mercoledì 3 ottobre 2012

Beni pubblici. 6 I diritti reali e i vincoli reali su cose altrui.


Capitolo sesto
I diritti reali e i vincoli reali su cose altrui.

Guida bibliografica.

Guida bibliografica.
1. I diritti reali della pubblica amministrazione su cose altrui. Le servitù prediali pubbliche.
I diritti reali sono costituiti su beni altrui a favore di beni demaniali. Le servitù di uso pubblico sono pesi imposti ai proprietari del fondo servente non correlati con la dipendenza del loro bene ad un bene demaniale dominante. Sandulli 1984, 791.

2. Il diritto di superficie.
I comuni non possono disporre delle aree date in concessione prima che venga a cessare il servizio pubblico cui sono state destinate. Sandulli 1984, 791.

2.1. Gli usi civici.
La politica di soppressione degli usi civici ha dato luogo all’approvazione della l. 16.6.1927 n. 1766.
La legge ammette l’alienazione dei terreni gravati da uso civico, in base alla specifica disciplina contenuta, oltre che nella legge fondamentale di riordino degli usi civici e nel relativo regolamento. Essa presuppone l'esistenza di un reale beneficio per la generalità degli abitanti e, pertanto, tale alienazione può essere disposta solo per finalità agroforestali o per finalità pubbliche o di interesse pubblico, regolamento, ex art. 12, l. 16.6.1927, n. 1766, ed art. 41, r.d. 26.2.1928, n. 332. T.A.R. Abruzzo Pescara, 27.6.2005, n. 411, FATAR, 2005, 6 2091.


3. I vincoli reali sui beni privati.
L’art. 40 della l. urb., mod. art. 5, l. 19.11.1968, n. 1187, ha posto il principio della non indennizzabilità dei vincoli di piano, affermando che nessun indennizzo è dovuto per le limitazioni ed i vincoli previsti dal piano regolatore generale nonché per le limitazioni e per gli oneri relativi all'allineamento edilizio delle nuove costruzioni.
Alla pianificazione urbanistica è riconosciuto, infatti, il potere conformativo della proprietà che è esercitato senza che l’amministrazione debba corrispondere alcun indennizzo. Centofanti 2005 (3), 87.

4. Le limitazioni alle proprietà confinanti con i beni pubblici.
La dottrina ha rilevato che la proprietà di taluni beni, pur rimanendo nominativamente rapportata alla disponibilità del privato, viene, però, variamente limitata per la forte presenza d’interessi pubblici che li caratterizzano.
Caratteristica comune di questi vincoli è che essi limitano il diritto di proprietà di quei beni che si trovano nella situazione prevista dalla legge.
La ratio delle limitazioni è spesso la vicinanza delle proprietà private a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato o degli enti pubblici. Centofanti 2003, 239.
Le limitazioni alle proprietà private in favore dei beni demaniali comportano per i privati proprietari degli obblighi di non facere. Sandulli 1984, 791.

5. Le zone di rispetto stradali.
Il codice della strada ha la finalità più ampia di perseguire lo scopo della migliore circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulle strade, perciò le distanze di rispetto stradale prescritte per le costruzioni devono essere viste sotto l’aspetto della più sicura fruizione delle strade. Assini e Mantini 1997, 525.

6. La distanza da tenere dalle strade.
Le fasce di rispetto impediscono di eseguire ogni forma di costruzione in vicinanza delle strade. Esse consentono di realizzare i requisiti minimi di sicurezza per la circolazione stradale. Tamborrino e Cialdini 1994, 310.

7. La non indennizzabilità del vincolo.
Le limitazioni allo ius aedificandi non sono indennizzabili se riguardano categorie omogenee di beni che, per la loro qualità, sono ritenuti da salvaguardare da parte del legislatore. Centofanti 2005 (2), 199.




1. I diritti reali della pubblica amministrazione su cose altrui. Le servitù prediali pubbliche.

Il codice civile assoggetta alla normativa del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato o agli enti locali su di un bene.

1. Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi.
(art. 825, c.c.).

La dottrina distingue le servitù prediali pubbliche dalle servitù di uso pubblico (De Martino 1964, 103).
Le servitù prediali pubbliche consistono in un potere diretto dell’ente sulla cosa altrui.
Dette servitù consistono in una limitazione imposta al godimento di un bene privato per l’utilità di un altro bene pubblico.
Nel demanio idrico, ad esempio, il testo unico delle disposizioni di legge sulla navigazione interna e sulla fluitazione prevede la servitù di via alzaia che era imposta ai fondi latistanti ai fiumi navigabili

I beni laterali ai fiumi navigabili sono soggetti alla servitù della via alzata, detta anche d'attiraglio o di marciapiede.
Dove la larghezza di questa non è determinata da regolamenti e consuetudini vigenti, si intenderà stabilita a metri 5. Essa insieme alla sponda fino al fiume dovrà dai proprietari essere lasciata libera da ogni ingombro od ostacolo al passaggio d'uomini e di bestie da tiro.
(art. 52, r. d. 11.7.1913, n. 959).
I proprietari del fondo servente hanno l’obbligo di sopportare che la generalità degli utenti goda dei loro beni in relazione di una dipendenza del loro bene al bene demaniale dominante. Detto godimento ha durata illimitata a meno che non intervenga un provvedimento amministrativo di sdemanializzazione (Sandulli 1984, 791).
I modi di costituzione delle servitù prediali pubbliche sono disciplinati dagli artt. 1027, ss., c.c.

Ai fini della sussistenza del requisito dell'apparenza, richiesto dall'art. 1061, c.p.c., per l'acquisto delle servitù prediali per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, non occorre necessariamente, in materia di servitù di passaggio, un opus manufactum, ossia un tracciato dovuto all'opera dell'uomo, essendo sufficiente anche un sentiero formatosi naturalmente per effetto del calpestio, qualora esso presenti un tracciato tale da denotare la sua funzione - visibile, non equivoca e permanente - di accesso al fondo dominante mediante il fondo servente.

La servitù di passo consiste nella possibilità di accedere da un bene demaniale ad un altro attraverso l’attraversamento di un fondo privato.
La servitù di sopra passaggio consente che siano costruiti ponti, viadotti o cavalcavia su terreni e strade private.


1.1. Le servitù di uso pubblico.

Le servitù di uso pubblico consistono in obbligo di pati posto al privato proprietario nel pubblico interesse.
Esse comportano l’obbligo di sopportare un onere imposto ai proprietari del fondo servente non correlato con la dipendenza del loro bene ad un bene demaniale dominante.
Nella categoria dei diritti di uso pubblico rientra in primo luogo l’uso da parte del pubblico delle strade e degli altri spazi privati aperti al pubblico transito.
Per affermare che una strada possa rientrare nella categoria delle strade soggette a servitù di pubblico transito, la giurisprudenza richiede che devono sussistere i requisiti del passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse anche per il collegamento con la pubblica via e del titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile.
Quando la strada vicinale non è iscritta negli appositi elenchi comunali, l'Amministrazione deve porre a base delle sue determinazioni idonei accertamenti da cui risulti un titolo di acquisto del relativo diritto da parte della collettività (T.A.R. Emilia Romagna Parma, 25.5.2005, n. 287, FATAR, 2005, 5, 1459).
Rientra nella categoria delle servitù di uso pubblico anche il diritto di visita pubblica agli immobili di interesse storico artistico.
Tali diritti sono costituiti o con provvedimento dell’amministrazione o con una dicatio ad patriam.
Le servitù di uso pubblico possono essere acquistate mediante possesso protrattosi per il tempo necessario alla usucapione anche se manchino opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, poiché il requisito dell'apparenza, di cui all'art. 1061, c.c., riguarda solo le servitù prediali.
La servitù di uso pubblico si acquista per usucapione in capo all'Ente e non ai singoli cittadini, considerati uti cives, né alla collettività che usa il bene.
Ai fini dell'assoggettamento per usucapione di un'area privata ad una servitù di uso pubblico, è necessario che l'uso risponda alla necessità ed utilità di un insieme di persone, agenti come componenti della collettività, e che sia esercitato continuativamente per oltre un ventennio con l'intenzione di agire uti cives e disconoscendo il diritto del proprietario.

La costituzione di un diritto d'uso pubblico può avvenire anche mediante un provvedimento amministrativo.
Le servitù di uso pubblico, o diritti di uso pubblico, a differenza delle servitù prediali pubbliche, non sono disciplinate, quanto ai modi di costituzione, dagli artt. 1027 ss. c.c.
(T.A.R. Lombardia Milano, 16.3.1987, n. 62, T.A.R., 1987, I, 1843).

La servitù di uso pubblico può essere costituita attraverso la dicatio ad patriam. Essa consiste nel fatto che il privato univocamente ammette l'uso pubblico di un suo bene.

La servitù di uso pubblico può essere costituita mediante dicatio ad patriam postula un comportamento del proprietario univocamente rivolto, con carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, a porre a disposizione del pubblico una cosa propria oggettivamente idonea al soddisfacimento di un'esigenza comune ad una collettività; tale intento è da escludersi nel caso di mancata utilizzazione del bene (nel caso di specie: un parcheggio) da parte del proprietario e dal correlato sfruttamento della collettività, dato che non è ipotizzabile che questi si disinteressi di un bene e nel contempo lo destini ad un uso pubblico.
(T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 1.12.2004, n. 2177, FATAR, 2004, 12, 3850).

La giurisprudenza ritiene che i diritti reali pubblici sui beni dei privati siano tutelati con la autotutela possessoria amministrativa.

Le strade vicinali soggette a pubblico transito restano tali, e quindi sono oggetto di autotutela possessoria, fino a quando mantengono l'attitudine a soddisfare l'interesse alla pubblica circolazione, in quanto a norma dell'art. 825 c.c. il diritto che nasce dalla servitù di uso pubblico è soggetto al regime demaniale e pertanto non è suscettibile di prescrizione, potendo venire meno solo a seguito di apposito provvedimento dell'ente pubblico titolare del diritto o per un fatto tale da renderne oggettivamente impossibile l'esercizio.
(T.A.R. Umbria, 21.9.2004, n. 545, FATAR, 2004, 2518).


1.2. Gli oneri manutentivi.

L’uso pubblico del bene determina l’obbligo dell’ente che esercita il diritto reale di provvedere alla manutenzione del medesimo.
Ad esempio l’uso della strada da parte della collettività secondo le caratteristiche e nella misura delle strade comunali viene ad assorbire l'uso che della stessa fanno i privati a ciò abilitati dai proprietari o dall'ente proprietario, potendosi in tal caso affermare l'esistenza di un diritto di uso pubblico. Esso è riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 825, c.c., che assoggetta al regime dei beni demaniali i diritti reali che spettano allo Stato ed agli altri enti territoriali su beni di proprietà di altri soggetti, quando tali diritti sono costituiti per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli cui servono i beni demaniali.
L'uso della strada da parte della collettività secondo le caratteristiche e nella misura delle strade comunali, ex art. 2, d. lg. n. 285 del 1992, viene ad assorbire l'uso che della stessa fanno i privati a ciò abilitati dai proprietari o dall'ente proprietario, sicché l’uno viene a confondersi nell’altro.

La circostanza che alcune delle vie realizzate e di proprietà del consorzio siano di fatto utilizzate in modo prevalente dalla collettività, ferma restando la proprietà della strada, costituisce una situazione giuridica corrispondente all'esercizio di una servitù ed impone all'ente esponenziale della collettività che esercita l'uso di curarne la manutenzione.
Fattispecie relativa al contenzioso fra il Consorzio SISRI e il comune di Brindisi relativo all'individuazione del soggetto deputato ad effettuare i lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione della rete viaria insistente nella zona industriale realizzata quasi interamente dal Consorzio nel corso degli anni per le esigenze delle imprese ivi ubicate e dei loro fornitori.
In particolare è stato siglato un protocollo di intesa per l'acquisizione e classificazione da parte del Comune di Brindisi di alcune strade dell'agglomerato industriale di Brindisi.


2. Il diritto di superficie.

I comuni possono concedere le aree facenti parte del loro patrimonio indisponibile in diritto di superficie a tempo indeterminato per la realizzazione di impianti e servizi pubblici quali ad esempio linee ferroviarie e uffici pubblici.

2. Le aree acquisite al comune fanno parte del suo patrimonio indisponibile.
3. Il comune utilizza direttamente le aree occorrenti per l'esecuzione delle opere di sua competenza e dà in concessione le aree occorrenti per la realizzazione di opere o di interventi di pubblica utilità.
(art. 21, l. 865/1971).

Alla fine del servizio le aree e ciò che vi è stato realizzato passano nella proprietà del comune.
La cessione successiva può avvenire qualora sia intervenuta la sdemanializzazione dell’area in questione solo con le procedure dell’evidenza pubblica.

Ai sensi degli artt. 953 e ss., c.c., che disciplinano il diritto di superficie, alla scadenza di una concessione amministrativa relativa alla costruzione di opere su terreno demaniale la proprietà di queste ultime passa allo Stato senza bisogno di alcuna manifestazione di volontà dell'amministrazione, essendo necessario per il verificarsi di un eventuale usucapione, non solo l'inerzia degli organi competenti, ma anche un formale atteggiamento, da parte del possessore, di sostanziale negazione del diritto di proprietà.
Qualora sia intervenuta la successiva sdemanializzazione dell'intero compendio, terreno ed opere su di esso costruite, qualora lo Stato intenda alienare le suddette opere al privato già concessionario, che abbia provveduto alla loro costruzione, dovranno essere applicate le regole proprie della vendita a trattativa privata di beni pubblici e non già quelle che disciplinano gli atti di transazione non avendo l'altro contraente, per le ragioni sopraesposte, qualsivoglia pretesa attivabile in giudizio in merito alla proprietà delle suddette opere.
(Corte Conti, sez. contr., 8.3.1996, n. 53, RCC, 1996, fasc. 2, 23).




2.1. Gli usi civici.

Gli usi civici sono diritti di godimento esercitati sotto varia forma - quali il diritto di pascolo, di caccia, di semina e di fare legna - da parte dei membri di talune collettività su terreni di proprietà di comuni o di terzi.
Detti diritti non hanno il carattere dell’uso demaniale anche se presentano un certa affinità con i diritti di uso pubblico.
La caratteristica dell’uso civico è la perpetuità del vincolo della collettività.
Tale diritto, pertanto, non è disponibile da parte della collettività e tanto meno pro quota dal singolo che ne usufruisce.
La dottrina sottolinea che l'istituto degli usi civici è tutt'altro che anacronistico e superato, tutt'altro che un relitto storico da rimuovere nel tempo più rapido ed indolore possibile.
Il suo mantenimento, preservazione e valorizzazione devono essere sostenuti nella prospettiva in cui esso è un mezzo funzionale al fine meritevole di tutela della conservazione dell'ambiente.
L'equilibrio ambientale dell'ecosistema è ottenibile attraverso un corretto esercizio dei diritti di uso civico che, in tal modo, appaiono meritevoli di adeguata considerazione (Nunziata 1996, 82).
Il giudice amministrativo ammette la possibilità del cambio di destinazione dei terreni d'uso civico.
Occorre che siano rispettate le condizioni poste dalla legge per la completezza del procedimento, tra cui l'assegnazione a categoria dei terreni oggetto della richiesta di sdemanializzazione al fine di consentire quella comparazione di interessi che la legge affida all'organo competente a promuovere il mutamento di destinazione, cioè la Regione (T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 9.5.2005, n. 2082, FATAR, 2005, n. 5, 1461).
Essa è realizzabile a condizione che si tratti di mutamento comportante un reale beneficio ed una più utile fruizione del bene per la generalità dei cittadini titolari del relativo diritto d'uso.

La possibilità del cambio di destinazione dei terreni d'uso civico è realizzabile solo a condizione che si tratti di mutamento comportante un reale beneficio ed una più utile fruizione del bene per la generalità dei cittadini.
Ora, non pare dubbio che la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili costituisce, come ribadito recentemente dallo stesso Consiglio di Stato, un preciso impegno internazionale assunto dal nostro Stato per la lotta, tra l'altro, ai cd. gas serra.
(
T.A.R. Molise Campobasso, 19.9.2005, n. 880, FATAR, 2005, n. 9, 292).



2.2. I beni realizzati dal concessionario di beni demaniali.

Nessuna disposizione di legge stabilisce espressamente il regime giuridico dei beni costruiti dal concessionario sul suolo demaniale.
La giurisprudenza ritiene si tratti di proprietà superficiaria di cui all'art. 953, c.c.
Sul presupposto che il bene demaniale è insuscettibile per sua natura di essere oggetto di diritti reali a favore di terzi, sicché non potrebbe mai darsi la proprietà superficiaria, nella più avvertita dottrina si qualifica la fattispecie come proprietà separata.
In questa qualificazione, il concessionario acquista solo il diritto di costruire e mantenere la costruzione sul suolo demaniale in virtù del contratto ad effetti obbligatori accessivo alla concessione.
È appena il caso di rilevare come tale configurazione sia la più rispondente all'interesse pubblico connesso all'uso dei beni demaniali solo che si abbia riguardo, a mero titolo di esempio, alla possibilità dell'amministrazione di rientrare nel possesso dei beni demaniali, e con essi delle opere realizzate dal concessionario, per sopravvenute esigenze pubbliche prima della naturale scadenza della concessione.
Il provvedimento concessorio condiziona infatti anche il titolo negoziale accessivo in base al quale il diritto di proprietà separata si è costituito.
In sintesi questo, diversamente dalla proprietà superficiaria, assume ab origine carattere limitato o relativo in senso atecnico, cioè rigidamente circoscritto alla funzione per il quale è stato attribuito dall'amministrazione concedente; così si concretizza uno dei casi di cosiddetta proprietà funzionale.
Conseguentemente non è dato nemmeno astrattamente ipotizzare una sorta di concessione pubblicistica di secondo grado avente ad oggetto beni di proprietà ab origine privata né tantomeno un'autonoma fattispecie di subingresso in detti beni per effetto della loro alienazione al terzo acquirente: piuttosto, dal punto di vista dell'aderenza della forma giuridica alla realtà, l'inopponibilità all'amministrazione del negozio traslativo con il terzo è la conseguenza più adeguata per tradurre sul piano giuridico gli effetti previsti all'art. 46, 2° co., c. n.
Né è giuridicamente sostenibile un effetto reale differito posto che, per un verso, come già avuto modo di precisare, la concessione, quale titolo pubblicistico per l'uso del bene demaniale, è indisponibile da parte del concessionario; mentre, per l'altro, le singole opere e gli impianti possono essere oggetto di compravendita ove l'effetto reale fra le parti è immediato anche se, in mancanza dell'autorizzazione prevista all'art. 46, 2° co., c.n., il negozio non è comunque opponibile all'amministrazione concedente ai fini del subingresso nella concessione. Detti rilievi non sono superabili evocando la presunta e non dimostrata specificità demaniale del bene porto.
Per smentire tale indirizzo è sufficiente sottolineare che il concetto di demanio non è ordinativo di realtà individuabile in base a criteri di fatto specifici: è nozione eminentemente normativa; non rinvia a descrizioni della realtà bensì a norme che sono in pari tempo costitutive degli istituti ed espressione della loro stessa disciplina.
Con riguardo alla concessione di edificare attribuita dall'amministrazione pubblica sul suolo demaniale, sul presupposto che il bene demaniale è insuscettibile per sua natura di formare oggetto di diritti reali a favore di terzi, sicché non potrebbe mai darsi la proprietà superficiaria, nella più coerente qualificazione, il concessionario acquista (solo) il diritto di costruire e mantenere la costruzione sul suolo demaniale in virtù del contratto ad effetti obbligatori accessivo alla concessione; tale configurazione sia la più rispondente all'interesse pubblico connesso all'uso dei beni demaniali.
3. I vincoli reali sui beni privati.

La possibilità di intervento della pubblica amministrazione sui beni dei privati trova la sua forma più generale nella programmazione urbanistica generale.
Si tratta della costituzione di un vincolo reale sul bene che condiziona sostanzialmente le possibilità di utilizzazione del bene, incidendo profondamente sul suo valore economico (Sandulli 1984, 140).
Tali vincoli sono disciplinati dalla legislazione urbanistica che attraverso gli strumenti della pianificazione urbanistica esercita il potere conformativo sulla proprietà.
Il potere conformativo si realizza inoltre nella legislazione speciale.
La presenza di beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile comporta la predisposizione di particolari vincoli alla proprietà privata.
La norma generale prevista dall’art. 879, c.c., deroga al regime delle distanze e rinvia alla legislazione speciale.
L’analisi della stessa è limitata alle disposizioni che impongono dei vincoli alle costruzioni da realizzarsi in prossimità della riva del mare e degli impianti aeronautici, previste dal c.n., e a quelle che impongono dei vincoli per le opere da costruire lungo le strade, previste dal codice della strada.



4. Le limitazioni alle proprietà confinanti con i beni pubblici.

La legislazione fissa numerose limitazioni alle proprietà confinanti con i beni pubblici.
L’art. 879, c.c., in deroga alla disposizione contenuta nell'art. 877, c.c., proibisce di costruire in aderenza ad un qualsiasi edificio demaniale.
La legislazione speciale regola le limitazioni che la vicinanza ad edifici che abbiano una destinazione speciale, a prescindere o meno del carattere della loro demanialità, comporta per tutte le altre costruzioni.
L’art. 55, r.d. 327/1942, impone per l’esecuzione di nuove opere il limite di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare e sottopone i lavori a previa autorizzazione del capo del compartimento marittimo (Assini e Mantini 1997, 536).

I 30 m., di cui all'art. 55, c. n., entro i quali è necessario ottenere l'autorizzazione del capo compartimento marittimo per eseguire nuove opere, vanno misurati non dal limite del lido, ma da quello della spiaggia
(Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 1978 n. 570, RGE, 1978, I, 801).

L’art. 715, r.d. 30.3.1942, n. 327, mod. art. 1, l. 4.2.1963, n. 58, afferma il divieto di realizzare nuove costruzioni su terreni che si trovino a meno di trecento metri da impianti aeronautici.
Nelle direzioni di atterraggio degli aeroporti non possono sorgere manufatti che ostacolino le manovre di avvicinamento e il successivo atterraggio (Assini e Mantini 1997, 535).
Il legislatore, con l'art. 233, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), ha disposto i vincoli da rispettare lungo le linee ferroviarie, successivamente modificati con l'art. 49, d.p.r. 11.7.1980, n. 753.
Lungo i tracciati delle linee ferroviarie è, infatti, vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie ad una distanza, da misurarsi in proiezione orizzontale, minore di metri trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia.
Le limitazioni principali riguardano le distanze da tenere dalle strade.


5. Le zone di rispetto stradali.

Le zone di rispetto delle strade, statali e non, non rientrano nel demanio statale e non, ma costituiscono una proprietà privata sottoposta a regime d'uso particolarmente restrittivo, onde tutelare la sicurezza della circolazione (Cons. St., sez. IV, 30.6.2005, n. 3591, FACDS, 2005, f. 6,1763).
Il regolamento di attuazione del codice della strada, approvato con d.p.r. 16.12.1992, n. 495, fissa le fasce di rispetto da tenere facendo riferimento alle classificazioni delle strade sopra indicate.
Esso integra le disposizioni in tema di distanze stradali contenute dal d.m. 1.4.1968.
La dottrina considera questo secondo provvedimento legislativo come completamento e come ulteriore specificazione del primo.
Le nuove prescrizioni portate dal codice della strada vanno riferite alla diversa funzione di questo secondo provvedimento.
Il regolamento ha il fine di rapportare la disciplina della distanza minima a protezione del nastro stradale alla programmazione urbanistica.

Il divieto di costruire a una certa distanza non può essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, in quanto è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni.
Il vincolo in questione comporta un divieto assoluto di costruire; esso rende legalmente inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Le distanze previste dalla norma suddetta, vanno rispettate anche con riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso livello da quello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.

La dottrina rileva come i limiti e le prescrizioni imposte ai proprietari confinanti siano posti a tutela dell’integrità del bene strada e della sicurezza della circolazione (Ragazzino 1993, 8).
La determinazione dei vincoli stradali dipende dal fatto che le vie di comunicazione siano collocate dentro o fuori del centro abitato.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente la perimetrazione del centro edificato, disposta ai sensi dell'art. 16, l. n. 865 del 1971, è vincolante anche per le distanze minime delle costruzioni a protezione del nastro stradale, come stabilito dall'art. 1 del regolamento ministeriale del 1.4.1968, emanato ai sensi dell'art. 19, l. 6.8.1967, n. 765.
La giurisprudenza amministrativa ha precisato che la possibilità di far riferimento alla nozione di centro abitato di fatto, al fine di escludere l'operatività del divieto di costruzione lungo le strade, è subordinata al fatto che l'insediamento urbano preso in considerazione sia privo di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione.

La possibilità di far riferimento alla nozione di centro abitato di fatto, al fine di escludere l'operatività del divieto di costruzione lungo le strade, di cui all'art. 26 del regolamento di esecuzione del codice della strada di cui al d.p.r. 16.12.1992, n. 495, è subordinata al fatto che l'insediamento urbano preso in considerazione sia privo di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione
(T.A.R. Abruzzo Pescara, 23.1.2003, n. 192, FATAR, 2003, 210. Cons. giust. amm. Reg. Sic., 30.3.1995, n. 109).

Essa ha, inoltre, precisato che la deliberazione di perimetrazione del centro abitato ha natura e portata di strumento urbanistico, con forza normativa secondaria e rilevanza esterna, e non può, pertanto, essere desunta da una mera situazione di fatto (Cons. St., IV, 7.3.1997, n. 211).
E’ stato anche chiarito che è irrilevante lo spostamento dei cartelli segnaletici di delimitazione di un centro abitato, che sia stato effettuato di fatto oppure in seguito a meri verbali di organi del comune e non in base a formali delibere degli organi competenti, giacché la determinazione dei confini di un centro abitato può avvenire solo seguendo il prescritto procedimento amministrativo (T.A.R. Emilia Romagna, 23.1.1986, n. 16).
La giurisprudenza ha precisato che la distanza minima, da calcolare sulla base della definizione del ciglio della strada, ai sensi dell'art. 2 del regolamento d.m. 1.4.1968, ora sost. col d.p.r. 16.12.1992, n. 495, va integrata con una distanza variabile e da accertare in concreto, intercorrente tra il ciglio della strada e la larghezza della protezione di eventuali scarpate o fossi.
La sua ratio, oltre quella di consentire l'eventuale ampliamento, è quella di tenere in considerazione il particolare stato dei luoghi e la concreta pericolosità della strada statale (Cons. St., sez. V, 7.6.1999, n. 596, CI, 2000, 110).


6. La distanza da tenere dalle strade.

Il d.p.r. 16.12.1992, n. 495, all’art. 26, determina le fasce di rispetto da tenere fuori dai centri abitati.

1. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare nell'aprire canali, fossi o nell'eseguire qualsiasi escavazione lateralmente alle strade, non può essere inferiore alla profondità dei canali, fossi od escavazioni, ed in ogni caso non può essere inferiore a 3 m.
2. Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'art. 4 del codice, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a:
a) 60 m per le strade di tipo A;
b) 40 m per le strade di tipo B;
c) 30 m per le strade di tipo C;
d) 20 m per le strade di tipo F, ad eccezione delle "strade vicinali" come definite dall'art. 3, comma 1, n. 52 del codice;
e) 10 m per le "strade vicinali" di tipo F.
3. Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'art. 4 del codice, ma all'interno delle zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo B;
c) 10 m per le strade di tipo C.
4. Le distanze dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare nella costruzione o ricostruzione di muri di cinta, di qualsiasi natura e consistenza, lateralmente alle strade, non possono essere inferiori a:
a) 5 m per le strade di tipo A, B;
b) 3 m per le strade di tipo C, F.
5. Per le strade di tipo F, nel caso di cui al comma 3, non sono stabilite distanze minime dal confine stradale, ai fini della sicurezza della circolazione, sia per le nuove costruzioni, le ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali e gli ampliamenti fronteggianti le case, che per la costruzione o ricostruzione di muri di cinta di qualsiasi materia e consistenza. Non sono parimenti stabilite distanze minime dalle strade di quartiere dei nuovi insediamenti edilizi previsti o in corso di realizzazione.
6. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare alberi lateralmente alla strada, non può essere inferiore alla massima altezza raggiungibile per ciascun tipo di essenza a completamento del ciclo vegetativo e comunque non inferiore a 6 m.
7. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare lateralmente alle strade siepi vive, anche a carattere stagionale, tenute ad altezza non superiore ad 1 m sul terreno non può essere inferiore a 1 m. Tale distanza si applica anche per le recinzioni non superiori ad 1 m costituite da siepi morte in legno, reti metalliche, fili spinati e materiali similari, sostenute da paletti infissi direttamente nel terreno o in cordoli emergenti non oltre 30 cm dal suolo.
8. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare lateralmente alle strade, siepi vive o piantagioni di altezza superiore ad 1 m sul terreno, non può essere inferiore a 3 m. Tale distanza si applica anche per le recinzioni di altezza superiore ad 1 m sul terreno costituite come previsto al comma 7, e per quelle di altezza inferiore ad 1 m sul terreno se impiantate su cordoli emergenti oltre 30 cm dal suolo.
9. Le prescrizioni contenute nei commi 1 ed 8 non si applicano alle opere e colture preesistenti
(art. 26, d.p.r. 16.12.1992, n. 495, mod. art. 24, d.p.r. 16.9.1996, n. 610).

Limiti meno restrittivi sono imposti per le aree situate fuori dai centri abitati ma all’interno delle aree che il piano urbanistico definisce come edificabili ai sensi dall’art. 28, d.p.r. 16.12.1992, n. 495, rispetto a quelli fissati in carenza di piani urbanistici (Tamborrino e Cialdini 1994, 314).
Per le strade locali e per quelle vicinali, infatti, non sono stabilite distanze minime dal confine stradale che sono determinate dallo stesso strumento urbanistico.

1. Le distanze dal confine stradale all'interno dei centri abitati, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo D.
2. Per le strade di tipo E ed F, nei casi di cui al comma 1, non sono stabilite distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione.
3. In assenza di strumento urbanistico vigente, le distanze dal confine stradale da rispettare nei centri abitati non possono essere inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo D ed E;
c) 10 m per le strade di tipo F.
4. Le distanze dal confine stradale, all'interno dei centri abitati, da rispettare nella costruzione o ricostruzione dei muri di cinta, di qualsiasi natura o consistenza, lateralmente alle strade, non possono essere inferiori a:
a) m 3 per le strade di tipo A;
b) m 2 per le strade di tipo D.
5. Per le altre strade, nei casi di cui al comma 4, non sono stabilite, distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione.”
(art. 28, d.p.r. 16.12.1992, n. 495, mod. art. 1, lett. c), d.p.r. 26.4.1993, n. 147).

La giurisprudenza ha stabilito che il potere regolamentare spetta allo Stato e non può essere demandato ai comuni.

La disciplina regolamentare della circolazione stradale, ai fini della snellezza della sicurezza e del traffico spetta allo Stato; pertanto, il regolamento di attuazione degli artt. 26 e 29 del codice della strada approvato con d.lg. 30.4.1992, n. 285, relativo alla disciplina della fasce di rispetto fuori e dentro l'abitato, non può trasferire, sia pure in parte, la potestà normativa in materia, ai comuni in sede di regolamentazione urbanistica.
Il codice della strada prevede distanze di rispetto fuori e dentro il centro abitato e non consente quindi, al regolamento di attuazione di introdurre la categoria delle strade fuori del centro abitato, che si trovino in zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico; pertanto, il regolamento, con interpretazione estensiva della legge, può solo prevedere, l'applicazione delle norme sui centri abitati alle zone di espansione previste da strumenti urbanistici attuativi, già approvati ed esecutivi, che ragionevolmente possono essere considerati centri abitati in fieri salva la deroga, per quel che attiene alle norme sulla velocità di circolazione, che andranno estese alle dette zone, quando saranno in esse realizzate le costruzioni
(Cons. St., A. G., 15.4.1993, n. 35, CS, 1993, I, 1541).

Le norme hanno valore di norme quadro: esse non possono essere derogate dalla legislazione regionale né tanto meno possono costituire oggetto di concessione in deroga, ora permesso di costruire.
E' illegittima la deliberazione con la quale la giunta concede il nulla - osta per il rilascio, da parte del comune di Isernia, di una concessione edilizia in deroga, per la costruzione in zona agricola di un edificio da adibire a rimessa di autobus, stante il parere negativo della USL e il mancato rispetto della distanza minima di metri 30, fuori da centri abitati, prevista dal regolamento del nuovo codice della strada
(Corte Conti, Molise, sez. contr., 12.5.1995, n. 152, RCC, 1995, 104).




7. La non indennizzabilità del vincolo.

La normativa speciale in materia di vincoli comprende le norme che regolano la sicurezza nella circolazione sia essa aerea, stradale o ferroviaria; le disposizioni dettate per disciplinare la costruzione di impianti destinati alla realizzazione di particolari beni di consumo come, ad esempio, la captazione di acque; le norme che tutelano i beni di interesse naturistico e il patrimonio artistico; le disposizioni sugli impianti pericolosi per la salute dei cittadini; le norme, infine, destinate a tutelare la diffusione di certi beni o servizi.
I vincoli imposti per legge hanno la funzione di acclarare la natura particolare del bene o di conformarla regolando le possibili forme di intervento, disciplinando l’esercizio del diritto del proprietario al fine di salvaguardare le esigenze pubbliche.
Essi devono disporre, pertanto, una disciplina omogenea per le varie tipologie di beni.
La giurisprudenza ritiene, pertanto, che essi non siano indennizzabili non avendo natura ablatoria a differenza dei vincoli di piano.
In tema di imposizione di vincoli urbanistici, il legislatore non è tenuto a disporre indennizzi quando i modi di godimento e i limiti imposti direttamente dalla legge ovvero mediante il completamento di un particolare procedimento amministrativo riguardino intere categorie di beni secondo caratteristiche loro intrinseche, con carattere di generalità ed in modo obiettivo.

I vincoli limitativi delle facoltà del proprietario, prima tra tutte dell'edificazione, devono annoverarsi ancor prima di quelli derivanti dagli strumenti urbanistici ed a monte di essi, i vincoli direttamente imposti dalla legge al fine di disciplinare l'edilizia nei suoi molteplici aspetti (localizzazione delle costruzioni, distacchi ecc.) e comunque per ragioni di interesse generale fra cui rientrano sicuramente quelli stabiliti dall'art. 41 septies della legge urbanistica del 1942,come modificato dall'art. 19, l. 765 del 1967, dal d.m. 1.4.1968, nonché dall'art. 9 della l. 729 del 1961.
La l. 729/1961 fissa fasce di inedificabilità senza indennizzo di varia misura dalle strade ed autostrade.
Tali limiti sono obiettivi e riguardano la totalità dei beni che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni demaniali.
Ha pertanto rilevato al riguardo la giurisprudenza sia di questa Corte (sent.1220-2000; 841-2000; 7563-1992; 3028-1992; 11133-1991), che della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato la legittimità costituzionale (sent.133-1971; 79-1971; 63-1970), che detta categoria di vincoli, denominata anche limitazioni legali della proprietà, è collegata sotto il profilo soggettivo, al loro carattere generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni che si trovino in una determinata situazione e non per le loro qualità e condizioni e, dal punto di vista oggettivo, al fatto di gravare su immobili individuati a priori per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto ad un'opera pubblica stradale o autostradale; per cui, ancorché resi concretamente applicabili in conseguenza della destinazione di interesse pubblico data alla parte sottratta al privato, non gli arrecano in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell'immobile, facendo difetto il nesso di causalità diretto sia con l'ablazione sia con l'esercizio del pubblico servizio cui l'opera è destinata.
(
Cass. Civ., sez. I, 17.1.2001, n. 556, UA, 2001, 404).

Lo stesso orientamento ha tenuto la Corte costituzionale in materia di vincoli imposti dalla legge sui beni culturali, poiché i vincoli, anche in tal caso, riguardano i beni che si trovano in una particolare situazione giuridica acclarata per tutti i beni della stessa specie.

È manifestamente infondata - in riferimento all'art. 42 cost. - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, l. 1.6.1939, n. 1089, nella parte in cui attribuisce al ministro per la pubblica istruzione la facoltà di imporre qualsiasi altra misura rivolta ad impedire che siano alterate le condizioni dell'ambiente che circonda le cose immobili soggette alla disciplina di detta legge e a vietare, quindi, che nuove costruzioni modifichino la fisionomia della zona, dando così modo di istituire un vero e proprio vincolo di inedificabilità senza indennizzo poiché la norma denunciata non comporta ablazione del diritto di proprietà.
(Corte cost., 28.12.1984, n. 309, GC, 1984, I,2245).








2 commenti:

Eugenio ha detto...

su delle strade vicinali ad uso pubblico dove insiste un consorzio stradale obbligatorio l' occupazione di suolo pubblico è dovuto a Comune o al Consorzio ?

Eugenio ha detto...

su delle strade vicinali ad uso pubblico dove insiste un consorzio stradale obbligatorio l' occupazione di suolo pubblico è dovuto a Comune o al Consorzio ?

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