164, d. lg. 29.10.1999, n. 490, sono la remissione in pristino dello stato dei luoghi ovvero, in caso di impossibilità, la sanzione pecuniaria (Centofanti N. 2000, 77).
L’organo competente all’irrogazione della sanzione è la regione, ex art. 82, d.p.r. 616/1977.
L’art. 5, l. 28.2.1985, n. 47, prevede l’adozione dei provvedimenti sanzionatori da parte del presidente della giunta regionale d’intesa con il Ministro dei lavori pubblici.
Per le opere che devono essere eseguite da amministrazioni statali il Ministero può rilasciare l’autorizzazione anche in deroga ai disposti regionali, per cui la regione non può, senza l’assenso ministeriale, adottare i provvedimenti sanzionatori, ex art. 156, d. lg. 29.10.1999, n. 490.

Il sindaco non è titolare dei poteri repressivi previsti dall'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497 nei confronti di opere pubbliche realizzate dallo Stato.
(T.A.R. Campania, sez. I, Napoli, 15.6.1999, n. 1649, T.A.R., 1999, I, 3487).
La Regione o l'ente subdelegato non sono competenti ad applicare alle opere statali - realizzate senza autorizzazione nelle località soggette a vincolo paesistico - le sanzioni previste dall'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, in quanto non è stato modificato l'art. 13 della medesima legge sull'adozione dei relativi provvedimenti riguardanti opere pubbliche
(T.A.R. Campania, sez. I, Napoli, 15.6.1999, n. 1649, RGE, 1999, I, 1140).

Ai sensi dell'art. 5, l. 28 .2.1985, n. 47, spetta al Ministro dei lavori pubblici, d'intesa col Presidente della giunta regionale, l'irrogazione della sanzione demolitoria di cui all'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, per il caso in cui un'opera di amministrazione statale risulti abusivamente realizzata su un'area vincolata.
(T.A.R. Marche, 28.9.1996, n. 383, FA, 1997, 1190).

L’art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, sost. art. 164, d. lg. 29.10.1999, n. 490, prevede la remissione in pristino dello stato dei luoghi, con la demolizione delle opere non regolarmente autorizzate e riportando i luoghi al loro stato precedente all’intervento.

La sanzione ex art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497 è applicabile per il sol fatto della violazione dell'obbligo di non mutare lo stato dei luoghi tutelati o vincolati, indipendentemente dal fatto che sia richiesta una previa indagine circa il pregiudizio per la bellezza d'insieme.
(Cons. Stato, sez. V, 1.10.1999, n. 1225, FA, 1999,2063)

La demolizione delle opere, abusivamente eseguite in spregio della tutela delle bellezze panoramiche, costituisce sanzione propriamente preordinata al ripristino dello stato dei luoghi turbato dalla illecita costruzione, restando nella discrezionalità dell'amministratore applicare la sanzione patrimoniale pecuniaria quando la lesione arrecata all'ambiente paesaggistico sia di limitata entità, sulla base di valutazione non sindacabile nel giudizio di legittimità.
(Cons. Stato, sez. VI, 15.4.1993, n. 290, FA, 1993, 737).

La demolizione di un'opera edilizia realizzata senza autorizzazione o concessione edilizia in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico è legittimamente ordinata se, tenuto conto del grave pregiudizio dei valori paesaggistici, derivati dall'opera stessa, sia stato ritenuto di non applicare, in alternativa, la sanzione del pagamento dell'indennità contemplata dall'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497.
(Cons. Stato, sez. II, 16.5.1990, n. 242, CS, 1993, I, 1046).

Al fine dell'irrogazione della sanzione della demolizione è necessaria e sufficiente la constatazione dell'esistenza di un contrasto tra l'opera abusiva e le caratteristiche della zona protetta, rilevata dall'organo tecnico, non essendo consentito all'amministrazione di valutare l'opportunità di disporre o meno la sanzione in ragione della già avvenuta compromissione della zona stessa, con il risultato di sostituire il proprio giudizio sul valore ambientale della zona protetta a quello espresso nella competente sede in occasione dell'imposizione del vincolo.
(T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 22.10.1990, n. 1120, T.A.R., 1990, I, 4266).

La mancanza ovvero l’inadeguatezza della motivazione è sufficiente per poter fare dichiarare la illegittimità del provvedimento.

Ai sensi dell'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, nel caso in cui l'autorità competente in materia di tutela delle bellezze d'insieme e panoramiche - presidente della provincia - ritenga di applicare alla costruzione realizzata in difformità dal progetto approvato la sanzione della demolizione e riconduzione in pristino anziché la sanzione pecuniaria alternativa deve darne congrua motivazione.
Da questa devono risultare le concrete ragioni della scelta, a fronte della gravità della fattispecie lesiva, in particolare esigendosi che dal contesto del provvedimento emerga che la riduzione in pristino costituisca l'unico rimedio per la salvaguardia dei valori ambientali.
(T.A.R. Veneto, sez. II, 4.6.1998, n. 839, FA, 1999, 423).

La scelta fra la demolizione dell'opera abusiva in contrasto con le norme a tutela delle bellezze naturali e l'applicazione della sanzione pecuniaria si fonda su un accertamento del fatto e una valutazione dell'entità della violazione del tutto discrezionali, tenuto tuttavia conto che, in relazione alla finalità generale di protezione riconducibile all'art. 15 l. 29.6.1939, n. 1497, lo scopo perseguito dalla norma è di carattere restitutorio e non meramente afflittivo.
Esso può conseguirsi in pieno solo attraverso la "restitutio in pristinum", rispetto alla quale la minore sanzione della penale economica riveste carattere del tutto accessorio ed eccezionale.
All'esercizio di siffatta potestà si accompagna per l'Amministrazione il dovere di indicare, nella motivazione del provvedimento di irrogazione della sanzione, le concrete ragioni della scelta compiute a fronte della gravità della fattispecie lesiva.
(T.A.R. Emilia Romagna, sez. I, Bologna, 11.11.1998, n. 390, T.A.R., 1999, I, 177).

Il provvedimento di demolizione deve concedere al trasgressore un termine per l’esecuzione del provvedimento.
In caso di inadempienza si procede d’ufficio a mezzo del Prefetto, con l’addebito delle spese sostenute, ex art. 164, d. lg. 29.10.1999, n. 490.




7. La sanzione pecuniaria alternativa alla remissione in pristino.

Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 15 - d. lg. 29.10.1999, n. 490, art. 164.
Bibliografia Tricomi 2000 - Damonte 2000.

L’art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, sost. art. 164, d. lg. 29.10.1999, n. 490, attribuisce una scelta discrezionale alla regione che è l’organo competente, ex art. 82, d.p.r. 616/1977, sulle modalità relative alla repressione dell’abuso, concedendogli la facoltà di valutare se procedere alla remissione in pristino delle opere o alla irrogazione di una sanzione pecuniaria (Tricomi I. 2000, 37).

In tema di costruzioni edilizie in zone soggette a vincolo paesistico, nel sistema sanzionatorio, delineato dall'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, per gli abusi, la sanzione pecuniaria costituisce misura alternativa all'ordine di demolizione, come questa finalizzata a colpire l'illecito arrecato al bene paesaggistico sottoposto a tutela in presenza di un accertato pregiudizio arrecato al paesaggio.
(T.A.R. Liguria sez. I, 27.5.1999, n. 230, RGE, 1999, I, 1121).

La sanzione pecuniaria è calcolata in una cifra pari alla maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito sulla base di una perizia di stima redatta dagli uffici regionali.

La sanzione di cui all'art. 15, l. n. 1497 del 1939, va applicata per il solo fatto della violazione dell'obbligo di non mutare lo stato dei luoghi, senza che sia richiesta una preventiva indagine circa il pregiudizio arrecato alla bellezza d'insieme.
La relativa valutazione sul versante quantitativo non può che essere equitativa in quanto il danno paesistico per sua natura sfugge ad una indagine articolata e minuta.
Posto che l'art. 15, l. 1497/1939, consente l'imposizione di un'indennità equivalente alla maggior somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito, il trasgressore non ha interesse a dedurre in giudizio l'inosservanza della disposizione di avere l'amministrazione accertato soltanto il profitto conseguito, poiché, nel caso in cui il danno fosse inferiore al profitto, l'indennità sarebbe commisurabile a quest'ultimo mentre, nel caso inverso, risulterebbe un maggior onere economico a carico del ricorrente.
(Cons. Stato, sez. V, 1.10.1999, n. 1225, UA, 1999, 1345).

La valutazione dell'indennità, ex art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, non può essere che equitativa e collegata ad una stima tecnica di carattere generale, insuscettibile d'una dimostrazione articolata ed analitica, in quanto il danno ambientale sfugge, per sua stessa natura, ad un'indagine dettagliata e minuziosa e, quindi, non abbisogna di una puntuale motivazione analitica circa l'ammontare della sanzione irrogata.
(Cons. Stato, sez. V, 1.10.1999, n. 1225, FA, 1999, 2063).

E' legittima l'irrogazione della sanzione pecuniaria, ex art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, nei confronti dell'indebita demolizione di un edificio di rilevante interesse storico - paesaggistico, in quanto tale vicenda - eseguita nella specie in totale difformità dell'autorizzata ristrutturazione - determina un'irreversibile alterazione dello stato di fatto.
Il manufatto così realizzato è insuscettibile di interventi ripristinatori come la sua ricostruzione.
Essa è destinata a produrre, infatti, un manufatto, comunque, diverso da quello preesistente, di cui invece la p.a. aveva inteso conservare l'individualità o l'originalità storica.
Nella specie, l'ordinata ricostruzione dell'immobile non ha ripristinato lo status quo ante, ma s'appalesa come procedimento distinto ed autonomo rispetto alla sanzione, ex l. n. 1497 del 1939, o, come tale, a sua volta soggetto ad accertamento della compatibilità paesaggistico - ambientale.
(Cons. Stato, sez. V, 20.12.1999, n. 2113, FA, 1999, 2520).

L'indennità di tipo risarcitorio del danno cosiddetto "ambientale" nell'ambito di un procedimento amministrativo di tipo autoritativo, deve essere collegata a criteri obiettivi di valutazione e non può richiamarsi a generici criteri equitativi.
(T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 20.1.1992, n. 9, FA, 1992, 2015).

Per un filone giurisprudenziale la sanzione pecuniaria può essere irrogata solo qualora l’autorità regionale dimostri l’avvenuto danno ambientale.

La sanzione pecuniaria, ex art. 15, l. n. 1497 del 1939, ha funzione esclusivamente risarcitoria del danno in concreto arrecato e, quindi, non può essere irrogata allorché non vi sia stato effettivo pregiudizio al bene tutelato.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 11.6.1999, n. 239, RGE, 1999, I, 1366).

I provvedimenti sanzionatori, ex art. 15, l. 29.6.1939 n. 1497, sono comminabili solo a fronte di movimentazioni di terreno comportanti alterazioni sostanziali dell'ambiente naturale sottoposto a tutela paesaggistica.
Nel caso di specie è stata esclusa tale violazione a fronte di riporto di terreno vegetale prelevato in loco e di estirpazione di canna lacustre.
(T.A.R. Umbria, 27.5.1997, n. 224, FA, 1998, 502).

L'abusiva estrazione - in una cava ubicata in area sottoposta a vincolo paesistico, ex art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497 - di materiali inerti al di sotto della quota massima di escavazione e, quindi, in eccedenza ai limiti e ai quantitativi autorizzati, assume una duplice valenza ai fini sanzionatori per quanto attiene alla violazione dei limiti imposti con l'autorizzazione alla coltivazione della cava, nonché per quanto concerne la violazione delle norme poste a salvaguardia del regime del vincolo ambientale.
Legittimamente l'amministrazione comunale irroga, per tale fattispecie, anche la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15, l. n. 1497 del 1939.
(T.A.R. Marche, 20.12.1995, n. 663, FA, 1996,2705).

La dottrina e la giurisprudenza più recenti rilevano, invece, che l’indennità non ha funzione risarcitoria, ma costituisce sanzione amministrativa non richiedendo, pertanto, la dimostrazione del danno (Damonte R. 2000, 859).

L’indennità prevista dall’art. 15, l. 1497/1939, in alternativa alla demolizione delle opere in caso di violazione degli obblighi e ordini in materia di tutela del paesaggio costituisce una sanzione amministrativa e non una forma di risarcimento del danno ambientale, con la conseguenza che sarà dovuta anche in mancanza di danno, commisurandosi in tal caso in relazione al profitto.
(Cons. Stato, sez. VI, 2.6.2000, n. 3184, RGE, 2000, 843).

L’indennità ha tutt’altra natura rispetto all’oblazione prevista dalla l. 47/1985 sul condono.

In base all'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, e alla luce del carattere innovativo dell'art. 2, 46° co., l. 23.12.1996, n. 662, l'indennità risarcitoria per le opere abusive oggetto di condono è dovuta anche qualora sia intervenuto da parte dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli paesaggistici parere favorevole, ex art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, su un'opera dannosa per l'ambiente ma ritenuta non assolutamente incompatibile con la tutela del vincolo sulla base di una valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti.
L'indennità suddetta non è, invece, dovuta e gli eventuali provvedimenti in tal senso assunti sono illegittimi, qualora il parere favorevole venga rilasciato per un'opera che non configuri alcun danno ambientale.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 21.6.1999, n. 1531, FA, 1999, 1856).

L'indennità, di cui all'art. 15 della l. 29.6.1939, n. 1497, è diretta a colpire la manomissione del territorio operata dall'intervento abusivo, al fine di reintegrare il valore patrimoniale del bene pubblico compromesso dall'intervento dannoso, e differisce dall'oblazione, di cui all'art. 34, l. 28.2.1985, n. 47, che assorbe esclusivamente le sanzioni pecuniarie legate all'illecito urbanistico.
Legittimamente, quindi, il provvedimento di sanatoria di una costruzione abusiva realizzata su un'area sottoposta a vincolo paesaggistico viene condizionato al pagamento della predetta indennità.
(Cons. Stato, sez. II, 7.3.1990, n. 189, DGA, 1993, 442).
7.1. I ricorsi.

Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 15 - l. 24.11.1981, n. 689, art. 16.
Bibliografia Tricomi 2000.

Il giudice amministrativo ha la giurisdizione sui ricorsi contro la determinazione della sanzione (Tricomi I. 2000, 38).

La sanzione pecuniaria, irrogata dalla pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 15, l. 1497 del 1939 sulla protezione delle bellezze naturali, ha carattere alternativo rispetto a misure di tipo ripristinatorio e, pertanto, rientra nell'area dei poteri autoritativi dell'amministrazione a tutela diretta di interessi pubblici, con la conseguenza che la controversia rivolta a contestare la validità ed efficacia del provvedimento applicativo di detta sanzione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto si ricollega ad una posizione soggettiva di interesse legittimo.
(Cass. civ., Sez. U., 18.5.1995, n. 5473, GCM, 1995, 1025).

Per potere attivarsi in giudizio, secondo i principi generali, il ricorrente deve avere interesse, ad esempio avere giustificato motivo alla riduzione della sanzione.

L'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, nel prevedere la sanzione pecuniaria per colui che danneggia beni soggetti a tutela paesaggistico-ambientale, consente l'imposizione di un'indennità pari alla maggiore somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito.
Il trasgressore non ha alcun interesse da far valere in via d'azione circa l'inosservanza di tale regola, qualora la p.a. accerti il solo profitto conseguito, in quanto, se il danno fosse inferiore al profitto, l'indennità sarebbe, comunque, commisurata a quest'ultimo, mentre, nel caso inverso, risulterebbe un maggior onere a carico di costui.
(Cons. Stato. sez. V, 1.10.1999, n. 1225, FA, 1999,2063).

La sanzione amministrativa è riscossa attraverso il meccanismo di cui all’art. 16, l. 24.11.1981, n. 689.
Con riguardo alla sanzione amministrativa pecuniaria irrogata a norma dell'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, sulla tutela della bellezze naturali per costruzione realizzata senza la prescritta autorizzazione, quando l'opposizione del privato investa la fase della riscossione del credito, trovano applicazione le disposizioni della l. 24.11.1981, n. 689.
Attesa la previsione di cui all'art. 12, l. 24.11.1981, n. 689, il quale, prescrivendo che le disposizioni del capo I della stessa si osservano in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito per tutte le violazioni per le quali sia comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro ancorché non sostitutiva di una sanzione penale, rende palese l'intento del legislatore di attribuire carattere generale alle richiamate disposizioni.
Esse comprendono qualsiasi ipotesi di illecito amministrativo, ad eccezione delle violazioni disciplinari, espressamente escluse, e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie.
(Cass. civ., sez. I, 28.8.1997, n. 8162, RGP, 1998, 483).

Con riguardo a sanzione amministrativa pecuniaria irrogata per un illecito a carattere permanente, quale la costruzione realizzata senza la autorizzazione prescritta dall'art. 7, l. 19.6.1939, n. 1497, sulla tutela delle bellezze naturali, la prescrizione quinquennale del diritto di riscuotere le somme dovute, prevista dall'art. 28, l. 24.11.1981, n. 689, inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza in applicazione della regola posta dall'art. 158, 1° co., c.p.
(Cass. civ., sez. I, 28.8.1997, n. 8162, RGP, 1998, 483).


8. Costruzioni abusive in aree demaniali.

Legislazione r.d. 14.4.1910, n. 639, art. 2 - l. 28.1.1977, n. 10, art. 15, 13° co. - l. 47/1985, art. 4, 2° co., 7, 3° co. - d.p.r. 28.1.1988, n. 43, art. 69.
Bibliografia Centofanti 2000.

L’art. 15, 13° co., l. 28.1.1977, n. 10 e l’art. 4, 2° co., l. 47/1985 disciplinano una particolare forma di controllo sulle costruzioni abusive realizzate su aree dello Stato.
Le opere eseguite da terzi in totale difformità dalla concessione o in assenza di essa su suoli di proprietà dello Stato o di enti territoriali sono demolite, a cura e spese del costruttore, entro sessanta giorni.
In caso di mancata esecuzione dell’ordine, previa acquisizione dell’area, il comune provvede, ex art. 7, 3° co., l. 47/1985, alla demolizione con recupero delle spese.
Il procedimento della riscossione, disciplinato prima dall’art. 69 del d.p.r. 28.1.1988, n. 43, quindi mediante iscrizione a ruolo è ora demandato ai concessionari secondo le procedure civilistiche, ex art 21, d.lg. 13.4.1999, n. 112.
Qualora le opere siano solo parzialmente difformi dalla concessione, il costruttore deve provvedere a demolire solo le parti non rispondenti al progetto originario ovvero, nel caso in cui esse non possano essere rimosse senza pregiudizio della parte conforme, il comune applica una sanzione pari al doppio del valore della parte difforme.
La sanzione ivi prevista è comminata dallo Stato o dagli altri enti territoriali interessati.
Permane il divieto di forniture alle costruzioni prive di concessione per le aziende erogatrici di servizi pubblici.
La l. 47/1985 dà la possibilità di sanare anche le opere eseguite in aree vincolate, su parere delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, da rendersi entro centoventi o centottanta giorni dalla domanda a seconda della gravità dell’abuso.
A seguito della modifica apportata all’art. 32 della L. 47/1985 dall'art. 2, 43° co. l. 662/1996 il parere, qualora non venga formulato nei termini perentori si intende reso in maniera favorevole (Centofanti N. 2000, 416).


9. Il reato di distruzione o il deturpamento di bellezze naturali.

Legislazione cost., art. 9 - c.p., art. 734 - l. 431/1985, art. 1 sexies.
Bibliografia Mucciarelli 1987 - Conti 1997.

Il codice penale all’art. 734 punisce chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio storico o artistico nazionale, con l’ammenda da lire due milioni a dodici milioni.
La norma anticipa la tutela, prevista dall’art. 9, cost., del paesaggio e del patrimonio artistico della nazione (Conti L. 1997, 422).
La giurisprudenza propende correttamente per una interpretazione estensiva della norma.

La distruzione o l'alterazione del paesaggio si verifica, nell'ipotesi di costruzione o demolizione, all'epoca della ultimazione delle dette attività. In quel momento il danno è ormai intervenuto.
La successiva protrazione del medesimo non configura una prosecuzione della condotta, ormai esaurita, ma soltanto un effetto duraturo nel tempo. Il reato è quindi permanente, ma detta permanenza termina con la cessazione dei lavori.
(Cass. pen., sez. fer., 26.7.1993, CP, 1994, 2196).
L'evento della alterazione delle bellezze naturali consiste nella diminuzione del godimento estetico che il luogo offriva, e ciò avviene anche quando il luogo, pur rimanendo invariato, non sia più fruibile per gli ostacoli frapposti. Fattispecie relativa ad alterazione della Villa Comunale di Napoli, non solo per il suo degrado in genere, ma anche perché il parco era ridotto "ad una autorimessa pubblica, occupato da una massiccia e costante presenza di autovetture lasciate in sosta”.
(Cass. pen., sez. III, 10.12.1991).

Per definire il concetto di bellezza naturale non può farsi esclusivo riferimento alla l. 29.6.1939, n. 1497, che tutela i beni paesistici quale fonte di godimento estetico, ma, alla luce dei principi costituzionali di cui all’art. 9, va considerato il bene ambientale nel suo complesso.
Ne deriva che la tutela fornita dall'art. 734 c.p. ha per oggetto le menomazioni permanenti o le distruzioni dell'ambiente, in tutte le sue componenti essenziali, ivi compresa la fauna e la flora. Nella fattispecie la Corte ha ritenuto corretta l'applicazione dell'art. 734 c.p. relativamente a ripetuti episodi di inquinamento che avevano provocato estese morie di pesci negli allevamenti e nel fiume, oggetto di speciale protezione paesistica.
(Cass. pen., sez. II, 19.9.1990, CP, 1992, 2186).

La contravvenzione può sussistere solo quando l’autorità amministrativa abbia riconosciuto al sito speciale protezione e la qualifica di bellezza naturale sia stata mantenuta nel tempo.

Nel caso in cui risulti accertata l'esistenza soltanto di un vincolo idrogeologico interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione abusiva, con esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto, non è configurabile il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, né quello di cui all'art. 734, c.p., che presuppone l'imposizione di un vincolo a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio.
(Cass. pen., sez. III, 28.2.1997, n. 4423, CP, 1998, 1472).
Non integra la contravvenzione di cui all'art. 734, c.p., la semplice modificazione dello stato di un luogo sottoposto a vincolo paesaggistico, ex l. n. 1497/1939, ove la costruzione eseguita in spregio del vincolo sia eseguita su una discarica.
Nell'enunciare il principio di cui in massima, il decidente ha evidenziato che, essendo la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. reato di danno e non di pericolo, occorre l'effettiva distruzione o alterazione delle bellezze naturali.
Il fatto non si verifica quando i lavori abusivi siano realizzati su un luogo che non risulta avere più alcuna caratteristica morfologica del demanio marittimo.
(Pret. Palermo, 18.7.1996, FI, 1998, II, 357).

Integra l'ipotesi di cui all'art. 734 c.p. - che si configura come reato di danno - la condotta di chi, in assenza delle necessarie autorizzazioni, prosegua l'attività di escavazione in zona sottoposta a vincolo ambientale, deturpando così le bellezze naturali dell'area.
(Pret. Roma, 20.12.1996, CP, 1997, 3200).



10. Il potere del giudice.

Legislazione c.p., art. 734 - l. 20.3.1865, n. 2248, all. e), art. 5 - l. 47/1985, art. 20, lett. c).
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Mengoli 1997.

La giurisprudenza inquadra il reato fra quelli di danno; spetta al magistrato accertare in concreto il verificarsi del danno all’ambiente.
Parte della dottrina ritiene che il reato si perfeziona anche in presenza della autorizzazione amministrativa (Mucciarelli F., 1987, 433).

L'accertamento della esistenza o meno della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi spetta al giudice di merito indipendentemente da ogni valutazione della p.a., ed il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1998, n. 1773, CP, 1999, 3228).

Nel contesto della previsione dell'art. 734, c.p., rientra nell'esclusivo potere del giudice accertare se in concreto l'opera eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, indipendentemente dalla concessione comunale e/o del nullaosta amministrativo regionale. Detta autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza della violazione delle bellezze naturali, ma può assumere semmai rilevanza in materia di valutazione dell'elemento psicologico o della gravità del reato, spettando unicamente al giudice penale l'accertamento del verificarsi dell'evento concretante la contravvenzione.
In tema di applicazione dell'art. 734, c.p., è demandato sempre al giudice penale l'accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità indipendentemente da ogni valutazione della pubblica amministrazione, della quale il giudice dovrà con adeguata motivazione tenere conto.
Dunque, ove si accerti che l'opera eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, il reato di cui all'art. 734, c.p., indipendentemente dalla concessione e/o del nulla-osta amministrativo, sarà comunque integrato a carico, contestualmente, del titolare dei lavori ed eventualmente a carico contestuale dell'amministratore comunale firmatario della concessione medesima.
(Pret. Terni, 26.4.1994, RP, 1994, 771).

Essendo la contravvenzione di cui all'art. 734, c.p., un reato di danno e non di condotta, come lo è invece il reato previsto dall'art. 20, lett. c), l. 47 del 1985, l'eventuale autorizzazione amministrativa emessa dall'autorità preposta alla protezione delle bellezze naturali non produce alcun effetto in ordine alla esistenza e valutazione del danno avendo ad oggetto la sola condotta autorizzata dal provvedimento.
E’ demandato al giudice penale l'accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali e dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, indipendentemente da ogni valutazione della pubblica amministrazione.
(Cass. pen., Sez. U., 21.10.1992, CP, 1993, 806).

L'attività di cava, che si svolga in assenza di autorizzazione paesaggistica, consente al magistrato penale l'accertamento circa l'alterazione del paesaggio, ex art. 734 c.p.: è questo un reato di danno, da stabilire in concreto.
(Cass. pen., sez. III, 1.7.1992, CP, 1994, 145).

In tema di distruzione o deturpamento di bellezze naturali, va esclusa la sussistenza dell'elemento psicologico, qualora sia stata rilasciata l'autorizzazione paesistica.
Quando l'entità dell'alterazione infici, per la sua enormità, la presunzione di legittimità del nulla-osta, su cui il soggetto aveva ragione di confidare, il reato è però ugualmente configurabile.
Il nulla osta paesistico, concesso dalla competente amministrazione, non esclude l'elemento psicologico del reato di cui all'art. 734, c.p., quando la buona fede del soggetto interessato non sia configurabile a causa del manifesto effetto deturpante dell'intervento compiuto sul bene protetto.
(Cass. pen., sez. III, 29.9.1992, CP, 1994, 927.

Le conclusioni non si possono di certo condividere, a meno di non ipotizzare un’ipotesi di concorso nel reato dell’autorità amministrativa che ha rilasciato l’autorizzazione.
Si registrano, però, delle decisioni contrarie anche se l’indirizzo è minoritario.

Il rilascio del "nulla-osta" ai fini paesaggistici in sanatoria, in cui si asserisce che le opere realizzate non hanno recato alcun danno al paesaggio, esclude la sussistenza del reato previsto dall'art. 734, c.p., poiché non è dato rinvenire alcuna distruzione o alterazione delle bellezze naturali del luogo in cui insistono le opere eseguite.
(Pret. Palermo, 22.5.1992, GM, 1992, 1306).

L'attività del soggetto che astrattamente possa porsi in violazione dell'art. 734 del codice penale, ma in concreto risulti debitamente autorizzata dalla competente autorità amministrativa, non integra gli estremi della contravvenzione di cui all'art. 734 del c.p., non soltanto per difetto dell'elemento psicologico, bensì anche di quello materiale del reato.
(Cass. pen., sez. II, 14.3.1988, GP, 1989, II, 293).

L'art. 734, c. p., che punisce la distruzione o l'alterazione di bellezze naturali in luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, rinvia, quale norma in bianco, ad atti della pubblica amministrazione per quanto attiene non solo all'imposizione, ma anche alla gestione del vincolo ambientale.
Ne consegue che il reato va escluso quando il comportamento del soggetto attivo sia stato autorizzato.
Né l'autorizzazione può essere disapplicata dal giudice penale, ai sensi dell'art. 5, l. 20.3.1865, n. 2248, all. e), che concerne solo atti incidenti negativamente su diritti soggettivi.
(Cass. pen., sez. III, 10.2.1987, CP, 1990, I, 1287).


10.1. Gli effetti del condono sulla contravvenzione.

Legislazione l. 724/1994, art. 39, 8° co. – l. n. 47 del 1985, artt. 13, 22, 32, 38 , 2° co. - l. 8.8.1985 n. 431, art. 1 sexies.
Bibliografia Assini Mantini 1997.

Le opere realizzate su immobili vincolati sono sanabili solo a condizione che l’autorità competente si esprima con parere motivato, in base al quale l’amministrazione comunale può rilasciare la concessione in sanatoria, ex art. 32, l. 28.2.1985, n. 47 (Assini N. Mantini P. 1997, 755).
L’autorizzazione in sanatoria non estingue, peraltro, l’azione penale poiché la fattispecie non è stata espressamente prevista dall’art. 38, 2° co., l. 28.2.1985, n. 47, che detta i casi di estinzione del reato.

In materia paesaggistica l'autorizzazione in sanatoria di un intervento abusivamente realizzato non estingue il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, poiché tale disposizione, diversamente da quanto stabilito dall'art. 22, l. 28.2.1985, n. 47 - che prevede l'estinzione del reato urbanistico in caso di concessione in sanatoria - non è espressamente dettata dalla normativa.
In materia l'art. 39, 8° co., l. 23.12.1994, n. 724, che prevede tale conseguenza favorevole, si riferisce unicamente al cosiddetto condono edilizio e non all'accertamento di conformità disciplinato dall'art. 13, l. n. 47 del 1985.
L'unico effetto, che deriva dal provvedimento di sanatoria ambientale, è l'esclusione della remissione in pristino dello stato dei luoghi, poiché l'amministrazione ha valutato l'opera e la ha ritenuta compatibile con l'assetto paesaggistico dell'area impegnata dall'opera stessa.
(Cass. pen., sez. III, 28.9.1998, n. 11914, CP, 1999, 3554).

In materia paesaggistica l'autorizzazione in sanatoria di un intervento abusivamente realizzato non estingue il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, poiché questa statuizione, diversamente da quanto stabilito dall'art. 22, l. 28.2.1985, n. 47, non è espressamente disciplinata dalla normativa.
L'art. 39, 8° co., l. 23.12.1994, n. 724, che prevede tale conseguenza favorevole, si riferisce unicamente al cosiddetto condono edilizio.
In ogni altro caso nel quale siano eseguiti in zona vincolata interventi non annoverabili tra quelli consentiti senza necessità di provvedimento abilitativo, l'autorizzazione paesaggistica deve esser rilasciata prima e non dopo l'esecuzione dei lavori.
(Cass. pen., sez. III, 20.10.1998, n. 12697, CP, 1999, 3553).

L’effetto estintivo del reato è successivamente comminato dall’art. 39, 8° co., l. n. 724 del 1994 che tassativamente lo prescrive anche per i reati previsti dalle leggi di tutela delle bellezze naturali, purché sussistano i requisiti fissati dalla normativa, quali la regolare presentazione di istanza di condono entro il termine, la realizzazione delle opere entro il 31.12.1993, il pagamento dell'oblazione, il rilascio della concessione in sanatoria, l'autorizzazione paesaggistica.

La particolare fattispecie estintiva prevista dall’art. 39, 8° co., l. n. 724 del 1994 si applica anche al reato di cui all'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985 e presuppone la presentazione di un'istanza di condono edilizio o di "conversione" della concessione in sanatoria, ex artt. 13 e 22, l. n. 47, del 1985, in quella prevista dal capo IV della stessa legge, il pagamento integrale dell'oblazione dovuta, il rilascio di una concessione in sanatoria, con le caratteristiche proprie di detto capo della citata legge, e dell'autorizzazione paesaggistica.
(Cass. pen., sez. III, 17.12.1998, n. 1150, CP, 1999, 3553).

Mentre la concessione in sanatoria, di cui agli artt. 13 e 22, l. n. 47 del 1985, non estingue il reato previsto e punito dall'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985, la sanatoria, ex artt. 31 ss., l. n. 47 del 1985, e 39, 8° co., l. n. 724 del 1994, è certamente applicabile alla medesima contravvenzione paesaggistica.
(Cass. pen., sez. III, 25.3.1998, UA, 1998, 1037).

La definizione agevolata delle violazioni edilizie contemplata dalla l. n. 724 del 1994 non può avere nulla a che vedere, attesi il chiaro dettato normativo, la sedes materiae e la ratio legis, con la concessione in sanatoria prevista dagli artt. 13 e 22, l. n. 47 del 1985.
La fattispecie prevista dall'art. 39, 8° co., l. n. 724 del 1994, onde produrre effetti anche in relazione alla diversa violazione di cui all'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985, presuppone:
1) la presentazione di una istanza di condono edilizio (o di conversione della richiesta di concessione in sanatoria, ex artt. 13 e 22 l. n. 47 del 1985),
2) il pagamento dell'oblazione,
3) il rilascio della concessione in sanatoria,
4) l'autorizzazione paesaggistica.
Non è, quindi, sufficiente a produrre gli effetti previsti dall'art. 39 la sussistenza soltanto delle due ultime condizioni.
(Cass. pen., sez. III, 14.1.1998, n. 1936).

La concessione in sanatoria, ex artt. 13 e 22, l. 28.2.1985, n. 47, estingue i reati edilizi ed urbanistici, ma non quello ambientale - di cui all'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985 - avente oggettività giuridica diversa dalla mera tutela urbanistica del territorio e condonabile solo ex lege n. 724 del 1994.
Difatti la cosiddetta legge Galasso, a differenza della l. n. 47 del 1985, non prevede espressamente tale effetto estintivo, che è stato introdotto solo dall'art. 39 della citata l. n. 724 del 1994, alle condizioni dalla stessa poste.
(Cass. pen., sez. III, 18.11.1998, n. 13608, RP, 1999, 560).

L'art. 39, 8° co., l. 23.12.1994, n. 724, nella parte in cui non prevede la sospensione del processo penale per violazione degli artt. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47 e 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, in pendenza dell'impugnazione in via giurisdizionale amministrativa del provvedimento di diniego di condono edilizio e di autorizzazione paesaggistica per opere abusive in zona sottoposta a vincolo paesistico, non contrasta col principio di eguaglianza.
E’ diversa la posizione di chi ha già ottenuto in sanatoria l'autorizzazione richiesta dalla norma che prevede il vincolo, rispetto a colui che non l'abbia ottenuta o si sia visto opporre un rifiuto, ancorché contestato in altra sede giurisdizionale, perché il legislatore è discrezionalmente libero di fissare, una volta individuata la causa estintiva del reato, gli effetti ed i limiti temporali di questa in relazione allo stato dell'azione penale.
(Corte cost., 1.4.1998, n. 85, CS, 1998, II, 502).

In tema di cosiddetto condono edilizio, la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. è estinta per il pagamento dell'oblazione, seguito dal rilascio della concessione e dell'autorizzazione paesaggistica.
La natura di reato di danno non è di ostacolo, poiché l'ampia formula utilizzata dall’art. 39, 8°co., l. n. 724 del 1994 - secondo cui occorre un'espressa autorizzazione in sanatoria, differente dal semplice parere di cui all'art. 32, l. n. 47 del 1985 e successive modifiche ed integrazioni - rende possibile l'inclusione della violazione de qua tra quelle estinguibili.
(Cass. pen., sez. III, 20.2.1997, n. 2420, CP, 1998, 1222).

Gli effetti estintivi, evidentemente, non si producono se l’abuso è stato commesso dopo i termini del 31.12.1993, fissati dal provvedimento speciale.

Qualora sia stato commesso, successivamente alla data del 31.12.1993 – e, quindi, oltre il termine di operatività della causa di estinzione prevista dall'art. 39, 8° co., l. 23.12.1994, n. 724 - il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, il sopravvenuto rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non comporta l'estinzione di detto reato, salvo l'eventuale venire meno dell'obbligo di riduzione in pristino, ove questo risulti assolutamente incompatibile con detta autorizzazione.
(Cass. pen., sez. III, 4.2.1999, n. 441, RP, 1999, 451).
11. Il concorso di reati di deturpamento e di violazione delle norme sull’ambiente.

Legislazione c.p., art. 15, 81, 734 - l. 1497/1939, art. 7 - l. 431/1985, art. 1 sexies - d.lg. 5.2.1997 n. 22, art. 51, 3° co.
Bibliografia D’Agostino 1991.

La giurisprudenza si è posta il problema se le disposizioni relative ai reati di deturpamento abbiano il carattere della generalità rispetto alle disposizioni che reprimono la violazione delle norme sull’ambiente (D’Agostino A. 1991, II, 75).
In tal caso si avrebbe il concorso apparente di norme con l’applicabilità della norma speciale o, al contrario, se le norme hanno ad oggetto situazioni sicuramente distinte, in tal caso vi sarebbe un concorso materiale di reati disciplinato dall’art. 81 del c.p.
La giurisprudenza ha precisato che la l. 431/1985 impone l’obbligo di richiedere autorizzazione, prevista dall’art. 7 della l. 1497/1939, per ogni attività che comporti modificazione ambientale.
La norma quindi non ha carattere di specialità rispetto all’ipotesi di danneggiamento.
L’interpretazione giurisprudenziale ha affermato sussistere il concorso di reati nelle seguenti fattispecie.

Ai fini dell'imposizione o del mantenimento del sequestro preventivo di una discarica di rifiuti solidi urbani, in relazione alle ipotesi di reato di cui all'art. 51, 3° co., d.lg. 5.2.1997, n. 22 e all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, addebitati al sindaco di un Comune, sull'assunto della illegittimità delle ordinanze contingibili e urgenti da lui adottate, ai sensi prima dell'art. 12, d.p.r. 10.9.1982, n. 915 e poi dell'art. 13 del d.lg. n. 22 del 1997, il giudice di merito - nella specie, tribunale del riesame -, non può esimersi, nell'ambito della doverosa verifica circa la sussistenza o meno del fumus delicti, dal prendere in esame gli elementi addotti dall'interessato a confutazione dell'asserita illegittimità delle suddette ordinanze.
(Cass. pen., sez. III, 12.1.1999, n. 22, RP, 1999, 344).

Nell'ipotesi in cui sia realizzato un ammasso di rifiuti in zona sottoposta a vincolo paesaggistico senza autorizzazione e con alterazione dei luoghi, concorrono tra loro i due reati, aventi diversa oggettività giuridica, di cui all'art. 1 sexies della l. 431 del 1985, che ha di mira il corretto esercizio dell'attività di vigilanza e controllo assegnata alla pubblica amministrazione, e all'art. 734 del c.p., posto a tutela dell'ambiente.
(Pret. Potenza, 10.6.1992, DGA, 1993, 495).

Sono configurabili sia il reato di cui agli artt. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431, che quello di cui 734, c.p., nell'ipotesi in cui uno scarico di materiali sulle rive di un torrente, protrattosi per lungo tempo, alteri lo stato delle sponde entro la fascia di centocinquanta metri dal corso d'acqua, provocando degrado dell'ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 9.2.1990, CP, 1991, I, 809).

Ai fini della sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 1-sexies della l. 8.8.1985, n. 431, in tema di tutela delle zone di particolare interesse ambientale, non può parlarsi di inesistenza assoluta di danno ambientale solo perché l'imputato sia stato assolto dal reato di cui all'art. 734 del c. p. Tale reato è bensì reato di danno, ma la sua sussistenza non condiziona quella del reato di cui all’ex art. 1-sexies della legge citata, consistente, quest'ultimo, nella condotta di chi compie qualsiasi modificazione dell'assetto del territorio senza autorizzazione o, il che è equivalente giuridicamente, in essenziale difformità dalle precise prescrizioni imposte dall'atto autorizzativo.
(Cass. pen., sez. III, 3.6.1991, CP, 1992, 2186).

La l. 431 del 1985, quando punisce lo scempio paesaggistico-ambientale, deve essere interpretata nel senso che detto scempio non deve essere esclusivamente realizzato con innovazioni urbanistico-edilizie o comunque di stravolgimento dell'assetto del territorio mediante interventi modificativi fisici e volumetrici dello stesso, potendo detto scempio realizzarsi tramite mutamento dell'aspetto estetico e biologico di un fiume o di un lago a causa di cambiamenti di colore dell'elemento liquido dovuti a scarichi inquinanti.
Nel caso di specie deve essere considerato come scempio paesaggistico-ambientale, con conseguente violazione del dettato della l. 431 del 1985, il mutamento dell'aspetto estetico naturale di un corso d'acqua pubblico, protetto dal vincolo paesaggistico-ambientale, in una evidente ed uniforme colorazione biancastra provocato da presenze di manti di schiume a causa degli scarichi in esso riversati illecitamente da un insediamento produttivo.
Il vincolo protegge, infatti, il bene naturale nella sua integrità globale da ogni agente degradante in senso biologico e deturpante in senso estetico.
I responsabili rispondono, pertanto, dei reati di cui all'art. 1 sexies della l. 431 del 1985 e dell'art. 734 c.p. in concorso con i reati previsti dalla normativa antinquinamento n. 319 del 1976 e successive modificazioni.
(Pret. Terni, 21.9.1989, RP, 1990, 58).

Commette i reati di cui all'art. 734 c.p. e all'art. 1 sexies, l. 431 del 1985, colui che, mediante sbancamento, alteri le bellezze naturali, eseguendo lavori edilizi in zona vincolata senza aver ottenuto la prescritta autorizzazione.
In queste ipotesi non è applicabile, infatti, il principio di specialità di cui all'art. 15, c.p., stante la diversità dell'oggetto giuridico delle due fattispecie normative.
(Cass. pen., sez. II, 28.3.1988, GP, 1989, II, 478).


12. Il reato di realizzazione di opere in zone vincolate, previsto dall’art. 20 lett. c), l. 47/1985.

Legislazione cost., art. 9 - l. 28.2.1985, n. 47, art. 20, lett. c).
Bibliografia Rezzonico 1996 - Mengoli 1997.

L'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47, contempla due distinte figure criminose: la lottizzazione abusiva e gli interventi edilizi in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza di concessione nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale.
Entrambe sono punite con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da lire trentamilioni a lire centomilioni (Rezzonico S. 1996, 136).

Perché sussista il reato di realizzazione di opere in zone vincolate è necessario che si configuri un intervento edilizio senza concessione.

E' configurabile il reato di cui all'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47, nel caso di attività edilizia posta in essere dopo che sia decorso il termine di validità della concessione, senza che, a tal fine, sia necessario un formale provvedimento amministrativo che dichiari la decadenza di detta concessione.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1998, n. 2086, RP, 1998, 1127).

La fattispecie di cui all'art. 20, lett. c), della l. 26.2.1985, n. 47, relativa alla realizzazione di costruzioni in variazione essenziale e in totale difformità o in assenza di concessione in zone vincolate, costituisce ipotesi autonoma di reato rispetto a quelle di cui alle lett. a) e b) dello stesso art. 20 e non circostanza aggravante.
(Cass. pen., sez. III, 11.2.1994, CP, 1995, 1038).

Negli immobili esistenti, ma costruiti senza concessione, fino a quando non venga sanata la illiceità, non possono essere compiuti interventi di completamento edilizi.
La Corte ha ritenuto la configurabilità del reato di cui all'art. 20, lett. c), della l. 47 del 1985.
(Cass. pen., sez. III, 18 6.1993, CP, 1995, 157).

L’intervento, inoltre, deve essere privo di autorizzazione paesistica, pur essendone soggetto.

Il reato di cui all'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47 costituisce una fattispecie autonoma e non una circostanza aggravante dell'ipotesi prevista dallo stesso art. 20, lett. b).
La disposizione sub c) prevede specifiche condotte criminose: la lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio; la violazione del vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale.
Tale illecito presenta sotto il profilo strutturale un elemento superiore rispetto a quello di cui alla lett. b), cioè la violazione del vincolo, e tale requisito è stato fissato dal legislatore poiché la condotta disciplinata viene ad incidere in modo rilevante non soltanto sull'assetto del territorio, ma sull'intero ambiente: la violazione determina un vulnus alle condizioni di vita della popolazione ivi residente, della quale altera le condizioni soggettive ed oggettive di vita, la cui protezione è costituzionalmente statuita dall'art. 9.
Tale illecito comporta una lesione del paesaggio, che va considerato anche una risorsa, non soltanto naturalistica, ma anche economica, poiché rappresenta fonti di introiti per la collettività.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1997, n. 10392, CP, 1999, 263).

Trattandosi di reato permanente il termine di contestazione della permanenza acquista una importanza determinante sia ai fini della prescrizione sia ai fini della formulazione dell’imputazione.

Nei reati permanenti, la formulazione dell'imputazione segna in ogni caso il momento temporale ultimo della contestazione del reato ed ogni slittamento del termine di cessazione della permanenza necessita di una formale contestazione integrativa da parte dell'accusa, indipendentemente dal fatto che nel capo d'imputazione sia stata indicata la data di cessazione della permanenza o lasciata aperta la relativa contestazione.
Fissare nel secondo caso il momento della cessazione della permanenza in coincidenza con la pronuncia della sentenza, violerebbe l'esclusiva attribuzione al p.m. dell'esercizio dell'azione penale e l'obbligo di descrizione del fatto nel decreto che dispone il giudizio, da cui discende quello dell'indicazione precisa della collocazione temporale della condotta, per i rilevantissimi riflessi giuridici che tale indicazione ha, non solo per l'esercizio del diritto di difesa, ma anche sulla prescrizione e sulla successione temporale delle norme.
Spetta inoltre all'accusa individuare la data di cessazione della permanenza dovendosi, in caso contrario, ritenere che essa coincida con quella della contestazione della violazione.
Nell'affermare il principio la Corte ha ritenuto estinto per prescrizione un reato di violazione edilizia per il quale, nel decreto di citazione a giudizio, veniva indicata solo la data della constatazione della violazione e non quella della cessazione della permanenza.
(Cass. pen., sez. III, 18.9.1997, n. 11221, GP, 1999, II, 52).



13. Il reato di violazione di norme a tutela dell’ambiente, previsto dall’art. 163, d.lg. 490/1999.

Legislazione cost., artt. 9, 42 - l. 1497/1939, art. 7 - l. 28.2.1985, n. 47, art. 20, lett. c) - l. 431/1985, art. 1, sexies - d.lg. 490/1999, art. 163.
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Mengoli 1997.

L’art. 1, sexies, l. 431/1985, sost. art. 163, d.lg. 490/1999, prevede un autonomo reato per la violazione delle norme da essa disposte a tutela di zone di particolare interesse ambientale, che non possono essere soggette a modificazione territoriale prima della redazione di piani paesistici e del rilascio dell’autorizzazione, rinviando per relationem alle sanzioni disposte dall’art. 20, l. 28.2.1985, n. 47.
Il principio è applicabile anche alle regioni a statuto speciale in quanto è norma di grande riforma economico-sociale.

L'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431 - che ha introdotto un vincolo generalizzato, discendente dalla stessa norma di legge, per i beni appartenenti alle categorie da esso individuate, che siano a priori determinabili per le loro caratteristiche fisiche senza necessità dell'adozione di un atto specificativo del vincolo stesso, penalmente sanzionato dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, e dall'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985 n. 47 - è applicabile anche in Sicilia in ragione della sua natura di norma di grande riforma economico-sociale.
Fattispecie relativa a ritenuta infondatezza di motivo di ricorso, con il quale si deduceva violazione dell'art. 82, 5° co., d.p.r. 24.7. 1977, n. 616, come integrato dall'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, sull'assunto che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto applicabile, nella specie, tale normativa.
(Cass. pen., sez. III, 2.4.1997, n. 4389, CP, 1998, 2105).

La normativa presuppone il rilascio obbligatorio dell’autorizzazione paesistica per potere effettuare un intervento; che alteri lo stato dei luoghi; se esso non è stato autorizato si ravvisa l’ipotesi di reato.
Se, però, l’area oggetto di opere non è vincolata il reato non può configurarsi.

Il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 431 del 1985 è integrato da ogni intervento non autorizzato che alteri lo stato dei luoghi.
E' ravvisabile alterazione solo quando l'intervento muti in modo rilevante e apprezzabile, anche sotto il profilo temporale, le caratteristiche del luogo sottoposto alla speciale tutela ambientale.
(Cass. pen., sez. III, 10.3.1999, n. 5062, RP, 1999, 672).

La contravvenzione di cui all'art. 1 sexies, l. 8 agosto 1985, n. 431, ha natura di reato di pericolo ed esclude dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio.
L'interesse protetto dalla norma incriminatrice, pur dovendosi individuare nella tutela prodromica del paesaggio, non può, peraltro, logicamente prescindere da una sia pur minima possibilità di vulnus al bene tutelato.
La messa in pericolo del paesaggio deve concretarsi pur sempre in un nocumento potenziale, da valutarsi ex ante, oggettivamente insito nella minaccia ad esso portata.
(Cass. pen., sez. III, 7.5.1998, n. 7147, CP, 1999, 2961).

L'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985, riguarda esclusivamente i vincoli posti su intere categorie di beni dall'art. 1 della stessa legge e non invece i vincoli ordinari posti su beni determinati con provvedimento amministrativo.
(Cass. pen., sez. III, 4.6.1998, n. 7941, UA, 1998,1149).

Nel caso in cui risulti accertata l'esistenza soltanto di un vincolo idrogeologico interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione abusiva, con esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto, non è configurabile il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, né quello di cui all'art. 734, c.p., che presuppone l'imposizione di un vincolo a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio.
(Cass. pen., sez. III, 28.2.1997, n. 4423, CP, 1998, 1472).

L'interpretazione teleologica della fattispecie incriminatrice degli artt. 1 e 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431 svela chiaramente che il legislatore ha voluto difendere l'ambiente non da qualsiasi attacco, ma solo da quegli attacchi in grado d'incidere in misura rilevante sull'oggetto della tutela
L'innalzamento per pochi centimetri dell'ingresso di un garage non può costituire il reato in questione.
(Pretura Dolo, 10.2.1998, CP, 1998, 2737).

La norma ha superato l’eccezione di incostituzionalità prodotta in relazione alla presunta indeterminatezza dei beni soggetti a vincolo e alla presunta inadeguatezza della pena.

Sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale rivolte all’art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, sollevate in riferimento agli artt. 42, 97, 9, 25 comma 2 cost.
La ratio della introduzione di vincoli paesaggistici generalizzati risiede nella valutazione che l'integrità ambientale è un bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va, pertanto, salvaguardato nella sua interezza.
La quantificazione della pena, distinta su tre livelli, sulla base della tipologia di condotte incriminate, risulta corrispondere ai precetti di determinatezza della sanzione penale, soddisfacendo, anche, il canone di adeguatezza e congruità della pena nel rapporto di proporzionalità alla tutela del bene presidiato dalla norma.
L'accentuata severità del trattamento trova, infine, giustificazione nella entità sociale dei beni protetti e nel carattere generale, immediato ed interinale, della tutela che la legge ha inteso apprestare.
(Corte cost., 17.3.1998, Ord. n. 68, GC, 1998, 711).

E' manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 25, 9, commi 2, 3, 13 e 27 cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 ter e 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431 e dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497: invero, deve ritenersi ammissibile, sul piano costituzionale, la previsione legislativa di reati di mero pericolo, qualora il bene tutelato, come il paesaggio, esiga protezione anche da potenziali interventi di manomissione, conseguenti alla mancanza di previa verifica dell'amministrazione mediante provvedimento abilitativo per determinate attività o condotte.
(Corte cost., 8.5.1998, Ord. n. 159, RGE, 1998, I, 793. Corte cost. 22.7.1998, Ord. n. 316 GC, 1998, 2321).

Sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 42, 97, 9, 25, 2° co., e 27 cost., relative all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, nella parte in cui rinvia alla nozione di aree protette quale desumibile dalla espressa elencazione normativa di cui all'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, che identifica i beni oggetto di tutela per categoria, in quanto la questione è già stata risolta nel senso della manifesta infondatezza con l'ord. n. 68 del 1998.
(Corte cost., 18.3.1999, Ord. n. 71, GC, 1999, 804).

Il reato è stato ipotizzato nelle seguenti fattispecie.

L'obbligo di munirsi di autorizzazione, ex art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, sussiste per ogni alterazione dello stato dell'immobile che sia in astratto suscettibile di arrecare pregiudizio al suo aspetto esteriore protetto dal vincolo.
Nella specie la Corte ha ritenuto integrato il reato in caso di realizzazione di una rampa esterna con funzione di scala antincendio.
(Cass. pen., sez. III, 4.6.1998, n. 7941, CP, 1999, 2960).

Anche un decespugliamento, in particolare in zona protetta come un parco, costituisce opera atta a violare la norma di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, perché l'eliminazione di cespugli ed arbusti costituisce violazione del vincolo paesistico-ambientale.
Ciò tanto più quando l'opera avviene in un parco naturale soggetto a particolare protezione.
(Cass. pen., sez. III, 3.11.1998, n. 13358, CP, 1999, 3546).

Sulla premessa che il reato di cui all'art 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, ha natura formale ed ha per oggetto il preventivo controllo di ogni trasformazione del territorio in zona sottoposta a vincolo ambientale, nessuna lesione dell'oggetto formale può ravvisarsi quando la trasformazione territoriale non leda l'oggetto sostanziale della tutela ambientale, o addirittura rechi giovamento alla tutela ambientale stessa.
Questo difetto di lesione sostanziale deve essere accertabile ictu oculi al di là di ogni ragionevole dubbio, sicché non possa essere smentito dalla valutazione dell'autorità tutoria.
Nella specie la Corte ha ritenuto non integrare il reato la realizzazione di un fabbricato in misura inferiore sotto il profilo planovolumetrico a quanto era stato autorizzato con l'originario progetto.
(Cass. pen., sez. III, 28.1.1998, n. 3693).

Le disposizioni vigenti che, ai sensi dell'art. 12, d.p.r. 10.9.1982, n. 915 possono essere derogate con l'emanazione dell'ordinanza contingibile e urgente prevista dalla medesima norma sono soltanto quelle attinenti alle forme di smaltimento dei rifiuti, con esclusione, pertanto, fra le altre, delle disposizioni in materia di tutela ambientale.
Resta configurabile il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, qualora la detta ordinanza sia stata emanata ed attuata senza la preventiva autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
(Cass. pen., sez. III, 16.10.1998, n. 12692, RP, 1999, 181).
Integra il reato di cui all'art. 1, sexies l. 8.8.1985, n. 431 la realizzazione di opere, peraltro regolarmente assentite, in altro luogo dello stesso lotto oggetto di intervento.
Ciò in quanto, tutte le volte in cui le divergenze tra l'opera progettata e quella realizzata siano tali, per qualità, ubicazione, destinazione, ampiezza, e per ciascuno o più di questi parametri, da determinare un quid pluris o un quid novi tra l'oggetto della concessione e la realtà, sussiste il reato di cui all'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1998, n. 9164, CP, 1999, 2962).

Costituisce violazione dell'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431 la costruzione, senza autorizzazione, di una strada interpoderale e di alcune piazzole di sosta in zona sottoposta a vincolo e la condanna per tale illecito non è incompatibile sul piano logico.
Vi è una contraddittorietà della motivazione, rilevante ai fini del ricorso per cassazione, con il proscioglimento per il reato di cui all'art. 734 c.p., contestato con riferimento ai medesimi fatti.
(Cass. pen., sez. III, 22.9.1997, n. 9965, CP, 1999, 979).

L'attività estrattiva non autorizzata in località tutelata paesisticamente dà luogo al reato previsto e punito, a seconda dei casi, dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, ovvero dall'art. 734 c.p.
(Cons. Stato, sez. II, 10.9.1997, n. 468, CS, 1999, I, 746.

Nell'ipotesi in cui venga costruito un pontile sottraendo terraferma al mare, il banchinamento così realizzato viola il vincolo imposto dall'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, a tutela dei territori costieri compresi in una fascia di profondità di trecento metri dalla linea di battigia.
E', pertanto, configurabile il reato di cui all'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47.
(Cass. pen., sez. III, 26.2.1993, MPC, 1993, 35).

E' configurabile la violazione di cui all'art. 1 sexies, l. 431 del 1985, quando venga eseguito il totale disboscamento di una consistente area con trasformazione in parte dell'area boschiva e con livellamento con materiale terroso.
Dette opere non rientrano negli interventi di taglio colturale e di bonifica da piante infestanti, consentiti perché diretti alla conservazione e non alla distruzione del bosco.
(Cass. pen., sez. III, 21.2.1992, RP, 1993, 732).

L'art. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431, sost. art. 163, d.lg. 490/1999, ribadisce che le sanzioni penali per chi esegue lavori su beni ambientali, come definiti dal stessa legge, sono quelle previste dall’art. 20, lett. c), l. 47/1985.
Il giudice penale attraverso la sentenza di condanna ordina la remissione in pristino dello stato dei luoghi.

13.1. Il rilascio di autorizzazione paesistica illegittima.

Legislazione l. 1357/1940, art. 25, - l. 431/1985, art. 1 sexies - l. 28.2.1985, n. 47, art. 20, lett. c).
Bibliografia Rezzonico 1996 - Mengoli 1997.

Il reato sussiste qualora manchi il rilascio dell’autorizzazione paesistica, non essendo sufficiente nelle ipotesi di aree vincolate il solo rilascio della concessione edilizia per potere effettuare l’intervento, vedi Cap. II, n.3.

In tema di reati edilizi, qualora la zona sia sottoposta a vincolo paesaggistico, la relativa autorizzazione si inserisce nel procedimento di rilascio della concessione e ne condiziona l'emanazione, assumendo il ruolo di presupposto.
Ne consegue che la concessione è priva di efficacia qualora il sindaco l'abbia rilasciata in assenza del cosiddetto nulla osta.
(Cass. pen., sez. III, 4.5.1998, n. 6671, CP, 1999, 2964)

L'omesso rilascio dell'autorizzazione ai fini paesaggistici, richiesta dall'art. 25, l. 1357 del 1940, costituisce una mera irregolarità procedimentale che non rende illegittima la concessione edilizia, ma impedisce che i lavori possano essere iniziati senza avere ottenuto detta autorizzazione.
La esecuzione degli stessi configura i reati urbanistici e paesaggistici di cui agli artt. 20, lett. c), l. 47 del 1985 e 1 sexies, l. 431 del 1985.
(Cass. pen., sez. III, 24.3.1998, n. 1093).

Il reato può sussistere anche se la autorizzazione è stata concessa.

In nessun caso è possibile derogare al divieto di edificabilità derivante dall'art. 1 quinquies, l. 8.8.1985, n. 431, in assenza del prescritto piano regionale e fuori dagli interventi tassativamente indicati dalla norma - manutenzione ordinaria e straordinaria, consolidamento statico e restauro conservativo.
L'eventuale rilascio di un'autorizzazione paesaggistica è completamente privo di valore dal punto di vista dell'esclusione dell'illiceità della condotta.
Viola, perciò, il precetto penale chi procede alla costruzione, anche provvisoria, di una struttura idonea ad "alterare lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici", pur se realizzata previo rilascio di autorizzazione sindacale - su delega regionale - ai sensi della l. 29.6.1939, n. 1497.
L'art. 1, l. n. 431 del 1985, prevede che siano realizzabili strutture precarie in zone soggette a vincolo solo con riferimento a quelle strumentali all'esercizio di attività agro-silvo- pastorali, ex art. 1, 8° co., mentre nessun riferimento alla provvisorietà viene fatto con riferimento agli interventi urbanistico - edilizi di diversa natura.
Nell'affermare il principio di cui in massima la Corte ha poi escluso categoricamente che potesse considerarsi comunque precaria una struttura, realizzata sull'isola di Capri, creata per le rappresentazioni teatrali delle "Panatenee pompeiane", costituita da un palcoscenico sorretto da 4 cassoni di cemento armato collegati tra loro da un cordolo perimetrale e da una platea per posti a sedere montata su traverse e altre strutture di cemento armato e sormontato da tubazioni innocenti e traverse di legno, complesso destinato a rappresentazioni teatrali da tenersi da maggio a ottobre per la durata di 15 anni.
(Cass. pen., sez. III, 28.1.1997, n. 2267, UA, 1998, 86).

Il reato previsto dall'art. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431, è configurabile anche nel caso in cui la costruzione di un edificio sia stata autorizzata ed abbia avuto inizio anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge, sempre che a tale data la costruzione non avesse assunto dimensioni di apprezzabile consistenza, tali da realizzare un'irreversibile modificazione del territorio, non conciliabile con le prescrizioni cautelari imposte del legislatore, mentre i lavori eseguiti successivamente a quella data abbiano determinato siffatta apprezzabile consistenza.
La Cassazione ha evidenziato la immediata operatività delle misure di salvaguardia previste dalla l. 431 del 1985 e la necessità, ai fini di stabilire l'applicabilità o meno del vincolo di inedificabilità a costruzioni in corso alla data di entrata in vigore di detta legge, di verificare le proporzioni concrete dell'attività immutativa del territorio con riferimento a tale data, posto che è in quel momento che il vincolo paesaggistico è stato introdotto.
(Cass. pen., Sez. U., 25.3.1993, RGE, 1993, 966).

Non può evidentemente sussistere il concorso fra il reato di cui all'art. 20, lett. c), l. 47/1985, e quello previsto dall'art. 1, sexies, l. 431 del 1985.

La realizzazione, in zona rientrante nel Parco dell'Alto Garda, di una baracca in lamiera in assenza di concessione integra il reato di cui all'art. 20, lett. c), l. 47/1985, ma non anche la fattispecie sanzionata dall'art. 1, sexies, l. 431 del 1985.
(Pret. Brescia, 15.10.1993, GM, 1994, 357).
La giurisprudenza ha precisato la natura di reato di pericolo.

Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985, è necessario che sia posta in essere una condotta comunque incidente in maniera apprezzabile sull'assetto ambientale- territoriale.
Nel valutare l'offensività della condotta il giudice deve tenere conto della sua incidenza in senso fisico ed estetico sul bene protetto ed in relazione al contingente contesto ambientale, senza trascurare la diffusività del pericolo in presenza di una molteplicità di condotte analoghe reiterate nel tempo.
Al contrario, in considerazione della tutela anticipata del paesaggio cui è deputata la contravvenzione in oggetto, la ritenuta inoffensività della condotta inerente alla carenza di danno paesaggistico appalesata dalla autorizzazione in sanatoria è inconferente o, comunque, di secondaria importanza.
(Cass. pen., sez. III, 22.10.1998, n. 12936, RP, 1999, 274).

Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 1, sexies l. n. 431 del 1985, che è reato di pericolo presunto, non è necessaria l'astratta possibilità di alterazione dello stato dei luoghi, inteso come stravolgimento integrale della situazione pregressa, ma è sufficiente un vulnus minimo, purché apprezzabile, del paesaggio.
Fattispecie relativa a realizzazione, in assenza di concessione edilizia e di autorizzazione paesaggistica, di opere di ristrutturazione edilizia di due immobili già destinati ad uso agricolo con parziale mutamento di destinazione d'uso.
(Cass. pen., sez. III, 17.12.1998, n. 1150, CP, 1999, 3546).

Il reato di cui all'art. 1 sexies, l. n. 431/85, si consuma con la sola realizzazione di lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica ed ha natura perciò di reato di pericolo, che prescinde dall'alterazione concreta del paesaggio.
(Cass. pen. sez. VI, 24.7.1997, n. 8520, CP, 1999, 256).

Il reato di cui all'art. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431 non costituisce un reato di danno, bensì di pericolo che siano compiuti interventi in aree vincolate senza autorizzazione, a prescindere dall'esistenza di conseguenti alterazioni permanenti.
(Cass. pen., sez. III, 24.1.1994, CP, 1995, 1964).


14. I soggetti attivi.

Legislazione l. 28.2.1985, n. 47, artt. 6, 20, lett. c) - l. 431/1985, art. 1, sexies.
Bibliografia Assini Mantini 1997.

Sono responsabili di ogni inosservanza rispetto all’obbligo di eseguire le opere, previa concessione edilizia ed autorizzazione dell’autorità preposta al vincolo, e conformemente al provvedimento amministrativo rilasciato il committente, titolare della concessione, il direttore dei lavori e l’assuntore dei lavori, ex art. 6, l. 28.2.1985, n. 47 (Assini N. Mantini P. 1997, 683).
La giurisprudenza ritiene che il proprietario, per essere soggetto alla sanzione, deve essere a conoscenza dei lavori effettuati.

Il proprietario dell'area costruita abusivamente, il quale sia rimasto estraneo all'esecuzione dell'opera e non sia il committente dei lavori, non risponde del reato di esecuzione dei lavori in assenza di concessione, di cui all'art. 20 lett. b), l. 28.2.985 n. 47, che identifica l'autore materiale del reato in colui che esegue i lavori in assenza od in totale difformità della concessione.
Pertanto, nel caso di costruzione effettuata da terzi senza concessione, il proprietario dell'area è concorrente nel reato solo se riveste la qualità di committente dei lavori, spetta a quest'ultimo, infatti, verificare la conformità dell'opera alla concessione, a norma dell'art. 6, l. n. 47/1985, che non contempla espressamente il proprietario fra i destinatari del precetto.
(Cass. pen., sez. III, 1.6.1998, n. 1747, RP, 1998, 1008).

Il direttore dei lavori è responsabile dell'inosservanza delle leggi urbanistiche per effetto della comunicazione fatta al comune, anche se materialmente non dirige i lavori, fino a quando non comunichi all’ente locale la sua rinuncia all’incarico.

In tema di violazioni edilizie, la responsabilità penale del direttore dei lavori non può escludersi in relazione alla prospettazione del carattere meramente fittizio della prestazione, finalizzata ad un'ottemperanza soltanto formale di precetti normativi e regolamentari, tenuto conto della rilevanza che il rapporto di direzione dei lavori, consapevolmente assunto, acquista sul piano pubblicistico attraverso la comunicazione di esso al comune.
(Cass. pen., sez. III, 25.11.1997, n. 460, CP, 1999, 265).
Il direttore dei lavori è responsabile dell'inosservanza delle leggi urbanistiche, quando, senza che abbia formalizzato le dimissioni dall'incarico ricevuto, si disinteressi dell'esecuzione delle opere.
Infatti, l'art. 6, l. n. 47 del 1985, nel prevedere la responsabilità del medesimo, la esclude nella sola ipotesi in cui questi abbia contestato al committente ed all'assuntore la violazione delle prescrizioni della concessione, fornendo al sindaco contemporanea e motivata comunicazione.
La rinunzia all'incarico - o le dimissioni - deve essere rigorosamente provata e risultare ufficialmente, non essendo sufficiente un semplice accordo intervenuto tra gli interessati.
(Cass. pen., sez. III, 16.4.1997, n. 4535, CP, 1998, 2118).

A norma degli artt. 6 e 7 l. 28.2.1985 n. 47, sussiste a carico del proprietario dell'immobile una presunzione di responsabilità per gli abusi edili accertati, sicché l'interessato può sottrarsi a tale responsabilità soltanto dimostrando la sua estraneità rispetto all'abuso commesso da altri.
(Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 3.9.1997, n. 331, FA, 1998, 95).

L’obbligo sancito alle amministrazioni di tutelare le zone di particolare interesse ambientale prevede la responsabilità penale degli amministratori in concorso con gli esecutori.

Il sindaco che rilascia una concessione edilizia in zona vincolata concorre con il privato richiedente nel reato di cui agli artt. 1 sexies, l. 431/1985, e 20, lett. c), l. 47/1985.
(Pret. S. Anastasia, 11.11.1993, GM, 1994, 355).
15. La sanzione applicabile.

Legislazione l. 28.2.1985, n. 47, art. 20, lett. c) - l. 431/1985, art. 1, sexies.
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Mengoli 1997.

La sanzione applicabile è determinata con riferimento all’art. 20, l. 28.2.1985, n. 47.
Un indirizzo giurisprudenziale decisamente minoritario ritiene che la fattispecie di riferimento sia quella prevista dall’art. 20, lett. a), l. 28.2.1985, n. 47.

In caso di violazione dell'art. 1-sexies della l. 431 del 1985 la sanzione applicabile è quella dell'art. 20, lett. a), della l. 28.2.1985, n. 47, soltanto quando sia stata posta in essere una inosservanza delle modalità esecutive dell'autorizzazione paesistica.
Ovvero quando la modificazione ambientale, ai sensi della l. 431 del 1985, non venga realizzata con interventi edilizi, ma comporti egualmente un mutamento dell'assetto territoriale, secondo le destinazioni del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici e dei regolamenti locali, e del paesaggio quale recepito nel territorio sottoposto a vincoli ambientali, può essere applicata quale sanzione anche quella più lieve dell'art. 20, lett. a), l. 47 del 1985.
(Cass. pen., sez. III, 15.2.1994, RP, 1994, 1240).

La giurisprudenza prevalente ha ravvisato applicabile il reato di cui all'art. 20, lett. c), l. 47 del 1985.

In tema di protezione delle bellezze naturali l'unica sanzione applicabile alle violazioni dell'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985, è quella fissata dalla lett. c), art. 20, l. 47 del 1985.
L'argomento cardine resta quello della differente sostanza e valenza del paesaggio rispetto all'urbanistica, poiché tale diversità rende oggettivamente impraticabile ogni trasposizione, negli illeciti penali paesistici, degli istituti tipici dell'attività di trasformazione del territorio attraverso interventi urbanistico-edilizi.
La l. 1497 del 1939 ed il relativo regolamento di esecuzione, con le integrazioni introdotte dalla l. n. 431 del 1985, individuano le ipotesi in cui è necessaria l'autorizzazione paesaggistica.
In tutte queste ipotesi ogni intervento effettuato in carenza di tale provvedimento o in difformità di esso, purché abbia una oggettiva possibilità di impatto sul paesaggio, pone in pericolo il bene tutelato.
Estremamente logica è, dunque, la previsione di un unico regime sanzionatorio, correlato all'integrità ambientale quale bene unitario di rilevante entità sociale e qualificato da una pena edittale certamente consistente nel minimo della sua componente pecuniaria, ma che ha margini assai ampi di adattabilità alle più svariate peculiarità dei casi concreti, secondo i criteri di cui all'art. 133, c.p.
(Cass. pen., sez. III, 5.2.1998, n. 2704, RGE, 1999, I, 383).

L'unica sanzione applicabile alle violazioni dell'art. 1, sexies, l. n. 431 del 1985 è quella fissata dall’art. 20, lett. c), l. 47 del 1985.
La differente sostanza e valenza del paesaggio rispetto all'urbanistica rende oggettivamente impraticabile ogni trasposizione nella disciplina degli illeciti penali paesistici degli istituti tipici di trasformazione del territorio attraverso interventi urbanistico edilizi.
Il regime sanzionatorio del periodo di compromissione del paesaggio, qualora venga commisurato a quello delle violazioni urbanistico edilizie, resta necessariamente incompleto.
Estremamente logica è, pertanto, la previsione di un unico regime sanzionatorio, correlato all'integrità ambientale quale bene unitario di rilevante entità sociale.
(Cass. pen., sez. III, 21.11.1997, n. 2357, CP, 1999, 1580).

In tema di tutela del paesaggio la sola sanzione applicabile alle eterogenee violazioni dell'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985 è quella prevista dall'art. 20 lett. c), l. n. 47 del 1985, che è l'unico a riferirsi agli interventi eseguiti in zona soggetta a vincolo e costituisce un'ipotesi contravvenzionale autonoma rispetto all'art. 20, lett. a), mentre il richiamo contenuto nel citato art. 1 sexies è solo quoad poenam.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1998, n. 10433, RGE, 1999, I, 383. Cass. pen., sez. III, 31.1.1994, CP, 1995, 1605).

L'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, quale norma in materia ambientale, configura un autonomo precetto; il richiamo ivi operato all'art. 20, l. 20.2.1985, n. 47, va inteso unicamente quoad poenam; l'art. 20, l. 20.2.1985, n. 47, in quanto norma urbanistica, contempla sub a), b), c) fattispecie incriminatrici connotate da diverso disvalore ed aventi tutte ad oggetto condotte caratterizzate da un'attività di trasformazione del suolo qualificabile in senso lato come edilizia.
La sanzione richiamata dall'art. 1 sexies non può che essere quella di cui all'art. 20, lett. c), l. 20.2.1985, n. 47, in quanto è l'unica avente ad oggetto interventi in zone sottoposte a vincolo paesistico.
Per la sussistenza dell'elemento materiale del reato previsto dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, occorre un'inosservanza delle disposizioni di tale legge e dell'obbligo di richiedere l'autorizzazione di cui all'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, che si sia materializzata nell'esecuzione di lavori o di attività comportanti una modificazione ambientale.
(Pret. Alessandria, 30.3.1992, GI,, 1992, 917).

La giurisprudenza non è univoca nel consentire, nel reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985 n. 431, la sostituzione della pena detentiva breve - nel limite di tre mesi - con la pena pecuniaria.

Non è applicabile al reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985 n. 431 il divieto della sostituzione della pena detentiva breve, di cui all'art. 53, l. 24.11.1981, n. 689, riguardante i reati previsti dalle leggi in materia edilizia ed urbanistica.
Infatti alla disposizione del citato art. 53, che prevede eccezioni alla regola generale della sostituibilità delle pene detentive brevi, deve essere data una interpretazione restrittiva, così che il divieto non può riguardare i reati paesaggistici, che si differenziano da quelli in materia edilizia ed urbanistica.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1998, n. 10433, CP, 1999, 2640).

La preclusione, prevista dall'art. 60, 3° co., l. 24.11.1981, n. 689, alla sostituzione delle pene detentive brevi per i reati in materia edilizia ed urbanistica si deve ritenere estesa anche ai reati in materia ambientale. Nella specie, la contravvenzione di cui agli artt. 1, lett. g), e 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431.
Infatti, la materia urbanistica, coincidente con l'assetto complessivo del territorio, comprende anche la materia ambientale.
(Cass. pen., sez. III, 10.11.1998, n. 2950, DPP, 1999, 612).

La giurisprudenza unanimemente non ritiene applicabile la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità alle contravvenzioni.

La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all'art. 62, n. 4 c.p. concerne soltanto i delitti e pertanto non è applicabile alle contravvenzioni.
In particolare non è applicabile al reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, che oltretutto è un reato di pericolo e non di danno.
(Cass. pen., sez. III, 2.12.1997, n. 3010, CP, 1999, 1234).



16. Sentenza penale di condanna e di rimessione in pristino.

Legislazione c.p., art. 185, c.p.p., 444 - l. 431/1985, art. 1, sexies.
Bibliografia Mengoli 1997.

L’art. 1 sexies, l. 431/1985 prevede che con la sentenza di condanna venga ordinata la rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato (G.C. Mengoli 1997, 438).
La giurisprudenza ha assimilato alla sentenza di condanna anche quella di patteggiamento.

L'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disposto dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, va emesso anche con la sentenza emanata a norma dell'art. 444, c.p.p., perché detto ordine non è una pena accessoria, ma ha natura di sanzione amministrativa irrogabile dal giudice ordinario.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1998, n. 2470, CP, 1999, 3228).

L'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi disciplinato dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, avendo natura non di pena accessoria, ma di sanzione amministrativa, la cui applicazione è una conseguenza obbligata della sentenza di condanna, deve essere disposto anche a seguito della sentenza di "patteggiamento", che è equiparata alla sentenza di condanna ad ogni effetto non espressamente escluso dalla legge o che non presupponga un accertamento cognitione plena della responsabilità penale.
A nulla rileva che esso non abbia formato oggetto dell'accordo, trattandosi di atto dovuto e sottratto alla disponibilità delle parti, del quale l'imputato deve tenere conto nell'attivare la procedura alternativa in questione.
(Cass. pen., sez. VI, 19.12.1997, n. 3228, CP, 1999, 1233).

La sentenza di patteggiamento che ometta di provvedere sulla rimessione in pristino è soggetta ai normali mezzi di impugnazione.

Spetta al p.m. dare esecuzione all'ordine di demolizione, ex art. 7, l. 28.2.1985, n. 47, e di rimessione in pristino, ex art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, contenuto nelle sentenze penali passate in giudicato mentre la mera presentazione di ricorsi amministrativi e la sussistenza di diritti reali di garanzia non costituiscono fattori ostativi all'esecuzione dell'ordine di demolizione e di ripristino ambientale.
(Corte App. Cagliari, 8.3.1999, RGA, 1999, 919).

La natura della sanzione della remissione in pristino è di tipo amministrativo, non solo per alcune analogie con la sanzione amministrativa della demolizione ma anche perché l'art. 15, l. n. 1497 del 1939 già prevedeva la sanzione ripristinatoria della demolizione di opere abusive sul paesaggio e la giurisprudenza amministrativa ne aveva dichiarato esplicitamente la sua natura amministrativa anche in ipotesi di semplici modificazioni ambientali.
L'esecuzione del provvedimento non è raccordato con la natura della sanzione.
Il giudice penale ha un potere autonomo conferitogli dalla legge, ex art. 655 c.p.p., a conoscere l'esecuzione dei provvedimenti.
Spetta al p.m., costituito presso tale giudice, di curare d'ufficio l'esecuzione dei provvedimenti di questi.
Una diretta attribuzione all'autorità amministrativa della competenza a curare l'esecuzione sarebbe sostenibile solo se la legge lo prevedesse espressamente.
Non è escluso un ruolo collaborativo con la p.a. fermo rimanendo il principio che il ripristino debba essere curato dal p.m., adendo al giudice dell'esecuzione, ex art. 666, c.p.p.
(Cass. pen., sez. III, 22.2.1996, n. 862, DGA, 1997, 651).

L'ordine di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi, disciplinato dall'art. 1-sexies, l. 431/1985, ha natura di sanzione penale, in quanto è applicato dal magistrato ordinario, come conseguenza obbligata della sentenza di condanna ed è espressione di un potere non meramente surrogatorio, ma primario, esclusivo, autonomo e più ampio rispetto a quello della p.a., che è invece limitato alla demolizione.
Detto ordine, pur non essendo inquadrabile negli schemi pregressi, è pur sempre sanzione penale tipica.
E', quindi, da escludere il carattere di sanzione civile, poiché il ripristino, di cui all'art. 185 c.p., pur se determinato dallo stato antigiuridico, prodotto dal reato, è connesso con un diritto puramente privato, esercitato mediante un'azione giudiziaria, anche essa privata.
E' da negare altresì il carattere di pena accessoria, poiché per la sua configurabilità è necessaria una specifica previsione legislativa per il principio di tassatività.
Ne deriva che con la sentenza di condanna deve essere, in ogni caso, ordinato il ripristino, come statuizione consequenziale ed obbligatoria.
Nella specie l'imputato aveva proposto ricorso avverso la sentenza, con la quale il pretore aveva applicato la pena su richiesta delle parti, limitatamente all'ordine di rimessione in pristino.
La Corte, nell'affermare il suddetto principio, ha ribadito che la sentenza di patteggiamento ha natura di pronunzia di condanna.
(Cass. pen., sez. III, 17.11.1992, CP, 1994, 1626).

L’ordine di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi deve essere sempre disposto con la sentenza di condanna; l’ordine di demolizione, invece, deve essere disposto soltanto nel caso di inerzia della pubblica amministrazione.
Il contenuto dell'ordine di ripristino poi è molto ampio e complesso e può non coincidere con quello impartito dalla pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, la quale, nella sede paesistica, ha facoltà o di imporre soltanto la demolizione ovvero di chiedere il semplice pagamento di un'indennità.
In campo edilizio, invece, l'ordine del giudice e quello della pubblica amministrazione hanno identica portata.
L'ordine de quo costituisce, quindi, una nuova forma di sanzione penale con caratteri spesso simili a quelli dell'analogo provvedimento amministrativo.
Esso non è classificabile secondo gli schemi pregressi, ma è pur sempre conforme al principio di legalità.
Ne deriva che la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'eliminazione delle conseguenze dannose e quindi al ripristino dello stato originario dei luoghi.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1992, GI, 1994, II, 349).


17. le funzioni del giudice dell’esecuzione.

Legislazione c.p., 165 - l. 431/1985, art. 1 sexies, 2° co.
Bibliografia Mengoli 1997.

La giurisprudenza ha ribadito la natura amministrativa della remissione in pristino sulla quale il giudice dell’esecuzione ha la possibilità di incidere in relazione alla situazione successivamente verificatasi, ad esempio per una diversa prospettazione dell’autorità amministrativa o di un annullamento dei provvedimenti di autotutela della autorizzazione paesistica (G.C. Mengoli 1997, 440).

L'art. 1, sexies, 2° co., l. n. 431 del 1985, disciplina la rimessione in pristino quale sanzione amministrativa comminata dal giudice penale.
La natura della sanzione impedisce, quindi, che, sulla relativa pronuncia giurisdizionale, si formi giudicato, con conseguente possibilità di revoca della stessa ogni qual volta la competente autorità amministrativa si pronunci in termini incompatibili con la permanenza della sanzione, come nel caso in cui - in sede di sanatoria ambientale - l'opera venga ritenuta compatibile con l'assetto paesaggistico dell'area interessata.
(Cass. pen., sez. III, 4.2.1999, n. 441, RGP, 1999, 747).

Deve ritenersi legittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'ordine di rimessione in pristino previsto dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431.
E’ sicuramente possibile l'utilizzazione del disposto dell'art. 165, c.p., rivolto a rafforzare il ravvedimento del condannato, poiché la non autorizzata mutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, ben può comportare conseguenze dannose o pericolose.
La sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di giustizia sotteso all'esercizio dell'azione penale.
L'obbligo di ripristino si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della p.a. e delle valutazioni della stessa, configurandosi come conseguenza necessaria sia dell'esigenza di recuperare l'integrità dell'interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore ha dato all'attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare interesse ambientale.
(Cass. pen., sez. III, 20.2.1998, n. 4135, CP, 1999, 1233).



1.      IL CONTROLLO SUI BENI AMBIENTALI




5.3. La tutela dei beni ambientali.


La tutela dei beni paesaggistici è affidata congiuntamente al Ministero e alle Regioni, ex art. 132, D.L.vo 42/2004.
La tutela ha ad oggetto i beni di interesse paesaggistico individuati dal procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, i beni tutelati per legge ed i beni inseriti nel piano paesaggistico, vedi Cap. 5.1.8 e segg.
Ogni intervento sull’immobile deve essere autorizzato dalla competente autorità. N. CENTOFANTI, La tutela ambientale nella giurisprudenza, 2001, 27 e 34.

5.3.1. L’ordine di demolizione.

L’ordine di demolizione è il rimedio normale per reprimere gli interventi abusivi realizzati sui beni paesaggistici.
Non è richiesto il preventivo ordine di sospensione dei lavori
Costituisce motivazione sufficiente la constatazione del contrasto fra l’opera abusiva e le caratteristiche della zona protetta.
La demolizione delle opere, abusivamente eseguite in spregio della tutela delle bellezze panoramiche, costituisce sanzione propriamente preordinata al ripristino dello stato dei luoghi turbato dalla illecita costruzione, restando nella discrezionalità dell'amministratore applicare la sanzione patrimoniale pecuniaria quando la lesione arrecata all'ambiente paesaggistico sia di limitata entità, sulla base di valutazione non sindacabile nel giudizio di legittimità. (Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 1993, n. 290, in Foro amm., 1993, 737).
La demolizione di un'opera edilizia realizzata senza autorizzazione o concessione edilizia, ora permesso di costruire, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico è legittimamente ordinata se, tenuto conto del grave pregiudizio dei valori paesaggistici, provocato dall'opera stessa, sia stato ritenuto di non applicare, in alternativa, la sanzione pecuniaria. (Cons. Stato, sez. II, 16 maggio 1990, n. 242, in Cons. Stato, 1993, I, 1046).
Al fine dell'irrogazione della sanzione della demolizione è necessaria e sufficiente la constatazione dell'esistenza di un contrasto tra l'opera abusiva e le caratteristiche della zona protetta, rilevata dall'organo tecnico, non essendo consentito all'amministrazione di valutare l'opportunità di disporre o meno la sanzione in ragione della già avvenuta compromissione della zona stessa, con il risultato di sostituire il proprio giudizio sul valore ambientale della zona protetta a quello espresso nella competente sede in occasione dell'imposizione del vincolo. (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 22 ottobre 1990, n. 1120, in T.A.R., 1990, I, 4266).
La mancanza ovvero l’inadeguatezza della motivazione è sufficiente per poter fare dichiarare la illegittimità del provvedimento.
Il provvedimento di demolizione deve concedere al trasgressore un termine per l’esecuzione dello stesso.
In caso di inadempienza si procede d’ufficio a mezzo del Prefetto, con l’addebito delle spese sostenute, ex art. 167, c. 3 D.L.vo 42/2004.



5.3.2. Il potere sostitutivo del dirigente regionale..

Qualora l'autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d'ufficio è previsto l’intervento sostitutivo del direttore regionale competente
Egli può iniziare il procedimento su richiesta della medesima autorità amministrativa ovvero direttamente in caso di inerzia dell’amministrazione competente.
Nel secondo caso devono essere decorsi centottanta giorni dall'accertamento dell'illecito e deve essere previamente diffidata l’autorità competente.
Dell’avvio del procedimento deve essere avvisato il responsabile dell’abuso,
ex art. 167, c. 3, mod. art. 1, c. 36, L. 15 dicembre 2004, n. 308.
Il termine di trenta giorni per procedere alla demolizione deve considerarsi ordinatorio.

5.3.3. La sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

L’art. 167, D. L.vo 42/2004, attribuisce alla autorità amministrativa preposta al vincolo una scelta discrezionale sulle modalità relative alla repressione dell’abuso sui beni ambientali, concedendole la facoltà di valutare se procedere alla demolizione delle opere o alla irrogazione di una sanzione pecuniaria.
La sanzione pecuniaria rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, vale a dire in caso di compromissione dell'integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti formali, quale è da ritenersi il caso di violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione. (Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2000, n. 6469, in Riv. giur. ed., 2001, I, 482).
Vi è discordanza nella giurisprudenza riguardo all’interpretazione della norma che demanda alla discrezionalità dell’amministrazione la scelta, mentre vi è assoluta concordanza sull’obbligo di emanare il provvedimento sanzionatorio.
Una prima interpretazione più rigorosa vede la logica conseguenza dei provvedimenti repressivi nella demolizione delle opere abusive, salvo la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria quando ricorrano particolari circostanze, adeguatamente motivate, che escludano la necessità di procedere alla demolizione. (Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 1972, n. 193, in Riv. giur. ed., 1972, 775).
Una seconda interpretazione più permissiva afferma che la sanzione pecuniaria mira a colpire coloro che non ottemperano agli obblighi e agli ordini contenuti nella legge stessa e va applicata anche in presenza del solo comportamento colposo o doloso di chi ha commesso l'abuso, prescindendo dal danno ambientale. (Cons. Stato, sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184, in Dir. e giur. agr., 2001, 281).
Essa costituisce non già una forma di risarcimento danni, ma una vera e propria sanzione amministrativa. (Cons. Stato, sez. VI, 9 ottobre 2000, n. 5386, in Giur. boll. legisl. tecn., 2001, 160).
Nel caso di irrogazione della sanzione pecuniaria essa è calcolata stabilendo una cifra pari alla maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito sulla base di una perizia di stima.
E’ pacifico il collegamento dell’indennità con criteri obiettivi di valutazione.
L'indennità di tipo risarcitorio del danno cosiddetto ambientale, nell'ambito di un procedimento amministrativo di tipo autoritativo, deve essere collegata a criteri obiettivi di valutazione e non può richiamarsi a generici criteri equitativi. (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 20 gennaio 1992, n. 9, in Foro amm., 1992, 2015).
La quantificazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15, L. 1497 del 1939 (ed ora dall'art. 167, D.L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio), è determinata ai sensi dell'art. 2, D.M. 26 settembre 1997, previa apposita perizia di valutazione del danno causato dall'intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio vincolato ed alla normativa di tutela vigente sull'area interessata, nonché mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive. Tuttavia, poiché tale quantificazione non può essere oggetto di una dimostrazione articolata ed analitica, sfuggendo il danno paesistico ad una indagine dettagliata e minuta, la relativa valutazione può essere censurata solo per manifesta illogicità. (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11 novembre 2004, n. 16752, in Foro amm. TAR, 2004, 3438).
In un primo tempo la giurisprudenza, decidendo sulla legittimità del D.M. 24 settembre 1997, n. 1698900, ha affermato che l’indennità risarcitoria presuppone l'esistenza del danno ambientale e il suo conseguente accertamento, anche se esso non è di tale rilevanza da richiedere la demolizione delle opere da realizzare.
E’ stato quindi dichiarato illegittimo il D.M. 26 settembre 1997 nella parte in cui prevede l'applicazione della sanzione anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale. (T.A.R. Lazio, sez. II, 21 giugno 1999, n. 1531, in Riv. giur. ed., 2000, I, 304).
Successivamente è stato precisato che la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15, L. 1497 del 1939 - ed ora dall'art. 167, D.L.vo. 22 gennaio 2004, n. 42 - è diretta a reprimere, con effetto deterrente oltre che ripristinatorio, ogni tipo di violazione sia sostanziale (per l'effettivo contrasto della costruzione con i valori paesistici ed ambientali della zona) sia formale (per l'omessa acquisizione del nulla osta paesistico).
Essa è dovuta anche in mancanza di un concreto danno ambientale, dovendo, in tal caso, essere commisurata al profitto conseguito. (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11 novembre 2004, n. 16752).
L’indennità ha tutt’altra natura rispetto all’oblazione prevista dalla L. 47/1985 sul condono.
L'indennità è diretta a colpire l’alterazione del territorio operata dall'intervento abusivo, al fine di reintegrare il valore patrimoniale del bene pubblico compromesso dall'intervento dannoso, e differisce dall'oblazione di cui all'art. 34 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, che assorbe esclusivamente le sanzioni pecuniarie legate all'illecito urbanistico.
L'art. 32, L. 28 febbraio 1985, n. 47, ha esteso la possibilità di condono anche alle opere realizzate su aree sottoposte a vincolo previo rilascio del parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.
L’indennità rimane applicabile anche nell’ipotesi di rilascio della concessione in sanatoria.
Legittimamente, quindi, il provvedimento di sanatoria di una costruzione abusiva realizzata su un'area sottoposta a vincolo paesaggistico è condizionato al pagamento della indennità di cui alla L. 1497/1939. (Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 1990, n. 189, in Dir. giur. agr., 1993, 442).
L'ammissibilità di un'autorizzazione paesaggistica postuma, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell'art. 13, L. 47 del 1985, non pregiudica il residuare del potere dovere dell'autorità competente di procedere all'applicazione della sanzione di cui all'art. 15, L. 1497 del 1939. (Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2000, n. 6469, in Riv. giur. ed., 2001, I, 481).
E’ conforme la giurisprudenza nel ritenere che sussista in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo.



5.3.4. La legislazione regionale.

Per quanto riguarda le sanzioni amministrative a tutela del paesaggio l’art. 83, L. R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, dispone che l'applicazione della sanzione pecuniaria, prevista dall'articolo 167 del D.L.vo 42/2004, in alternativa alla rimessione in pristino, è obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale; essa, in tale caso, deve essere quantificata in relazione al profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore a cinquecento euro.
La dottrina nota che il principio della proporzionalità della sanzione al profitto conseguito è di carattere speciale rispetto al principio sancito dall’art. 11, L. 689/1981 che ritiene invece si debba - nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria - avere riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche. S. RAIMONDI, Sanzioni amministrative a tutela del paesaggio, in Governo del Territorio, a cura di V. ITALIA, 2005, 781.
Le sanzioni devono esse applicate dalla Commissione per il paesaggio istituita ad hoc dall’art. 83, L. R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12.


5.4. Costruzioni abusive in aree demaniali.

L’art. 14, della L. 47/1985, sost. art. 35, c. 1, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, disciplina una particolare forma di controllo sulle costruzioni abusive realizzate su aree dello Stato.
Le opere eseguite da terzi in assenza di concessione, ora permesso di costruire, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti territoriali sono demolite a spese del responsabile dell’abuso.
La demolizione è eseguita a cura del comune.
Qualora sia stata svolta un'attività edilizia abusiva su un terreno demaniale, si è in presenza di un fatto che giustifica - senza che occorrano altre valutazioni - l'ordine di demolizione dell'immobile abusivo. (Cons. giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 14 giugno 1999, n. 280, in Giur. boll. legisl. tecn., 1999, 322).
L'art. 14, L. 28 febbraio 1985, n. 47 - che è norma speciale rispetto all'art. 7, che in caso di inadempienza all'ordine di demolizione di opere edilizie abusive prevede l'acquisizione dell'area di sedime – afferma che, qualora sia accertata l'esecuzione di opere da parte di soggetti diversi dalle amministrazioni statali in assenza di concessione, ovvero in totale o parziale difformità dalla medesima, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il Sindaco deve ordinare, dandone comunicazione all'Ente proprietario del suolo previa diffida al responsabile dell'abuso, la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi; in difetto, la demolizione è eseguita a cura del Comune ed a spese dei responsabili dell'abuso. (T.A.R. Toscana sez. II, 3 dicembre 1997, n. 760, in T.A.R., 1998, I, 603).
Il potere di tutela amministrativa sui beni demaniali trova la sua fonte nel c.c.
La giurisprudenza ha affermato che è legittimo l'ordine comunale di demolizione di opere edilizie abusive realizzate sul demanio lacuale, ancorché richiesto dalla p.a. proprietaria del bene occupato, in quanto l'illiceità delle opere predette impone l'intervento repressivo del comune
Il potere d'autotutela amministrativa, ex art. 823, c. 2, c.c., per la sua applicabilità generale, costituisce ipotesi autonoma e non conflittuale con ogni altra regola che miri alla tutela del demanio. (Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 2000, n. 2428, in Foro amm., 2000, 1325).




5.5. La tutela delle aree protette da parte dell’Ente parco.

La tutela delle aree protette è realizzata dalla L. 6 dicembre 1991, n. 394 con la istituzione di parchi nazionali, costituiti con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Ambiente, sentita la regione, e gestiti dall’Ente parco la cui composizione è espressamente prevista dalla stessa legge.
Ogni concessione o autorizzazione relativa ad opere all’interno del parco deve essere sottoposta al preventivo nulla osta dell’ente.
La giurisprudenza ha precisato che il nulla osta previsto dall'art. 13 della L. 6 dicembre 1991, n. 394, è necessario solo in presenza di una disciplina partecipata del parco, in assenza della quale la predetta autorizzazione si risolverebbe in un mero formalismo, essendo esclusivamente collegata alla verifica della conformità dell'intervento progettato alle disposizioni del piano e del regolamento del parco.
Esse si pongono, quali strumenti fondamentali di conformazione del territorio e come dispositivi per la composizione degli interessi globalmente presenti nell'area protetta. (Cass. pen., sez. III, 27 giugno 1995, in Riv. pen., 1995, 1436).
L'operatività dell'art. 13, c. 1, L. 6 dicembre 1991, n. 394, non è subordinata alla previa approvazione del nuovo piano e del nuovo regolamento del parco, previsti dagli articoli 11 e 12 L. 394/1991.
In mancanza di detta approvazione occorre, infatti, fare riferimento ai piani paesistici, territoriali o urbanistici ed agli altri eventuali strumenti di pianificazione di cui si fa menzione nel succitato art. 12, c. 7, L. 6 dicembre 1991, n. 394, i quali restano in vigore fino al momento della loro prevista sostituzione con il nuovo piano. (Cass. pen., sez. III, 27 maggio 1999, n. 11537, in Cass. pen., 2001, 269).
E' necessario il rilascio del nulla osta dell'Ente Parco anche per le opere da realizzare all'interno di Parchi già esistenti ed in mancanza di nuovi piani del Parco e regolamenti: l'art. 13, c. 1, L. 394 del 1991, pone, infatti, un incondizionato obbligo di subordinare la realizzazione di impianti, opere o interventi all'interno del Parco al preventivo nulla osta, a prescindere dalla sussistenza di un nuovo piano e del relativo regolamento.
Una diversa interpretazione, infatti, introdurrebbe un limite di dubbia costituzionalità all'obbligatorietà di una legge penale, eventualmente circoscritta ai soli Parchi retti dalle Amministrazioni più diligenti nell'ottemperare alle disposizioni della L. 394/1991 e non operante nei territori di tutti gli altri, perciò lasciati, anche con riguardo alle zone più protette, alla variabile iniziativa individuale ed estemporanea di privati e di enti locali. (Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 1999, in Urb. app., 2000, 213).
Il nulla-osta è regolato dal sistema del silenzio assenso, conseguentemente la giurisprudenza ha precisato che l’art. 13 della L. 6 dicembre 1991, n. 394 prevede che il nulla-osta necessario per l'edificazione nell'ambito dei parchi nazionali, qualora non intervenga entro il termine di 60 giorni, decorrente dalla presentazione della domanda, si intende assentito; pertanto, è illegittimo il provvedimento di diniego del nulla-osta adottato dall'ente parco dopo la scadenza del detto termine. (T.A.R. Abruzzo, sez. L'Aquila, 24 settembre 1993, n. 434, in T.A.R., 1993, I, 4148).”
Il presidente dell’Ente parco vigila sulle attività difformi dal nulla osta o realizzate in carenza del suo rilascio, dispone l’immediata sospensione dell’attività medesima ed ordina in ogni caso la riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore. In caso di inottemperanza egli provvede all’esecuzione in danno, ai sensi dell’art. 29 della L. 394/1991.
L’art. 30, c. 2, L. 6 dicembre 1991, n. 394, prevede sanzioni pecuniarie per la violazione delle norme emanate dagli organi di gestione che vanno da lire cinquantamila a lire due milioni.
La giurisprudenza costituzionale ha precisato che tali disposizioni non sono in contrasto con lo statuto speciale per la regione Trentino Alto Adige e relative norme di attuazione, poiché i citati articoli hanno valore dispositivo e sono quindi applicabili, nel caso di ambienti naturali di rilievo regionale, solo allorché le regioni non vi abbiano provveduto con apposite norme. (Corte Cost., 27 luglio 1992, n. 366, in Cons. Stato, 1992, II, 1107).
5.5.1. Il potere di vigilanza del Ministro dell'ambiente.

La vigilanza sulla gestione delle aree protette è esercitata per quelle terrestri dal Ministro per l’ambiente e per le aree marine congiuntamente dal Ministro per l’ambiente e dal Ministro per la marina mercantile.
E’ stata posta la questione di legittimità costituzionale di tale attribuzione, per contrasto con le competenze regionali, da parte di alcune regioni a statuto speciale.
La Corte Costituzionale ha precisato che l'art. 21 della L. 6 dicembre 1991, n. 394, che attribuisce al Ministro dell'ambiente il potere di vigilanza, tramite il corpo forestale, sulla gestione delle aree naturali protette di interesse nazionale ed internazionale, non è in contrasto con lo statuto del Trentino Alto Adige, rientrando i compiti di vigilanza ivi previsti nelle competenze statali. (Corte Cost., 27 luglio 1992, n. 366, in Riv. giur. ed., 1992, I, 779).


5.6. Le acque pubbliche.

La tutela del demanio idrico si traduce in un regime di limitazioni all’esercizio dello ius aedificandi che è rappresentato da una normativa che precisa le distanze da osservarsi a rispetto dello stesso. N. ASSINI E P. MANTINI, Manuale di diritto urbanistico, 1997, 537.
L’art. 822 c.c. definisce acque pubbliche i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque dichiarate pubbliche dalle leggi in materia.
L’art. 1, R.D. 1775/1933, precisa che sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, le quali siano destinate ad usi di pubblico e generale interesse. G. TORREGROSSA, Opere idrauliche, in Enc. Giur., XXI, 1990, 1.
L’art. 96, del R.D. 25 luglio 1904, n. 523, prevede il divieto di realizzare ogni opera che possa limitare il libero deflusso delle acque, come, ad esempio, piantare alberi o intraprendere qualsiasi movimento del terreno ad una distanza inferiore a 4 metri o costruire ad una distanza dagli argini che sia minore di 10 metri.
La norma ha lo scopo di prescrivere una fascia lungo i medesimi canali di bonifica per consentire le normali opere di ripulitura e manutenzione. (Trib. sup. acque, 29 aprile 2002, n. 58, in Foro Amm. CDS, 2002, 1065).
Essa, pertanto, si applica anche se gli argini sono di natura artificiale poiché assume rilevanza la funzione oggettiva dell’opera.
Il R.D. 25 luglio 1904, n. 523, non fa alcuna distinzione tra argini naturali ed artificiali.
La norma ha retto alle censure di legittimità costituzionale in quanto la distanza minima di quattro metri, in carenza di normativa di piano, è stata ritenuta congrua anche quando non sia dimostrata, caso per caso, la effettiva pericolosità. (Corte cost., 3 dicembre 1987, n. 471, in Giust. Civ., 1987).


5.6.1. L'autorizzazione idraulica.

Il regime delle acque pubbliche è soggetto a particolari tutele.
L’art. 96, R.D. 523/1904, prevede il divieto di realizzare opere a ridosso del piede degli argini o delle sponde dei corsi d’acqua; mentre l’art. 97, R.D. 523/1904 elenca le opere che si devono eseguire con speciale permesso del prefetto e con l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte. C. COSENTINO E F. FRASCA, Commento all’art. 5, in Italia V. (a cura di) Testo unico sull’edilizia 2002, 79).
Tali opere - indicate tassativamente - sono, fra l’altro: la realizzazione di pennelli, chiuse ed altre simili opere nell'alveo dei fiumi e torrenti; la formazione di riparti a difesa delle sponde; i dissodamenti dei terreni boscati e cespugliati laterali ai fiumi e torrenti; le piantagioni a protezione dalle alluvioni a qualsivoglia distanza dalla opposta sponda; il trasporto in altra posizione dei molini natanti eseguiti sia con chiuse sia senza chiuse; l'estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici; l'occupazione delle spiagge dei laghi con opere stabili.
L'autorizzazione idraulica prescritta dal T.U. 25 luglio 1904, n. 523, ha l'evidente scopo di prevenire possibili pericoli per la corretta e regolare regolazione delle acque. (Trib. sup.re acque, 8 maggio 2002, n. 65, in Foro Amm. CDS, 2002, 1356).
Per quanto riguarda l’estrazione dall'alveo dei fiumi e torrenti di ghiaia e sabbia, ai sensi dell'art. 97, R.D.. 25 luglio 1904, n. 523, la giurisprudenza ha precisato che la concessione amministrativa è richiesta in relazione all'uso eccezionale del bene pubblico che il privato intenda fare nel proprio interesse.
Detto uso comporta il pagamento di un canone ed il previo accertamento che esso non leda i preminenti interessi pubblici attinenti alla salvaguardia del regime delle acque, mentre la suddetta concessione non deve ritenersi necessariamente richiesta ove l'estrazione si colleghi, con carattere di necessità, al compimento di un'opera idraulica sul fiume o torrente. (Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 1998, n. 12332, Giust. Civ. Mass., 1998, 2544).

  
5.6.2. Le sanzioni amministrative.

L’art. 2 del T.U.. 25 luglio 1904 n. 523, demanda esclusivamente all'autorità amministrativa statale il compito di provvedere alle opere - di qualunque natura esse siano - che possono aver relazione col buon regime delle acque pubbliche, con la difesa e la conservazione delle sponde e con qualunque opera realizzata entro gli alvei o contro le sponde.
Quando dette opere, usi, atti, fatti siano riconosciuti dall'autorità amministrativa come dannosi al regime delle acque pubbliche, essa sola è competente per ordinarne la modificazione, la cessazione, la distruzione.
La specifica competenza statale in tema di controllo sull'esecuzione di opere che possano incidere anche indirettamente sul regime dei corsi d'acqua non è venuta meno con l'entrata in vigore del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, non rientrando essa nell'ambito delle materie trasferite o di quelle delegate alle regioni. (Trib. sup.re acque, 13 ottobre 1999, n. 117, in Cons. St., 1999, II, 1562).

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