giovedì 4 ottobre 2012

Tutela Ambiente. 1 Fonti


PARTE I
LE FONTI NORMATIVE.

CAPITOLO I
LE FUNZIONI IN MATERIA AMBIENTALE.

Sommario: 1. L'ambiente nella legislazione.
1.1. L’ambiente come disciplina unitaria.
1.2. Le direttive europee.
2. Il Ministero dell’Ambiente.
3. Il decentramento regionale delle funzioni in materia ambientale.
4. Il Ministero per i beni e le attività culturali.
5. Le competenze Regionali e degli enti locali in materia paesistica.
6. Il codice dell’ambiente.
7. La legalizzazione dell’occupazione di aree demaniali. a) Costruzioni eseguite legittimamente.
7.1. b) Costruzioni eseguite illegittimamente.
8. L'autorizzazione integrata ambientale.


1. L'ambiente nella legislazione.

Legislazione l. 1089/1939 – l. 319/1976 – d.p.r. 915/1982 - l. 8.8.1985, n. 431 - l. 349/1986 - d.p.r. 203/1988 – l.447/1995 - d.p.c.m. 23.4.1992 - d. lg. 42/2004.
Bibliografia Assini e Mantini 1997 - Cassese 2000 (2) - Dell’Anno 2000 - Amendola 2004.

La tutela dell’ambiente considerato come bene giuridico unitario è concepita dal legislatore solo con la l. 349/1986 (Dell’Anno P. 2000, 19).
In precedenza la normativa si è occupata dei singoli beni ritenuti meritevoli di essere preservati nella loro struttura originaria, disponendo un sistema di autorizzazione per qualsiasi intervento anche conservativo e prevedendo controlli affidati alle amministrazioni preposte alla loro salvaguardia.
Il legislatore principalmente si è preoccupato di tutelare i beni del patrimonio artistico e le bellezze naturali fin dal 1939.
L’intervento si è sviluppato, secondo una concezione analitica, con due procedure radicalmente distinte regolate da norme diverse.
La tutela sul patrimonio artistico è disciplinata tramite un meccanismo di vincolo di interesse pubblico - sulle cose d’interesse artistico o storico - notificato con un procedimento previsto dal codice dei beni culturali.
La tutela sulle bellezze naturali trova la sua fonte normativa parimenti in un meccanismo di vincolo di interesse pubblico sulle bellezze naturali e panoramiche, notificato con un procedimento previsto dal codice dei beni culturali approvato col d.lg. 42/2004 (Assini N. e Mantini P. 1997, 916).
Tali provvedimenti sono visti dalla dottrina come uniche eccezioni ad un generale disinteresse del legislatore per questa materia (Cassese S. 2000 (2), 1521).
Per il resto la legislazione appare sempre seguire l’emergenza cercando di porre rimedio all’inquinamento delle acque l. 319/1976 allo smaltimento dei rifiuti d.p.r. 915/1982, rafforzando il regime dei vincoli sulle aree a vocazione paesaggistica a prescindere dal decreto di vincolo l. 431/1985, e normando le emissioni dannose per l’inquinamento atmosferico d.p.r. 203/1988 ed elettromagnetico d.p.c.m. 23.4.1992 e infine cercando di risolvere i problemi connessi con l’inquinamento acustico l. 447/1995.
L’azione centrale dello Stato è stata rafforzata con la creazione del Ministero dell'Ambiente, istituito dalla l. 8.7.1986, n. 349.
Ad esso è attribuito il compito di assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'inquinamento.
Il quadro normativo complessivo è fortemente criticato dalla dottrina che lo ritiene del tutto insoddisfacente.

Il quadro generale della normativa italiana a tutela dell'ambiente non è mai stato esaltante. È solo dalla seconda metà degli anni '70 − e soprattutto per impulso comunitario − che compaiono i primi testi di legge in questo settore. Nel 1976 nasce la legge Merli sull'inquinamento delle acque, nel 1982 il D.P.R. n. 915 sui rifiuti, nel 1985 la legge Galasso a difesa dell'ambiente-paesaggio, nel 1986 nasce ufficialmente, con portafoglio e poteri, anche il Ministero dell'ambiente, nel 1988 viene emanato il D.P.R. n. 203 sull'inquinamento atmosferico da industrie, cui seguono, anche per evitare condanne in sede comunitaria, numerose altre leggi, spesso non coordinate tra di loro e senza alcun disegno organico di base: ciò avviene per le direttive della CEE sulla valutazione di impatto ambientale, sulle acque destinate all'uso alimentare, sulle aziende a rischio, tanto per fare alcuni esempi. Ancora peggio avviene quando si legifera sull'onda dell'emergenza. Il D.P.R. n. 915 del 1982 sui rifiuti, già prorogato e rinfrescato nel 1987 con la legge 441, viene totalmente dimenticato (probabilmente perché mai applicato) nel momento dell'emergenza provocata dalle "navi dei veleni", e il governo sforna il decreto legge n. 397 del 9 settembre 1989 che, in sostanza, con nuove parole ripete in buona parte le stesse prescrizioni già emanate nel 1982 e nel 1987 (e mai applicate).
(Amendola G. 2004, 367).



1.1. L’ambiente come disciplina unitaria.

Legislazione cost., artt. 2, 3, 9, 32, 41 e 42 - l. 8.7.1986, n. 349, artt. 6, 7, 18
Bibliografia Cassese 2000 (2).

Il legislatore ha recepito le critiche che hanno evidenziato l’estremo frazionamento della materia e l’eccessivo proliferare di competenze considerando l’ambiente in maniera unitaria ed autonoma rispetto alle altre discipline (Cassese S. 2000 (2), 1522).
L’indirizzo giurisprudenziale prevalente ha considerato l’ambiente come un bene giuridico unitario, avente una propria ed autonoma rilevanza e, come tale, distinto dagli elementi naturali che lo compongono.
La tutela dell'ambiente mira alla salvaguardia non solo del paesaggio nel suo aspetto fisico e statico, ma del bene ambiente considerato nella sua interezza.
L'ambiente, inteso in senso unitario come bene pubblico complesso, caratterizzato dai valori estetico - culturale, igienico - sanitario ed ecologico - abitativo, assurge a bene pubblico immateriale (Cass. civ., sez. III, 19.6.1996, n. 5650, GCM, 1996, 886).

Nell'ordinamento giuridico italiano la protezione dell'ambiente, bene che assurge a valore primario e assoluto, è imposta dai precetti costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 9, 32, 41 e 42 cost., mentre l'art. 18, l. 8.7.1986 n. 349, ha funzione solo ricognitiva.
La configurabilità dell'ambiente come bene giuridico e il diritto al pieno risarcimento per la sua lesione in capo agli enti pubblici territoriali non trova la sua fonte genetica in tale legge, bensì nella Carta costituzionale considerata come diritto vigente e vivente nonché della norma generale dell'art. 2043 c.c.
(Cass. civ., sez. III, 3.2.1998, n. 1087, UA, 1998, 721).

La dottrina rileva il contrasto che si profila fra ambiente ed economia (Melchionna B. 1999, 24).
Esso, infatti, richiede nel suo svilupparsi modifiche che pesantemente incidono sul territorio investendo anche tutte le componenti naturali che lo compongono, sorgono, pertanto, seri problemi anche in termini di tutela per consentire uno sviluppo equilibrato.

Poiché l'ambiente è anche l'insieme degli aspetti naturali e storici del paese, salubrità dello spazio che assicura il benessere psico-fisico ai consociati, qualsiasi alterazione in ognuna delle sue componenti ne importa una lesione che deve essere risarcita a quegli enti i quali, siccome onerati dal potere-dovere di gestione dell'interesse ambientale, sono titolari di un diritto soggettivo pubblico alla non compromissione del bene stesso.
(Corte app. Brescia, 24.3.1993, RGA, 1995, 88).

La Corte, considerando l'ambiente come un bene giuridico unitario, consente al legislatore nazionale di legiferare in materia ambientale, sostituendosi nelle competenze attribuite agli enti territoriali, superando le eccezioni di incostituzionalità presentate avverso la l. 8.7.1986, n. 349.

Legittimamente lo Stato, in adempimento di impegni comunitari, disciplina la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti di opere di particolare rilievo a salvaguardia di interessi di livello nazionale da tutelare.
Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale, per violazione delle competenze attribuite alle province del Trentino Alto Adige, degli artt. 6 e 7, l. 8.7.1986, n. 349, i quali, rispettivamente, attribuiscono al ministro dell'ambiente il potere di valutare l'impatto sull'ambiente di determinati progetti e di ordinarne la sospensione nonché di dichiarare determinate aree ad elevato rischio di crisi ambientale e di deliberare un piano di disinquinamento, sostituendosi alle province.
L'art. 5, l. 8.7.1986, n. 349, che ha attribuito al ministro dell'ambiente il potere di impartire direttive agli enti di gestione dei parchi nazionali, non viola le competenze delle province del Trentino-Alto Adige, previste negli artt. 8, n. 6 e 16 dello Statuto speciale, potendo lo Stato impartire all'amministrazione delle foreste demaniali del Bormio, della quale le province suddette si avvalgono, direttive volte a tutelare unitari interessi nazionali di carattere scientifico, educativo e di protezione naturalistica, che devono essere coordinati con quelli meramente locali.
(Corte cost., 28.5.1987, n. 210, RGE, 1987, I,729).

La legislazione in ottemperanza alla Direttiva 96/61/CE del Consiglio, sulla prevenzione e riduzione dell'inquinamento, propone un intervento globale di tutela ambientale che consideri la materia secondo una visone unitaria cercando, quindi, di unificare le varie discipline che precedentemente avevano regolato separatamente settori diversi, quali l’acqua, l’aria e i rifiuti.
Si prevede, infatti, che, per prevenire e ridurre integratamente l'inquinamento per quanto riguarda il rinnovo delle autorizzazioni per gli impianti esistenti, le nuove norme devono assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti concernenti il rilascio di pareri, nulla-osta ed autorizzazioni, prevedendone l'integrazione per quanto attiene alla materia ambientale.
Per quanto riguarda i nuovi impianti e per le modifiche sostanziali, si deve comunque applicare la normativa interna emanata in attuazione delle direttive comunitarie in materia di valutazione di impatto ambientale, ex art. 21, l. 24.4.1998, n. 128 (Cassese S. 2000 (2), 1526).


1.2. Le direttive europee.

La decisione quadro del Consiglio 27 gennaio 2003, 2003/80/Gai, relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale, confinando nelle competenze che l'art. 175 Ce attribuisce alla Comunità, viola nel suo insieme, data la sua indivisibilità, l'art. 47 Ce. La legislazione penale, così come le norme di procedura penale, non rientrano nella competenza della Comunità. Questa constatazione non può tuttavia impedire al legislatore comunitario, allorché l'applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile di lotta contro violazioni ambientali gravi, di adottare provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri e che esso ritiene necessari a garantire la piena efficacia delle norme che emana in materia di tutela dell'ambiente.
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D&G - Dir. e Giust. 2005, f. 43, 109

26 Il Consiglio e gli Stati membri intervenuti nella presente causa diversi dal Regno dei Paesi Bassi affermano che, allo stato attuale del diritto, la Comunità non dispone di alcuna competenza per obbligare gli Stati membri a sanzionare penalmente i comportamenti considerati dalla decisione quadro.
27 Non soltanto non esisterebbe, in proposito, alcuna attribuzione espressa di competenza ma, tenuto conto della notevole rilevanza del diritto penale per la sovranità degli Stati membri, non potrebbe ammettersi che tale competenza possa essere stata trasferita implicitamente alla Comunità in occasione dell'attribuzione di competenze sostanziali specifiche, quali quelle svolte in forza dell'art. 175 CE.
28 Gli artt. 135 CE e 280 CE, che riservano esplicitamente l'applicazione del diritto penale nazionale e l'amministrazione della giustizia agli Stati membri, confermerebbero tale interpretazione.
29 Essa sarebbe ulteriormente corroborata dal fatto che il Trattato sull'Unione europea dedica un titolo specifico alla cooperazione giudiziaria in materia penale [v. artt. 29 UE, 30 UE e 31, lett. e), UE], che conferirebbe espressamente all'Unione europea una competenza in materia penale, segnatamente per quanto riguarda la determinazione degli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni applicabili. La posizione della Commissione sarebbe pertanto paradossale, in quanto equivarrebbe, da un lato, a ritenere che gli autori dei trattati sull'Unione europea e CE abbiano inteso conferire implicitamente alla Comunità una competenza penale e, d'altro lato, ad ignorare che gli stessi autori hanno espressamente attribuito all'Unione europea una tale competenza.
30 Né le sentenze né i testi di diritto derivato cui la Commissione fa riferimento sarebbero idonei a suffragare la sua tesi.
31 Per un verso, la Corte non avrebbe mai obbligato gli Stati membri ad adottare sanzioni penali. Vero è che, secondo la sua giurisprudenza, spetterebbe a questi ultimi il compito di vegliare affinché le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva; inoltre, le autorità nazionali dovrebbero procedere, nei confronti delle violazioni del diritto comunitario, con la stessa diligenza usata nell'esecuzione delle rispettive legislazioni nazionali (v., in particolare, sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia, Racc. pag. 2965, punti 24 e 25). Tuttavia, la Corte non avrebbe dichiarato, né esplicitamente né implicitamente, che la Comunità è competente ad armonizzare le norme penali vigenti negli Stati membri. Al contrario, essa avrebbe ritenuto che la scelta delle sanzioni spetti a questi ultimi.
32 Per altro verso, la prassi legislativa sarebbe conforme a tale impostazione. I diversi atti di diritto derivato riprenderebbero la formula tradizionale secondo la quale occorre prevedere "sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive" (v., ad esempio, art.
3 della direttiva 2002/90), senza peraltro rimettere in discussione la libertà degli Stati membri di scegliere tra la via amministrativa e la via penale. Quando è accaduto al legislatore comunitario, del resto raramente, di precisare che gli Stati membri devono promuovere azioni penali o amministrative, esso si sarebbe limitato ad esplicitare la scelta che in ogni caso era loro attribuita.


2. Il Ministero dell’Ambiente.

Legislazione d.p.r. 616/1977, artt., 80 - d. lg. 1999, n. 300, art. 38.
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Cassese 2000 - Dell’Anno 2000.

Nella pianificazione urbanistica prevista dalla l. 1150/1942 la tutela del territorio è affidata al piano territoriale di coordinamento.
La pianificazione comunale, che in quel periodo ha lo scopo precipuo di regolamentare lo sviluppo dei centri abitati, di fatto trascura l'approvazione di questi piani che devono disciplinare le zone da adibire a speciali destinazioni e quelle soggette a vincoli o limitazioni di legge, le località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi o di impianti di particolare natura ed importanza, le reti delle principali vie di comunicazione.
Dai contenuti del piano territoriale emerge una concezione riduttiva del concetto stesso di ambiente poiché la disciplina è intesa in termini di salvaguardia del territorio.
Il Ministero dell'Ambiente è stato istituito dalla l. 8.7.1986, n. 349; ad esso è attribuito il compito di assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'inquinamento (Cassese S. 2000, 267).
Non si possono nascondere le critiche all’utilizzo del modello ministeriale per attivare competenze da demandare, invece, ad organi più vicini al controllo del territorio, come regioni e comuni (Assini N. Mantini P. 1997, 150).
Dal punto di vista operativo rimangono i problemi posti dalla difficile ripartizione di competenze, considerando quelle attribuite al Ministero dei beni culturali e quelle attribuite alle regioni.

Nelle materie afferenti alla tutela dell'ambiente, pur dopo il trasferimento alle regioni della materia urbanistica, operato dalla l. 22.7.1975, n. 382, e dall'art. 80, d.p.r. 24.7.1977, n. 616, nonché la delega di funzioni amministrative nella materia dei beni ambientali, ex art. 82, d.p.r. n. 616/1977, devono ritenersi conservati dal ministro per i beni culturali e ambientali poteri di intervento non riducibili soltanto ai normali poteri attribuiti a un'autorità delegante.
Essi sono veri e propri poteri concorrenti con quelli regionali, nel quadro della fondamentale previsione di cui all'art. 9 cost.
(T.A.R. Campania, sez. Salerno, 16.3.1995, n. 174, FA, 1995, 2812).

L’assetto organizzativo è stato oggetto di riorganizzazione, dopo il referendum del 18.4.1993, colla l. 21.1.1994, n. 71 che ha istituito l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e le Agenzie regionali (Salvia F. Teresi F. 1998, 329).
La disciplina delle agenzie provinciali, dettata dall’art. 3, l. 21.1.1994, n. 71, indica i principi della riforma del settore ed i vincoli che ne derivano per la legislazione provinciale.
La legge, nel porre i principi della riforma economico sociale di settore, lascia aperta alla legislazione provinciale ogni determinazione in ordine alla struttura ed agli organi dell'agenzia superando le possibili censure di illegittimità costituzionale.

Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3° co.; 1, 1° co., lett. a) e c), e 3° co., d.l. n. 496/1993, in riferimento agli art. 8, 1° co., 9, 1° co., 14, 3° co., 16, 1° co., 68 e 107 dello st. sp. di cui al d.p.r. 31.8.1972, n. 670.
La disciplina delle agenzie provinciali, art. 3, d.l. n. 496/1993, indica i principi della riforma del settore ed i vincoli che ne derivano per la legislazione provinciale, e segnatamente l'obbligo di istituire appositi ed autonomi organismi tecnici per la protezione ambientale, destinato ad essi, nella transizione della nuova configurazione organizzativa, gli apparati preesistenti, cui erano rimesse le medesime funzioni, ed i relativi finanziamenti.
Un tale quadro, nel porre i principi della riforma economico sociale di settore, lascia aperta alla legislazione provinciale ogni determinazione in ordine alla struttura ed agli organi dell'agenzia, all'articolazione degli uffici, agli ulteriori compiti che si ritenga di attribuire ad essa, alle procedure da seguire ed ai rapporti con gli altri organi provinciali, essendo rimessa alla legge provinciale la disciplina dell'organizzazione, delle risorse tecniche e di personale, dei mezzi finanziari, delle modalità di consulenza e di supporto tecnico da prestare agli apparati provinciali e degli enti locali che si avvalgono delle agenzie.
L'obbligo di istituire le agenzie provinciali risponde all'esigenza di assicurare la presenza di appositi ed autonomi organismi tecnici su tutto il territorio nazionale, in modo da rendere agevole ed omogenea la raccolta e l'elaborazione di dati in materia ambientale, e consentire l'esercizio indipendente dell'attività di consulenza e di controllo tecnico.
Il vincolo per le agenzie provinciali per la protezione dell'ambiente di prevedere, art. 1, comma 3, forme di consultazione con le organizzazioni sindacali e degli imprenditori nelle materie nelle quali si svolge l'attività tecnico-scientifica affidata alla loro competenza, enuncia solo un principio, indicando una finalità ed un metodo partecipativo da seguire, le cui modalità ed articolazioni sono rimesse alle determinazioni proprie delle provincie autonome.
Nel quadro dei rapporti fra agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente ed agenzie provinciali, art. 1, 1° co., lett. a e b), ciascuno di tali enti e' dotato di autonomia organizzativa, senza che sia possibile configurare un accentramento di funzioni in capo alla prima o forme di subordinazione delle seconde: le attività di supporto tecnico-scientifico, proprie delle agenzie, nazionale o provinciale, sono espressamente rimesse all'una o alle altre a seconda del livello dell'interesse che assistono, senza modificare l'assetto e la ripartizione delle competenze sostanziali.
Anche quando si prefigura l'opportunità di specializzazione di talune strutture tecniche delle agenzie, art. 1, 3° co., il modulo previsto è quello della convenzione, che per sua natura rispetta l'autonomia dei soggetti coinvolti e la loro libera determinazione, sicché ne risulta sottolineata la reciproca indipendenza degli enti.
L'attività di indirizzo e coordinamento tecnico rimessa all'agenzia nazionale nei confronti delle agenzie provinciali (o regionali) per l'esercizio delle competenze ad esse spettanti, è un coordinamento che riguarda esclusivamente l'omogeneità sul piano nazionale delle metodologie operative, riferite essenzialmente alla raccolta sistematica, alla elaborazione di dati e informazioni sulla situazione ambientale.
Si tratta di un coordinamento tecnico, che si distingue da quello politico-amministrativo e può essere affidato anche ad enti appartenenti all'amministrazione statale, dotati delle conoscenze e delle esperienze tecniche necessarie in rapporto ai compiti previsti, senza che ciò determini una lesione delle competenze costituzionalmente assicurate alle regioni o alle province autonome.
(Corte cost., 27.7.1994, n. 356, RGE, I, 885).

La struttura delle agenzie è stata modificata col d.lg. 300/1999, art. 38, che riforma l’organizzazione del governo, con l’istituzione dell’agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Dell’Anno P. 2000, 90).

3. Il decentramento regionale delle funzioni in materia ambientale.

Legislazione l. 142/1990, art. 14 - d.lg. 31.3.1998, n. 112, artt. 57, 69, 1° e 2° co., 70.
Bibliografia Salvia e Teresi 1998 - Cassese 2000 (2) - Gherghi 2002.

Il d.lg. 31.3.1998, n. 112, attuando la delega contenuta nella l. 59/1997, completa il decentramento alle regioni in materia ambientale e, soprattutto, definisce il quadro complessivo dando un maggiore ordine all’intera materia (Salvia F. e Teresi F. 1998, 328).
Recependo le critiche che evidenziano l’estremo frazionamento del settore e l’eccessivo proliferare di competenze vi è un tentativo di raccordo fra le funzioni ambientali della regione che deve prevedere i nuovi contenuti del piano di coordinamento provinciale, avendo come obiettivo la tutela del territorio, art. 57, d. lg. 31.3.1998, n. 112.
Il legislatore, peraltro, non si nasconde la difficoltà di equilibrare, nel tentativo di razionalizzare la materia, funzioni diverse, imponendo al legislatore regionale il difficile compito di trovare intese fra le amministrazioni interessate.
La tutela, infatti, si scontra con diverse competenze e, soprattutto, con i diversi canali di spesa per l’esecuzione delle opere.
L’art. 69, 1° co., d.lg. 31.3.1998, n. 112, ad esempio, procede ad una elencazione tassativa delle funzioni nazionali in materia di protezione della fauna e della flora, attribuendo allo Stato funzioni di controllo, ad esempio, dell’ambiente costiero (Cassese S. 2000 (2), 1535).

1. Ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente quelli relativi:
a) al recepimento delle convenzioni internazionali e delle direttive comunitarie relative alla tutela dell'ambiente e alla conseguente definizione di obiettivi e delle iniziative necessarie per la loro attuazione nell'ordinamento nazionale;
b) alla conservazione e alla valorizzazione delle aree naturali protette, terrestri e marine ivi comprese le zone umide, riconosciute di importanza internazionale o nazionale, nonché alla tutela della biodiversità, della fauna e della flora specificamente protette da accordi e convenzioni e dalla normativa comunitaria;
c) alla relazione generale sullo stato dell'ambiente;
d) alla protezione, alla sicurezza e all'osservazione della qualità dell'ambiente marino;
e) alla determinazione di valori limite, standard, obiettivi di qualità e sicurezza e norme tecniche necessari al raggiungimento di un livello adeguato di tutela dell'ambiente sul territorio nazionale;
f) alla prestazione di supporto tecnico alla progettazione in campo ambientale, nelle materie di competenza statale;
g) all'esercizio dei poteri statali di cui all'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349;
h) all'acquisto, al noleggio e all'utilizzazione di navi e aerei speciali per interventi di tutela dell'ambiente di rilievo nazionale;
i) alle variazioni dell'elenco delle specie cacciabili, ai sensi dell'articolo 18, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157;
l) all'indicazione delle specie della fauna e della flora terrestre e marine minacciate di estinzione;
m) all'autorizzazione in ordine all'importazione e all'esportazione di fauna selvatica viva appartenente alle specie autoctone;
n) all'elencazione dei mammiferi e rettili pericolosi;
o) all'adozione della carta della natura;
p) alle funzioni di cui alle lettere a), b), c) ed e) dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, come risultano modificate dall'articolo 1, comma 8, della legge 19 maggio 1997, n. 137, nonché quelle attualmente esercitate dallo Stato fino all'attuazione degli accordi di programma di cui all'articolo 72.
(art. 69, 1° co., d.lg. 31.3.1998, n. 112).

Le regioni diventano il referente organizzativo primario sul territorio per gli interventi di tutela ambientale, ex art. 69, 2° co., d.lg. 31.3.1998, n. 112.

2. Lo Stato continua a svolgere, in via concorrente con le regioni, le funzioni relative:
a) alla informazione ed educazione ambientale;
b) alla promozione di tecnologie pulite e di politiche di sviluppo sostenibile;
c) alle decisioni di urgenza a fini di prevenzione del danno ambientale;
d) alla protezione dell'ambiente costiero.
(art. 69, 2° co., d.lg. 31.3.1998, n. 112).

Altre funzioni, secondo i principi della sussidiarietà e adeguatezza, sono esercitabili localmente da comuni e province, ex art. 70, d.lg. 31.3.1998, n. 112.

1. Tutte le funzioni amministrative non espressamente indicate nelle disposizioni degli articoli 68 e 69 sono conferite alle regioni e agli enti locali e tra queste, in particolare:
a) i compiti di protezione ed osservazione delle zone costiere;
b) il controllo in ordine alla commercializzazione e detenzione degli animali selvatici, il ricevimento di denunce, i visti su certificati di importazione, il ritiro dei permessi errati o falsificati, l'autorizzazione alla detenzione temporanea, ad eccezione della normativa di cui alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES), resa esecutiva dalla legge 19 dicembre 1975, n. 875;
c) le competenze attualmente esercitate dal Corpo forestale dello Stato, salvo quelle necessarie all'esercizio delle funzioni di competenza statale.
(art. 70, d.lg. 31.3.1998, n. 112).
Alla provincia sono state attribuite con la adozione del piano territoriale di coordinamento provinciale le funzioni relative all’assetto del territorio e alla tutela e valorizzazione dell’ambiente, ex art. 20, d.lg. 267/2000.
II testo dell’art. 117, cost., come modificato dall’art. 3, l. cost. 18.10.2001, n. 3, nel ripartire la potestà legislativa fra Stato e Regioni distingue tre principali categorie di materie: quelle riservate in via esclusiva allo Stato, quelle assoggettate a legislazione concorrente - per le quali la normativa di dettaglio è attribuita alle regioni mentre spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali - e quelle di legislazione esclusiva regionale che hanno portata residuale (Gherghi 2002, 536).
L’art. 177, 1° co., cost. definisce le materie a legislazione esclusiva ove la potestà legislativa spetta allo Stato con l’aggiunta dell’ambiente.


4. Il Ministero per i beni e le attività culturali.

Legislazione d. lg. 20.10.1998, n. 368, art. 1 - d. lg. 1999/300, art. 3 - d. lg. 29.10.1999, n. 490, art. 5.
Bibliografia Cassese 2000 - Cassese 2000 (2).

Il Ministero per i beni e le attività culturali è stato istituito con l’art. 1, d. lg. 20.10.1998, n. 368 (Cassese S. 2000, 261).
Esso, rispetto al precedente Ministero dei beni culturali ed ambientali, assomma le funzioni di valorizzazione e promozione del patrimonio culturale.
Le funzioni ministeriali, ad esempio, in materia di individuazione dei beni culturali sono precisate dagli artt. 5 e segg., d. lg. 29.10.1999, n. 490, che ha approvato il testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali.
Il d. lg. 1999/300, art. 3, ha compreso tale ministero nel ristretto numero di quelli che sopravviveranno alla riforma da esso introdotta (Cassese S. 2000 (2), 1094).


L motivi contenuti nelle trent'otto pagine del provvedimento giurisdizionale possono schematizzarsi in due gruppi:
1) Contrarietà del d.lg. n. 3 del 2004 ai principi e criteri informatori fissati nella l.d. n. 137 del 2002.
2) Mancanza di carattere precettivo delle disposizioni contenute nel d.lg. n. 3 del 2004. Secondo l'ordinanza del
Tar Marche n. 136 del 2004, il d.lg. n. 3 del 2004 con cui è stata attuata la delega per la riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali contenuta nella l. n. 137 del 2002 sarebbe privo di un reale contenuto precettivo. Tale vuoto sarebbe stato illegittimamente colmato dal Governo attraverso il regolamento di organizzazione (delegificato) di cui al citato d.P.R. n. 173 del 2004, che pertanto svolgerebbe surrettiziamente la funzione affidata dalla legge di delega esclusivamente al decreto delegato e non già ad un atto a questo subordinato.
La riforma privilegerebbe « un'organizzazione burocratica finalizzata ad attuare una politica troppo marcatamente economicistica dei beni culturali », « considerando la competenza scientifica un intralcio alla tutela dei beni culturali invece che una peculiare risorsa del settore » (pag. 8), con la conseguenza di produrre la « soggiacenza della dirigenza alla classe politica » (p. 9).
T.A.R. , 15 Ottobre 2004, n. 136, Marche
L'organizzazione del Ministero per i beni culturali va alla Consulta: eccesso di delega o di potere giudiziario?
Foro amm. TAR 2004, 10, 2924
Antonio Leo Tarasco


5. Le competenze Regionali e degli enti locali in materia paesistica.

Legislazione l. 47/1985, art. 24 - l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, artt. 6, 7.
Bibliografia Pagano 1975.

Il trasferimento alle regioni delle funzioni in materia di urbanistica e di opere pubbliche di interesse regionale, ai sensi dell'art. 117 della costituzione, inizia col d.p.r. 8/1972.
Questo è completato dal d.p.r. 616/1977, che trasferisce alle regioni le funzioni amministrative riguardanti l'approvazione degli strumenti urbanistici sovracomunali e di quelli generali ed attuativi, il rilascio di concessioni urbanistiche ed in deroga ed i provvedimenti repressivi, le competenze in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Con le funzioni sono trasferiti gli uffici periferici del Ministero dei lavori pubblici: il genio civile e il provveditorato opere pubbliche, comprese le sezioni urbanistiche istituite presso i provveditorati.
Allo Stato è riservata la funzione di indirizzare e di coordinare, nelle linee fondamentali, l'assetto del territorio nazionale e quella di disciplinare le aree sismiche.
Le regioni hanno regolato i contenuti del piano territoriale, dando nuovi effetti alla programmazione territoriale ed imponendo un diverso ruolo alle amministrazioni che operano sul territorio.
La l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, all’art. 6 prevede che il piano abbia come contenuto obbligatorio: l’indicazione delle opere pubbliche e degli impianti necessari per servizi di interesse regionale, l’indicazione degli ambiti territoriali da destinare a indirizzi speciali e di quelli da riservare a parchi naturali (Pagano F. 1975, 21).
Da tali funzioni scaturiscono effetti diversi.
La funzione programmatoria del piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, ad adeguarsi alle sue disposizioni.
Le prescrizioni, aventi carattere esecutivo, comportano di norma l’adozione delle misure di salvaguardia.
Il piano può avere una disciplina prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici.
In tal caso, a tutela delle disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni determinazione sulle domande di concessione edilizia, ai sensi dell’art. 7 della l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51.
I piani attuativi delle aree individuate di interesse regionale nei piani territoriali sono soggetti alla approvazione regionale, non applicandosi le semplificazioni procedurali previste dall'art. 24 della l. 47/1985.
Il decentramento è affidato al comprensorio poiché la pianificazione si articola attraverso il piano territoriale di coordinamento comprensoriale, che si estende all'intero ambito di ciascun comprensorio e costituisce, a tale livello, l'articolazione del piano territoriale regionale ed il quadro di riferimento del piano socio-economico comprensoriale.


6. Il codice dell’ambiente.

L’art. 1, l. 308 del 2004, ha conferito al Governo la delega ad adottare, entro diciotto mesi dalla data Della sua entrata in vigore, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici:
a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche;
c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;
d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna;
e) tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente;
f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
g) tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.
La delega è molto ampia tanto che ammette l’integrazioen dell sipsoiioni legisaltive, anche se tale disposizione espone facilmente il legislatore delegato alle censure per eccesso di delega.
Il Consiglio dei Ministri del 18.11.2005 ha approvato in via preliminare uno schema di decreto legislativo che dà attuazione ad un'ampia delega conferita al Governo dalla l. 308 del 2004 per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale.
Il provvedimento è un corpus normativo di notevoli diemnsioni, semplifica, razionalizza, coordina e rende più chiara la legislazione ambientale.
Il testo segue quattro indirizzi principali: 
1.      recepimento delle direttive comunitarie ancora non entrate nella legislazione italiana nei settori oggetto della delega, in totale si tratta di otto direttive;
2.      accorpamento delle disposizioni concernenti settori omogenei di disciplina, in modo da ridurre le ripetizioni;
3.      integrazione nei vari disposti normativi della pluralità di previsioni precedentemente disseminate in testi eterogenei, riducendo così la stratificazione normativa generatasi per effetto delle innumerevoli norme che si sono nel tempo sovrapposte e predisponendo una serie di articolati aggiornati e coordinati;
4.      abrogazione espressa delle disposizioni non più in vigore. A questo riguardo, benché sia noto come la semplificazione normativa non dipenda unicamente dalla quantità delle disposizioni formalmente in vigore, il risultato dell'opera di riordino ha condotto all'abrogazione di cinque leggi, dieci disposizioni di legge, due decreti legislativi quattro d.P.R. tre d.P.C.M. ed otto decreti ministeriali, cui sono da aggiungere le disposizioni già abrogate e di cui viene confermata l’abrogazione da parte dei decreti delegati.

23/01/2006 - Il Consiglio dei Ministri del 19 gennaio scorso ha approvato lo schema di Testo Unico in materia ambientale.
Ricordiamo che le Commissioni Ambiente di Camera e Senato, circa una settimana fa, avevano espresso parere favorevole con condizioni.
È mancato però il parere della Conferenza unificata, che ha deciso di non esprimere alcun parere, perché in totale disaccordo con il modo di operare del Governo.
Regioni, Province e Comuni, infatti, accusano l’Esecutivo di non aver rispettato l’impegno a cooperare con le Regioni nella stesura del Codice.
Il nuovo testo recepisce tutte le condizioni poste dal Parlamento, in particolare per la VIA è stato confermato l'obbligo di eseguirla sul progetto preliminare, è stato inserito il principio del silenzio-rifiuto e migliorata la disciplina relativa all’informazione nei confronti delle autorità e della popolazione sugli esiti.
In tema di gestione delle acque e difesa del suolo, sono stati rafforzati il raccordo e la collaborazione con gli enti locali; è prevista l’istituzione di un’Authority per la vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.
Ora il Governo ritrasmetterà i testi alle Commissioni parlamentari competenti per il parere definitivo che dovrà essere espresso, come previsto dalla legge delega 308/2004, entro 20 giorni dalla data di assegnazione.
A quel punto il Governo procederà ad approvare in via definitiva il Codice.



24.8. La legalizzazione dell’occupazione di aree demaniali. a) Costruzioni eseguite legittimamente.

Legislazione c.c. art. 936 - l. 1.8.2003, n. 212, art. 5 bis - l. 24.11.2003, n. 326, art. 32, 43° co.
Bibliografia Bassani 2003.

L’art. 5 bis, d.l. 24.6.2003, n. 143, introdotto dalla l. 1.8.2003, n. 212, stabilisce che le porzioni di aree appartenenti al patrimonio ed al demanio dello stato, esclusi il demanio marittimo e le aree sottoposte a tutela ambientale, parzialmente occupate da costruzioni legittimamente costruite entro il 31.12.2002, siano cedute dall’Agenzia del demanio a favore del soggetto legittimato che ne abbia fatto richiesta.
Sono richiesti due presupposti: l’esecuzione delle opere entro il 31.12. 2002 e la loro realizzazione in conformità a titoli legittimanti.
La dottrina rileva la contraddizione nella disciplina della decorrenza del termine di entrata in vigore della legge.
La norma, infatti, è stata introdotta dalla legge di conversione, mentre il testo legislativo fa riferimento alla data di entrata in vigore del decreto, quindi i sei mesi entro cui deve essere presentata la domanda decorrono dalla data di entrata in vigore del decreto 143/2003, vale a dire dal 24.6.2003 (Bassani 2003, 1266).
Il richiedente deve presentare il titolo di proprietà dell’opera che ha causato l’occupazione di aree demaniali, il frazionamento catastale e il provvedimento che ha autorizzato la costruzione, oltre alla ricevuta del versamento all’erario del prezzo dell’area, determinato sulla base della tabella allegata al provvedimento legislativo.
Nel tentativo di sanare situazioni che si trascinano da decenni, la norma prevede che, in caso di mancata richiesta da parte del proprietario, sia la stessa agenzia del demanio che debba promuovere l’acquisto, con la sanzione della maggiorazione del 15% del prezzo determinato come visto in precedenza.
In caso di mancata adesione al prezzo comunicato si procede all’acquisizione a titolo gratuito da parte dello Stato della porzione dell’opera che ha sconfinato sull’area demaniale, secondo le norme dell’accessione ordinaria stabilite dall’art. 936 del c.c., senza le soluzioni alternative ivi previste che consentono al proprietario di scegliere se ritenere, pagandoli, i materiali o costringere il costruttore a levarli a spese proprie.
La dottrina rileva le contraddittorietà sostanziali della norma che avrebbe dovuto sempre sanzionare il comportamento del proprietario che ha costruito su area demaniale. Egli, infatti, in ogni caso, anche se possiede un titolo abilitante, ha una autorizzazione annullabile ed è soggetto alla sanzione della demolizione.
I problemi sembrano, comunque, superati dal successivo condono edilizio (Bassani 2003, 1266).

5. Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell'ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l'uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all'uso del suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all'uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all'area coperta dal fabbricato. Salve le condizioni previste da leggi regionali, il valore è stabilito dalla filiale dell'Agenzia del demanio competente per territorio per gli immobili oggetto di sanatoria ai sensi della presente legge e dell'art. 39 della l. 23.12.1994, n.724, con riguardo al valore del terreno come risultava all'epoca della costruzione aumentato dell'importo corrispondente alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, al momento della determinazione di detto valore. L'atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall'ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento dell'importo come sopra determinato.
6. Per le costruzioni che ricadono in aree comprese fra quelle di cui all'articolo 21 della legge 17.8.1942, n.1150, il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria è subordinato alla acquisizione della proprietà dell'area stessa previo versamento del prezzo, che è determinato dall'Agenzia del territorio in rapporto al vantaggio derivante dall'incorporamento dell'area”
(art. 32, l. 28.2.1985 n. 47, mod. art. 32, 43° co., l. 24.11.2003, n. 326).

La giurisprudenza ha, in ogni modo, ritenuto che l’amministrazione conserva la massima discrezionalità nell’emanazione dell’assenso che può essere successivamente revocato, purché prima del rilascio del provvedimento di condono

Poiché il rilascio della concessione edilizia in sanatoria per le opere edilizie abusive eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o di enti pubblici, è subordinato alla disponibilità dell'ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalla normativa in vigore, l'uso del suolo così occupato, detto ente ben può ritirare, nell'esercizio dei generali poteri d'autotutela, l'assenso in un primo tempo rilasciato, prima che decorra il termine per la formazione del silenzio assenso sull'istanza di condono edilizio e, più in generale, prima della definizione del procedimento di sanatoria”
(Cons. St., sez. V, 4.8.2000, n. 4307, FA, 2000, 2661).



24.8.1. b) Costruzioni eseguite illegittimamente.

Legislazione l. 24.11.2003, n. 326, art. 32, 14°, 15°, 16°, 20°, 43° co. -
Bibliografia Caruso 2003 – Bassani 2003 (2).

Le opere realizzate illegittimamente su aree demaniali o appartenenti al patrimonio dello Stato, ad eccezione del demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonché su terreni gravati da diritti di uso civico possono essere condonate qualora vi sia l’assenso dello Stato, per il tramite dell’Agenzia del demanio, alla cessione in proprietà dell’area ovvero alla sua concessione per il mantenimento dell’opera abusiva sul suolo (Bassani 2003 (2), 1371).
La domanda è per la cessione a titolo oneroso della proprietà dell’area se questa appartiene al patrimonio disponibile dello Stato.
La domanda è tesa a garantire onerosamente il diritto al mantenimento dell’opera se essa è realizzata sul suolo appartenente al demanio ed al patrimonio indisponibile dello Stato, ex art. 32, 14° co., l. 24.11.2003, n. 326.
La domanda tesa ad ottenere la disponibilità dell’area deve essere presentata entro il 31.3.2004 alla filiale dell’agenzia del demanio territorialmente competente, accompagnata dalla documentazione relativa all’illecito edilizio, corredata dall’attestazione di pagamento della somma dovuta a titolo di indennità per occupazione pregressa delle aree per un periodo non superiore alla prescrizione quinquennale secondo i parametri definiti dalla tab. A, ex art. 32, 15° co., l. 24.11.2003, n. 326 (Caruso 2003, 120).
La norma afferma la necessità di assicurare, anche mediante specifiche clausole contenute negli atti di vendita o dei provvedimenti di riconoscimento del diritto al mantenimento dell’opera, il libero accesso al mare, con il conseguente diritto pubblico di passaggio, ex art. 32, 16° co., l. 24.11.2003, n. 326. L’atto di disponibilità è stipulato con convenzione di cessione del diritto di superficie che può avere una durata massima di venti anni a fronte di un canone commisurato ai valori di mercato, ex art. 32, 20° co., l. 24.11.2003, n. 326.
Nel caso di aree soggette a vincoli, l’art. 32, 16° co., l. 24.11.2003, n. 326, richiede obbligatoriamente il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
La mancata concessione della sanatoria comporta l’applicazione delle relative sanzioni.

7. Per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi del presente articolo si applicano le sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6.6. 2001, n.380”
(art. 32, l. 28.2.1985 n. 47, mod. art. 32, 43° co., l. 24.11.2003, n. 326).


9. L'autorizzazione integrata ambientale

Legislazione d.lg. 18.2.2005, n. 59, art. 2, 5, 7° co., 9.
Bibliografia Scarcella 2005.

Il d.lg. 18.2.2005, n. 59, che attua della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrale dell’inquinamento (Scarcella A. 2005, 17).
Il decreto ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività espressamente indicate nell'allegato I: sono comprese le attività energetiche, come ad esempio gli impianti di combustione con potenza termica di combustione di oltre 50 MW o le raffinerie di petrolio e di gas.; la produzione e trasformazione dei metalli; l’industria dei prodotti minerali; l’industria chimica; la gestione dei rifiuti.
Il provvedimento legislativo prevede misure intese ad evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni delle suddette attività nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti e per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso.
Lo strumento utilizzato è la autorizzazione integrata ambientale a cui deve sottoporsi ogni impianto che effettui le attività indicate.

1. omissis
l) autorizzazione integrata ambientale: il provvedimento che autorizza l'esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni che devono garantire che l'impianto sia conforme ai requisiti del presente decreto. Un'autorizzazione integrata ambientale può valere per uno o più impianti o parti di essi, che siano localizzati sullo stesso sito e gestiti dal medesimo gestore;
(art. 2, d.lg. 18.2.2005, n. 59).

L’autorizzazione deve individuare le condizioni per l’esercizio dell’attività che consentano il rispetto delle norme di qualità ambientale, rispettando i principi generali fissati.
L’autorizzazione è rilasciata su domanda di chi intende realizzare l’impianto che deve descrivere l’attività che si intende realizzare le misure di prevenzione e di tutela ambientale adottate, ex art. 2, d.lg. 18.2.2005, n. 59.
La partecipazione dei soggetti interessati al rilascio dell’autorizzazione è regolata dettagliatamente imponenso una pubblicità a mezzo stampa in sostituzione della notifica individuale prevista dall’art. 7, l. 241/1990, ex art. 5, 7° co., d.lg. 18.2.2005, n. 59.
Il procedimento di approvazione deve essere preceduto dalla convocazione di uan conferenza di servizi alla quale sono invitate le amminstrazioni competenti in materia ambientale.
Una delle innovazioni più rilevanti apapre quelal di imporre un teremine, entro il 30.10.2007, entro il quale gli impianti esitetnti devono otnere il rinnovo delle autorizzazioni già rilasciate.
La legge comunque dispone un collegatmento continuo con le nuove tecniche che consentono un migliore impatto ambientale.
La norma appare sicuramente socialmente molto pregevole anche se comporta interventi economicamente gravosi che sia uspica possano essere realizzati con l’intervento di sostegno statale.
Una volta a regime il rinnovo a domanda del gestore dell’impianto deve essere disposto ogni quinquennio. In caso di amncato adeguamento o di amncata domanda si deve procederee a disoporre la decadenza dell’autorizzaizone.

1. L'autorità competente rinnova ogni cinque anni le condizioni dell'autorizzazione integrata ambientale, o le condizioni dell'autorizzazione avente valore di autorizzazione integrata ambientale che non prevede un rinnovo periodico, confermandole o aggiornandole, a partire dalla data di cui all'articolo 5, comma 18, per gli impianti esistenti, e a partire dalla data di rilascio dell'autorizzazione negli altri casi, salvo per gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici ai quali si applica il disposto dell'articolo 17, comma 4, per i quali il primo rinnovo dell'autorizzazione è effettuato dopo sette anni dalla data di rilascio dell'autorizzazione. A tale fine, sei mesi prima della scadenza, il gestore invia all'autorità competente una domanda di rinnovo, corredata da una relazione contenente un aggiornamento delle informazioni di cui all'articolo 5, comma 1. Alla domanda si applica quanto previsto dallarticolo 5, comma 5.
L'autorità competente si esprime nei successivi centocinquanta giorni con la procedura prevista dall'
articolo 5, comma 10. Fino alla pronuncia dell'autorità competente, il gestore continua l'attività sulla base della precedente autorizzazione.
(art. 9, d.lg. 18.2.2005, n. 59).


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