giovedì 4 ottobre 2012

Localizzazione centrali nucleari I


Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale

 

 

La pianificazione territoriale

degli impianti nucleari

 

 

 

Relatore: Prof. Alberto Clini

Tesi di laurea di

Paolo Centofanti

Matr. n. 230981


Anno accademico 2009-2010

 

Parte prima

La pianificazione territoriale

 

Capitolo 1

La pianificazione territoriale


1. Le fonti legislative.
2. Le funzioni regionali in materia urbanistica.
3. Il piano territoriale regionale.
4. Il piano territoriale di coordinamento provinciale. Le funzioni della provincia.
5. Il procedimento di approvazione.
6. Gli effetti. La tutela.
7. Le competenze del comune in urbanistica. Interpretazione ampliative e restrittive
7.1. Il contenuto del piano regolatore generale.              
7.2. La zonizzazione. La localizzazione.
8. La localizzazione delle opere pubbliche
9. La localizzazione delle infrastrutture.  

 

Parte Seconda
Le Fonti normative della Comunità Europea
Capitolo 2
Gli indirizzi della Comunità Europea per il settore nucleare

1. La Comunità europea dell'energia atomica.
1.1. Il programma indicativo per il settore nucleare. COM (2008)776.
2. La sicurezza nucleare. COM(2008)790.
3. I rifiuti radioattivi. COM(2008)542.
4. La rete informativa di allarme sulle infrastrutture critiche. COM(2008)676.
5. La procedura di infrazione alla direttiva 96/29/Euratom e alla direttiva 89/618/Euratom.

Parte terza

La localizzazione delle centrali elettronucleari

Capitolo 3

Dalla prima localizzazione delle centrali elettronucleari, l. 393/1975, alla legge per favorire lo sviluppo, l. 99/2009

1. Le fonti legislative. Il percorso legislativo dei decreti delegati dalla l. 99/2009.
1.1. La localizzazione di centrali nucleari. La l. 2 agosto 1975, n. 393.
2. Il referendum popolare.
2.1. La reintegrazione degli oneri relativi alla chiusura definitiva di centrali nucleari.
2.2. L'Autorità per l'energia elettrica ed il gas. La determinazione delle tariffe relative ai servizi di fornitura dell'energia elettrica.

3. La l. 14.12.2003, n. 368, Il sito unico nazionale per lo stoccaggio.

4. Le leggi regionali che dichiarano denuclearizzato il loro territorio. La l. r. Sardegna 3 luglio 2003, n. 8.

4.1. La l. r. Basilicata 21 novembre 2003, n. 31.

4.2. La l. r. Calabria 5 dicembre 2003, n. 26.

4.3. La l.r. Emilia Romagna 23.12.2004, n. 26.

4.4. Il deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.
4.5. La Sogin. Le funzioni.
4.6. L’autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio del Parco Tecnologico.
4. 7. Il Seminario nazionale sul Parco Tecnologico. La definizione delle aree potenzialmente idonee.
4.8. L’interesse delle regioni ad ospitare il Parco. Il potere sostitutivo.
4.9. Le misure compensative.
5. La legge per favorire lo sviluppo l. 99/2009. La localizzazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare.
5.1. Il ricorso alla Corte Costituzionale contro l’esautoramento degli enti locali a proposito della scelta dei siti.
6. Le modalità di adozione del ex articolo 20 della legge n. 59 del 1997.
7. La legislazione regionale che preclude l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare. L. R. Puglia 4 dicembre 2009, n. 30. L. R. Campania 21 gennaio 2010, n. 2. L. R. Basilicata 13 gennaio 2010, n. 1.
8. Il conflitto di attribuzione.
9. Il d. lg. 15 febbraio 2010, n. 31.

 

Capitolo 4

I decreti delegati. La certificazione dei siti.

1. L’Agenzia per la sicurezza nucleare di cui all’art. 29 della legge 23 luglio 2009, n. 99. Autorità amministrativa indipendente.
1.1. Le funzioni.
2. I requisiti degli operatori e degli impianti fissati con d. lg. 15 febbraio 2010, n. 31.
3. Le caratteristiche dei siti. Lo schema di parametri per le aree idonee.
3.1. Il segreto militare nel d. lg. 15 febbraio 2010, n. 31.
4. La Valutazione Ambientale Strategica.
5. I contenuti.
6. L’istanza per la certificazione dei siti. Il procedimento
7. L’intesa con la regione interessata. Il procedimento in caso di dissenso. Il Comitato interistituzionale Ministeri - Regione.
7.1. Il potere sostitutivo. I principi costituzionali.

Capitolo 5

L’informazione ambientale.

1. Le informazioni ambientali. La legge 8 luglio 1986, n. 349.
1.1. La  natura del diritto di accesso all’informazione ambientale.
2. La Convenzione internazionale di Aarhus del 25 giugno 1998 "sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale
3. Il decreto legislativo 19 agosto 2005 n.195 sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale.
4. La campagna di informazione nel d. lg. 15 febbraio 2010, n. 31.

Capitolo 6

La tutela.

1. Le funzioni del Ministero dell’ambiente e degli Enti locali.
2. Le funzioni delle associazioni ambientaliste.
3. La tutela. Il rinvio alla l. 163/2006
 
Parte quarta
Conclusioni

 

Capitolo 7

Conclusioni
Bibliografia

Parte prima

La pianificazione territoriale

 

Capitolo 1

La pianificazione territoriale


SOMMARIO: 1. Le fonti legislative. 2. Le funzioni regionali in materia urbanistica. 3. Il piano territoriale regionale. 4. Il piano territoriale di coordinamento provinciale. Le funzioni della provincia. 5. Il procedimento di approvazione. 6. Gli effetti. La tutela. 7. Le competenze del comune in urbanistica. Interpretazione ampliative e restrittive 7.1. Il contenuto del piano regolatore generale. 7.2. La zonizzazione. La localizzazione. 8. La localizzazione delle opere pubbliche. 9. La localizzazione delle infrastrutture.  


1. Le fonti legislative.

La pianificazione territoriale trova la sua fonte legislativa nella legge urbanistica l. 17 agosto 1942, n. 1150 [1].
L’articolo 4 afferma che la disciplina urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme sull'attività costruttiva edilizia, sancite dalla presente legge o prescritte a mezzo di regolamenti.
La pianificazione territoriale era in un primo tempo soggetta al controllo del Ministero dei lavori pubblici poi con l’avvento delle regioni le competenze sono state loro trasferite d.p.r. 15 gennaio 1972 n. 8 e dal d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616.
L’art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, attribuisce alla provincia i compiti di programmazione territoriale.
Poi è intervenuta la modifica della costituzione all’art. 117 con la l. cost. n 3/2001 che fissa il governo del territorio come materia a competenza concorrente Stato Regioni.
La norma afferma che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato
La dottrina nota anzitutto il dato fondamentale: la sostituzione di un sistema caratterizzato dalla competenza legislativa generale delle Regioni ad un sistema in cui invece alle Regioni era attribuita competenza soltanto in un numero limitato di materie creerà in Parlamento ampi spazi da riempire necessariamente con le limitate attribuzioni residue.
In secondo luogo la constatazione che il vero e proprio terremoto, che ha investito il potere legislativo, ha sostanzialmente risparmiato la competenza statale nella materia urbanistica in senso lato. Allo Stato è attribuita, infatti, legislazione esclusiva in tema di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» e la «determinazione dei principi fondamentali» per «governo del territorio», «porti e aeroporti civili» e «grandi reti di trasporto e di navigazione». Resta fuori la stessa attuazione delle direttive comunitarie in materia di lavori pubblici, il che desta notevoli preoccupazioni; ma la sostituzione dell'espressione «urbanistica» con «governo del territorio», di portata evidentemente più ampia, giustifica un moderato ottimismo [2].
A tal punto è da inserire la legislazione speciale che prevede il regolamento di localizzazione delle opere pubbliche, approvato con d.p.r. 383/1994, che prevede la convocazione di una conferenza di servizi che ha il compito di pianificare la localizzazione degli interventi pubblici.
Per consentire la celere realizzazione di infrastrutture e di insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale è stato poi approvato il d.lg. 12.4.2006, n. 163.
Le localizzazioni di ulteriori particolari interventi sono disciplinate dalla legislazione speciale come ad esempio la localizzazione delle centrali nucleari. L’individuazione dei siti per detti interventi pone delicati problemi in ordine alla funzione statale di localizzare le opere e quella regionale e comunale di pianificare il loro territorio.
La normativa speciale trova le fonti nella l. 2.8.1975, n. 393, che disciplina la localizzazione, l'autorizzazione e il nulla osta alla costruzione delle centrali elettronucleari dell'ENEL.
L’abrogazione della legge con referendum popolare non ha eliminato tutti i problemi connessi con la realizzazione delle centrali.
E’ ancora insoluta la questione dell'individuazione di un sito unico nazionale per lo stoccaggio definitivo dei residui radioattivi. La l. 14.12.2003, n. 368 deve ancora trovare attuazione anche per i contrasti sorti con le regioni che hanno tentato di dichiarare denuclearizzato il loro territorio impedendo il transito dei rifiuti speciali.
Su tale contesto legislativo si innesta la l. 23.7.2009, n. 99, che delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per riformare la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare e di fabbricazione.

2. Le funzioni regionali in materia urbanistica.

Il trasferimento alle regioni delle funzioni in materia di urbanistica e di opere pubbliche di interesse regionale, ai sensi dell'art. 117 della costituzione, inizia col d.p.r. 8/1972.
Questo è completato dal d.p.r. 616/1977, che trasferisce alle regioni le funzioni amministrative riguardanti l'approvazione degli strumenti urbanistici sovracomunali e di quelli generali ed attuativi, il rilascio di concessioni urbanistiche ed in deroga ed i provvedimenti repressivi, le competenze in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Con le funzioni sono trasferiti gli uffici periferici del Ministero dei lavori pubblici: il genio civile e il provveditorato opere pubbliche, comprese le sezioni urbanistiche istituite presso i provveditorati.
Allo Stato è riservata la funzione di indirizzare e di coordinare nelle linee fondamentali l'assetto del territorio nazionale e quella di disciplinare le aree sismiche.
Le regioni hanno regolato i contenuti del piano urbanistico regionale, dando nuovi effetti alla programmazione territoriale ed imponendo un diverso ruolo alle amministrazioni che operano sul territorio.
Da tali funzioni scaturiscono effetti diversi [3].
La funzione programmatoria del piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, province, comuni, a adeguarsi alle sue disposizioni.
Le prescrizioni aventi carattere esecutivo comportano di norma l’adozione delle misure di salvaguardia.
Il piano può avere una disciplina prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici.
In tal caso, a tutela delle disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire.
Il decentramento avviene a livello provinciale poiché la pianificazione si articola attraverso il piano territoriale di coordinamento provinciale che costituisce, a tale livello, l'articolazione del piano territoriale regionale ed il quadro di riferimento del piano socio-economico dell’area.

3. Il piano territoriale regionale.

Il piano territoriale di coordinamento costituisce atto di indirizzo della regione per il governo del suo territorio, ex art. 5, l. 1150/1942 [4].
Effetto principale dell’approvazione del piano è quello di imporre agli strumenti urbanistici comunali di adeguarsi alle disposizioni in esso contenute; così, quindi, si vieta il rilascio di provvedimenti autorizzatori in contrasto con tali disposizioni, ex art. 6, l. 1150/1942.
Le norme del piano non possono essere successivamente modificate dalle norme di piano regolatore.
La funzione programmatoria del piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, che devono recepire le sue disposizioni, legittimando la regione ad intervenire per modificare gli strumenti urbanistici che non vi si adeguino.
La giurisprudenza afferma che la regione, in sede di approvazione di piano regolatore generale o di una sua variante, ha la facoltà di introdurre modificazioni finalizzate all'adeguamento del piano agli standard, alla pianificazione territoriale di coordinamento, ovvero alle esigenze della programmazione di opere pubbliche di rilievo ultracomunale, purché tali modifiche non alterino sostanzialmente l'impostazione del piano così come adottato dal comune [5] .
Il piano urbanistico territoriale non esplica direttamente la sua efficacia nei confronti delle singole proprietà fondiarie, ma esso è esclusivamente rivolto alle amministrazioni pubbliche territoriali che sono tenute all'adeguamento dei rispettivi strumenti urbanistici al suddetto piano territoriale.
E’ stato affermato che il piano urbanistico territoriale approvato con l. r. Campania 27.6.1987, n. 35 va considerato, a tutti gli effetti, come un piano territoriale di coordinamento - previsto dagli artt. 5 e 6 della l. 17.8.1942, n. 1150 - e si configura, quindi, come strumento di indirizzo nonché di controllo inerente all'utilizzazione del territorio, in grado di vincolare esclusivamente i comuni; di conseguenza le prescrizioni urbanistiche del piano territoriale stesso non possono ritenersi direttamente operative nei confronti dei privati ed esse non impongono sui beni di questi ultimi vincoli immediati se non, attraverso il recepimento del piano, quelli previsti dalla normativa urbanistica di grado inferiore e di livello comunale [6].
Il piano, inoltre, può legittimamente imporre vincoli di inedificabilità assoluta in presenza di particolari e definite situazioni ambientali che si intendono tutelare: Il divieto di edificazione nella fascia costiera di cui all'art. 519, lett. f), l. r. Puglia, 31.5.1980, n. 56, non rappresenta una misura di salvaguardia ma un vincolo d'inedificabilità assoluta preclusivo del rilascio della concessione edilizia fino all'adozione del piano territoriale [7].


4. Il piano territoriale di coordinamento provinciale. Le funzioni della provincia.

Gli artt. 19 e 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, attribuiscono alla provincia il ruolo di ente intermedio tra regione e comune, con funzioni di coordinamento e di programmazione economica e territoriale ambientale [8].
Vengono attribuite alla provincia le funzioni amministrative in materia di difesa del suolo e dell’ambiente, di tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, dei beni culturali, della viabilità e dei trasporti, di protezione della flora e della fauna, della caccia e della pesca, di protezione ambientale, di controllo dei rifiuti e degli scarichi delle acque ed emissioni atmosferiche, dei servizi sanitari.
La dottrina asserisce che la provincia nel nuovo assetto delle autonomie locali ha occupato il posto della regione alla quale si è sostituita nella titolarità e nell’esercizio di quasi tutte le funzioni amministrative [9].
In particolare l’art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, conferma alla provincia i compiti di programmazione territoriale disponendo che la provincia:     
a) raccoglie e coordina le proposte avanzate dai comuni, ai fini della programmazione economica, territoriale ed ambientale della regione;     
b) concorre alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani regionali secondo norme dettate dalla legge regionale;     
c) formula e adotta, con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di sviluppo, propri programmi pluriennali sia di carattere generale che settoriale e promuove il coordinamento dell'attività programmatoria dei comuni.  
La provincia, inoltre, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio e, in particolare, indica:     
a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;     
b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;     
c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;     
d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.  
I programmi pluriennali e il piano territoriale di coordinamento sono trasmessi alla regione ai fini di accertarne la conformità agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale, art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267.
E’ sancita la competenza programmatoria della provincia.
Le funzioni della provincia si esercitano sia in campo economico, concorrendo a determinare il piano regionale di sviluppo, sia in campo urbanistico, attraverso il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio provinciale.
La dottrina evidenzia che il quadro che ne risulta è quello di un piccolo (al ridotto livello provinciale) piano regionale territoriale di coordinamento, con una più attenta considerazione delle tematiche ambientali e della tutela del suolo ed uno stringersi dei rapporti tra pianificazione economica e territoriale [10].
Il piano trova un limite programmatorio negli indirizzi regionali e nel relativo piano territoriale di coordinamento cui deve adeguarsi.
Si profila un’evidente necessaria sovraordinazione fra la programmazione urbanistica rapportata a livello provinciale e quella dei singoli comuni.
Ad esempio, la norma prevede che se la provincia indica nel suo territorio delle aree a vocazione industriale o artigianale il comune deve prenderne atto e dimensionare le sua autonomia pianificatoria.
La norma, inoltre, dispone che la legge regionale detti le procedure di approvazione, nonché norme che assicurino il concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento.  
Ai fini del coordinamento e dell'approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale predisposti dai comuni, la provincia esercita le funzioni ad essa attribuite dalla regione ed ha, in ogni caso, il compito di accertare la compatibilità di detti strumenti con le previsioni del piano territoriale di coordinamento.  
Gli enti e le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle rispettive competenze, si conformano ai piani territoriali di coordinamento delle province e tengono conto dei loro programmi pluriennali, art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267.
La attribuzione alle province di competenze in materia di pianificazione territoriale non comporta alcuna diminuzione delle attribuzioni demandate alle regioni.
Le attribuzioni provinciali, infatti, devono essere esercitate nel rispetto delle indicazioni programmatiche provenienti da atti o provvedimenti regionali.
Il potere regionale di approvazione o quanto meno di presa d’atto del piano definisce gli ordinamenti programmatori distinguendo come principale il potere regionale cui deve conformarsi il pianificatore provinciale e quello comunale:
La giurisprudenza ha ribadito che il livello di programmazione territoriale provinciale è subordinato a quello regionale.
L'art. 15 della l. 8.6.1990, n. 142, ora modificato dall’art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, nella parte in cui prevede che ogni provincia debba adottare un piano territoriale di coordinamento, non esclude la subordinazione del piano provinciale alla pianificazione regionale; l’art. 15 della l. 142/1990, pertanto, non è in contrasto con l'art. 117 cost., perché i piani urbanistici provinciali debbono comunque sottostare allo strumento di coordinamento costituito dal piano regionale [11].


5. Il procedimento di approvazione.

La dottrina rileva che il potere attribuito alle province è sottoposto al limite della partecipazione obbligatoria dei comuni alla stesura del piano.
Sotto un profilo generale, il piano territoriale di coordinamento della provincia incontra due limiti: a monte della necessaria conformità dei piani agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale; a valle, della necessaria partecipazione dei comuni alla formulazione del piano partecipazione obbligatoria dei comuni alle stesura del piano.
La legislazione regionale deve definire minuziosamente il procedimento di approvazione del piano.
L’art. 20, 4° co., d.lg. 267/2000, prevede che la Provincia, nel redigere il piano territoriale di coordinamento provinciale, chieda la cooperazione dei Comuni e delle Comunità montane e la partecipazione delle organizzazioni sindacali ed economiche e delle differenti realtà professionali, sociali e culturali [12].
La fase preparatoria acquista una valenza fondamentale poiché, se si realizza un reale coinvolgimento delle amministrazioni comunali, si ottiene una maggiore attenzione delle stesse alla successiva fase di adozione e di recepimento.
I meccanismi che si accontentano del silenzio assenso delle amministrazioni comunali senza il loro coinvolgimento scontano, in effetti, la troppo veloce elaborazione iniziale.
La fase del deposito del piano e della sua pubblicità acquista la valenza di permettere alle amministrazioni interessate, soprattutto dalle varianti proposte, di formulare eventuali osservazioni.
La legislazione regionale deve prevedere che il piano sia adottato dalla Provincia che lo deposita presso la propria sede e, inoltre, presso le sedi dei Comuni e delle Comunità montane della provincia. Il deposito deve essere pubblicizzato sul Bollettino Ufficiale della regione ed almeno su un quotidiano locale.
Qualora il piano proponga la variante ad uno strumento regionale di programmazione e di pianificazione territoriale, esso deve essere depositato anche presso l’ufficio della Presidenza del consiglio regionale e presso le sedi delle altre amministrazioni provinciali. L’avvenuto deposito deve essere pubblicizzato sul Bollettino Ufficiale della regione e su un quotidiano locale, specificando lo strumento regionale di cui si propone variante.
La dottrina ha ritenuto che, in carenza di disposizioni legislative espresse, la partecipazione dei privati risulti estranea ai contenuti del piano, che sono infatti diretti alle amministrazioni comunali, pur essendo la stessa considerata ammissibile dalla legislazione regionale.


6. L’adozione delle misure di salvaguardia.

L’adozione del piano comporta l’immediata adozione delle misure di salvaguardia che impone la sospensione di ogni attività che sia in contrasto col piano fino alla relativa approvazione della regione.
Il comune è obbligato alla sospensione di ogni determinazione su domande di permesso di costruire che siano in contrasto con le previsioni del piano provinciale.
Il provvedimento regionale si concretizza entro un termine normalmente prefissato, pena la decadenza delle stesse misure.
Successivamente all’entrata in vigore del piano, dopo l’approvazione regionale, vi è il relativo obbligo per il comune di adeguare allo stesso il proprio strumento urbanistico.
La giurisprudenza precisa che nel caso in cui le norme tecniche di attuazione del piano regolatore dettino per la stessa area discipline diverse ed in apparente contrasto, l'antinomia va risolta in via interpretativa, in base ai criteri generali, come quello per cui la disposizione speciale prevale su quelle più generali, e con riferimento alla ratio legis; onde l'esplicita volontà del pianificatore comunale di non discostarsi dalle prescrizioni del piano territoriale di coordinamento provinciale nelle aree di tutela ambientale, senza eccezione alcuna, rende evidente che la norma costituisce espressione di una scelta vincolante per l'interprete, tanto da non ammettere soluzioni ermeneutiche che compromettano la necessaria conformità del piano regolatore comunale al piano territoriale provinciale di coordinamento [13].
Il piano non è un mero programma di iniziative economiche che non incide direttamente sulle posizioni giuridiche, ma esso, al contrario, risulta destinato a condizionare le disposizioni di piano tuttora vigenti attraverso le misure di salvaguardia.
In tal senso non sembra da condividere l’orientamento della dottrina che esclude l’impugnabilità diretta del piano.
Non è ammessa l’impugnativa del piano territoriale provinciale in quanto non ha effetti immediati e diretti; essa è ammessa soltanto in via incidentale in sede di impugnazione del piano regolatore che recepisca i dettami e le previsioni del piano territoriale [14].
I comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano  regolatore comunale, ai sensi dell’art. 6, 2° co., l. urb.


7. Le competenze del comune in urbanistica. Interpretazione ampliative e restrittive

La giurisprudenza difende il ruolo autonomo del comune anche in rapporto alla pianificazione sovraordinata.
Essa afferma che la risalente nozione del sistema pianificatorio urbanistico come ordinato "a cascata" e cioè in forma sostanzialmente gerarchica si pone in contrasto con il principio costituzionale dell'autonomia degli enti territoriali, art. 118 cost., nonché con il criterio generale di riparto delle competenze in materia urbanistica delineato dalla normativa statale.
Il principio di sussidiarietà da un lato e la spettanza al comune di tutte le funzioni amministrative che riguardano il territorio comunale dall'altro orientano i vari livelli di pianificazione urbanistica secondo il criterio della competenza.
Il ruolo del comune non può essere confinato nell'ambito della mera attuazione di scelte precostituite in sede sovraordinata. Ciò comporta che il comune, se non può disattendere le prescrizioni di coordinamento dettate dagli enti come regione o provincia titolari del relativo potere, può però discrezionalmente concretizzarne i contenuti [15].
La giurisprudenza giunge a riconoscere al comune la possibilità di aumentare le prescrizioni a tutela del suo territorio rispetto ai principi affermati dalla legislazione nazionale affermando che il comune può introdurre prescrizioni urbanistiche a fini di protezione ambientale, anche indipendentemente ed oltre le specifiche normative di settore.
Questo potere rientra nell'attività di pianificazione generale di competenza comunale; la tutela dei valori paesistico-ambientali si realizza, infatti, anche attraverso la pianificazione urbanistica e il comune, pure ai fini di tutela ambientale, può prendere in considerazione interessi pubblici pertinenti ad altre autorità o enti, comunque connessi alla tutela del paesaggio ma tutti incidenti sul territorio [16] .
La contestazione della scelta pianificatoria effettuata dall'amministrazione, non può censurare l’apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non sia inficiato da errori di fatto o da abnormi illogicità [17].
Un indirizzo difforme ritiene che vi sia un limite al potere pianificatorio del comune ad esempio nella installazione delle stazioni radio base per la telefonia.
L'amministrazione comunale ha certamente il potere di localizzare gli impianti, ma come ormai acclarato in giurisprudenza occorre distinguere tra i criteri di localizzazione (consentiti) ed i limiti alla localizzazione non consentiti.
E’ consentito alle regioni ed ai comuni, ciascuno per la sua competenza, introdurre criteri localizzativi degli impianti per l'installazione delle stazioni radio base per la telefonia Umts, nell'ambito della funzione di definizione degli "obiettivi di qualità" consistenti in criteri localizzativi, di cui all'art. 3, comma 1, lettera d, ed all'art. 8, comma 1, lettera e, e comma 6 della legge quadro; non è invece consentito introdurre limitazioni alla localizzazione.
Sono criteri localizzativi legittimi, ancorché espressi in negativo i divieti di installazione su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, siccome riferiti a specifici edifici; sono, invece , limitazioni alla localizzazione vietate i criteri distanziali generici ed eterogenei, quali la prescrizione di distanze minime, da rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all'esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi.
In ultima analisi i comuni possono legittimamente vietare l'installazione su specifici edifici e dettare criteri distanziali concreti, omogenei e specifici. Non possono introdurre misure di cautela distanziali generiche ed eterogenee. [18]
La giurisprudenza ha ritenuto illegittima la disposizione delle norme tecniche di attuazione (n.t.a.) del piano regolatore generale (p.r.g.) che individua due soli siti per l'installazione delle stazioni radio base per la telefonia Umts in zona F, con implicita inibitoria di diversa ubicazione in altra zona.
Ciò contrasta anzitutto con il principio di assimilazione "ad ogni effetto" delle "infrastrutture delle reti pubbliche di comunicazione" alle opere di urbanizzazione, sancito dall'art. 86 comma 3, d.lg. n. 259 del 2003. Inoltre la potestà assegnata al comune dall'art. 8 comma 6, l. n. 36 del 2001, di disciplinare "il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione a campi elettromagnetici" deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico ma non può introdurre un generalizzato divieto di installazione in tutte le zone urbanistiche identificate dal p.r.g. ad esclusione di due sole aree comprese in zona F. [19]


7.1. Il contenuto del piano regolatore generale.              

L’art. 7 della l. 1150/1942  determina il contenuto obbligatorio del piano regolatore generale. [20]
La norma prescrive che: il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.
Esso deve indicare essenzialmente:    
1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;    
2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;    
3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;    
4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;    
5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;    
6) le norme per l'attuazione del piano, art. 7, l. 17.8.1942, n. 1150.
Tali indicazioni sono state disattese nella pratica, concretizzando una pianificazione rigida, poiché il piano regolatore ha disciplinato minuziosamente l’assetto del territorio e la pianificazione esecutiva si è trovata costretta in maglie troppo rigide. La legge urbanistica non prevede gli elaborati che devono costituire il provvedimento di adozione del piano da parte dell’ente locale, salvo la relazione finanziaria.
Il rapporto fondamentale fra programmazione e strumenti finanziari è disciplinato dall'art. 30 della l. urb. che contribuisce a dare alle scelte di piano il necessario contenuto di concretezza.
La norma prevede che il piano regolatore generale, agli effetti del primo comma dell'art. 18, ed i piani particolareggiati previsti dall'art. 13 devono essere corredati di un piano finanziario formato dal comune e approvato, oltre che dai normali organi di tutela, dai ministri dell'interno e delle finanze, art. 30, l. 17.8.1942, n. 1150.
Evidentemente è estremamente improbabile riuscire a programmare economicamente, con sufficiente autorevolezza, per un periodo di tempo illimitato, anche se la previsione finanziaria è richiesta solo per l’acquisizione delle aree.
La dottrina afferma che: la funzione della previsione di massima della spesa è quella di tradurre in realtà economica e di dimostrare concretamente la possibilità di realizzazione del piano regolatore, senza peraltro che essa costituisca oggi un elemento per mezzo del quale deve essere dimostrata la possibilità economica del Comune di realizzare il piano in ogni sua parte. [21]
Il dettato legislativo è stato, comunque, minimizzato dalla giurisprudenza, che ha reso le scelte di piano meramente programmatorie.
Essa afferma che la relazione finanziaria di accompagnamento al piano regolatore, prevista dall'art. 30, l. 17.8.1942, n. 1150, non costituisce elemento essenziale dello stesso, ben potendo intervenire anche successivamente, quando venga deliberata l'espropriazione dell'area interessata dal vincolo [22].
La legislazione regionale ha normato tale materia.
La relazione illustrativa contiene, oltre ad una analisi del tessuto urbanistico ed edilizio esistente, le ragioni che motivano le scelte di piano.
Vi sono esposti i motivi che determinano la collocazione delle varie zone (quali il centro storico, le zone di completamento, le zone di espansione, ecc.,) e la localizzazione delle infrastrutture, dei servizi e delle principali opere pubbliche.
Le norme di attuazione dettano le norme specifiche che regolano gli interventi in materia di urbanizzazione, distanze, indici di edificabilità, volumetria, ecc.
La legislazione regionale ha dato alla pianificazione comunali una disciplina che ha connotati diversi da quella nazionale [23].

7.2. La zonizzazione. La localizzazione.

Il piano regolatore generale è lo strumento territoriale a carattere generale che ha funzione programmatoria e vincolante sulla destinazione delle aree, in attesa che l'amministrazione giunga all'attuazione del piano.
Nell'esercizio di questa funzione l'amministrazione comunale opera con   assoluta discrezionalità sulle scelte da compiere, non essendo ammesso alcun sindacato giurisdizionale in merito alle stesse.
Queste sono censurabili solo nella logicità e nella attendibilità degli obiettivi che anche la pianificazione deve perseguire.
La giurisprudenza ha diviso le prescrizioni contenute nel piano, distinguendo le zonizzazioni dalle localizzazioni.
Sono considerate zonizzazioni quelle prescrizioni di piano che suddividono in zone il territorio comunale , precisando le caratteristiche di ogni singolo
comparto [24].
La zonizzazione dell'intero territorio comunale o di parte di esso incide su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della destinazione dell'intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione della sue caratteristiche intrinseche o del rapporto (per lo più spaziale) con un'opera pubblica [25].
Ad esempio, vengono delimitate le zone destinate alla residenza e quelle riservate all'industria.
Vengono inoltre determinati i vincoli ed i caratteri di ciascuna zona, particolarmente di quelle di carattere storico, ambientale e paesistico, ai sensi dell'art. 7 della l. 1150/1942.
Le norme di zonizzazione hanno natura cogente, come tutti i limiti che la pubblica amministrazione dà all'attività dei privati, e trovano un supporto normativo nell’art. 11, l. urb., che impone l'obbligo ai proprietari degli immobili di osservare nelle costruzioni le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nel piano.
La zonizzazione detta prescrizioni a carattere programmatico che, per essere tradotte in pratica, abbisognano di ulteriori specifiche disposizioni [26].
Le norme di zonizzazione non hanno natura ablatoria, in quanto la pubblica amministrazione impone delle direttive ai privati senza acquisire gli immobili che, di norma, anzi, ottengono dalle prescrizioni di zona una rendita di posizione.
Con la localizzazione l'amministrazione opera una scelta programmatoria gestionale indicando, scegliendole fra quelle disponibili, le aree, non importa se edificate o meno, su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico [27].
Come ad esempio la rete delle principali vie di comunicazione stradale, ferroviaria e di navigazione e dei relativi impianti, le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a determinate servitù, le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale previste dall'art. 7, nn.1-3-4 della Legge urbanistica.


8. La localizzazione delle opere pubbliche

L'art. 2 della l. 537/1993 ha consentito l'emanazione del regolamento di localizzazione delle opere pubbliche, approvato con d.p.r. 383/1994, che prevede, in caso di difformità delle opere dagli strumenti urbanistici, la convocazione di una conferenza di servizi cui partecipano la regione, i comuni, le amministrazioni dello Stato interessate, nonché gli enti tenuti ad adottare atti di intesa.
Gli effetti dell’approvazione del progetto sono sanciti dalla norma: 4. L'approvazione dei progetti, nei casi in cui la decisione sia adottata dalla conferenza di servizi all'unanimità, sostituisce ad ogni effetto gli atti di intesa, i pareri, le concessioni, anche edilizie, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta, previsti da leggi statali e regionali. In mancanza dell'unanimità si applicano le disposizioni di cui all'art. 81, 4° co., del d.p.r. 24.7.1977, n. 616, art. 3, d.p.r. 383/1994.
Per la giurisprudenza: Il disposto dell’art. 3, d.p.r. 383/1994, va interpretato nel senso di attribuire all'atto di approvazione del progetto da parte della conferenza, nei casi in cui la decisione sia adottata dalla conferenza di servizi all'unanimità, non il mero valore di deroga agli strumenti urbanistici generali dei Comuni interessati dalla esecuzione dell'opera pubblica, ma anche il valore di approvazione definitiva del progetto definitivo.
Lo schema legalmente tipizzato del procedimento prevede che tale approvazione avvenga senza che ciò comporti la necessità di ulteriori deliberazioni del soggetto proponente e contiene un preciso riferimento all'approvazione dei progetti una volta che l'accertamento di conformità urbanistica abbia dato esito positivo, ex art. 14-ter della l. 241/90.
Alla conferenza deve, però, partecipare il soggetto competente ad emettere tale volontà di approvazione.
Non rientra nello schema della conferenza di servizi alcuna possibilità di alterazione dell'ordine delle competenze delle amministrazioni coinvolte [28].
Nel caso di aree vincolate è necessaria la partecipazione alla conferenza della Soprintendenza.
La giurisprudenza ha affermato che: è illegittimo l'assenso alla localizzazione di un'opera pubblica in zona vincolata nell'ipotesi in cui alla conferenza di servizi di cui all'art. 3, d.p.r. n. 383 del 1994 non abbia partecipato la Soprintendenza del Ministero per i beni e le attività culturali territorialmente competente, ai fini del riesame di legittimità in relazione all'autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione ai sensi dell'art. 151, d.lg. 29.10.1999, n. 490.
In mancanza di approvazione all'unanimità l’amministrazione interessata ricorre al decreto del presidente del consiglio dei ministri, come previsto dall'art. 81, 4° co. del d.p.r. 616/1977, secondo la procedura sopra esaminata [29].
L'intesa è un provvedimento amministrativo soggetto alle normali impugnative.
Qualora siano dei privati a realizzare interventi in zone demaniali, essi devono munirsi di regolare permesso di costruire, ex art. 8, t. u. ed.
Le procedure di localizzazione di interesse di amministrazioni diverse dagli enti locali sono indicate dall'art. 55 del d.lg. 112/1998 che prevede una programmazione triennale da parte dell’amministrazione procedente attuata con programmi da presentare annualmente all’amministrazione locale interessata.
In caso di variazione degli strumenti urbanistici l’opera deve essere accompagnata da uno studio sugli effetti urbanistico territoriali e ambientali dell’opera.



9. La localizzazione delle infrastrutture. La conferenza di servizi.  L’approvazione del progetto.

Il d.lg. 12.4.2006, n. 163, definisce il quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione di infrastrutture e di insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale sostituendo il d.lg. 20.8.2002, n. 190 [30].
Il Ministero delle Infrastrutture è il soggetto demandato a dare impulso e coordinamento alle attività delle amministrazioni interessate alla realizzazione delle infrastrutture, ex art. 163, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
Il progetto deve ottenere l’approvazione del CIPE, espressa a maggioranza dei suoi componenti, che sostituisce ogni altra autorizzazione o parere in qualunque modo denominati
L’intero programma delle infrastrutture è soggetto ad una intesa fra Stato e regioni.
La norma afferma che: L'approvazione dei progetti delle infrastrutture e insediamenti di cui al comma 1 avviene d'intesa tra lo Stato e le regioni nell'ambito del CIPE allargato ai presidenti delle regioni e province autonome interessate, secondo le previsioni della l. 21.12.2001, n. 443, e dei successivi articoli del presente capo, art. 161, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
L'approvazione del progetto di ogni singola opera avviene invece col consenso di tutti i soggetti interessati.
Il progetto preliminare non è sottoposto a conferenza di servizi. Il progetto preliminare, istruito secondo le previsioni del presente articolo, è approvato dal CIPE. Il CIPE decide a maggioranza, con il consenso, ai fini della intesa sulla localizzazione, dei presidenti delle regioni e province autonome interessate, che si pronunciano, sentiti i comuni nel cui territorio si realizza l'opera. La pronuncia deve intervenire nei termini di cui al comma che precede, anche nel caso in cui i comuni interessati non si siano tempestivamente espressi, art. 165, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
L'art. 165, 6° co., d.lg. 12.4.2006, n. 163, prevede una procedura tipica per il superamento del dissenso delle amministrazioni interessate a seconda che il progetto abbia carattere interregionale o regionale.
L'approvazione del progetto in forza dell'art. 3, 7° co., d.l. n. 190 del 2002, sost. art. 165, 7° co.,
d.lg. 12.4.2006, n. 163, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, comporta l'automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti ed adottati.
L'approvazione determina, ove necessario ai sensi delle vigenti norme, l'accertamento della compatibilità ambientale dell'opera e perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l'intesa Stato - regione sulla sua localizzazione, comportando l'automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti e adottati; gli immobili su cui è localizzata l'opera sono assoggettati al vincolo preordinato all'esproprio ai sensi dell'articolo 10 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al d.p.r. 8.6.2001, n. 327; il vincolo si intende apposto anche in mancanza di espressa menzione; gli enti locali provvedono alle occorrenti misure di salvaguardia delle aree impegnate e delle relative eventuali fasce di rispetto e non possono rilasciare, in assenza dell'attestazione di compatibilità tecnica da parte del soggetto aggiudicatore, permessi di costruire, né altri titoli abilitativi nell'ambito del corridoio individuato con l'approvazione del progetto ai fini urbanistici e delle aree comunque impegnate dal progetto stesso. A tale scopo, l'approvazione del progetto preliminare è resa pubblica mediante pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della regione (o nella Gazzetta Ufficiale) ed è comunicata agli enti locali interessati a cura del soggetto aggiudicatore. Ai fini ambientali, si applica l'art. 183, 6° co., art. 165, 7° co., d.lg. 12.4.2006, n. 163.
I privati interessati e le amministrazioni coinvolte possono intervenire nell’approvazione del progetto definitivo.
L’art. 166, d.lg. 12.4.2006, n. 163, stabilisce espressamente che, una volta avviato il procedimento di dichiarazione di pubblica utilità, esso deve essere comunicato ai privati interessati da parte del soggetto aggiudicatore o del suo concessionario, secondo le disposizioni sulla partecipazione al procedimento amministrativo sancite dalla l. 7.8.1990, n. 241.
I privati interessati dall’attività espropriativa possono presentare osservazioni, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione dell’inizio del procedimento, al soggetto aggiudicatore che le deve esaminare e che deve esprimere la propria valutazione in merito.
Per quanto riguarda poi le amministrazioni coinvolte e i gestori di opere interferenti, il soggetto aggiudicatore deve aver cura di trasmettere loro il progetto definitivo.
Essi possono presentare, motivandole, proposte di adeguamento, richieste di prescrizioni o di varianti migliorative, senza comunque interferire con la localizzazione dell’opera.
La normativa prevede, in riferimento alle proposte e richieste delle amministrazioni coinvolte nel progetto definitivo, la convocazione di una conferenza di servizi, espressamente definita come istruttoria e non come decisoria.
La norma precisa che: Il progetto definitivo è rimesso da parte del soggetto aggiudicatore, del concessionario o contraente generale a ciascuna delle amministrazioni interessate dal progetto rappresentate nel CIPE e a tutte le ulteriori amministrazioni competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni di ogni genere e tipo, nonché ai gestori di opere interferenti. Nel termine perentorio di novanta giorni dal ricevimento del progetto le pubbliche amministrazioni competenti e i gestori di opere interferenti possono presentare motivate proposte di adeguamento o richieste di prescrizioni per il progetto definitivo o di varianti migliorative che non modificano la localizzazione e le caratteristiche essenziali delle opere, nel rispetto dei limiti di spesa e delle caratteristiche prestazionali e delle specifiche funzionali individuati in sede di progetto preliminare. Le proposte e richieste sono acquisite dal Ministero a mezzo di apposita Conferenza di servizi, convocata non prima di trenta giorni dal ricevimento del progetto da parte dei soggetti interessati e conclusa non oltre il termine di novanta giorni di cui al presente comma, art. 166, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
L’attività della conferenza di servizi è stata disciplinata dall’art. 168, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
Anche dopo la chiusura della Conferenza al soggetto non invitato è immediatamente trasmesso il progetto definitivo dandogli pure la facoltà di comunicare al Ministero la propria eventuale proposta entro il successivo termine perentorio di novanta giorni; la proposta è trasmessa al CIPE per la eventuale integrazione del provvedimento di approvazione. 
Il Ministero delle infrastrutture, una volta conclusa la conferenza di servizi, ha altri novanta giorni per valutare se proposte e richieste presentate nei tempi prescritti dalle amministrazioni coinvolte e dai gestori di opere interferenti siano compatibili. In particolare esso deve valutare se esista un contrasto tra le proposte e le richieste inoltrate da soggetti aventi diritto e le indicazioni vincolanti contenute nel progetto preliminare approvato.   
In seguito è formulata una proposta al CIPE che, entro trenta giorni, approva il progetto definitivo, anche ai fini della dichiarazione di pubblica utilità, con eventuali modifiche o integrazioni.
L'approvazione del progetto definitivo, adottata con il voto favorevole della maggioranza dei componenti il CIPE, sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato e consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto approvato. In caso di dissenso della regione o provincia autonoma, la decisione viene demandata a procedure sostitutive che cercano l’intesa con la regione interessata con le modalità previste dall'art. 165, 6° co. d.lg. 163/2006.
La procedura dopo gli opportuni coinvolgimenti con gli enti locali finisce per essere rigidamente accentrata nelle decisioni finali.
Gli enti locali devono di conseguenza provvedere all'adeguamento definitivo degli elaborati urbanistici di competenza ed hanno facoltà di chiedere al soggetto aggiudicatore o al concessionario o contraente generale di porre a disposizione gli elaborati a tale fine necessari, ex art. 166, d.lg. 12.4.2006, n. 163.



[1]    Testa V. Disciplina urbanistica, 1974, 3.L’autore afferma la necessità di una funzione direttiva nel campo urbanistico. Egli afferma che” in tanto si possono migliorare le condizioni di esistenza degli individui in quanto si attuino e si consolidino razionali direttive nell’organizzazione degli ambienti naturali in cui i vari nuclei demografici hanno preso stanza”.
[2]    Stella Richter P. Costituzione nuova e problemi urbanistici vecchi, in Dir. amm., 2001, 2-3, 387.
[3]    La dottrina nota che la tendenza che più diffusamente è emersa consiste nell’attribuire al piano regionale effetti non solo di indirizzo e di coordinamento, tipici degli atti di direttiva, quanto anche effetti conformativi, direttamente vincolanti le proprietà immobiliari insistenti su alcune parti del territorio pianificato. Assini N. Mantini P. Manuale di diritto urbanistico, 1997, 204.
[4]   Gorlani M. Urbanistica in generale,in Urbanistica Ediliza Espropriazione, a cura di Italia V., 2007, 1274.
[5]   T.A.R. Liguria, sez. I, 13.7.1994, n. 312, FA, 1994, 2474.
  T.A.R. Campania, sez. III, Napoli, 6.9.1993, n. 284, in Riv. Giur. Ed, 1994, I, 362.
[7]    Cons. St., sez. V, 28.2.1995, n. 300, in Foro Amm., 1995, 360.
[8]   Bottino M. L’autorità regionale per la programmazione territoriale, in Nuova Rassegna,        2006, 628.
[9]   Gorlani M. Urbanistica, op.cit. 2007, 1295.
[10]   Breganze M. Piano territoriale di coordinamento, in Dig. Disc. Pubbl., XI, 1996, 251.
[11]    Corte cost., 15.7.1991, n. 343.
[12]  Camarda L. Piano territoriale di coordinamento provinciale, in Urbanistica Edilizia Espropriazione, 2007, 1061.
[14]   Mengoli G. C. Manuale di diritto urbanistico, 2009, 104.
[18]    Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3453/2006.
[20]   L’indicazione legislativa è quella di un piano di larga massima che incide sulle scelte fondamentali del territorio e che rinvia per le scelte di dettaglio alla pianificazione esecutiva. Centofanti  N. Diritto di costruire Pianificazione urbanistica Espropriazione, 2010, 605.
[21]    Mengoli G. C. Manuale, op. cit.,  2009, 136.
[22]    T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 10.10.2000, n. 8124, in Foro Amm., 2001, 961.
[23]   Ad esempio, la disciplina urbanistica della regione Lombardia posta dalla l.r. Lombardia 11.3.2005, n. 12, disegna la pianificazione urbanistica comunale con connotati assolutamente    innovativi.
         Lo strumento di pianificazione è il piano del governo del territori.Esso è articolato in tre atti:
          a) il documento di piano; b) il piano dei servizi; c) il   piano delle regole, art. 7, l. r.   Lombardia 12/2005.
         Sono atti con contenuti e valenza diversa tra loro.
          Il documento di piano non contiene previsioni che producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli, a differenza delle previsioni contenute nel Piano dei servizi - concernenti le aree necessarie per la realizzazione dei servizi pubblici e di interesse pubblico e generale - che hanno carattere prescrittivo e vincolante.
          Il piano delle regole contiene indicazioni che hanno carattere vincolante e producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli.
         Per la dottrina il piano di governo del territorio - difformemente dal piano regolatore generale disciplinato dalla legge urbanistica nazionale - è strumento estremamente rigido solo nella fase transitoria.
           Esso consente agli organi comunali di disciplinare le scansioni temporali di attuazione del piano prevedendo termini molto dilatati non coniugabili con le necessità degli operatori. Sala G. Pianificazione comunale per il governo del territorio, in Governo del territorio, Italia V. (a cura di) 2005, 71.
[24]   Bassani M. Il piano regolatore generale, 1996, 29.
[26]   Bassani M. e Italia V. Piano regolatore, in  Urbanistica Edilizia Espropriazione, (a cura di Italia V.), 2007, 995.
[27]    Il vincolo di localizzazione  se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione. Consiglio Stato , sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4662.
[28]   Consiglio Stato, VI, 18.3.2004, n. 1443.
[29]    Mengoli G. C., Manuale di diritto urbanistico 2009, 972.
[30]   Centofanti  N., L’espropriazione per pubblica utilità, 2009, 527.

Nessun commento:

Posta un commento