martedì 2 ottobre 2012

Cimiteri. 10 Sanzioni amministrative. 11 Giurisdizione amministrativa.


1.      PARTE QUINTA

LA TUTELA
Capitolo 10

2.      LE SANZIONI AMMINISTRATIVE


1. Le sanzioni previste dal T.U. delle leggi sanitarie. a) La demolizione degli edifici costruiti nelle aree di rispetto.

Le sanzioni amministrative in materia di polizia mortuaria sono previste dagli artt. 338, 339, 340 e 358, T.U. delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265.
Dette norme sono state modificate dall'art. 3 della L. 12 luglio 1961, n. 603, agg. dall’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che fissa dei moltiplicatori alle pene pecuniarie comminate per i singoli reati dal Codice penale o dalle leggi speciali, nonché le altre sanzioni comminate per le singole infrazioni dal Codice di procedura penale.
L’art. 32, L. 24 novembre 1981, n. 689, ha provveduto alla depenalizzazione delle sanzioni che ora sono solo amministrative sostituendo la sanzione amministrativa pecuniaria alla multa o alla ammenda, salva l'applicazione delle sanzioni penali per i fatti costituenti reato.
L’art. 107, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, rinvia espressamente alle sanzioni applicate dal T.U. delle leggi sanitarie.
La prima sanzione colpisce chi costruisce intorno ai cimiteri nuovi edifici non rispettando il divieto delle distanze di almeno 200 metri dal centro abitato.
Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa fino a euro 103 e deve inoltre, a sue spese, demolire l'edificio o la parte di nuova costruzione, salvi i provvedimenti di ufficio in caso di inadempienza, ex art. 338, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, mod. art. 28, l. 1° agosto 2002, n. 166.
La giurisprudenza ha affermato che l'immobile edificato entro la fascia di rispetto cimiteriale non è sanabile, atteso che il vincolo cimiteriale comporta l'inedificabilità assoluta di singoli edifici da realizzare a distanza inferiore da quella stabilita (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 8 aprile 2003, n. 504, in
Foro amm. TAR, 2003, 1384).
Essa ha escluso anche l’applicabilità del condono edilizio.
La disciplina nazionale disposta dagli artt. 32 e 33, L. 47/1985, non è equivoca nel senso di precludere la sanabilità di opere in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, purché apposto antecedentemente alla realizzazione delle costruzioni abusive.
L'apposizione del vincolo rivela di per sé l'esistenza di interessi pubblici, presidiati appunto dalla costituzione del vincolo, sicché non è necessaria una puntuale rivalutazione della situazione che risulta compromessa dalla edificazione di opere incompatibili con il rispetto del vincolo, quale quello cimiteriale posto a tutela di esigenze igienico-sanitarie.
Poiché il vincolo cimiteriale, previsto dall'art. 338, comma 1, R.D. 27/07/1934, n. 1265, comporta inedificabilità assoluta di singoli edifici a distanza inferiore correttamente l’amministrazione comunale ha respinto l'istanza di condono con esclusivo riferimento alla astratta esistenza del vincolo.
La L. 28 febbraio 1985, n. 47 - nell'ammettere la sanatoria delle opere abusive che si trovano nelle condizioni indicate dalla medesima - ha già fornito una preventiva valutazione della compatibilità dell'opera con la presenza dell'interesse pubblico concreto, ostativo al rilascio della concessione in sanatoria, sicché, qualora sia espressa una valutazione negativa sulla domanda di condono, l'intervento repressivo non è più condizionato da valutazioni puntuali e concrete né in ordine all'interesse privato inciso né in ordine all'interesse pubblico alla rimozione dell'opera abusiva.
E’ stata inoltre giudicata manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 32 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 32, primo comma, e 33, lett. d), L. 28 febbraio 1985, n. 47, sotto il profilo che il trattamento riservato dal Legislatore al vincolo cimiteriale sarebbe ingiustificatamente discriminatorio ed irragionevole rispetto al caso di opere eseguite su aree già sottoposte a vincolo d'inedificabilità e che il detto vincolo sarebbe volto alla tutela igienico sanitaria in concreto e non in astratto (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 23 dicembre 1988, n. 653).
L'inosservanza del divieto di costruire a meno di 200 metri dai cimiteri, stabilito per ragioni di tutela dell'igiene pubblica è sanzionato con la demolizione coattiva ad opera dell'autorità comunale competente (Cass. Civ., sez. II, 22 agosto 1998, n. 8337, in Giust. civ. Mass., 1998, 1748).
La demolizione del manufatto abusivo è il rimedio normale contro l'abusivismo di più grave entità, ossia quello effettuato in aree soggette a vincolo o in carenza di concessione edilizia, ora permesso di costruire, e anche contro l'abusivismo minore, ossia quello relativo agli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o difformità di concessione o quello relativo ad opere eseguite in parziale difformità dalla concessione, ai sensi della L. 47/1985, sost. D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
La demolizione è effettuata direttamente dal dirigente per le costruzioni realizzate su aree soggette a vincolo di inedificabilità, ai sensi dell’art. 4 della L. 47/1985, sost. art. 27, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ( N. CENTOFANTI, L’abusivismo urbanistico ed edilizio, 2006, 93).


2. b) Il trasporto non autorizzato.

Il trasporto di cadaveri da Comune a Comune era autorizzato dal Prefetto. L'introduzione di cadaveri dall'estero era autorizzata dal Ministero per l'interno, oppure, per delegazione di esso, dal Prefetto, sotto la osservanza delle norme stabilite nel regolamento di polizia mortuaria.
Il contravventore era punito con l'ammenda da lire 200 a 500, ex art. 339, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, la norma è stata abrogata dal D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Si tratta di verificare se detta sanzione possa essere ancora applicata dai regolamenti comunali.

2.1. L’illegittimità delle sanzioni a tutela delle privative comunali in materia di trasporto di salme.

La giurisprudenza ha ritenuto illegittima l'ordinanza-ingiunzione del dirigente del Comune conseguente a un verbale di accertamento nel quale è stato sanzionato il trasporto di una salma senza l'autorizzazione amministrativa rilasciata dal Sindaco.
L'attività della municipalizzata mira a calmierare i prezzi delle onoranze funebri e stroncare ogni forma di speculazione privata.
Essa si sostanzia, fra l'altro, nel diritto di privativa al trasporto delle salme dal luogo di decesso al cimitero cittadino ovvero e - senza il diritto di privativa -, nel trasporto delle salme, o altri servizi collegati, da e per altri Comuni, in base a tariffe preventivamente stabilite.
Per la giurisprudenza l'abrogazione dell'art. 1, T.U. 2578 del 1925, è dovuta all'incompatibilità con gli artt. 22 e 64, L. 142 del 1990.
L'art. 1, T.U. 2578 del 1925, è, infatti, incompatibile con quelle nuove disposizioni perché esso rimette all'amministrazione comunale la scelta pienamente discrezionale, sull'assunzione della privativa, così creando, attraverso un provvedimento attributivo a sé medesimo di una esclusiva, un monopolio in sede locale, in base a una scelta di natura amministrativa e non ad una opzione espressiva di una univoca volontà legislativa, così come preteso dall'art. 22, comma 2, L. 142 del 1990.
Dalla liberalizzazione del servizio di trasporto funebre, conseguente alla cessazione del diritto di privativa, discende altresì il venire meno della fissazione amministrativa delle tariffe del servizio da parte dell'Ente locale.
(Cass. Civ., sez. I, 6 giugno 2005, n. 11726, in Serv. pubbl. app., 2005, 4, 834).
L'art. 22 della legge 142/1990 è la disposizione applicabile.
Essa, però, è stata sostituita dall'art. 112, D. L.vo n. 267 del 2000, che si esprime in termini pressoché identici alla precedente che, in un secondo tempo è stata abrogata, in parte qua, ad opera dell'art. 35, comma 12, L. 28 dicembre 2001, n. 448.
La giurisprudenza amministrativa ha seguito il percorso interpretativo sostenendo che l'
art. 35, L. 448/2001 «è una norma di ampia liberalizzazione del settore e, dunque, si mostra frutto di un evidente travisamento ermeneutico l'idea che proprio essa tuttora contribuisca a giustificare la permanenza in vita della privativa oggetto del contendere (Cons. St., sez. V, 9 dicembre 2004, n. 7899).
Tale conclusione non appare arbitraria ma, anzi, in armonia con la giurisprudenza costituzionale. (Corte cost. n. 272 del 2004).
Secondo la Consulta la disciplina della gestione dei servizi pubblici locali non è riferibile né alla competenza legislativa statale in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ex art. 117, secondo comma, lett. m), cost.), giacché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali, né a quella in tema di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, ex art. 117, secondo comma, lett. p), cost.
La gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale»
Essa, invece, in relazione ai riferimenti testuali e soprattutto ai caratteri funzionali e strutturali della regolazione prevista, può essere agevolmente ricondotta nell'ambito della materia tutela della concorrenza, riservata dall'art. 117, secondo comma, lett. e), cost., alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Secondo l'interpretazione della Consulta, la tutela della concorrenza non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali (Corte cost. 14/2004).
Nonostante l'esistenza di una pluralità di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni - connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese, la «tutela della concorrenza» è materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva dello Stato che richiede l'uso del criterio di proporzionalità-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se essa legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato.
La Consulta ha escluso la censurabilità di «tutte quelle norme impugnate che garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la più ampia libertà di concorrenza nell'ambito di rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi - i quali per la loro diretta incidenza sul mercato appaiono più meritevoli di essere preservati da pratiche anticoncorrenziali».
Essa ha, altresì, affermato che la tutela della concorrenza e l'inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali sono però esplicitamente evocate in riferimento ai soli servizi pubblici locali attualmente classificati come di rilevanza economica, di cui all'art. 113, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, e non già in riferimento ai servizi privi di rilevanza economica previsti dall'art. 113-bis, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
Né ostacolo a tale interpretazione può essere fornito dall'art. 19, D.P.R. n. 285 del 1990.
Tale disposizione, infatti, attiene ai profili sanitari, e non già ad un intervento restrittivo della concorrenza, atteso che - come ha affermato la Consulta nella citata
sentenza del 2004 - la materia dei servizi pubblici locali coinvolge certamente una pluralità di altri interessi, connessi allo sviluppo economico-produttivo, e di competenza regionale, ma non per questo le consente di porsi al di fuori di quella della "tutela della concorrenza", riservata dall'art. 117, secondo comma, lettera e), cost., alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
I regolamenti comunali che siano ancora ispirati ai principi precostituzionali e precomunitari della generalizzata privativa di ogni sorta di pubblici servizi, risultano in riferimento alla riserva in ordine ai trasporti funerari illegittimi.
Essi, perciò, vanno disapplicati dal giudice ordinario.
Le ordinanze-ingiunzione adottate per l'avvenuta violazione del Regolamento comunale e in ragione del compimento di un trasporto di salme senza l'autorizzazione dell'Ente locale, rilasciata in deroga al suo diritto di privativa, sono, pertanto, da ritenersi illegittime.


3. c) La sepoltura in luogo diverso dal cimitero.

E’ vietato seppellire un cadavere in luogo diverso dal cimitero.
E’ fatta eccezione per la tumulazione di cadaveri nelle cappelle private e gentilizie non aperte al pubblico, poste a una distanza dai centri abitati non minore di quella stabilita per i cimiteri.
Il contravventore è punito con l'ammenda da 0,1 a 0,26 euro e sono a suo carico le spese per il trasporto del cadavere al cimitero, ex art. 340, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, abr. D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
La disposizione può trovare sanzione nei regolamenti comunali.

4. d) Le infrazioni dei concessionari delle aree cimiteriali.

L’art. 63, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, obbliga i concessionari a mantenere a loro spese, per tutto il tempo della concessione, in buono stato di conservazione i manufatti di loro proprietà.
Nel caso di sepoltura privata abbandonata per incuria, o per morte degli aventi diritto, il Comune può provvedere alla rimozione dei manufatti pericolanti, previa diffida ai componenti della famiglia del concessionario.
La diffida può farsi, ove occorra, anche per pubbliche affissioni.
Le eventuali spese sono recuperate secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate dell'ente procedente

5. Le infrazioni ai regolamenti comunali e regionali. La misura delle sanzioni.

I regolamenti comunali possono autonomamente sanzionare le infrazioni alle norme contenute, nonché i comportamenti illeciti che causano danni a terzi, quando non costituiscano reato previsto dal Codice penale.
I regolamenti possono fissare il minimo ed il massimo delle sanzioni secondo la gravità dei casi.
In teoria ogni disposizione regolamentare può essere autonomamente sanzionata con una specifica sanzione.
Di norma le sanzioni sono fissate in via generale lasciando al dirigente del comune la discrezionalità di applicarle graduandone la entità in rapporto alla gravità e ai limiti stabiliti.
I contravventori alle disposizioni del T.U. meglio definite dal regolamento generale, peraltro non emanato, sono puniti, quando non siano applicabili pene previste nelle disposizioni medesime, con la sanzione amministrativa da euro 1518 a euro 9288, salvo che il fatto costituisca reato, ex art. 358, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, mod. art. 16, D.L.vo 22 maggio 1999, n. 196.
L’art. 7 bis, D. L.vo 18 agosto 2000, n. 267, mod. art. 1 quater, L. 20 maggio 2003, n. 116, dichiara che, salvo diversa disposizione di legge, per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro.
La sanzione amministrativa si applica anche alle violazioni alle ordinanze adottate dal Sindaco e dal Presidente della Provincia sulla base di disposizioni di legge, ovvero di specifiche norme regolamentari.
I regolamenti regionali finora non hanno dettato norme tese a disciplinare la misura delle sanzioni amministrative.
Non si può però teoricamente escludere la competenza regionale a determinare la misura sanzionatoria delle norme in materia di polizia mortuaria.
La riscossione coattiva delle entrate di spettanza dei Comuni è effettuata con la procedura di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, se affidata ai concessionari del servizio di riscossione di cui al D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, ovvero con quella indicata dal R.D. 14 aprile 1910, n. 639, se svolta in proprio dall'ente locale, ex art. 52, D. L.vo 15 dicembre 1997, n. 446.


Capitolo 11
LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA.

1. I piani regolatori cimiteriali.

L’art. 34, D.L.vo 80 del 1998, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti e comportamenti della pubblica amministrazione in materia di urbanistica ed edilizia (N. CENTOFANTI, Il formulario del diritto amministrativo, 2006, 133).
Tutti gli aspetti dell’uso del territorio rientrano nella materia urbanistica, ai sensi dell’art. 34, comma 2, D. L.vo 80/1998.
L’ampliamento della sfera della giurisdizione amministrativa deriva dalla definizione del contenuto della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La riforma ha delineato i caratteri della nuova giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, di urbanistica ed edilizia e di espropriazione ed occupazione d’urgenza.
Il piano regolatore cimiteriale fa parte integrante del piano regolatore generale.
L’impugnativa relativa alle disposizioni riguardanti la localizzazione o la dimensione del cimitero deve essere portata in sede di adozione o di approvazione dello strumento urbanistico generale.
Poiché si tratta di un atto di pianificazione a contenuto generale, incidente su di un bene demaniale, a fronte del quale non è individuabile nessuna posizione differenziata e protetta in capo ai privati, la giurisprudenza ha precisato che l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento non trova applicazione in caso di procedimento finalizzato all'ampliamento di un cimitero (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 27 febbraio 2002, n. 843, in Foro amm. TAR, 2002, 678).
La giurisprudenza ha ritenuto inammissibile, per l'insindacabilità delle scelte discrezionali dell'Amministrazione, l'impugnativa di una delibera di Giunta comunale di variazione del bilancio per far fronte ad un ampliamento del cimitero comunale.
Le questioni relative alle modalità con cui l'amministrazione affronta il problema della copertura finanziaria per la realizzazione di un'opera pubblica, restano estranee ad ogni eventuale rapporto intersoggettivo con il privato, trattandosi dell'applicazione di principi e norme di contabilità pubblica, volti unicamente ad assicurare il corretto andamento finanziario dell'Amministrazione locale, nonché il corretto uso del potere di impegnare e pagare le spese (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 21 gennaio 2004, n. 228, in Foro amm. TAR, 2004, 197).
Qualora il giudice amministrativo sia investito della giurisdizione esclusiva sulla controversia, egli può disporre il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica (N. CENTOFANTI, Diritto a costruire. Programmazione urbanistica. Espropriazione, 2005, 1175).


2. Le concessioni cimiteriali.

Le norme contenute nel regolamento di polizia mortuaria disciplinano l’azione amministrativa rispetto alla quale le situazioni dei privati, che con essa si pongano in contrasto, assumono il rilievo di interessi, sia pure legittimi, sia che attengano a situazioni giuridiche che trovino fonte in fatti successivi alla legge, sia che derivino da una fonte ad essa anteriore, con conseguente affievolimento ad interesse.
In particolare le norme che dettano limiti alle tumulazioni al fine della tutela diretta e primaria di un interesse pubblico comportano l'affievolimento ad interesse legittimo di qualsiasi diritto alla tumulazione ad essa preesistente, subordinandone il persistente esercizio a determinate condizioni igieniche come, ad esempio, la distanza dai centri abitati non inferiore a quella prevista per i cimiteri su suolo pubblico.
La norma persegue in via diretta il fine primario della tutela di un interesse generale, assunto ad interesse pubblico sotto il profilo della tutela sanitaria e volto ad improntare l'attività della pubblica amministrazione.
La giurisprudenza ha affermato che la domanda diretta ad accertare nei confronti di un Comune il diritto dei comproprietari di una cappella gentilizia introduce una controversia appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo, avendo la situazione giuridica del privato, che pretende di eseguire la tumulazione di un defunto nella cappella, la natura di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.
Nella fattispecie la cappella non si trovava nella situazione di proseguire l'uso della stessa per le tumulazioni dei defunti, ancorché la cappella sia preesistente all'entrata in vigore del T.U. delle leggi sanitarie in relazione alla distanza dalle proprietà circostanti, ex art. 105, comma 2, D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803, sost. art. 104, comma 2, D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285
(Cass. Civ., sez. un., 16 aprile 1997, n. 3287, in Dir. eccl., 1998, II, 317).


3. Le azioni di accertamento. La domanda di voltura.

Il Comune può concedere a privati e ad enti l'uso di aree per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività, ex art. 90, D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285.
Una volta ottenuta al concessione del sepolcro in capo al concessionario viene a configurarsi un diritto soggettivo per questo l'azione proposta con il presente ricorso va qualificata come azione di accertamento (F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, 2004, 679).
Tale pretesa, rientrando nella materia dei rapporti di concessione di beni pubblici, spetta alla cognizione del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 5, comma 1, L. 1034/1971.
La giurisprudenza ha affermato che la pretesa volta a far constatare l'illegittimità del silenzio serbato dal Comune sull'istanza volta a determinare la conclusione del procedimento iniziato dagli stessi e finalizzato alla voltura di intestazione cimiteriale assume la configurazione di diritto soggettivo.
Nel caso di specie l'art. 96 bis, comma 1, Regolamento comunale di Polizia Mortuaria del comune di Manduria, prescrive che con delibera di Giunta devono essere apportate tutte le modificazioni, comunque effettuate, di intestazioni delle assegnazioni e/o delle concessioni intervenute antecedentemente alla data del 31 dicembre 1994.
L'azione proposta per fare constatare l’illegittimità del comportamento omissivo del Comune va qualificata come azione di accertamento e non come azione impugnatoria del silenzio rifiuto.
La giurisprudenza ha, pertanto, escluso che tale ricorso possa essere formulato secondo le procedure fissate per l’impugnazione del silenzio rifiuto dall’art. 21 bis, L. 6 dicembre 1971 n. 1034 (T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 26 marzo 2004, n. 2168, in Foro amm. TAR, 2004, 823).
Il procedimento di impugnazione del silenzio-rifiuto, ex art. 21 bis L. n. 1034/1971, può essere azionato, quando la controversia si riferisce all'esercizio di una potestà pubblica di diritto amministrativo e quando la posizione del privato si configuri come interesse legittimo (Cons. St., Ad. Plen., 9 gennaio 2002, n. 1).
Teoricamente tale azione può essere esercitata in caso di omissione nel rilascio dell’autorizzazione alla sepoltura.


4. Le concessioni di servizi cimiteriali.

L'art. 33 del D.L.vo 80/1998, sost. dall’art. 7, L. 205/2000, afferma che sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si radica solo qualora sussistano gli elementi che qualificano come servizio pubblico l’attività di cui si tratta.
Nonostante le difficoltà evidenziate dalla dottrina per la determinazione stessa del pubblico servizio l’attività relativa ai servizi cimiteriali rientra pienamente nel concetto soggettivo del pubblico servizio.
Tale attività è demandata ad un ente pubblico che attraverso l’istituto della concessione provvede a farla eseguire da terzi (F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, 2004, 679).
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto il provvedimento con il quale il Comune revoca l'originario atto di concessione del servizio di illuminazione votiva cimiteriale perché ritenuto non più rispondente agli interessi pubblici ad esso affidati.
L’atto di revoca è una forma di manifestazione dei poteri pubblici di cui l'Ente locale dispone ed a fronte dei quali la posizione del gestore del servizio è quella del titolare dell'interesse legittimo (Cons. St., sez. V, 28 febbraio 2006, n. 863, in Foro amm. CDS, 2006, 2, 481).


5. Le gare per l’affidamento in concessione.

Gli artt. 6 e 7, L. 19 luglio 2000, n. 205, devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture.
L'appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell'amministrazione, la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale che interessa l'amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio. Normalmente, nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sui privati/utenti, mentre nell'appalto di servizi spetta all'amministrazione l'onere di compensare l'attività svolta dal privato. Tale criterio integrativo, peraltro, assume un rilievo apprezzabile solo quando il servizio pubblico, per le sue caratteristiche oggettive, è divisibile tra gli utenti che, in concreto, ne beneficiano direttamente (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 settembre 2005, n. 6581, in Foro amm. TAR, 2005, 9 2820).
Conforme in tal senso anche la giurisprudenza la quale ha affermato che le norme che attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici, si riferiscono alla sola fase pubblicistica dell'appalto compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dei concorrenti), ma non riguardano anche la fase relativa all'esecuzione del rapporto (Cass. Civ., sez. un., 18 aprile 2002, n. 5640).
Nell'affidamento dei servizi pubblici vanno comunque applicati i principi comunitari di divieto di discriminazione basato sulla nazionalità dei concorrenti, libera circolazione delle merci, libertà di stabilimento, la libera prestazione di servizi, la parità di trattamento, la trasparenza e la proporzionalità.
Tutte le concessioni ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni degli artt. da 28 a 30 e da 43 a 55 del Trattato approvato con L. 14 ottobre 1957, n. 1203, e mod., o dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte Europea.
La scelta del concessionario deve essere conseguente ad una procedura competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal Trattato istitutivo, in modo da consentire la possibilità da parte delle imprese interessate di esplicare le proprie chances partecipative.
Anche per gli appalti sottosoglia, e più in generale per i contratti stipulati da soggetti pubblici in settori non regolamentati sul versante europeo, il diritto comunitario considera il ricorso alla scelta diretta in deroga ai principi di trasparenza e concorrenza, quale evenienza eccezionale (T.A.R. Campania, Sez. I, 20 maggio 2003, n. 5868).
Anche dal punto di vista del diritto interno, peraltro, deve affermarsi che solo in presenza di speciali ed eccezionali circostanze, è consentita la deroga alla regola del concorso, ex art. 6, R.D. n. 2440 del 1923 e art. 41, R.D. 827 del 1924.
La giurisprudenza ribadisce la necessità di attivare le necessarie procedure di evidenza pubblica per pervenire all’affidamento (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 maggio 2005, n. 3397, in Foro amm. TAR, 2005, 5, 1539).
La libertà della stazione appaltante di valutare discrezionalmente le esigenze da porre a base dell'affidamento dell'appalto ed i conseguenti requisiti da richiedere ai concorrenti va contemperata con il rispetto dei principi fondamentali che presidiano le procedure ad evidenza pubblica, quali la garanzia della concorrenza ed il favor partecipationis.
I requisiti di qualificazione degli aspiranti debbono, dunque, essere non solo logici, adeguati e congrui (in rapporto alla specificità del servizio da affidare), ma anche non suscettibili di precostituire situazioni di assoluto ed evidente privilegio o comunque di determinare una preclusione insormontabile all'accesso al mercato da parte di imprese in possesso di indici di affidabilità operativa (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 settembre 2005, n. 6581, in Foro amm. TAR, 2005, 9, 2820).
Una particolare forma di tutela è affidata ai soggetti che vantano un interesse a partecipare alle procedure di gara.
La ditta o impresa, che, di fatto e con la inequivocabile consapevolezza del Comune, abbia gestito un servizio - pur in assenza di un atto deliberativo di affidamento in concessione - è legittimata ad impugnare il mancato invito alla gara ufficiosa a trattativa privata e l'aggiudicazione ad altri di quello stesso servizio.
Nella specie si trattava dell’affidamento in concessione di un servizio di illuminazione votiva di cimitero comunale (T.A.R. Marche, 26 luglio 1990, n. 413, in Foro Amm., 1991, 2356).
L’art. 244, D. L.vo 163/2006, conferma l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale.
Da notare che l’art. 244, D. L.vo 163/2006, devolve, invece, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo un secondo gruppo di controversie relative ai provvedimenti sanzionatori emessi dall'Autorità, al divieto di rinnovo tacito dei contratti, alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi.
Le controversie di questo secondo gruppo sono riguardanti la fase di esecuzione del contratto e quindi a posizioni di diritto soggettivo del contraente e quindi sono stati avanzati dalla dottrina dei dubbi in ordine alla loro legittimità costituzionale in forza dei principi sanciti dalla stessa Corte cost. n. 204/2004 (O. FORLENZA, Commissione a tre per l’accordo bonario, in Guida Diritto Dossier, 2006, n. 7, 122).


5.1. I requisiti dei soggetti partecipanti alle gare.

La giurisprudenza non accetta la tesi che considera possibile in un unico contesto aggiudicare i servizi di gestione delle camere mortuarie agli stessi soggetti che svolgono sul libero mercato l'attività di onoranze funebri.
La distinzione delle due attività: una di natura pubblicistica diretta ad adempiere agli obblighi che discendono dalle disposizioni di polizia mortuaria ispirate solo da esigenze di carattere igienico sanitario e l’altra di natura economica ed imprenditoriale sottoposta alle regole del mercato di assicurare lo svolgimento degli adempimenti conseguenti al decesso sono segnate da una differenza qualitativa ed anche da una differenziazione temporale.
La fase di polizia mortuaria non deve essere esposta neanche per motivi legittimi di concorrenza tra diversi operatori ad alcuna possibile turbativa.
La seconda fase delle onoranze funebri viene in rilievo solo dopo che sia esaurita la prima fase. Essa ha finalità commerciali e di profitto che non possono coincidere con quelle della fase di polizia mortuaria.
In un caso di specie la giurisprudenza ha rilevato che l'offerta dell’impresa di pompe funebri per assicurare il servizio di gestione delle camere mortuarie è stata meramente formale.
Il corrispettivo effettivamente previsto nel contratto altro è la mera l'opportunità per l’impresa di avvalersi di una rendita di posizione consistente nella possibilità esclusiva di trovarsi all'interno dei luoghi dove avvengono i decessi e di poter fruire del vantaggio di tale circostanza nei confronti degli altri operatori del settore.
Peraltro tale vantaggio è considerato così consistente da compensare lo svolgimento del servizio quasi a titolo gratuito.
L'alterazione delle regole di un corretto e fisiologico esplicarsi della concorrenza in un settore economico è evidente.
La controversia riguardante gli atti prodromici e contestuali alla indizione della gara per l'aggiudicazione del servizio di gestione delle camere mortuarie presso i presidi ospedalieri, attiene a provvedimenti amministrativi incidenti in modo fortemente restrittivo sulla possibilità degli operatori di agire sul libero mercato, in capo ai quali si concreta la posizione di interesse legittimo al corretto esercizio di tali poteri.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo deriva direttamente dall'espresso disposto di legge (Cons. St., sez. V, 12 aprile 2005, n. 1639, in Foro amm. CDS, 2005, 4, 1135).


6. Il risarcimento del danno.

Qualora il giudice amministrativo sia investito della giurisdizione esclusiva sulla controversia, come nel caso di giurisdizione sulle concessioni, egli può disporre il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica.
Per riconoscere il risarcimento del danno il giudice amministrativo deve valutare, oltre all'illegittimità del provvedimento amministrativo, il danno patrimoniale, il nesso di causalità tra provvedimento e danno, la spettanza del bene della vita correlato all'interesse legittimo leso, nonché la colpa dell'amministrazione (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 9 febbraio 2005, n. 97, in Foro amm. TAR, 2005, f. 2, 522).
La giurisprudenza riconosce il requisito soggettivo della colpa nel comportamento della p.a. che viola i limiti imposti alla discrezionalità dal dovere di imparzialità per una corretta e buona amministrazione. Sussiste tale requisito allorquando il pregiudizio subito dal ricorrente sia derivato dalla dichiarazione di pubblica utilità di un'opera sprovvista dell'indicazione del termine finale dei lavori (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 3 marzo 2005, n. 333).
Il risarcimento può essere disposto direttamente dal giudice amministrativo, dopo avere verificato l’illegittimità dell'atto impugnato (T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 10 luglio 1999, n. 2585, in Urb. App., 1999, 1123).
Il legislatore introduce con detto provvedimento legislativo una nuova tecnica processuale per la determinazione del danno.
Il giudice amministrativo, invece di indicare l’esatta quantificazione dell’importo da corrispondere, può indicare i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono formulare al danneggiato la proposta risarcitoria nel termine ad essi indicato.
Il giudice amministrativo ha affermato il principio che l’annullamento degli atti di gara non determina una caducazione automatica del contratto già stipulato fra l’amministrazione e la ditta rimasta aggiudicataria.
E’ stato riconosciuto il diritto al risarcimento per equivalente, collegato alla perdita di chance ossia alle probabilità che il ricorrente aveva di aggiudicarsi l’appalto nel caso fosse stata ripetuta la procedura di gara.
Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa dell'amministrazione, l'esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l'illecito ed il danno subito (T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 20 ottobre 2005, n. 1792, in Foro amm. TAR, 2005, 10 3324).
Per determinare l'ammontare del risarcimento dovuto dalla p.a. in relazione alla responsabilità per illegittima mancata adozione del provvedimento di aggiudicazione dell'appalto, trattandosi di un danno di incerto ammontare, il giudice può esercitare la facoltà di cui all'art. 1226, liquidandolo in via equitativa.
Il criterio che deve presiedere a tale valutazione deve essere individuato, sulla scorta della giurisprudenza amministrativa, nella disposizione di cui all'art. 345, L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. f), che determina il quantum dovuto all'impresa appaltatrice nel 10% dell'ammontare fissato dall'offerta della stazione appaltante, come utile presunto, da calcolarsi al lordo della imposizione fiscale, oltre gli interessi e la rivalutazione monetaria in quanto debito di valore (N. CENTOFANTI, Il formulario del diritto amministrativo, 2006, 408).
Nei casi in cui ad un soggetto è preclusa in radice la partecipazione ad una gara o concorso, sicché non è possibile dimostrare, ex post, né la certezza della vittoria, né la certezza della non vittoria, la situazione soggettiva tutelabile è la chance, cioè l'astratta possibilità di un esito favorevole.
Il risarcimento per perdita di chance può avvenire anche in forma specifica. L'annullamento del provvedimento amministrativo e il conseguente rinnovo conforme a legge comportano però, di per sé, una forma di risarcimento in forma specifica, che esclude e riduce altre forme di risarcimento.
In caso di annullamento di illegittima aggiudicazione di un contratto il rinnovo della gara con la possibilità effettiva di partecipazione dell'impresa ricorrente, costituisce risarcimento in forma specifica della chance di successo, con la conseguenza che non spetta il risarcimento del danno per equivalente se l'accoglimento del ricorso avverso l'aggiudicazione di appalto ad altra impresa intervenga in tempo utile a restituire in forma specifica all'impresa interessata la possibilità di partecipare alla gara da rinnovare, consentendo quindi il soddisfacimento diretto e pieno dell'interesse fatto valere (Cons. St., sez. V., 12 ottobre 2004, n. 6579).
La possibilità pratica di rinnovo della gara sussiste quando l'appalto non abbia già avuto integrale esecuzione, o non sia ad uno stadio talmente avanzato che l'indizione di una nuova gara si tradurrebbe in un costo eccessivo per la stazione appaltante.
Nella fattispecie, la giurisprudenza ha ritenuto che il risarcimento in forma specifica mercé la rinnovazione della selezione per l'affidamento del servizio è ancora possibile e, pertanto, in relazione alla domanda limitata al risarcimento della chance non sussiste alcun danno risarcibile per equivalente al ricorrente (
T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 maggio 2005, n. 3397, in Foro amm. TAR, 2005, 5 1539).

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