mercoledì 3 ottobre 2012

Beni pubblici. 14 Tutela amministrativa.


Parte Quarta
La tutela

Capitolo quattordicesimo
La tutela amministrativa

Guida bibliografica.

1. La tutela amministrativa dei beni demaniali.
Il potere di autotutela è considerato come uno dei poteri della pubblica amministrazione oltre a quelli di autonomia e autarchia. Benvenuti 1959, 152.
Egli distingue l’autotutela spontanea - che si manifesta negli atti di annullamento revoca e abrogazione - da quella necessaria - che comprende gli atti sostitutivi e di approvazione - e da quella contenziosa che si verifica nel caso di ricorso amministrativo.
Altri autori, nel classificare i procedimenti amministrativi, definiscono di secondo grado quelli che hanno ad oggetto altri procedimenti amministrativi.
Nel procedimento di secondo grado l'amministrazione riprende in considerazione i provvedimenti già emanati per motivi di legittimità (annullamento) o di merito (revoca) ripercorrendo le fasi procedimentali previste a pena di illegittimità e dando, puntualmente, idonea motivazione del pubblico interesse che muove l'amministrazione nell'esercizio del suo potere. Giannini 1988, 981.
Il potere si autotutela si esplica inoltre nella possibilità di disporre e dare esecuzione a misure ripristinatorie. Sandulli 1984, 193.

1.1. L’autotutela e il condono edilizio.
La sanatoria straordinaria è stata prevista da ultimo dall’art. 32 della l. 24.11.2003, n. 326 che converte in legge il d.l. 30.9.2003, n. 269 - che riapre i termini del primo condono introdotto dagli artt. 31 e segg. della l. 47/1985 e dall’art. 39 della l. 23.12.1994, n. 724.
Il permesso di costruire in sanatoria è ora disciplinato dall’art. 36, d.p.r. 6.6.2001, n. 380, e si caratterizza sotto il profilo temporale per essere applicabile solo alle opere ultimate entro i termini tassativi fissati dal legislatore e per estinguere l'azione penale in corso. Centofanti 2005, 821.

2. La tutela amministrativa di autostrade o di strade statali.
Per la giurisprudenza il potere di autotutela possessoria per la demolizione di costruzioni realizzate nelle vicinanze di una strada statale, ai fini della sicurezza della circolazione presuppone necessariamente che l'avvenuta turbativa risulti debitamente accertata. Cons. giust. amm. Sicilia , sez. giurisd., 18.11.1998, n. 665, CS, 1998, I, 2017.

3. La tutela amministrativa del demanio idrico.
L’art. 97, r.d 523/1904 elenca le opere che si devono eseguire con speciale permesso del prefetto e sotto l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte. Cosentino e Frasca 2002, 79.
Tali opere indicate tassativamente sono, fra l’altro, la realizzazione di pennelli, chiuse ed altre simili opere nell'alveo dei fiumi e torrenti; la formazione di riparti a difesa delle sponde; i dissodamenti dei terreni boscati e cespugliati laterali ai fiumi e torrenti; le piantagioni a protezione dalle alluvioni a qualsivoglia distanza dalla opposta sponda; il trasporto in altra posizione dei molini natanti eseguiti sia con chiuse sia senza chiuse; l'estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici; l'occupazione delle spiagge dei laghi con opere stabili.
L'autorizzazione idraulica prescritta dal t.u. 25.7.1904, n. 523, ha l'evidente scopo di prevenire possibili pericoli per la corretta e regolare regimazione delle acque. Trib. sup.re acque, 8.5.2002, n. 65, FACDS, 2002, 1356.

4. Il limite temporale all’esercizio dell’autotutela.
L’indirizzo giurisprudenziale meno recente pone un limite temporale all’azione di autotutela della pubblica amministrazione, ritenendo che essa non possa più esperirsi quando sia trascorso un periodo eccedente un anno dal sofferto spoglio.
Tale limite, ripreso analogicamente dalla disciplina civilistica, mal si concilia col rimedio disciplinato dalla legislazione speciale.
Esso ha, infatti, natura pubblicistica e non deve soffrire limitazioni temporali, ma semmai può essere censurato sotto il profilo del difetto della motivazione a proporre soluzioni ripristinatorie dopo che la situazione di fatto si sia consolidata per il passare del tempo.
La pubblica amministrazione deve, in tal caso, dimostrare l’interesse attuale al provvedimento di autotutela.
Tale indirizzo ritiene che, passato l’anno dallo spoglio, l'amministrazione può rivolgersi al giudice ordinario per ottenere in via petitoria l'accertamento del suo diritto. Il potere di tutela dei beni demaniali di carattere possessorio ha, infatti, quale norma di riferimento per la sua individuazione e delimitazione l'art. 1168 c.c., che disciplina l'azione di reintegrazione dello spoglio subito dai privati. Esso deve essere esercitato dall'amministrazione nel termine di un anno, ex art. 1168, 1° co., c.c.
Tale termine solo in caso di spoglio clandestino decorre dalla scoperta di quest'ultimo, ex art. 1168, 3° co., c.c. anziché dall'avvenuta turbativa del possesso.
Decorso detto termine l'amministrazione può solo rivolgersi al giudice ordinario per ottenere in via petitoria l'accertamento del suo diritto, al fine di far cessare lo stato di fatto consolidatosi, dato il tempo trascorso, in favore di chi abbia compiuto lo spoglio. Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 18.11.1998, n. 665, CS, 1998, I, 2017.

5. La tutela dei beni privati di interesse pubblico. La tutela dei beni ambientali.
La tutela dei beni paesaggistici e dei beni culturali è garantita dal d.lg. 42/2004. Tamiozzo 2005, 342.

6. L’ordine di demolizione.
La giurisprudenza al fine dell'irrogazione della sanzione della demolizione ritiene necessaria e sufficiente la constatazione dell'esistenza di un contrasto tra l'opera abusiva e le caratteristiche della zona protetta, rilevata dall'organo tecnico, non essendo consentito all'amministrazione di valutare l'opportunità di disporre o meno la sanzione in ragione della già avvenuta compromissione della zona stessa, con il risultato di sostituire il proprio giudizio sul valore ambientale della zona protetta a quello espresso nella competente sede in occasione dell'imposizione del vincolo. T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 22.10.1990, n. 1120, T.A.R., 1990, I, 4266.

7. La sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.
La sanzione pecuniaria ha tutt’altra natura rispetto all’oblazione prevista dalla l. 47/1985 sul condono.
L'indennità è diretta a colpire l’alterazione del territorio operata dall'intervento abusivo, al fine di reintegrare il valore patrimoniale del bene pubblico compromesso dall'intervento dannoso, e differisce dall'oblazione di cui all'art. 34 della l. 28.2.1985, n. 47, che assorbe esclusivamente le sanzioni pecuniarie legate all'illecito urbanistico.
L'art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, ha esteso la possibilità di condono anche alle opere realizzate su aree sottoposte a vincolo previo rilascio del parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.
L’indennità rimane applicabile anche nell’ipotesi di rilascio della concessione in sanatoria.
Legittimamente, quindi, il provvedimento di sanatoria di una costruzione abusiva realizzata su un'area sottoposta a vincolo paesaggistico è condizionato al pagamento della indennità di cui alla l. 1497/1939. Cons. St., sez. II, 7.3.1990, n. 189, DGA, 1993, 442.
L'ammissibilità di un'autorizzazione paesaggistica postuma, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell'art. 13, l. 47 del 1985, non pregiudica il residuare del potere dovere dell'autorità competente di procedere all'applicazione della sanzione di cui all'art. 15, l. 1497 del 1939. Cons. St., sez. VI, 4.12.2000, n. 6469, RGE, 2001, I, 481.

8. La tutela dei beni culturali.
La tutela dei beni culturali è di competenza statale.
Essa è demandata al Ministero per i beni e le attività culturali dal d.lg. 42/2004. Tamiozzo 2005, 25.

9. La sospensione dei lavori.
La giurisprudenza non ritiene che il procedimento cautelare sia soggetto alla norme sull’accesso al procedimento amministrativo. Essa ha respinto la censura di violazione dell'art. 7, l. 241/90, per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento da parte del Comune.
L'Amministrazione è, infatti, tenuta ad attivarsi nel breve termine di sessanta giorni di cui all'art. 20, l. 1089 del 1939, e pertanto, ben poteva usufruire della deroga al procedimento generale derivante da particolari esigenze di celerità, di cui all'art. 7, l. 241 del 1990. T.A.R. Toscana sez. III, 13.9.2000, n. 1923.

10. La sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.
All’affermazione della necessità di scegliere la sanzione della demolizione, invece di quella pecuniaria, quando sia accertato che con la demolizione si può realizzare la riduzione in pristino, fa, infatti, riscontro l’affermazione che l’alternativa tra demolizione e risarcimento è affidata ad un apprezzamento discrezionale della pubblica amministrazione. Cons. St., sez. IV, 25.9.1968, n. 515, RGE, 1968, 1492.

11. Il provvedimento di riduzione in pristino.
Il provvedimento del Ministero dei beni culturali che ordina la riduzione in pristino di un immobile vincolato a fini storico-culturali legittimamente è diretto nei confronti del soggetto avente la proprietà al tempo dell'abuso e che comunque ha proposto domanda di condono edilizio all'autorità comunale, ancorché successivamente abbia alienato il bene. Cons. St., sez. VI, 18.4.2000, n. 2305, FA, 2000, 1368.

12. L’azione di prevenzione del danno ambientale. Il ripristino ambientale da parte dell’operatore.
L’art. 174, paragrafo 2, del Trattato CE introduce il principio di precauzione. La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio chi inquina paga. Corte giustizia CE, sez. I, 14.4.2005, n. 6, FACDS, 2005, n. 4, 962.

13. L’ordinanza ministeriale di rimessione in pristino in forma specifica e per equivalente patrimoniale.
La dottrina rileva che nuova formulazione dell’art. 311, d.lg. 3.4.2006, n. 152, elimina il requisito della colpa del gestore punendo anche il mero comportamento colposo che non tenga conto delle norme vigenti a tutela dell’ambiente. (Robustella 2006, 786).




1. Il potere di autotutela dell’autorità amministrativa sui beni demaniali.

L’art. 823 c.c. fissa le modalità di tutela dei beni del demanio pubblico affermando la legittimità della tutela amministrativa che ha pari dignità di quella giurisdizionale.
2. Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice.
(art. 823 c.c.).

L’articolo rinvia espressamente alle norme speciali dettate per i singoli beni.
Il potere di autotutela si esplica sotto diverse prospettazioni.
Sotto un primo profilo la pubblica amministrazione ha la possibilità di riformare i suoi atti, anche senza la richiesta del privato interessato al provvedimento, e può provvedere a risolvere i conflitti eventualmente insorgenti con altri soggetti nell'attuazione dei propri provvedimenti.
Questo è un potere di carattere generale.
In altre fattispecie rigidamente predeterminate il potere si autotutela si esplica nella possibilità di disporre e dare esecuzione a misure ripristinatorie nel caso di trasgressione da parte degli amministrati di diritti reali pubblici dell’amministrazione.
Per il principio di legalità in tali casi l’autotutela non può esercitarsi al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge speciale (Sandulli 1984, 783).
Un limite per l’esercizio della tutela amministrativa esercitata da un ente pubblico si rivolga verso i privati non essendo ammessa avverso altre pubbliche amministrazioni.

L'autotutela della p.a. è espressione della sua supremazia, e conseguentemente può essere esercitata solo nei confronti di soggetti privati, non anche nei confronti di soggetti che fanno parte anch'essi della p.a., e che, in quanto tali, sono nella medesima condizione giuridica. Pertanto, un Comune non può esercitare i propri poteri di autotutela a difesa della proprietà demaniale, secondo la previsione dell'art. 823, comma 2, c.c., nei confronti di una Regione. Principio espresso in controversia possessoria promossa dalla Regione nei confronti di un Comune; enunciando il principio di cui in massima, le S.U. hanno dichiarato la giurisdizione del g.o.
(Cass. Civ., sez. un., 1.2.2005, n. 1864, CI, 2005, f. 5, 109).

L’art. 378, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. f), reca una disposizione avente carattere generale che sancisce il potere di ripristino – che non sempre è potere di ripristino, ma a volte di rimozione – per le contravvenzioni alle norme sui lavori pubblici che alterino lo stato delle cose (Sandulli 1989, 784).
E’ una attività di polizia demaniale mediante la quale le amministrazioni vigilano affinché l’uso dei beni pubblici non avvenga in contrasto con le norme in vigore e affinché non siano violati i diritti dell’amministrazione e degli eventuali concessionari sui beni stessi.

Per le contravvenzioni alla presente legge, che alterano lo stato delle cose, è riservato al prefetto l'ordinare la riduzione al primitivo stato, dopo di aver riconosciuta la regolarità delle denunce, e sentito l'ufficio del Genio civile. Nei casi di urgenza il medesimo fa eseguire immediatamente di ufficio i lavori per il ripristino.
Sentito poi il trasgressore per mezzo dell'autorità locale, il prefetto provvede al rimborso a di lui carico delle spese degli atti e della esecuzione di ufficio, rendendone esecutoria la nota, e facendone riscuotere l'importo nelle forme e coi privilegi delle pubbliche imposte.
Il prefetto promuove inoltre l'azione penale contro il trasgressore, allorché lo giudichi necessario od opportuno.
Queste attribuzioni sono esercitate dai sindaci quando trattasi di contravvenzioni relative ad opere pubbliche dei comuni
(art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f).

La giurisprudenza ha riconosciuto all’autorità amministrativa il più ampio potere in ordine alla funzione di eliminare ogni situazione in contrasto con la normativa che possa causare un eventuale pericolo alla circolazione

L'autotutela amministrativa dei beni demaniali o del patrimonio indisponibile non s'esaurisce nei soli provvedimenti autoritativi di riduzione in pristino - come quello previsto dall'art. 378, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. f) - ma comprende anche la facoltà di revoca o di modificazione, avente forza coattiva, degli atti e delle situazioni divenute incompatibili con la destinazione pubblica del bene
(Cons. St., sez. V, 1.10.1999, n. 1224, FA, 1999, 2061).

L’autorità preposta è il prefetto.
Il sindaco è, invece, competente ad attivarsi per le opere dei comuni; deve essere sentito per il relativo parere l’ufficio del genio civile (Cassese 1969, 361).

Le strade vicinali sono utilizzabili non solo dai proprietari confinanti, ma anche dalla collettività e, per essa, dal comune che la rappresenta. Pertanto, è legittimo il provvedimento con cui un comune esercita il potere di autotutela possessoria, ex art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), e artt. 15 e 17, d. l. 1.9.1918, n. 1446, ordinando la rimozione delle opere che impediscono il transito attraverso una strada vicinale
(Cons. Stato, sez. V, 10.1.1997, n. 29, FA, 1997, 136).

La competenza del sindaco è affermata anche per le strade vicinali aperte al pubblico transito.

La strada di accesso al mare, oggetto di diritto di uso pubblico quale strada privata aperta al pubblico transito, deve essere qualificata come strada vicinale adibita al pubblico transito; pertanto, ritenuta la perdurante sussistenza del diritto di uso pubblico, deve essere comunque riconosciuta in favore del Sindaco, ai sensi degli artt. 823 e 825 c.c. e 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), e 15, d. l. 1.9.1918, n. 1446, confermato dall'art. 20, r. d. 15.11.1923, n. 2506, la titolarità del potere di autotutela possessoria juris publici della strada medesima, nel cui ambito deve essere correttamente inquadrato il provvedimento recante autorizzazione al ripristino della funzionalità del relativo tracciato
(T.A.R. Sardegna, 9.10.1996, n. 1351, T.A.R. 1996, I, 4756).

Il sindaco ha il potere di autotutela anche nei riguardi dei beni del patrimonio comunale indisponibile, e tale potere non si esaurisce nei provvedimenti autoritativi di riduzione in pristino, come quello previsto dall'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), ma comprende anche la facoltà di revoca e modificazione degli atti e delle situazioni divenute incompatibili con la destinazione pubblica del bene.

In ordine agli immobili vincolati ai sensi della l. 1.6.1939, n. 1089, spetta all'organo monocratico del Comune il potere di tutela, ex art. 823 c.c., nonché il generale potere di autotutela di cui all'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f)
(Cons. Stato, sez. IV, 15.3.2000, n. 1398, FA, 2000, 817).

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la disposizione che limitava l’azione penale da parte del prefetto, sostituito poi successivamente dall’ingegnere capo del genio civile.

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 378, 3° co., l. 20.3.1865, n. 2248, all. F, in quanto riserva al solo Ingegnere capo del genio civile, con esclusione del pubblico ministero, l'esercizio dell'azione penale nei confronti di chi commette le contravvenzioni previste e punite dalla legge predetta
(Corte cost., 26.7.1979, n. 84, CP, 1980, 593).

L’intervento della p.a., tenuta, in attuazione dell'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), all'esecuzione degli indispensabili lavori di ripristino è intervento di carattere generale applicabile anche nel caso di infrazioni al divieto di eseguire opere nell’alveo di fiumi.

Il divieto di eseguire opere nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatori pubblici e canali di proprietà demaniale senza il permesso dell'autorità amministrativa, di cui all'art. 93, r. d. 25.7.1904, n. 523, integra una contravvenzione la cui permanenza cessa con l'ultimazione dei lavori e delle opere non autorizzate poste in essere, mentre gli ulteriori effetti dannosi o pericolosi derivanti dal mantenimento delle opere eseguite non integrano ipotesi di reato, ma determinano l’azione amministrativa ex art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f).
(Cass. pen., sez. III, 18.12.1998, n. 1661, RGE, 2000, I, 203).

1.      L’autotutela e condono edilizio.

La giurisprudenza distingue tale potere di autotutela dai provvedimenti sanzionatori azionati in relazione al fatto che il soggetto passivo del procedimento si è reso responsabile di avere realizzato opere abusive.

Costituisce sanzione contro un abuso edilizio e non già atto di autotutela possessoria, ex art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), l'ordinanza con cui il sindaco, descrivendo l'abuso e dichiarando di fare applicazione delle norme della l. 28.1.1977, n. 10 e della l. 28.2.1985, n. 47, intima la rimozione di un'opera edilizia realizzata senza alcun titolo abilitativo, indipendentemente dal fatto che essa insista, o meno, sul demanio comunale o di altri enti
(Cons. St., sez. V, 4.2.1998, n. 134, FA, 1998, 405).

Il potere sanzionatorio è inoltre condizionato dall’eventuale esame della richiesta di sanatoria edilizia.
Con l'entrata in vigore delle disposizioni normative in tema di sanatoria edilizia, di cui alla l. 47 del 1985 e alla l. r. Sicilia n. 37 del 1985, il prefetto non può ordinare sic et simpliciter, ai sensi dell'art. 20, r.d. 8.12.1933, n. 1740, t.u. di norme per la tutela delle strade e la circolazione, la riduzione in pristino stato delle costruzioni realizzate in violazione delle distanze di cui all'art. 4, d. m. 1 aprile 1968, relativamente alle quali è stata presentata domanda di sanatoria.
In tali casi, infatti, l'esercizio del potere - dovere finalizzato alla tutela del nastro stradale è rimesso alla conclusione del procedimento di sanatoria, e cioè al provvedimento del sindaco, il quale, previa acquisizione del nulla osta rilasciato dall'ente titolare della strada, accoglie o respinge l'istanza di sanatoria.
(T.A.R. Sicilia, sez. I, Palermo, 2.10.1991, n. 543, 1991, 647).

Il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per abusi realizzati su aree soggette a vincolo presuppone il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo (Caruso 2003, 119).

1. Fatte salve le fattispecie previste dall'articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo. Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte.
2. Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sotto indicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino:
(omissis)
c) in contrasto con le norme del decreto ministeriale 10.4.1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.4.1968, e con agli articoli 16, 17 e 18 della legge 13.6.1991, n.190, e successive modificazioni, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
(art. 32, l. 28.2.1985 n. 47, mod. art. 32, 43° co., l. 24.11.2003, n. 326).

La giurisprudenza precedente all’entrata in vigore della l. 326/2003 ha affermato che il rilascio della concessione in sanatoria per abusi realizzati su aree soggette a vincolo presuppone in ogni caso il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.

La concreta lesività del parere espresso dall'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico si manifesta solo nel momento in cui esso è trasposto o richiamato nell'atto finale che definisce la domanda di sanatoria edilizia.
(Cons. St., sez. V, 10.2.2004, n. 480).




2. La tutela amministrativa di autostrade o di strade statali.

Se le opere abusive sono realizzate su autostrade o strade statali la competenza è del capo compartimento per la viabilità dell'ANAS, ex art. 25, l. 7.2.1961, n. 59.
L’intervento si può articolare in una preventiva sospensiva delle opere in corso di esecuzione.
Il provvedimento emanato da altra autorità, ad esempio il sindaco, è illegittimo.

L'ordine di sospensione dei lavori di costruzione di un edificio a distanza illegale da un'autostrada o da una strada statale (esclusi, per queste ultime, i tratti interni agli abitati classificati comunali) rientra nella competenza del capo compartimento per la viabilità dell'ANAS e non del prefetto o del sindaco
(Cons. St., sez. IV, 13.3.1991, n. 179, FA, 1991, 674).

Se si tratta di ferrovie la competenza è del direttore compartimentale delle Ferrovie dello Stato.

Se, ai sensi dell'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), il direttore compartimentale delle Ferrovie dello Stato, ai fini della tutela delle distanze, può ordinare la demolizione delle costruzioni poste a meno di 5 metri dalla strada ferrata, tuttavia tale provvedimento deve essere motivato
(T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 15.7.1981, n. 115, RGCT, 1982, 395).



2.1. Il procedimento ex art. 30, d. lg. 30.4.1992, n. 285, che approva il nuovo codice della strada.
Le autorità provvedono all'accertamento delle situazioni di pericolo relative a fabbricati ed a muri di qualunque genere fronteggianti le strade e all’applicazione delle eventuali sanzioni amministrative nonché ad ordinare la riduzione in pristino e a fare eseguire le opere necessarie d’ufficio, qualora il soggetto passivo del provvedimento non provveda ad eseguire le sue disposizioni, addebitando a quest’ultimo l’eventuale spesa con uno speciale procedimento disciplinato dall’art. 30, d. lg. 30.4.1992, n. 285.

1. I fabbricati ed i muri di qualunque genere fronteggianti le strade devono essere conservati in modo da non compromettere l'incolumità pubblica e da non arrecare danno alle strade ed alle relative pertinenze.
2. Salvi i provvedimenti che nei casi contingibili ed urgenti possono essere adottati dal sindaco a tutela della pubblica incolumità, il prefetto sentito l'ente proprietario o concessionario, può ordinare la demolizione o il consolidamento a spese dello stesso proprietario dei fabbricati e dei muri che minacciano rovina se il proprietario, nonostante la diffida, non abbia provveduto a compiere le opere necessarie.
3. In caso di inadempienza nel termine fissato, l'autorità competente ai sensi del comma 2 provvede d'ufficio alla demolizione o al consolidamento, addebitando le spese al proprietario.
4. La costruzione e la riparazione delle opere di sostegno lungo le strade ed autostrade, qualora esse servano unicamente a difendere ed a sostenere i fondi adiacenti, sono a carico dei proprietari dei fondi stessi; se hanno per scopo la stabilità o la conservazione delle strade od autostrade, la costruzione o riparazione è a carico dell'ente proprietario della strada.
5. La spesa si divide in ragione dell'interesse quando l'opera abbia scopo promiscuo. Il riparto della spesa è fatto con decreto del Ministro dei lavori pubblici, su proposta dell'ufficio periferico dell'A.N.A.S., per le strade statali ed autostrade e negli altri casi con decreto del presidente della regione, su proposta del competente ufficio tecnico.
6. La costruzione di opere di sostegno che servono unicamente a difendere e a sostenere i fondi adiacenti, effettuata in sede di costruzione di nuove strade, è a carico dell'ente cui appartiene la strada, fermo restando a carico dei proprietari dei fondi l'obbligo e l'onere di manutenzione e di eventuale riparazione o ricostruzione di tali opere.
7. In caso di mancata esecuzione di quanto compete ai proprietari dei fondi si adotta nei confronti degli inadempienti la procedura di cui ai commi 2 e 3.
8. Chiunque non osserva le disposizioni di cui al comma 1 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire cinquecentomila a lire due milioni.
(art. 30, d. lg. 30.4.1992, n. 285).

L'art. 20, t.u. 8.12.1933, n. 1740 che regolava la materia prima dell’entrata in vigore del codice della strada consentiva l'emanazione in un unico contesto della diffida a demolire e dell'ordine di demolizione di un manufatto costruito rispetto a una strada pubblica a distanza inferiore a quella prescritta.
L'ordine di demolizione può essere diretto al contravventore, che non sempre coincide col proprietario (Cons. giust. amm. Sicilia, 6.9.1986, n. 138, CS, 1986, 1387).



3. La tutela amministrativa del demanio idrico.

Il regime delle acque pubbliche è soggetto a particolari tutele.
L’art. 96, r.d. 523/1904, prevede il divieto di realizzare opere a ridosso del piede degli argini o delle sponde dei corsi d’acqua.
L'art. 96, lett. f), r.d. 25.7.1904, n. 523, contempla, tra l'altro, un assoluto divieto di edificare a meno di 10 metri dal piede degli argini dei corsi d'acqua, prevedendone altresì la deroga solo allorquando la materia sia contemporaneamente disciplinata agli stessi fini da normative locali, che comprendono anche quelle contenute nei piani regolatori generali e nei regolamenti edilizi (T.A.R. Emilia Romagna Parma, 6.11.2003, n. 581, FATAR, 2003, 3226).
In particolare la giurisprudenza ha precisato che il divieto di cui all'art. 96, lett. g), r.d. 25.7.1904, n. 523 (t.u. delle leggi sulle opere idrauliche) appare riferito ad opere e atti che investono gli alvei delle acque pubbliche, le sponde e difese, e cioè lo spazio soggiacente alle piene ordinarie, le sponde e le ripe interne, formanti con l'alveo del corso d'acqua una unità inscindibile per il contenimento e l'economia di scorrimento delle acque, o, comunque, le opere e i fatti che incidano sull'economia e sul regime dell'alveo del corso d'acqua, come sopra definito (Cass. Pen., sez. III, 8.3.1994, CP, 1996, 908).
La giurisprudenza ha affermato che i divieti di edificazione sanciti dall'art. 96 r.d. 25.7.1904, n. 523 sono informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali ovvero di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici; pertanto, quando risulta oggettivamente non sussistente una massa di acqua pubblica suscettibile di essere utilizzata ai predetti fini, deve escludersi l'operatività dei menzionati divieti (Cass. Civ., Sez. U., 5.7.2004, n. 12271, FACDS, 2004, 1994).
Per quanto riguarda l’estrazione dall'alveo dei fiumi e torrenti di ghiaia e sabbia, ai sensi dell'art. 97, r.d. 25.7.1904, n. 523, la giurisprudenza ha precisato che la concessione amministrativa è richiesta in relazione all'uso eccezionale del bene pubblico che intenda farne il privato nel proprio interesse.
Detto uso comporta il pagamento di un canone ed il previo accertamento che esso non leda i preminenti interessi pubblici attinenti alla salvaguardia del regime delle acque, mentre la suddetta concessione non deve ritenersi necessariamente richiesta ove l'estrazione si colleghi, con carattere di necessità, al compimento di un'opera idraulica sul fiume o torrente (Cass. civ., sez. I, 5.12.1998, n. 12332, GCM, 1998, 2544).
I divieti formulati dal t.u. 25.7.1904, n. 523, sulle opere idrauliche, soggiacciono alla sanzione stabilita dall'art. 374, l. 20.3.1865, n.
2248, all. f), non abrogata dal testo unico che si è limitato a riordinare la materia.
Alle pene di polizia e alla multa, comminate dalla disposizione del 1865, in virtù dell'art. 1, r.d. 28.5.1931, n. 601, corrispondono quelle dell'arresto e dell'ammenda (Cass. pen., sez. III, 5.2.1996, CP, 1997, 1852).
La giurisprudenza ha affermato che la controversia relativa ad un provvedimento che, anche indirettamente, si propone di tutelare il corretto deflusso delle acque, va sottoposta alla giurisdizione del Trib. Sup. Acque Pubbl., ai sensi dell'art. 143, r.d. 11.12.1933 n. 1775.

Nella vigenza dell'art. 34, d.lg. 31.3.1998, n. 80 - successivamente modificato, in parte, dalla l. 21.7.2000, n. 205 - sussiste la giurisdizione diretta di legittimità del tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell'art. 143, t.u. 11.12.1933, n. 1775, per le impugnazioni di tutti i provvedimenti con incidenza diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche.
Tale giurisdizione speciale sussiste, quindi, per le controversie relative all'autorizzazione o concessione per la realizzazione di costruzioni ed opere attinenti all'utilizzazione od al regime delle acque nella regione Lombardia, nella quale esiste una specifica legislazione limitativa delle concessioni di costruzione in zona a destinazione agricola.
(Trib. sup.re acque, 21.5.2003, n. 74, FACDS, 2003, 1735).



3.1. La tutela amministrativa del demanio marittimo. Le occupazioni abusive.

L’autorità marittima competente ha l’obbligo di ordinare la rimessione in pristino delle occupazioni e innovazioni abusive.

1. Qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il capo del compartimento ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino entro il termine a tal fine stabilito e, in caso di mancata esecuzione dell'ordine, provvede di ufficio a spese dell'interessato.
(art. 54, c.n.).

L’amministrazione non ha l’obbligo di alcuna motivazione in quanto l’interesse pubblico alla rimessione in pristino non è subordinato in alcun modo all’interesse privato alla conservazione del manufatto abusivo.

L'esercizio dei poteri repressivi non richiede alcuna particolare motivazione specifica in ordine alla prevalenza dell'interesse pubblico al ripristino dello status quo ante rispetto a quello del privato alla conservazione dell'occupazione dell'area demaniale marittima.

Nell’esigere l’esecuzione l’amministrazione può legittimamente rivolgersi a colui che al momento del procedimento di rimessione in pristino è l’attuale detentore del bene

La qualità di utilizzatore di un immobile abusivamente realizzato sul demanio costituisce requisito di per sé sufficiente per poter essere individuato come legittimato passivo dell'ordine di demolizione dell'immobile medesimo, atteso che la sua disponibilità consente all'interessato di porre fine alla situazione antigiuridica; pertanto, la circostanza di non aver realizzato tale manufatto, idonea ad escludere la responsabilità penale e personale dell'interessato, non può anche esimerlo dall'obbligo di ottemperare all'ordine di demolizione.

L’autorità amministrativa deve sanzionare anche il deposito abusivo di merci e mancata rimozione di cose depositate.

1. È punito con la sanzione amministrativa fino a 516 euro:
1) chiunque deposita merci o altri materiali nei luoghi indicati negli articoli
50 e 57, senza il permesso dell'autorità competente e il pagamento del relativo canone;
2) chiunque non esegue l'ordine di rimozione delle cose depositate.
(art. 1165, c.n., mod. art. 32, l. 24.11.1981, n. 689).

La condotta di chi non ottempera all'ordine di rimozione di quanto insistente sul demanio marittimo, legittimamente emesso dalla competente Capitaneria di Porto, specificatamente prevista dall'art. 1165, 1° co., lett. b), c. n., è originariamente punita con sanzione in origine penale.
La fattispecie non costituisce più reato in quanto la suddetta violazione è soltanto amministrativa a seguito della depenalizzazione di cui all'art. 32, l. 24.11.1981, n. 689.

La condotta di chi non ottempera all'ordine di rimozione, emesso dalla Capitaneria di porto, ex art. 51 c. n., sanzionata dall'art. 1165, 1° co., lett. b) c. n., è stata depenalizzata dall'art. 32, l. n. 689 del 1981.
Tale fattispecie non può essere fatta rivivere come illecito penale mediante l'utilizzazione dell'art. 650 c.p., che contiene una norma penale in bianco a carattere sussidiario, applicabile solo quando il fatto non sia previsto come reato da una specifica disposizione ovvero non sia altrimenti sanzionato in relazione a regolamenti e ordinanze dell'autorità amministrativa che già prevedano una sanzione per la loro inosservanza.




4. Il limite temporale all’esercizio dell’autotutela.

L’orientamento giurisprudenziale che, dati i motivi di sicurezza stradale che ispirano l’azione repressiva, non ritiene necessario che il procedimento sia condizionato dal fatto di essere intrapreso entro il termine di un anno dalla data dell’inizio dei lavori.
L’oggetto della tutela amministrativa è il pubblico interesse alla sicurezza della circolazione del traffico sulle strade riferito sia alla attuale situazione delle stesse che alle eventuali future, ma possibili, modifiche.
In assenza di alcun termine di decadenza legislativamente fissato per l'esercizio di detto potere ed in considerazione del fatto che il privato è, comunque, a conoscenza della propria posizione di irregolarità in base alla contestazione del verbale di contravvenzione, il suddetto potere di autotutela può essere esercitato dall'amministrazione senza limiti di tempo.
L'esercizio del potere non è soggetto al limite temporale di un anno relativo all'esercizio dell'azione di manutenzione di cui all'art. 1170 c.c.
L'esercizio del potere di autotutela possessoria iuris publici in materia di strade vicinali, di cui agli art. 55, 81 e 378 della l. 20.3.1865, n. 2248, all. F., non incontra limiti temporali, neppure in via analogica nel termine di un anno di cui all'art. 1168, c.c. (disciplinante la tutela possessoria privatistica), data l'eterogeneità dei due istituti, l'uno relativo ad una potestà amministrativa volta a perseguire interessi pubblici, l'altro concernente una forma speciale di tutela giurisdizionale di interessi privati.

La giurisdizione sul potere di autotutela è sicuramente del giudice amministrativo poiché il provvedimento repressivo rientra nei poteri autoritativi che degradano i diritti del soggetto passivo a meri interessi legittimi.

Il potere di ordinanza attribuito al sindaco in base all'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), in materia di riduzione in pristino per la tutela del demanio stradale, si configura come un potere di autotutela possessoria iuris publici, inteso all'immediato ripristino dello stato di fatto preesistente, il cui esercizio non si sottrae al sindacato di legittimità del giudice amministrativo trattandosi di verificare la presenza dei necessari presupposti e la conformità alle norme che lo disciplinano.
(T.A.R. Lazio, sez. Latina, 14.5.1988 n. 354, FA, 1989, 770).

Le posizioni del privato destinatario dell'ordine di demolizione, ancorché abbia conseguito dal comune l’autorizzazione per l’opera ritenuta abusiva hanno natura e consistenza di meri interessi legittimi, come tali tutelabili dinanzi al giudice amministrativo (Cass. civ., Sez. U., 14.1.1987, n. 193, FI, 1987, I, 2450).



5. La tutela dei beni privati di interesse pubblico. La tutela dei beni ambientali.

La tutela amministrativa si svolge anche nei confronti dei beni privati di interesse pubblico.
La qualità del bene comporta che l’amministrazione preposta possa agire sia in via cautelare sia in via ordinaria per conservare l’integrità dei beni ed evitare ogni loro manomissione o distruzione.
La legislazione speciale determina le modalità degli interventi.
Le principali disposizioni si trovano nel codice dei beni culturali e nel codice dell’ambiente.
Il primo, approvato con d.lg. 42/2004, regola la tutela dei beni paesaggistici e quella dei beni culturali.
In tal caso la qualità del bene che si intende tutelare deve essere verificata alla luce delle norme che attribuiscono tale qualità.
Il secondo, approvato con d.lg. 152/2006, dispone la tutela dei beni interessati da attività economiche soggette a controllo perché possono essere pericolose per l’ambiente circostante e per la stessa salute umana.
E’ l’operatore interessato che ha la responsabilità diretta quando emerga il rischio suddetto, di informare gli enti preposti.
In tale ipotesi è lo stesso operatore - se vuole evitare l’intervento degli organi di controllo in via sostitutiva e l’interrompersi stesso dell’attività autorizzata - che deve attivarsi.
L’azione dell’operatore può essere contenitiva ed essere idonea a ripristinare la situazione quo antea.
L’amministrazione si limita in questa fase ad un’azione di accertamento per verificare che alcun danno non sia stato prodotto.
In caso contrario l’amministrazione procede con l’azione di danno ambientale. Vedi Cap. XVII, n. 6
La tutela dei beni paesaggistici è affidata congiuntamente al Ministero e alle Regioni, ex art. 132, d.lg. 42/2004.
La tutela ha ad oggetto i beni di interesse paesaggistico individuati dal procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, i beni tutelati per legge ed i beni inseriti nel piano paesaggistico, vedi Cap. V, n. 1.8 e segg.
Ogni intervento sull’immobile deve essere autorizzato dalla competente autorità.
Qualora l'autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d'ufficio è previsto l’intervento sostitutivo del direttore regionale competente.
Egli può iniziare il procedimento su richiesta della medesima autorità amministrativa ovvero direttamente in caso di inerzia dell’amministrazione competente.
Nel secondo caso devono essere decorsi centottanta giorni dall'accertamento dell'illecito e deve essere previamente diffidata l’autorità competente.


6. L’ordine di demolizione.

L’ordine di demolizione è il rimedio normale per reprimere gli interventi abusivi realizzati sui beni paesaggistici.
Non è richiesto il preventivo ordine di sospensione dei lavori
Costituisce motivazione sufficiente la constatazione del contrasto fra l’opera abusiva e le caratteristiche della zona protetta.
La demolizione delle opere, abusivamente eseguite in spregio della tutela delle bellezze panoramiche, costituisce sanzione propriamente preordinata al ripristino dello stato dei luoghi turbato dalla illecita costruzione, restando nella discrezionalità dell'amministratore applicare la sanzione patrimoniale pecuniaria quando la lesione arrecata all'ambiente paesaggistico sia di limitata entità, sulla base di valutazione non sindacabile nel giudizio di legittimità (Cons. St., sez. VI, 15.4. 1993, n. 290, FA, 1993, 737).
La demolizione di un'opera edilizia realizzata senza permesso di costruire, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico è legittimamente ordinata se, tenuto conto del grave pregiudizio dei valori paesaggistici, provocato dall'opera stessa, sia stato ritenuto di non applicare, in alternativa, la sanzione pecuniaria (Cons. St., sez. II, 16.5.1990, n. 242, CS, 1993, I, 1046).
La mancanza ovvero l’inadeguatezza della motivazione è sufficiente per poter fare dichiarare la illegittimità del provvedimento.
Il provvedimento di demolizione deve concedere al trasgressore un termine per l’esecuzione dello stesso.
In caso di inadempienza si procede d’ufficio a mezzo del Prefetto, con l’addebito delle spese sostenute, ex art. 167, 3° co., d.lg. 42/2004.


7. La sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

L’art. 167, d.lg. 42/2004, attribuisce alla autorità amministrativa preposta al vincolo una scelta discrezionale sulle modalità relative alla repressione dell’abuso sui beni ambientali, concedendole la facoltà di valutare se procedere alla demolizione delle opere o alla irrogazione di una sanzione pecuniaria.
La sanzione pecuniaria rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, vale a dire in caso di compromissione dell'integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti formali, quale è da ritenersi il caso di violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione (Cons. St., sez. VI, 4.12.2000, n. 6469, RGE, 2001, I, 482).
Vi è discordanza nella giurisprudenza riguardo all’interpretazione della norma che demanda alla discrezionalità dell’amministrazione la scelta, mentre vi è assoluta concordanza sull’obbligo di emanare il provvedimento sanzionatorio.
Una prima interpretazione più rigorosa vede la logica conseguenza dei provvedimenti repressivi nella demolizione delle opere abusive, salvo la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria quando ricorrano particolari circostanze, adeguatamente motivate, che escludano la necessità di procedere alla demolizione (Cons. St., sez. VI, 2.5.1972, n. 193, RGE, 1972, 775).
Una seconda interpretazione più permissiva afferma che la sanzione pecuniaria mira a colpire coloro che non ottemperano agli obblighi e agli ordini contenuti nella legge stessa e va applicata anche in presenza del solo comportamento colposo o doloso di chi ha commesso l'abuso, prescindendo dal danno ambientale (Cons. St., sez. VI, 2.6.2000, n. 3184, DGA, 2001, 281).
Essa costituisce non già una forma di risarcimento danni, ma una vera e propria sanzione amministrativa (Cons. St., sez. VI, 9.10.2000, n. 5386, GBLT, 2001, 160).
Nel caso di irrogazione della sanzione pecuniaria essa è calcolata stabilendo una cifra pari alla maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito sulla base di una perizia di stima.
E’ pacifico il collegamento dell’indennità con criteri obiettivi di valutazione.
L'indennità di tipo risarcitorio del danno cosiddetto ambientale, nell'ambito di un procedimento amministrativo di tipo autoritativo, deve essere collegata a criteri obiettivi di valutazione e non può richiamarsi a generici criteri equitativi (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 20.1.1992, n. 9, FA, 1992, 2015).
La quantificazione della sanzione pecuniaria prevista art. 167, d.lg. 42/2004, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, è determinata ai sensi dell'art. 2, d.m. 26.9.1997, previa apposita perizia di valutazione del danno causato dall'intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio vincolato ed alla normativa di tutela vigente sull'area interessata, nonché mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive.
Tuttavia, poiché tale quantificazione non può essere oggetto di una dimostrazione articolata ed analitica, sfuggendo il danno paesistico ad una indagine dettagliata e minuta, la relativa valutazione può essere censurata solo per manifesta illogicità (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11.11.2004, n. 16752, FATAR, 2004, 3438).
In un primo tempo la giurisprudenza, decidendo sulla legittimità del D.M. 24 settembre 1997, n. 1698900, ha affermato che l’indennità risarcitoria presuppone l'esistenza del danno ambientale e il suo conseguente accertamento, anche se esso non è di tale rilevanza da richiedere la demolizione delle opere da realizzare.
E’ stato quindi dichiarato illegittimo il d.m. 26.9.1997 nella parte in cui prevede l'applicazione della sanzione anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale (T.A.R. Lazio, sez. II, 21.6.1999, n. 1531, RGE, 2000, I, 304).
Successivamente è stato precisato che la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15, l. 1497 del 1939 - ed ora dall'art. 167, d.lg. 42/2004 - è diretta a reprimere, con effetto deterrente oltre che ripristinatorio, ogni tipo di violazione sia sostanziale, per l'effettivo contrasto della costruzione con i valori paesistici ed ambientali della zona, sia formale, per l'omessa acquisizione del nulla osta paesistico.
Essa è dovuta anche in mancanza di un concreto danno ambientale, dovendo, in tal caso, essere commisurata al profitto conseguito.(T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11.11.2004, n. 16752).
E’ conforme la giurisprudenza nel ritenere che sussista in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo.



8. La tutela dei beni culturali.

La tutela statale dei beni culturali è demandata al Ministero per i beni e le attività culturali dal d.lg. 42/2004; il controllo può venire esercitato anche dal comune che deve rapportarsi nell’adozione dei provvedimenti sanzionatori alle decisioni dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
La tutela riguarda ogni tipo di intervento sul bene.
I beni culturali, infatti, non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione, ex art. 20, 1° co., d.lg. 42/2004.
L’art. 32, d.lg. 42/2004, prevede un potere sostitutivo dello stesso ministero che ha la facoltà di provvedere direttamente alle opere necessarie per assicurare la conservazione ed impedire il deterioramento di tali beni.
Le modalità procedurali e finanziarie dell’intervento sostitutivo sono precisate dall’art. 35, d.lg. 42/2004.


9. La sospensione dei lavori.

La tutela statale prevede da parte del soprintendente la possibilità di sospendere i lavori quando i progetti relativi non siano stati preventivamente autorizzati dalla soprintendenza, ai sensi dell’art. 21, d.lg. 42/2004.
L'adozione del provvedimento cautelare può anche precedere l’adozione del provvedimento di vincolo definitivo che deve seguire nel termine di sessanta giorni.
La sospensione in tal caso ha la funzione di mettere l'interessato sull'avviso delle intenzioni dell'amministrazione, consentendogli di partecipare al procedimento che lo riguarda (T.A.R. Sardegna, 19.11.1997, n. 1607, T.A.R., 1998, I, 398).
La sospensione dei lavori è una misura soprassessoria e al tempo stesso anticipatoria del provvedimento impositivo del vincolo storico-artistico su un determinato bene.
Essa è dettata dalla necessità di bloccare medio tempore, nelle more cioè del relativo procedimento, interventi suscettibili di comprometterne il valore, dovendosi ritenere che l'indicazione in siffatta sospensione delle ragioni giustificatrici del vincolo trascende la natura e la funzione della sospensione medesima ed appartiene ad una fase successiva, quella cioè della effettiva imposizione del vincolo, ove le ragioni della imposizione del vincolo trovano la loro collocazione logica e devono quindi essere esplicitate (T.A.R. Campania, sez. II, Napoli, 26.6.1998, n. 2154, FA, 1999, 205).



10. La sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

L’art. 160, d.lg. 42/2004, disciplina il procedimento sanzionatorio di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali.
La giurisprudenza ha affermato anche per tale provvedimento l'obbligo di motivazione.
La sanzione pecuniaria ha valenza residuale ed è applicabile solo quando la riduzione in pristino non sia tecnicamente possibile (T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 12.2.2000, n. 97, FA, 2000, 2845).
La controversia rivolta a contestare la validità ed efficacia del provvedimento applicativo di detta sanzione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto si ricollega a posizioni di interesse legittimo (Cass. civ., sez. un., 4.4.2000, n. 94, FI, 2000, I, 1120).
La sanzione pecuniaria, irrogata dall'amministrazione al proprietario di un immobile di interesse artistico e storico per l'esecuzione di opere pregiudizievoli per il bene, ha carattere alternativo rispetto a misure di tipo ripristinatorio e rientra, pertanto, nell'area dei poteri autoritativi dell'amministrazione medesima a tutela diretta di interessi pubblici.
Ne deriva che la controversia, volta a contestare la validità ed efficacia del provvedimento applicativo di detta sanzione, ancorché insorga in via di opposizione ad ingiunzione resa a norma del r.d. 639 del 1910, è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo in quanto si ricollega a posizioni di interesse legittimo (Cass. civ., sez. un., 17.2.1995, n. 1714, GC, 1995, I, 1491).
La sanzione pecuniaria è determinata direttamente dal Ministero che stabilisce una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dal bene a seguito della trasgressione. (T.A.R. Toscana sez. I, 18.3.1999, n. 220, FA, 2000, 178).
La determinazione può non essere accettata e può, pertanto, essere richiesta la costituzione di un’apposita commissione che accerti il valore della cosa, secondo quanto disposto dall’art. 160, 5° co., d.lg. 42/2004.
L’azione del Ministero non è soggetta ad alcun termine di prescrizione (Cons. Stato, sez. IV, 6.5.1975, n. 482, FA, 1975, I, 628).


11. Il provvedimento di riduzione in pristino.

Il provvedimento di riconduzione in pristino deve essere preso dal Ministero.
Nel caso di opere ritenute difformi dalle prescrizioni dell'autorità preposta alla salvaguardia dei beni oggetto della tutela, l'art. 160, d.lg. 42/2004, impone il ripristino dello stato originario del bene, con l'esecuzione dei lavori ritenuti necessari per riparare ai danni prodotti alla cosa. Rispetto al fine primario di conferire al bene l'assetto precedente perché più idoneo alla salvaguardia del suo valore artistico e architettonico, la sanzione pecuniaria, pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita a seguito della trasgressione ha valenza residuale ed è applicabile solo quando la riduzione in pristino della cosa non sia possibile (Cons. St., sez. IV, 18.5.1998, n. 818, AUE, 1999, 415).
La giurisprudenza interpreta restrittivamente la facoltà del Ministero, ritenendo piuttosto che si tratti di un obbligo ad adottare le misure repressive.

Nel caso di opere che abbiano recato danno al patrimonio storico-artistico l'amministrazione è vincolata ad emanare provvedimenti di riduzione in pristino mediante demolizione dei manufatti abusivi, con esclusione di valutazioni discrezionali conservative, ancorché tali opere concernano beni sottoposti a vincolo indiretto, senza che sul dovere di disporre la riduzione in pristino incida il lungo tempo trascorso dal compimento della violazione edilizia.
(Cons. St., sez. VI, 25.9.1995, n. 965, FA, 1995, 1922).



12. L’azione di prevenzione del danno ambientale. Il ripristino ambientale da parte dell’operatore.

L’art. 301, d.lg. 3.4.2006, n. 152, introduce il principio di precauzione in applicazione dell’art. 174, par. 2, del Trattato CE.
Detto principio di precauzione prevede che in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione.
E’ l’operatore interessato che ha la responsabilità diretta quando emerga il rischio suddetto, di informarne senza indugio, indicando tutti gli aspetti pertinenti alla situazione, il comune, la provincia, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché il Prefetto della provincia che, nelle ventiquattro ore successive, informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che è autorità ad essere informata per ultima è quella, in applicazione del principio di precauzione, che ha la facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione.
L’azione di prevenzione deve essere eseguita quando il danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, ex art. 304, d.lg. 3.4.2006, n. 152.
Anche in questo caso il soggetto abilitato l’operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza.
Gli interventi non devono essere sottoposti ad alcuna autorizzazione amministrativa; essi devono essere preceduti da apposita comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.
Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire.
La comunicazione, non appena pervenuta al comune, abilita immediatamente l’operatore alla realizzazione degli interventi.
La mancata attivazione dell’operatore comporta la irrogazione di una sanzione amministrativa non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo.
La sanzione presuppone l’accertamento della situazione di pericolo e la documentata inerzia dell’operatore di fronte all’emergenza.
Il codice dell’ambiente ignora ogni intervento cautelare delle amministrazioni locali prevedendo invece una intervento cautelare del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che ha facoltà di chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale, di ordinare all’operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie e di adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ha facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno in caso di inottemperanza addebitando le relative spese.
Anche in tale fattispecie c’è da chiedersi se possa intendersi abrogato il potere attribuito dall’art. 54, 3° co., d.lg. 267 del 2000, di adottare ordinanze contingibili ed urgenti conferito al sindaco.
La risposta non può che essere negativa poiché detto potere è conferito per fare fronte ad una situazione di imminente pericolo per l'igiene e l'incolumità pubblica alla quale non possa farsi fronte con i normali rimedi apprestati dall'ordinamento giuridico e cioè nel caso in cui, in mancanza di altra norma che autorizzi a provvedere altrimenti, ci si trovi di fronte ad evenienze di carattere eccezionale ed imprevedibile che determinano, per la sicurezza o l'igiene pubblica, una situazione di pericolo che occorre eliminare immediatamente (T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 19.10.2005, n. 19451, FATAR, 2005, 10, 3267).
L’art. 305, d.lg. 3.4.2006, n. 152, definisce le modalità di esecuzione dell’azione di ripristino ambientale
L’operatore nel caso del verificarsi di un danno ambientale, deve comunicare senza indugio tutti gli aspetti pertinenti della situazione alle autorità.
L’operatore ha inoltre l’obbligo di adottare immediatamente tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi, anche sulla base delle specifiche istruzioni formulate dalle autorità competenti relativamente alle misure di prevenzione necessarie da adottare.
L’operatore ha inoltre l’obbligo di adottare le necessarie misure di ripristino.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio può controllare le misure adottate dall’operatore; Il ministro può ordinare all’operatore di adottare, tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi.
Nell’ambito di detto potere è compresa la possibilità di ordinare all’operatore di prendere le misure di ripristino necessarie con il relativo potere sostitutivo in caso di inottemperanza con diritto a rivalsa.
Se la precedente situazione non viene ripristinata e non sono eliminati completamente ai danni all’ambiente il d.lg. 3.4.2006, n. 152, consente al Ministero dell’ambiente una particolare azione di rimessione in pristino.




13. L’ordinanza ministeriale di rimessione in pristino in forma specifica e per equivalente patrimoniale.

L’art. 311, d.lg. 3.4.2006, n. 152, prevede che il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica.
Il secondo comma dell’art. 311, d.lg. 3.4.2006, n. 152, dispone che chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione.
Spetta al magistrato in caso di mancanza di ogni attività da parte del gestore si ripristino ambientale dettare le modalità dell’azione di ripristino.
Così configurata l'azione di rimessione in pristino è puramente teorica poiché, nel caso di latitanza del gestore, è evidente la necessità di un'azione sostitutiva da parte dell’organismo pubblico tesa ad eliminare il danno ambiente attraverso gli interventi più appropriati.
La nuova disciplina è tesa a conseguire tempestivamente l’esecuzione delle sanzioni amministrative attraverso la riduzione dei tempi del risarcimento.
In mancanza della possibilità di ottenere l’azione di ripristino l’amministrazione può ottenere equivalente patrimoniale.
E’ prevista un’ordinanza ingiunzione che dà la possibilità al Ministero di incassare in modo certo e veloce le somme.
Dette somme una volta riscosse confluiscono in un fondo di rotazione che deve finanziare gli interventi di messa in sicurezza, disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale.
La giurisprudenza precedente ha precisato le condizioni per l’esperimento dell’azione di risarcimento affermando la volontarietà dell’azione, sotto il profilo soggettivo, e la necessità che sussista, sotto il profilo oggettivo, un danno concreto all’ambiente.
Essa non riteneva sufficiente la modificazione, alterazione o distruzione dell'ambiente naturale considerata da un mero punto di vista obiettivo, nella sua materialità, ma occorreva l'elemento soggettivo intenzionale, che cioè la condotta sia dolosa o colposa, e, per la legge speciale, qualificata dalla violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge. Vige, altrimenti, la causa esimente dell'esercizio legittimo di un diritto (Cass. civ., sez. III, 3.2.1998, n. 1087, RCP, 1999, 467).



Capitolo quindicesimo
La giurisdizione amministrativa

Guida bibliografica.

1. La giurisdizione amministrativa esclusiva.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di concessioni è introdotta dall'art. 5, l. 1034/1971. L’art. 7, l. 1034/1971, ha incrementato le materie affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo. Caringella 2005, 161.
La giurisdizione esclusiva si caratterizza per il fatto che il giudice amministrativo conosce indistintamente di interessi legittimi, giudicando sulla legittimità dei provvedimenti impugnati, e dei diritti soggettivi ossia delle conseguenze che derivano da detti atti. Satta 1997, 107.
La giurisprudenza ha codificato il principio che la giurisdizione, a norma dell’art. 386 c.p.c., va determinata in base all’oggetto della domanda. Deve essere preso in considerazione il cosiddetto petitum sostanziale, da identificarsi non solo in funzione della concreta statuizione chiesta al giudice, il cosiddetto petitum formale, ma soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio con riguardo, in particolare, ai fatti indicati a sostegno della pretesa avanzata nel giudizio. Cass. Civ., Sez. U. 3.3.2003, n. 3077.
2. Il danno.
I giudizi risarciti sono soggetti alla regola che determina la competenza in ragione della connessione in base alla quale la competenza per il giudizio principale di annullamento attira anche il consequenziale giudizio di risarcimento. Caringella 2005, 892.

3. La pregiudiziale dell’annullamento dell’atto amministrativo.
Altra dottrina che appare minoritaria afferma l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella risarcitoria. Essa ritiene che affermare che oggetto del risarcimento del danno è l’interesse legittimo e non il diritto soggettivo all’integrità del patrimonio non significa in ogni modo, che si debba arrivare fino al disconoscimento all’esistenza di un diritto al risarcimento del danno come tale sottoposto alla prescrizione quinquennale. Caringella 2005, 902.




1. La giurisdizione amministrativa esclusiva.

La giurisdizione del giudice amministrativo sussiste tutte le volte che il ricorrente chieda la rimozione di un provvedimento amministrativo illegittimo per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge.
In tema di beni demaniali sono compresi tutti i ricorsi contro i provvedimenti che affermano la demanialità del bene o la sua sdemanializzazione o i provvedimenti che fissano che esso è di interesse pubblico, ex art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034.
Sono soggetti alla giustizia amministrativa le controversie sul provvedimento di concessione amministrativa che regola l’esercizio del diritto di terzi su beni demaniali, ex art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034.

Sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici. Si applicano, ai fini dell'individuazione del tribunale competente, il secondo e il terzo comma dell'art. 3.
Resta salva la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle dei tribunali delle acque pubbliche e del tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie indicate negli articoli 140-144 del t. u. 11.12.1933, n. 1775.
(art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034).

La giurisprudenza ribadisce che sono soggetti alla giurisdizione amministrativa anche i provvedimenti di carattere generale che disciplinano le modalità di rilascio delle concessioni.

I regolamenti e gli atti amministrativi a contenuto generale sono impugnabili autonomamente solo qualora siano lesivi in via diretta e attuale di un interesse specifico e concreto, senza che sia necessaria l'intermediazione di una ulteriore attività applicativa da parte dell'amministrazione (nella fattispecie, la determinazione regionale contenente criteri guida per l'affidamento in concessione di aree del demanio marittimo è stata ritenuta impugnabile nella parte in cui ha dettato nuove regole in materia di subingresso e variazione dell'assetto societario, modificando quindi la disciplina delle concessioni in essere).
(T.A.R. Sardegna, sez. I, 21.1.2005, n. 71, FATAR, 2005, f. 1, 264).

La giurisdizione amministrativa regola le controversie relative alle concessioni.

L'immobile di proprietà di un Comune, che, sebbene non iscritto nell'elenco di cui all'art. 4, 1° co., l. 1.6.1939, n. 1089, sia riconosciuto di interesse storico, archeologico o artistico ad opera della competente sovrintendenza ai monumenti, è soggetto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 822 e 824 c.c., al regime del demanio pubblico, con la conseguenza che il suo godimento da parte di terzi non può avvenire in base a contratti di diritto privato, ma è possibile soltanto sulla base di concessioni alla cui categoria devono ricondursi i rapporti concretamente instaurati, indipendentemente dal nomen iuris effettivamente usato nella relativa convenzione ed anche se con questa sia stato fatto riferimento alla locazione. Pertanto, le controversie attinenti al suddetto godimento - quando non abbiano ad oggetto indennità, canoni ed altri corrispettivi - sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034.

Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo anche i provvedimenti di controllo e tutela sulle concessioni.

La controversia avente per oggetto l'ordinanza di rilascio di un immobile sul presupposto della sua appartenenza al demanio marittimo, nel caso in cui sia denunciato il mancato previo esperimento della procedura di de limitazione di zone del demanio marittimo ai sensi dell'art. 32 c. n., è soggetta alla giurisdizione amministrativa

La giurisdizione amministrativa riguarda anche tutte le controversie relative alle procedure di tutela amministrativa sui beni pubblici come, ad esempio, le ordinanze di sgombero.

L'impugnativa di un'ordinanza di sgombero, adottata al sensi dell'art. 54 c. n., rientra nella sfera di giurisdizione amministrativa e non già in quella di giurisdizione ordinaria, quando si sollevino questioni attinenti alla legittimità dell'ordinanza stessa.

L’accertamento dei diritti soggettivi da parte del privato ossia il riconoscimento della sua proprietà sul bene che contesta la presunta sua demanialità rientra, invece nella giurisdizione ordinaria.

Nell'ipotesi in cui la p.a. emetta ordinanza di rilascio di un immobile, sul presupposto della sua appartenenza al demanio, ed il privato occupante insorga avverso tale ordinanza, la cognizione della relativa controversia spetta al g.a., ove il privato deduca vizi dell'atto amministrativo, mentre spetta al g.o., ove il privato neghi la demanialità del bene e chieda che sia accertato il proprio pieno e libero diritto di proprietà.
(Cons. St., sez. VI, 14.10.2004, DM, 2005, 903).

Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in tema di canoni, indennità e altri corrispettivi col limite della giurisdizione amministrativa quando il canone è determinato sulla scorta di scelte discrezionali dell’amministrazione.

Quando fra concessionario e concedente si controverte sul canone dovuto per una concessione del demanio marittimo, si profila la giurisdizione del g.a. quando la misura del canone costituisce il risultato di scelte discrezionali nella conformazione del rapporto. Invece, la giurisdizione del g.o. non può essere esclusa quando esistono norme, regolamenti o atti generali emanati dalla p.a., i quali, per la determinazione del canone nel caso concreto, dettano criteri la cui applicazione presuppone non scelte discrezionali, ma apprezzamenti di ordine tecnico.

La giurisprudenza ha precisato che anche dopo la riforma introdotta dalla l. 21.7.2000, n. 205, il riparto della giurisdizione in materia di concessione di beni pubblici resta regolato dall'art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034, che distingue i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessioni di beni, che sono devoluti alla competenza dei T.A.R., dalle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, per i quali resta salva la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria (T.A.R. Sardegna, 4.5.2004, n. 554, FATAR, 2004, 1584).


2. Il danno.

L'art. 34, d. lg. 31.3.1998, n. 80, sost. art. 7, l. 21.7.2000, n. 205, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica che concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio ed edilizia.
Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone il risarcimento del danno ingiusto, ex art. 34, d. lg. 31.3.1998, n. 80.
Il d. lg. 80/1998 delinea i caratteri della nuova giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, di urbanistica ed edilizia e di espropriazione ed occupazione d’urgenza.
Qualora, infatti, il giudice amministrativo sia investito della giurisdizione esclusiva sulla controversia, egli può disporre il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica.
La dottrina è unanime sull’onere per il ricorrente di dimostrare la sussistenza e la consistenza delle aspettative lese dal provvedimento illegittimo (Caringella 2005, 902).
La giurisprudenza, parimenti, afferma che nel giudizio per risarcimento del danno derivante da lesione di interesse legittimo da parte della p.a., al danneggiato spetterà provare sia l'illegittimità del provvedimento che l'esatto pregiudizio patrimoniale conseguente (Cons. St., sez. IV, 10.8.2004, n. 5500, GI, 2004, 2409).
Il giudice amministrativo può disporre il risarcimento anche mediante il semplice rinvio a dei criteri, sulla base di quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre all’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.
E’ evidente che, ove si tratti di impugnative aventi ad oggetto un provvedimento omissivo, il risarcimento potrà essere commisurato anche in relazione ai tempi di emanazione del provvedimento stesso.
La determinazione del risarcimento comporta la possibilità dell’assunzione di mezzi di prova, in particolare, della consulenza tecnica di ufficio, mentre rimangono esclusi l’interrogatorio formale ed il giuramento, in quanto incompatibili con un giudizio sugli atti dell’amministrazione.
I mezzi di prova devono essere evidentemente utilizzati in relazione alle esigenze di celerità e di concentrazione del giudizio amministrativo.
I diritti patrimoniali consequenziali non sono più riservati alla giurisdizione del giudice ordinario.
Questi sono attratti nella competenza del giudice amministrativo, risparmiando al ricorrente un ulteriore processo.
Per verificare se sussiste la giurisdizione amministrativa su controversie sui beni demaniali bisogna accertare che rientrino nelle materie assegnate a tale giurisdizione.
Rientrano sicuramente nella giurisdizione esclusiva le controversie in materia di concessioni.
La giurisprudenza interpreta il disposto di cui all'art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034 nel senso che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie circa la durata del rapporto di concessione, la stessa esistenza del rapporto o la rinnovazione della concessione (Cass. Civ., sez. un., 6.6.2002, n. 8227).
Rientrano nella giurisdizione esclusiva, inoltre, tutte le controversie in cui il concessionario deduca la responsabilità della controparte per allegate violazioni degli obblighi scaturenti dal rapporto concessorio, invocando pronunce di carattere risolutorio e risarcitorio (Cass. Civ., sez. un., 9.5.2002, n. 6687).
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo riguarda tutte le controversie attinenti a concessioni di beni e servizi pubblici, ancorché non originate da provvedimenti della p.a., e quindi anche le controversie in cui l'amministrazione concedente o il concessionario deducano la responsabilità della controparte per allegate violazioni degli obblighi scaturenti dal rapporto concessorio.

Nella specie le S.U. - qualificata come concessione dell'uso di bene pubblico la convenzione con la quale il comune aveva concesso alla s.p.a. Telecom l'uso del demanio viario comunale per consentire a detta società di interrare le condutture necessarie all'attuazione nel territorio comunale di un progetto di cablatura, volto alla realizzazione della nuova piattaforma di rete a banda larga, e la società, a fronte di ciò, si era obbligata a predisporre le reti primarie per tutti gli insediamenti abitativi, industriali e commerciali della città e a versare al comune una certa somma per ciascuna delle unità immobiliari raggiunte dalla rete - hanno riconosciuto, sulla base del principio di cui in massima, la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in rapporto alla domanda con cui il comune concedente aveva chiesto la condanna della società all'adempimento specifico delle obbligazioni nascenti dalla convenzione, oltre al risarcimento del danno.

Per contro, le controversie relative ai proventi derivanti dalla utilizzazione dei beni del demanio pubblico sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario a meno che non implichino la verifica dei poteri autoritativi della p.a. sull'intero rapporto

Nella specie, la Corte cass., in una controversia relativa a concessione di beni del demanio comunale a scopi pubblicitari, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto, pur essendo stata dedotta una situazione che avrebbe potuto portare alla risoluzione della concessione, la domanda del concessionario aveva ad oggetto l'accertamento negativo del proprio dovere di corrispondere all'ente concedente i canoni e la conseguente richiesta di dichiarazione di infondatezza delle relative pretese del concedente.

Le controversie sul demanio che non afferiscono specificatamente la materia urbanistica rientrano, invece nella giurisdizione ordinaria.
La giurisprudenza ha ritenuto che atti illegittimi in materie riguardanti il demanio marittimo rientrino nella giurisdizione di legittimità, ma il danno relativo poiché la materia non rientra nell’urbanistica.

Posto che la demolizione delle opere costruite abusivamente sul suolo del demanio rientra nella materia del controllo dell'attività urbanistico - edilizia da parte del Comune, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 34 e 35, d.lg. 31.3.1998, n. 80, nel testo sostituito ad opera dell'art. 7, l. 21.7.2000 n. 205, la domanda con cui il privato chieda nei confronti del Comune medesimo il risarcimento dei danni conseguenti a tale demolizione, sul presupposto che essa sia stata compiuta illegittimamente.
Nell'enunciare il principio di cui in massima, le S.U. hanno peraltro escluso che tale giurisdizione esclusiva si estenda, nel caso, anche alla domanda proposta nei confronti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il comportamento, asseritamente contra ius, tenuto nella vicenda dalla Capitaneria di porto, data la non inquadrabilità dell'azione svolta da quest'ultima nella materia urbanistica od edilizia di cui al citato art. 34, d.lg. 31.3.1998, n. 80.



3. La pregiudiziale dell’annullamento dell’atto amministrativo.

L'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto che rispetto ai giudizi risarcitori ha carattere pregiudiziale necessario il giudizio di annullamento dell'atto amministrativo (Cons. St., ad. plen., 26.3.2003, n. 4).
La pregiudizialità necessaria tra giudizio di annullamento e giudizio risarcitorio comporta una intima connessione tra i due giudizi, sicché sembra corretto applicare ai giudizi risarcitori una regola di competenza per connessione, in base alla quale la competenza per il giudizio principale di annullamento attira anche il giudizio consequenziale di risarcimento. La
Corte Costituzionale, parimenti, ha ribadito, ad avviso del collegio, tale impostazione quando ha evidenziato che la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo si atteggia non già come nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione bensì come uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio e/o conformativo, la cui coerenza costituzionale deve essere ricercata nell'art. 24 della Carta (Corte cost. 204/2004).
La Corte stessa afferma il potere di disporre il risarcimento proprio per rimarcare la stretta correlazione che sussiste tra il potere medesimo e la peculiarità della situazione da tutelare, nella specie connessa a quanto già oggetto di accertamento giurisdizionale.
Rispetto ai giudizi risarcitori ha carattere pregiudiziale necessario il giudizio di annullamento dell'atto amministrativo. Detta pregiudizialità necessaria tra giudizio di annullamento e giudizio risarcitorio comporta un'intima connessione tra i due giudizi, sicché sembra corretto applicare a quelli risarcitori una regola di competenza per connessione, in base alla quale la competenza per il giudizio principale di annullamento attira anche il giudizio consequenziale di risarcimento. Cons. St., sez. IV, 31.1.2005, n. 200, FACDS, 2005, n. 1, 85.

La dottrina ha negato che il risarcimento sia un autonomo diritto soggettivo proprio della posizione di chi lamenta un danno ingiusto causato da un atto amministrativo illegittimo ed ah affermato invece che la tutela risarcitoria è di completamento all'azione di tutela dell’interesse legittimo

Non è più pensabile alcuna sopravvivenza di distinte azioni risarcitorie dopo al consumazione dell’azione impugnatoria propri dell’interesse legittimo.
(Carpentieri 2004, 1121). 

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