giovedì 4 ottobre 2012

Tutela Ambiente. 10 IL CONTROLLO DELL’ATMOSFERA.


CAPITOLO X
IL CONTROLLO DELL’ATMOSFERA.

SOMMARIO: 1. Le funzioni dello Stato, delle regioni e dei comuni.
2. I piani per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria nel d.p.r. 203/1988.
2.1. Le direttivie europee.
3. L’autorizzazione per l’esercizio di impianti industriali.
4. Le sanzioni amministrative.
5. Le sanzioni penali. La costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione.
5.1. L’esercizio di impianto esistente senza autorizzazione.

1. Le funzioni dello Stato, delle regioni e dei comuni.

Legislazione d.p.r. 24.5.1988, n. 203, artt. 3, 4, 6, 7, 10.
Bibliografia Bertolini 1989 - Salvia Teresi 1998.

La legge antismog 615/1966 è stata sostituita dal d.p.r. 24.5.1988, n. 203, che reca norme in materia della qualità dell’aria in rapporto all’inquinamento, e dall’atto di indirizzo per la sua attuazione, approvato con d.p.c.m. 21.7.1989.
Il d.p.r. 24.5.1988, n. 203, all’art. 1, assume un concetto ampio di inquinamento atmosferico, con la conseguenza della sottoposizione alla suddetta disciplina normativa di tutte le attività degli impianti destinati alla produzione, al commercio, all'artigianato, ai servizi da cui derivi anche soltanto uno degli effetti contemplati, come l’alterazione delle normali condizioni ambientali, l’alterazione della salubrità, un pericolo o un danno alla salute, l’alterazione di risorse biologiche ed ecoesistenti, la compromissione di usi legittimi da parte di terzi.

Per aversi inquinamento atmosferico non è necessario il pericolo di danno alla salute dell'uomo, per la presenza di sostanze inquinanti o tossiche o nocive, ma è sufficiente che l'alterazione dell'atmosfera incida negativamente sui beni naturali o anche semplicemente sull'uso di essi.
(Cass. pen., sez. I, 7.6.1996, RP, 1996, 1097).

Il d.p.r. 24.5.1988, n. 203, assume un concetto ampio di inquinamento atmosferico con la conseguenza della sottoposizione alla disciplina normativa di tutte le attività degli impianti destinati alla produzione, al commercio, all'artigianato, ai servizi da cui derivi anche soltanto uno degli effetti contemplati: alterazioni delle normali condizioni ambientali, alterazioni della salubrità, pericolo o danno alla salute, alterazione di risorse biologiche ed ecosistemi, compromissione di usi legittimi da parte di terzi. Per aversi inquinamento atmosferico non è necessario, pertanto, il pericolo di danno alla salute dell'uomo per la presenza di sostanze inquinanti o tossiche o nocive, ma è sufficiente che l'alterazione dell'atmosfera incida negativamente sui beni naturali o anche semplicemente sull'uso di essi.
(Cass. pen., sez. I, 12.4.1996, n. 5702, CP, 1997, 531).

Il d.p.r. 24.5.1988, n. 203, in materia di tutela della qualità dell'aria, ai fini della protezione della salute e dell'ambiente su tutto il territorio nazionale, adotta un concetto di inquinamento atmosferico riferito ad "ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell'aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell'aria; da costituire pericolo, ovvero, pregiudizio diretto od indiretto per la salute dell'uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell'ambiente, alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati".
Si tratta di una concezione integrata ispirata alla protezione della risorsa naturale in sé, nella sua specificità naturale, attraverso la prevenzione, in quanto si tenda ad evitare non solo il danno rilevante, ma anche la semplice modificazione od alterazione del normale stato fisico naturale, per il pericolo di negativi effetti sull'uomo e sulla natura.
(Cass. pen., sez. III, 3.5.1995, n. 7692, RPE, 1997, 88).

Il sistema ripartisce le funzioni fra Stato, regioni e comuni (Salvia F. Teresi F., 1998, 333).
Lo Stato deve fissare gli standard di qualità dell’aria indicando i valori limite, che sono i livelli massimi di accettabilità delle concentrazioni prodotte dagli impianti industriali.
Gli artt. 3 e 4 del d.p.r. 24.5. 1988, n. 203 hanno attribuito al Ministro dell'ambiente il potere di fissare ed aggiornare i valori-limite della qualità dell'aria, validi per tutto il territorio nazionale, e di stabilire le linee guida per il contenimento delle emissioni degli impianti industriali, salva la facoltà delle regioni di stabilire limiti più restrittivi.

La ripartizione delle competenze tra Stato e regioni in relazione alla tutela dell'ambiente dall'inquinamento atmosferico è definita dagli artt. 3 e 4, d.p.r. 24 .5.1988, n. 203, emanato in attuazione delle direttive CEE n. 80/799, 82/884, 84/360 e 85/203, con attribuzione allo Stato della determinazione delle linee guida e dei valori minimi e massimi di emissione per ogni tipo di sostanze inquinanti e alle regioni della competenza a fissare valori di emissione per categorie di impianti e per sostanze inquinanti, nel quadro delle direttive e di limiti posti dallo Stato.
Le competenze regionali possono, pertanto, essere esercitate solo all'interno degli spazi posti dallo Stato nello svolgimento delle proprie attribuzioni, con la conseguenza che le regioni sono poste in grado di esercitare le competenze previste dall'art. 4, d.p.r. n. 203/1988, soltanto dopo che lo Stato stesso abbia determinato i valori limite, minimi e massimi, di propria spettanza.
(T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 10.1.1994, n. 2, T.A.R., 1994, I, 1059).

Gli artt. 3 e 4, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, in attuazione delle direttive CEE, hanno attribuito al ministro dell'ambiente il potere di fissare ed aggiornare i valori-limite della qualità dell'aria, validi per tutto il territorio nazionale e di stabilire le linee guida per il contenimento delle emissioni degli impianti industriali, salva la facoltà delle regioni di stabilire limiti più restrittivi.
Il decreto del ministro dell'ambiente 12.7.1990, che stabilisce i valori-limite delle emissioni per le sole sostanze previste dal decreto, precludendo così alle regioni la possibilità di stabilire limiti per altre sostanze nocive emesse nell'atmosfera, è, pertanto, legittimo in quanto emanato in conformità della legge, allo scopo di assicurare uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale, nella determinazione delle emissioni a tutela dell'inquinamento atmosferico e uniforme trattamento delle imprese, in concorrenza fra loro, per i costi aziendali derivanti dalle misure antinquinamento.
(Corte cost., 6.2.1991, n. 53, RGE, 1991, I, 319).

Lo Stato, oltre a rilasciare l’autorizzazione per determinati impianti, come ad esempio le centrali termoelettriche, deve fissare il piano nazionale di tutela della qualità dell’aria e deve stabilire i criteri cui le regioni devono conformare i piani regionali.

Le regioni sanciscono i volumi massimi di emissioni inquinanti degli impianti industriali nei limiti generali posti dallo Stato o entro limiti più restrittivi, solo previa emanazione del piano di risanamento di cui all'art. 4, 1° co., lett. e), d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
(T.A.R. Trentino Alto Adige, sez. Trento, 3.3.1993, n. 64, T.A.R., 1993, I, 1815).

Il potere di vigilanza e sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni inadempienti è stato ritenuto costituzionalmente legittimo.

Lo Stato può legittimamente esercitare il controllo sostitutivo nei confronti delle regioni quando disponga di un potere di vigilanza nei confronti dell'attività esercitata dalle regioni che sia strumentale all'adempimento di obblighi ed al perseguimento di interessi costituzionalmente tutelati e quando l'esercizio del controllo sostitutivo sia assistito da garanzie sostanziali e procedurali, con riguardo ai rapporti fra Stato e regione ed al principio di leale cooperazione.
Gli artt. 4, lett. d), e 7, 2° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, non sono, pertanto, in contrasto con gli artt. 117 e 118, cost., nel prevedere un potere sostitutivo del ministro dell'ambiente in relazione all'autorizzazione alla costruzione di nuovi impianti, ai fini della tutela dall'inquinamento, ove, decorsi sessanta giorni dalla richiesta avanzata alla regione questa non provveda e l'interessato, entro i successivi sessanta giorni, riproponga la richiesta.
Gli artt. 4, 6 e 7, 1°, 3°, 4° e 5° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, che prevedono competenze regionali in materia di tutela dagli inquinamenti e ridisciplinano il potere di autorizzazione per la costruzione di nuovi impianti in grado di provocare inquinamento atmosferico, non pongono illegittimi limiti o restrizioni all'autonomia regionale, in contrasto con gli artt. 117 e 118, cost., stabilendo direttive in ordine ad oneri di cooperazione con lo Stato ed ai presupposti minimali per il rilascio delle autorizzazioni, al fine dell'attuazione di direttive comunitarie.
(Corte cost., 9.3.1989 n. 101, RGE, 1989, I, 499).

Le regioni predispongono i piani regionali di rilevamento, prevenzione, conservazione e risanamento del proprio territorio (Bertolini L. 1989, 12).
Esse, inoltre, rilasciano le autorizzazioni per i nuovi impianti.
Le province hanno il compito di redigere e tenere l’inventario delle emissioni atmosferiche.
I comuni, ai sensi degli artt. 6, 7 del d.p.r. 24.5.1988, n. 203, hanno una competenza consultiva - parere obbligatorio, ma non vincolante - per quanto riguarda l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera dei nuovi impianti industriali, partecipando con la presentazione di un parere al procedimento regionale di rilascio.
Permangono i poteri del sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di igiene e sanità, ribaditi dall'art. 38, della l. 8.6.1990, n. 142.
L’art. 10 del d.p.r. 24.5.1988, n. 203 affida i poteri di controllo alla regione.
2. I piani per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria nel d.p.r. 203/1988.

Legislazione d.p.r. 24.5.1988, n. 203, art. 4, lett. a).
Bibliografia Dell’Anno 2000.

L’art. 4, lett. a), d.p.r. 24.5.1988, n. 203, conferma la tendenza della legislazione ambientale di integrare il sistema dei procedimenti autorizzatori con misure programmate di intervento da adottarsi mediante un piano di rilevamento, prevenzione e risanamento dell’aria di competenza regionale (Dell’Anno P. 2000, 426).
I piani contemplati dal d.p.r. 24.5.1988, n. 203, concernono l’inquinamento di origine industriale.
L’art. 3, d. m. 20.5.1991, indica come obiettivo del piano regionale il risanamento delle aree nelle quali si abbia il superamento o il rischio di superamento dei valori di qualità dell’aria.
Esso deve tendere, in via generale, a garantire la tutela dell’ambiente dall’inquinamento atmosferico mediante una azione di prevenzione mirata allo studio e alla messa in opera di interventi che promuovano il miglioramento complessivo della qualità dell’aria.
Nell’ambito del piano le regioni devono, fra l’altro, dare le opportune direttive per la conservazione di determinate zone o per l’individuazione di zone particolarmente inquinate.
L’art. 7, d.lg. 351/ 1999,contempla piani di azione per la riduzione del rischio di superamento dei valori di qualità, precisando che essi possono adottare le misure necessarie per ridurre l’inquinamento atmosferico inclusa la sospensione di attività e compreso il blocco del traffico veicolare, vedi Cap. 5, n. 4.



2.1. Le direttive europee.

Articolo 13 Articolo 14
In base all'esame dell'evoluzione della migliore tecnologia disponibile e della situazione dell'ambiente, gli Stati membri applicano politiche e strategie comportanti misure adeguate per adattare progressivamente gli impianti esistenti appartenenti alle categorie di cui all'allegato I alla migliore tecnologia disponibile, tenendo conto in particolare:
- delle caratteristiche tecniche degli impianti;
- del tasso di utilizzazione e della durata di vita residua degli impianti;
- della natura e del volume delle emissioni inquinanti degli impianti;
- dell' opportunità di evitare costi eccessivi per gli impianti in questione, tenendo conto in particolare della situazione economica delle imprese appartenenti alla categoria considerata.

In forza dell'art. 13 della direttiva del Consiglio 28 giugno 1984, 84/360/Cee, concernente la lotta contro l'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali, gli Stati membri pur avendo una certa libertà di decidere le misure più opportune per la lotta all'inquinamento atmosferico, hanno l'obbligo di procedere all'adattamento progressivo alla tecnologia, man mano che questa si evolve, degli impianti indicati nella direttiva stessa. Ne consegue che, siccome è pacifico che le emissioni di anidride solforosa e di ossido di azoto hanno effetti nocivi sulla salute dell'uomo nonché sulle risorse biologiche e sugli ecosistemi, l'obbligo incombente agli Stati membri di adottare le misure necessarie a ridurre le emissioni di tali due sostanze prescinde dalla situazione ambientale generale della regione in cui si trova l'impianto industriale in causa.
-
D&G - Dir. e Giust. 2005, f. 37, 92


3. L’autorizzazione per l’esercizio di impianti industriali.

Legislazione d.p.r. 24.5.1988, n. 203, artt. 6, 7, 10.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

Il d.p.r. 24.5.1988, n. 203 ha previsto una richiesta di autorizzazione per tutti gli impianti esistenti alla data della sua entrata in vigore.

In tal caso può essere rilasciata una autorizzazione provvisoria per la continuazione dell’attività nell’attesa dell’adeguamento alle nuove prescrizioni (Dell’Anno P. 2000, 400).
Tutti i nuovi impianti, le parziali innovazioni o, anche, le modifiche sostanziali di un impianto precedente che possono dar luogo ad emissioni nell'atmosfera sono soggetti alla necessaria autorizzazione preventiva, ex art. 6, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.

Il d.p.r. 24.5.1988, n. 203, collega la necessità della preventiva autorizzazione regionale non solo alla "costruzione di un nuovo impianto" nel senso di un insediamento produttivo totale, ma anche nel senso parziale.
Il concetto di impianto, ex art. 2, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, comprende, infatti, non solo lo "stabilimento", ma anche qualsiasi "altro impianto fisso" che possa dar luogo ad inquinamento atmosferico, che si riferisce ad una parte della struttura produttiva esistente.
A conferma di ciò, l'art. 15 sottopone a preventiva autorizzazione anche le "modifiche sostanziali" che comportino variazioni qualitative e quantitative delle emissioni inquinanti di un impianto già esistente.
La legge infine non solo distingue nettamente la fase della "costruzione" da quella di "esercizio", ma esige che l'autorizzazione per entrambe queste fasi sia anticipata all'effettivo "inizio", onde assicurare un controllo di compatibilità ambientale serio.
(Cass. pen., sez. IV, 15.6.1994, CP, 1996, 299).

Per la costruzione, localizzazione e gestione di un impianto che, anche in via potenziale, può dar luogo ad emissione inquinanti nell'aria occorre l'autorizzazione regionale, non essendo sufficiente l'esistenza di un idoneo sistema di depurazione ed abbattimento.
Il controllo sulla rispondenza dei dispositivi tecnologici adottati alla necessità di prevenzione dell'inquinamento atmosferico, è affidata alla p.a. e non all'interessato.
(Cass. pen., sez. III, 30.6.1993, CP, 1994, 2531).

La regione rilascia l’autorizzazione, ex art. 7, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, dopo aver accertato che siano state adottate le misure di prevenzione necessarie e avere accertato che l’impianto non produca emissioni superiori ai limiti consentiti, sentiti i comuni interessati.

Ai sensi dell'art. 216, t.u. 27.7.1934 n. 1265, la valutazione effettuata dalla Usl ai fini del rilascio dell'autorizzazione all'attività di autocarrozzeria, di cui all'art. 6, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, attiene alla verifica dell'esistenza delle condizioni strutturali e impiantistiche dell'opera progettata, che garantiscano l'assenza di rischio per le condizioni igienico sanitarie derivanti dall'attivazione dell'impianto con riferimento ai soggetti che vi lavorano, e alla presenza degli indispensabili elementi strutturali.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 27.11.1998, n. 549, RGSan, 1999, f. 178-9, 173).

Per la costruzione, localizzazione e gestione di un impianto che, anche in via potenziale, può dar luogo ad emissione inquinanti nell'aria occorre l'autorizzazione regionale, non essendo sufficiente l'esistenza di un idoneo sistema di depurazione ed abbattimento.
Il controllo sulla rispondenza dei dispositivi tecnologici adottati alla necessità di prevenzione dall'inquinamento atmosferico, è affidata alla p.a. e non all'interessato.
(Cass. pen., sez. III, 30.6.1993, CP, 1994,2531).

La giurisprudenza ha precisato che sono soggetti ad autorizzazione solo gli impianti industriali escludendo di conseguenza le produzioni connesse con l’agricoltura.

L'attività di essiccazione dell'erba medica, pur comportando una modificazione del prodotto necessaria per l'utilizzazione di essa come foraggio, in quanto attività che normalmente viene svolta dallo stesso agricoltore e che porta ad un prodotto che presenta ancora le caratteristiche di prodotto agricolo, deve, di regola qualificarsi come attività connessa all'agricoltura e, quindi, avente natura agricola.
L'esercizio di tale attività non è, pertanto, assoggettabile al sistema di autorizzazioni previsto dagli artt. 6, 12 e 15, d.p.r. n. 203 del 1988 in relazione alle emissioni in atmosfera.
(T.A.R. Veneto, 7.4.1997, n. 735, DGA, 1998, 317).

In materia di inquinamento atmosferico, l'aver iniziato, senza l'autorizzazione dell'autorità amministrativa competente, la costruzione di un impianto per l'esercizio dell'attività di lombricoltura, e l'aver attivato l'impianto senza averne dato comunicazione alla medesima autorità, non configura i reati previsti dagli artt. 6, 8 e 24, 1° e 2° co., d.p.r. n. 203 del 1988, trattandosi, infatti, di azienda agricola e non di un impianto di produzione industriale.
(Pret. Viterbo, 24.3.1997, RP, 1997, 756).

Il provvedimento regionale di autorizzazione è soggetto ad impugnazione presso la giustizia amministrativa da parte dei terzi interessati.

L'autorizzazione regionale relativa ad emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti, collegate ad impianti di qualsiasi tipo deve contenere la fissazione dei valori di emissione stabilita in base alla migliore tecnologia disponibile, ex art. 4, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, con accertamento della validità di tutte le misure appropriate di prevenzione dell'inquinamento atmosferico, ex art. 7, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
Ne deriva che è illegittimo il provvedimento regionale che esprime soltanto una valutazione di sufficienza delle misure di contenimento e di prevenzione proposte, senza che siano state acquisite le valutazioni della USL competente per territorio.
Nella specie si tratta di un cementificio.
(T.A.R. Emilia Romagna, sez. Parma, 20 3.1990, n. 116, FA, 1990, 1546).

L’art. 8, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, prevede una ulteriore autorizzazione per la messa in esercizio dell’impianto con il controllo regionale in tempi perentori del rispetto dei valori limite, con le eventuali prescrizioni necessarie per la messa a norma dell’impianto.

Il d.p.r. 24.5.1988, n. 203, sottopone a preventivo controllo nella forma di una autorizzazione regionale espressa e specifica l'inizio della "costruzione" di un nuovo impianto e distingue tale momento da quello dell'attivazione dell’esercizio" egualmente soggetto a controllo regionale.
(Cass. pen., sez. III, 15.6.1994, CP, 1996, 298).



4. Le sanzioni amministrative.

Legislazione d.p.r. 24.5.1988, n. 203, art. 10, lett. a), lett. b), lett. c).
Bibliografia Dell’Anno 2000.

Le sanzioni amministrative sono disciplinate dall’art. 10, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
Esse puniscono l’inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie in materia di impianti industriali (Dell’Anno P. 2000, 434).
Le sanzioni contemplano: la diffida ad eliminare le irregolarità riscontrate nella gestione dell’impianto entro un termine perentorio, ex art. 10, lett. a), d.p.r. 24.5.1988, n. 203; la diffida e contestuale sospensione dell’attività precedentemente autorizzata per un tempo determinato in caso di riscontrato pericolo per l’ambiente ad eliminare le irregolarità riscontrate nella gestione dell’impianto entro un termine perentorio, ex art. 10, lett. b), d.p.r. 24.5.1988, n. 203; la revoca dell’autorizzazione e chiusura dell’impianto in caso di inosservanza della diffida ovvero per reiterate violazione con pericolo o danno per la salute o l’ambiente, ex art. 10, lett. c), d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
I provvedimenti amministrativi che irrogano le sanzioni sono soggetti alle normali impugnazioni presso il giudice amministrativo
Le sanzioni determinate dalla legge statale non sono state ritenute dalla giurisprudenza costituzionale lesive delle funzioni regionali in materia.

Gli artt. 8, 10, 11, 12, 13, 14 e 15 d.p.r. 24.5.1988, n. 203, i quali rispettivamente fissano alcuni termini per il compimento di adempimenti in materia di tutela dall'inquinamento, onde evitare disparità di trattamento fra le imprese dettano norme per l'adeguamento delle prescrizioni, attinenti all'autorizzazione, in seguito al perfezionamento delle tecnologie, stabiliscono l'astratta tipologia delle sanzioni irrogabili e dispongono la regolarizzazione degli impianti esistenti, lasciando alle regioni un sufficiente spazio per un'autonoma disciplina della materia e rispondono all'esigenza di modificare la normativa vigente in attuazione di direttive comunitarie.
I citati articoli non sono, pertanto, in contrasto con gli artt. 117 e 118, cost.
(Corte cost., 9.3.1989, n. 101, RGE, 1989, I, 499).



Fare indgiur
(Cass. pen., sez. III, 30.6.1993, cap 10
5. Le sanzioni penali. La costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione.

Legislazione c.p., art. 5 - c.p.p., artt. 521 e 522 - d.p.r. 24.5.1988, n. 203, art. 24.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

La dottrina distingue tra i reati formali che consistono in comportamenti privi del necessario provvedimento di assenso dell’amministrazione per l’esercizio dell’attività e reati sostanziali consistenti nel superamento dei limiti di emissione e nella mancata realizzazione del piano di adeguamento degli impianti già esistenti (Dell’Anno P. 2000, 435).
Il legislatore distingue a sua volta i reati relativi alla costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione da quelli relativi all’esercizio di impianto esistente, per i quali prevede l’ipotesi di concorso dato che si tratta di due fattispecie diverse.

Il reato previsto dall'art. 24, 1° co., d.p.r. n. 203 del 1988, costruzione di un nuovo impianto senza autorizzazione, può concorrere con quello previsto dall'art. 24, 2° co., d.p.r. n. 203 del 1988, che prevede l’attivazione di un nuovo impianto senza preventiva comunicazione alle autorità competenti.
(Pret. Reggio Emilia, 15.5.1992, GM, 1992, 1314).

La giurisprudenza è restia ad ammettere quali cause di non punibilità l’ignoranza della legge penale e la buona fede nella mancata conoscenza della normativa in materia.

Nelle fattispecie contravvenzionali la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell'illiceità del fatto commissivo od omissivo e derivi da un elemento positivo, estraneo all'agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto.
La prova della sussistenza di un elemento positivo di tal genere, però, deve essere data dall'imputato, il quale ha anche l'onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata.
Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha ritenuto che tale onere probatorio non potesse ritenersi adempiuto attraverso la mera produzione in giudizio di una fattura rilasciata da un architetto, che il ricorrente assumeva di avere incaricato di provvedere alle pratiche amministrative necessarie per l'autorizzazione dell'impianto - forno per le carrozzerie di autoveicoli da lui esercitato, allorché si consideri, inoltre, che il conferimento dell'incarico professionale, anche così configurato, non esonerava il ricorrente medesimo comunque dal vigilare affinché l'incaricato espletasse puntualmente l'attività affidatagli.
(Cass. pen., sez. III, 29.11.1994, RP, 1996, 68).

Con riferimento al principio della scusabilità dell'ignoranza inevitabile della legge penale, previsto dall’art. 5, c.p., il d.p.r. n. 203 del 1988 è sufficientemente chiaro per quanto concerne i concetti di impianto nuovo e di impianto esistente nonché sugli obblighi e relative sanzioni posti a carico dei titolari degli impianti.
(Pret. Reggio Emilia, 15.5.1992, GM, 1992, 1314).

L’art. 24, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, prevede il reato di nuovo impianto senza autorizzazione – comminando la pena dell’arresto da due mesi a due anni e dell’ammenda da lire cinquecentomila a due milioni - mentre l’art. 24, 2° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, prevede il reato di esercizio di nuovo impianto senza comunicazione – comminando la pena dell’arresto fino a due anni e dell’ammenda da lire cinquecentomila a due milioni.

La ratio dell'art. 24, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, il quale prevede che non è possibile costruire un nuovo impianto senza preventiva autorizzazione regionale, risponde all'esigenza di impedire, in mancanza delle condizioni necessarie, la creazione di un'entità che dia luogo ad emissioni nell'atmosfera incidendo in senso negativo sulla qualità dell'aria, in vista della protezione della salute e dell'ambiente, obiettivo essenziale della normativa in materia.
(App. Brescia, 16.1.1993, RP, 1993, 308).

L’entità della sanzione è stata dichiarata incostituzionale per eccesso di delega in quanto prevede pene congiunte e non alternative, come ha disposto il legislatore delegante.

Sono incostituzionali, per violazione dell'art. 76, cost., gli art. 24, 1° co., e 25, 5° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203 - il secondo in applicazione del potere di estensione concesso alla Corte dall'art. 27 l. 11.3.1953 n. 87 - nella parte in cui, in sede di attuazione di varie direttive comunitarie degli anni ottanta in materia di inquinamento atmosferico prodotto da impianti industriali, stabilisce, per le violazioni connesse alle ipotesi di costruzione o esercizio di un impianto in assenza di autorizzazione, o con autorizzazione sospesa, rifiutata o revocata, o contro l'ordine di chiusura, le pene congiunte dell'arresto e dell'ammenda, invece che i due tipi di pena in alternativa, come prescritto dall'art. 15, legge delega 16.4.1987, n. 183.
(Corte cost. 15.7.1997, n. 234, RGE, 1997, I, 859).

Logicamente la contestazione iniziale deve avere lo stesso oggetto della sentenza di eventuale condanna per il principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, pena la nullità assoluta della sentenza pronunciata, ex 522, c.p.p..

Si verifica immutazione sostanziale, e quindi violazione del principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, di cui alla disciplina degli artt. 521 e 522, c.p.p., nel caso in cui l'imputato, tratto a giudizio per rispondere dell'attivazione di un impianto di torrefazione di caffè grezzo senza avere richiesto l'autorizzazione prescritta dall'art. 6, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, in materia di inquinamento atmosferico, sia condannato invece, per avere attivato quell'impianto senza averne data comunicazione preventiva alla autorità competente, fatto nuovo e previsto da una distinta norma incriminatrice, ex art. 24, 2° co., d.p.r. n. 203 del 1988.
(Cass. pen., sez. III, 18.10.1996, n. 9855, CP, 1999, 1248).

Il reato sussiste sia nel caso di un impianto di modeste dimensioni sia nel caso in cui si tratto di impianti gestiti da enti pubblici.

In tema di controllo delle emissioni nell'atmosfera il concetto di impianto non implica necessariamente una struttura di notevoli dimensioni e neppure una struttura complessa dell'insediamento, essendo sufficiente anche una postazione parziale, che abbia attitudine concreta a cagionare l'inquinamento dell'atmosfera.
Nella specie la Corte ha ritenuto integrare tale concetto l'installazione di una cabina di verniciatura in una falegnameria già esistente.
(Cass. pen., sez. III, 1.4.1998, n. 6153, GP, 1999, II, 355).

In tema di inquinamento atmosferico, anche per l'esercizio di un inceneritore di un mattatoio comunale è necessaria l'autorizzazione regionale prevista dal d.p.r. 24.5.1988, n. 203, poiché il provvedimento non trova applicazione solo per gli impianti industriali, ma per "tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione nell'atmosfera" come testualmente previsto dall'art. 1, punto 2 lett. a).
(Cass. pen., sez. III, 2.6.1995, n. 10245, RPE, 1997, 111).

La giurisprudenza ha ribadito che l’autorizzazione è unica anche se l’impianto è articolato attraverso più lavorazioni.
Ai sensi del d.p.r. 24.5.1988, n. 203, attuativo di quattro direttive CEE sulla qualità dell'aria e sull'inquinamento da impianti industriali, il singolo impianto all'interno di uno stabilimento è l'insieme delle linee produttive finalizzate ad una specifica produzione, sicché non è alle singole fasi di produzione che occorre far riferimento, ma all'intero processo produttivo.
Fattispecie relativa ad annullamento, perché il fatto non sussiste, di sentenza di condanna - ex art. 24, 1° co., d.p.r. n. 203 del 1988, in relazione all'art. 6 stesso decreto, per avere l'imputato installato un forno di fusione di alluminio senza la prescritta autorizzazione - avendo erroneamente ritenuto il giudice di merito che il singolo punto di emissione derivante dal forno costituisse impianto per il quale era necessaria l'autorizzazione.
(Cass. pen., sez. III, 28.1.1993, CP, 1994,1636).

Il soggetto attivo del reato è chi esercita materialmente le lavorazioni a prescindere della proprietà dell’impianto.

In tema di tutela della qualità dell'aria, per individuare l'autore del reato di cui all'art. 24, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, è rilevante accertare non gia' chi sia il proprietario dell'impianto, bensì quale soggetto, avendone la disponibilità a qualsiasi titolo, ne ha iniziato la costruzione senza essere in possesso della prescritta autorizzazione.
Fattispecie in cui è stato rigettato il ricorso dell'imputato non proprietario, essendosi accertato nel giudizio di merito che l'imputato deteneva da tempo la struttura in questione ed aveva chiesto altre autorizzazioni, nonché, dopo l'ispezione subita, quella rilevante ai fini del processo).
(Cass. pen., sez. III, 15.5.1998, GP, 1999,II, 442).

Il reato è considerato permanente dalla giurisprudenza fino al rilascio della dovuta autorizzazione, con evidenti conseguenze in ordine ala decorrenza della prescrizione del reato.

In materia di inquinamento atmosferico, la contravvenzione di cui all'art. 24, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, è un reato la cui permanenza dura fino al rilascio della prevista autorizzazione, poiché la norma è finalizzata alla tutela della qualità dell'aria e l'autorizzazione costituisce mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l'adozione di appropriate misure di prevenzione dell'inquinamento atmosferico, sicché il reato permane finché il competente ente territoriale, non abbia effettuato tale controllo.
Permanente è altresì la contravvenzione di cui all’art. 24, 2° co., poiché la comunicazione di messa in esercizio dell'impianto - come le ulteriori richieste comunicazioni dei dati relativi alle emissioni effettuate - è temporalmente collegata all'esperimento dell'accertamento previsto dall'art. 8, 3° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, sicché il reato permane finché il protrarsi dell'omissione impedisce tale accertamento.
Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha ritenuto non maturato il termine di prescrizione.
(Cass. pen., sez. III, 29.11.1994, RP, 1996, 68).
(Cass. pen., sez. I, 12.4.1996, n. 5702, CP, 1997, 531).
Cass. pen., sez. III, 3.5.1995, n. 7692, RPE, 1997, 88).
Fare indgiur

5.1. L’esercizio di impianto esistente senza autorizzazione.

Legislazione c.p., art. 162 bis - d.p.r. 24.5.1988, n. 203, artt. 12, 13, 5° co., 25, 1°, 2°, 6°, 7° co.
Bibliografia Dell’Anno 2000.

l’art. 25, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, prevede il reato di esercizio di impianto esistente qualora, chi conduca un impianto – sia esso permanente o temporaneo - al tempo dell’entrata in vigore della legge, non presenti la domanda di autorizzazione dell’esercizio dell’attività nei tempi prescritti tassativamente.

Sono sottoposti alla disciplina dell’art. 1, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, "tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissioni nell'atmosfera" sicché anche strutture temporanee quali impianti di selezione e lavaggio di materia di cava suscettibile di emanare polveri e fumi - e non solo i tradizionali impianti fissi industriali - sono soggette alla necessaria autorizzazione preventiva.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1995, n. 11334, CP, 1997, 848).

Esso è qualificato dalla giurisprudenza come reato di pericolo e come reato permanente.
Gli effetti sono evidenti in tema di prescrizione che decorre dalla cessazione della permanenza della situazione pericolosa.
In materia di inquinamento atmosferico, il sistema d.p.r. 24.5.1988, n. 203, impone sempre l'obbligo di presentare la domanda di autorizzazione per gli impianti esistenti come si desume dal tenore degli artt. 12, 13 e 25, e la mancata presentazione della domanda di autorizzazione alla regione competente, costituisce formale reato di pericolo, che prescinde dall'effettiva produzione di un evento dannoso.
(Cass. pen., sez. III, 18.12.1998, n. 1669, RP, 1999, 483).

La contravvenzione prevista dall'art. 25, 1° co d.p.r. 24.5.1988, n. 203, ha natura di reato formale di pericolo perché prescinde da un evento dannoso e mira a realizzare un controllo anticipato delle autorità competenti sugli impianti esistenti, ed ha altresì natura di reato permanente che si protrae anche dopo la scadenza prevista dalla legge sino al momento della presentazione dell'istanza in quanto l'esercizio degli impianti esistenti richiede sempre un controllo dell'autorità.
(Cass. pen., sez. III, 29.5.1996, n. 7300, RGA, 1997, 708).

In materia di inquinamento atmosferico, il reato punito dall'art. 25, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, per l'omessa richiesta della autorizzazione per gli impianti già esistenti, ha natura di reato formale di pericolo, perche' prescinde dalla effettiva produzione di un evento dannoso ed ha carattere permanente, in quanto e' nel potere del relativo autore far cessare la situazione lesiva del bene giuridico protetto richiedendo l'autorizzazione.
La prescrizione perciò non comincia a decorrere dal termine fissato dalla legge per la presentazione della domanda, ma dalla cessazione della permanenza.
Cass. pen., sez. I, 12.4.1996, n. 5702, CP, 1997, 531. Conf. Cass. pen., sez. III, 8.11.1995, n. 12220, CP, 1997, 848).

Il reato di cui all'art. 25, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, consistente nella mancata presentazione della domanda di autorizzazione nel termine prescritto, continua a sussistere anche dopo la scadenza del termine stesso, perché l'esercizio degli impianti esistenti richiede sempre un controllo preventivo della regione nella forma di una autorizzazione espressa e specifica, provvisoria o definitiva, ex art. 13, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio, la suprema Corte ha ritenuto che erroneamente era stata applicata la prescrizione con riferimento alla scadenza del termine per la presentazione della domanda.
(Cass. pen., sez. III, 9.6.1994, CP, 1997, 533).

La norma, prevede, oltre alla richiesta dell’autorizzazione per potere continuare ad utilizzare l’impianto, l’adozione delle misure ad evitare un peggioramento delle emissioni.

In materia di inquinamento atmosferico ex art. 13, 5° co., e 25, 7° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, per gli impianti esistenti sussiste un obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie ad evitare un peggioramento anche temporaneo delle emissioni e non può essere invocato il "guasto tecnico" - non contemplato dal d.p.r. 24.5.1988, n. 203 - per escludere tale obbligo penalmente sanzionato dallo Stato.
Il guasto tecnico per sua natura deve essere previsto ed evitato con l'utilizzo di quei sistemi di prevenzione idonei ad evitare comunque l'inquinamento, nella forma del peggioramento temporaneo o del superamento dei limiti legali.
I valori di emissione inderogabili ex d.p.r. 24.5.1988, n. 203, devono essere rispettati, anche nel caso di guasto tecnico dell'impianto, perché la legge formale prevale su atti amministrativi generali di livello subordinato
Nel caso di specie si tratta dell’interpretazione del d.m. 12.7.1990, art. 3, punto 14 e 15, ritenuto non più applicabile.
(Cass. pen., sez. III, 3.5.1995, n. 7692, RPE, 1997, 88).

Nel settore ambientale, l'autorizzazione svolge non solo una funzione abilitativa, cioè di rimozione di un ostacolo all'esercizio di alcune facoltà, ma assume anche un ruolo di controllo del rispetto della normativa e dei correlati standards e consente il c.d. monitoraggio ecologico, la mancanza di detto provvedimento incide, pertanto, su alcuni interessi protetti dalla norma penale.
Il contenuto della domanda deve, pertanto, rispondere ai precetti contenuti della legge per non incorrere nel reato .

La relazione tecnica che accompagna la domanda di autorizzazione alle emissioni per gli impianti esistenti deve contenere non solo l'indicazione della quantità, ma anche della qualità delle emissioni, sicché l'istanza priva di tale obbligatorio ed essenziale contenuto equivale ad omessa presentazione della domanda in considerazione del chiaro tenore dell'art. 12, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, onde è configurabile il reato previsto e punito dall'art. 25, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
(Cass. pen., sez. III, 29.5.1996, n. 7300, RGA, 1997, 708).

In materia di tutela della qualità dell'aria, il d.p.r. 24.5.1988, n. 203, prescrive per gli impianti esistenti un triplice obbligo: presentare tempestivamente la domanda di autorizzazione; osservare le prescrizioni dell'autorizzazione o quelle imposte subito dalla autorità competente; realizzare il progetto di adeguamento nei tempi e modi indicati nella domanda di autorizzazione.
Non può, perciò, valere come domanda una istanza non sottoscritta o incompleta e generica, in quanto l'art. 12 del predetto decreto prescrive che la domanda sia specifica e finalizzata ad un reale adeguamento ai valori delle emissioni consentiti e, perciò, esige che sia allegato il progetto di adeguamento.
Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza di non doversi procedere perché il fatto non sussiste, trattavasi di una grande autocarrozzeria, il cui titolare non aveva presentato una regolare domanda e, soprattutto, non si era adeguato ai valori prescritti, violando l'art. 25, d.p.r. 24.5.1988, n. 203).
(Cass. pen., sez. III, 7.2.1995, n. 378, CP, 1996, 2750).

In tema di inquinamento atmosferico, la presentazione, per gli impianti produttivi emittenti nell'atmosfera, di una domanda di autorizzazione incompleta, in quanto priva delle obbligatorie ed essenziali indicazioni relative alla quantità ed alla qualità delle emissioni, equivale a mancata presentazione della domanda e integra, pertanto, il reato previsto dall'art. 25, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
(Cass. pen., sez. III, 10.11.1994, GP, 1996, II, 246).

La giurisprudenza ha precisato che il successivo rilascio dell’autorizzazione non esplica efficacia sanante per il precedente comportamento omissivo

In tema di immissioni inquinanti nell'atmosfera, deve escludersi che nell'ipotesi di esecuzione senza autorizzazione di una modifica sostanziale di un impianto industriale, ex artt. 15 e 25, 6° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, il successivo rilascio dell'autorizzazione abbia efficacia sanante di una situazione antigiuridica e pericolosa venutasi a creare a causa del comportamento omissivo o commissivo dell'agente.
La contravvenzione non integra un reato istantaneo, la cui epoca di commissione debba farsi risalire al momento in cui avviene la modifica non autorizzata, bensì un reato permanente in cui detta modifica costituisce solo il momento iniziale.
La consumazione del reato si protrae sino alla conclusione del procedimento di controllo ed al rilascio dell'autorizzazione, con cui si mira ad accertare la compatibilità di quanto eseguito con la salvaguardia dell'interesse protetto, ovvero sino a che l'agente non abbia desistito dal comportamento o ripristinato la situazione precedente.
(Cass. pen., sez. III, 18.11.1997, n. 11836, RTDPE, 1998, 1091).

L'omessa valutazione dalla p.a. impedisce quella conoscenza ed informazione ambientale e quel controllo sull'attività cui sono deputati il procedimento autorizzatorio e le relative sanzioni in caso di disobbedienza a questi precetti, comportando, perciò, una effettiva conseguenza pericolosa, in quanto conoscenza ed informazione sono strumenti necessari per la prevenzione.
Solo dopo aver ottenuto il provvedimento autorizzatorio può affermarsi che sono venute meno le conseguenze pericolose eliminabili dal contravventore, onde è possibile richiedere l'oblazione cosiddetta facoltativa, mentre le importanti funzioni svolte dall'autorizzazione nel campo ambientale escludono la possibilità che il successivo rilascio abbia efficacia sanante di una situazione antigiuridica e pericolosa venutasi a creare a causa di un comportamento omissivo e commissivo dell'agente.
Fattispecie relativa a rigetto di ricorso con il quale si deduceva, fra l'altro, la violazione dell'art. 162 bis, c.p., poiché non era stata ammessa l'oblazione condizionata per il reato di emissioni in atmosfera senza la prescritta autorizzazione richiesta in sede di trasferimento dell'impianto in altra località.
(Cass. pen., sez. III, 13.3.1996, n. 3589, DGA, 1998, 304).

Il reato di cui all'art. 25, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, consistente nella mancata presentazione della domanda di autorizzazione nel termine prescritto, continua a sussistere anche dopo la scadenza del termine stesso, perché l'esercizio degli impianti esistenti richiede sempre un controllo preventivo della Regione nella forma di una autorizzazione espressa e specifica, provvisoria o definitiva, ex art. 13, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio, la S.C. ha ritenuto che erroneamente era stata applicata la prescrizione con riferimento alla scadenza del termine per la presentazione della domanda.
(Cass. pen., sez. III, 9.6.1994, RPE, 1996, 20).

Il sistema sanzionatorio è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui la norma ha fatto riferimento per le modifiche sostanziali dell’impianto al procedimento previsto per gli impianti esistenti dall’art. 13, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, e non a quello previsto dall’art. 15, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, che impone per i nuovi impianti l’obbligo di richiedere una nuova autorizzazione (Dell’Anno P. 2000, 435).

L'art. 25, 6° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, che sanziona penalmente il trasferimento di un impianto produttivo senza la prescritta autorizzazione, è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui fa riferimento alla autorizzazione di cui all'art. 13, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, relativa alla continuazione dell'attività produttiva nello stesso posto, in luogo di quella di cui all'art. 15, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, concernente il trasferimento dell'impianto.
Il riferimento alla autorizzazione di cui all'art. 13, frutto di un errore materiale di redazione del testo legislativo, determina una violazione del principio di determinatezza delle norme penali, il quale impone la formulazione di norme chiare ed intelligibili sotto il profilo semantico.
(Corte cost., 22.4.1992, n. 185, CP, 1993, 5. Conf. Corte giust. CEE 20.4.1993, n. 71, CS, 1993, II, 1057).

Il soggetto attivo del reato è chi esercita attualmente le lavorazioni a prescindere dell’attività autorizzatoria richiesta dalla precedente proprietà.

In materia di inquinamento atmosferico, la permanenza del reato di omessa presentazione della domanda di autorizzazione, di cui all'art. 25, d.p.r. 24.5.1988, n. 203 - equiparabile alla condotta di presentazione della domanda incompleta, ove priva delle obbligatorie ed essenziali indicazioni relative alla quantita' ed alla qualità delle emissioni - radica la responsabilità di coloro i quali hanno proseguito nell'esercizio degli impianti sapendo e comunque dovendo sapere e controllare che la domanda di autorizzazione non era stata presentata, a suo tempo, con le prescritte modalità, dal precedente amministratore.
Sussiste la responsabilità penale per violazione dell'art. 25, 1° co., del d.p.r. 24.5.1988, n. 203, degli amministratori di società succedutisi a quello originariamente inadempiente laddove abbiano proseguito nell'esercizio di impianti esistenti sapendo o, comunque, dovendo sapere che la domanda di autorizzazione provvisoria per le emissioni in atmosfera non era stata a suo tempo presentata con le prescritte modalità.
(Cass. pen., sez. III, 29.5.1996, n. 7300, RGA, 1997, 708).

La giurisprudenza mette l concorso il reato di getto di cose previsto dall'art. 674, c.p., vedi Cap. IX, par. 7.1.

Il reato previsto dell'art. 674, c.p., può concorrere con le contravvenzioni sanzionate dall'art. 25, 1°, 2° e 7°, del d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
(Cass. pen., sez. I, 25.5.1994, CP, 1995, 3346).


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