mercoledì 3 ottobre 2012

Beni pubblici. 4 I beni del demanio accidentale.


Capitolo quarto
I beni del demanio accidentale.

Guida bibliografica.

1. Il demanio stradale.
Perché una strada appartenga al demanio è necessario un atto - come un contratto di vendita - un provvedimento dell’amministrazione - come il decreto di esproprio - o un fatto - come l’usucapione - che abbia trasferito il dominio alla pubblica amministrazione e che sia dalla stessa destinata ad uso pubblico. Narducci 2006, 2994.

2. La classificazione delle strade.
Per un filone giurisprudenziale gli enti locali devono essere sentiti solo in occasione di generale classificazione delle strade, non già nell'ipotesi inversa di declassificazione. T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 3.3.2005, n. 366, FATAR, 2005, 3 882.
Per altra giurisprudenza non sussiste alcun obbligo di consultazione dell'ente locale, ai sensi dell'art. 2, 7° co., d.lg. n. 285 del 1992, nell'ipotesi di declassificazione legale, in cui cioè, per effetto della delimitazione posta dal Comune in applicazione dell'art. 4 del medesimo decreto, alcune strade provinciali siano state situate all'interno del relativo centro abitato e siano quindi divenute comunali. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 6.5.2005, n. 5553, FATAR, 2005, 5 1651.

2.1. Le autostrade.
L’autostrada costruita per iniziativa statale era in precedenza regolatae dall'art. 4, d.lg. 17.4.1948, n. 547.
La legislazione non conteneva specifiche norme per la regolamentazione delle concessioni autostradali.
L’intera disciplina dei rapporti è rimessa alle singole concessioni ed ai decreti che le approvano. In essi sono regolati gli eventuali concorsi statali nelle spese e gli eventuali aliquote degli introiti che il concessionario è tenuto a versare allo stato; il termine per l’esecuzione delle opere e le loro modalità; le cause di decadenza del concessionario. Sandulli 1959, 526.

3. Le strade private ad uso pubblico. Le strade vicinali.
La dottrina ha affermato che, ai fini dell'accertamento dell'uso pubblico di una strada vicinale, non sono determinanti le risultanze catastali o l'inclusione nell'elenco delle strade pubbliche, bensì le condizioni effettive in cui il bene si trova. Esse devono essere in condizioni tali da dimostrare la sussistenza dei requisiti del passaggio, esercitato jure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la pubblica via, esigenze di interesse generale, e di un titolo valido ad affermare il diritto di uso pubblico.
La classificazione delle strade ha, infatti, un'efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non costitutiva. Alesio 2004, 35.

4. Il passaggio di proprietà di una strada da un ente pubblico ad un altro.
Nel caso di declassificazione legale non occorre acquisire i pareri indicati dall'art. 2, 8° co., d.lg. n. 285 del 1992, che sono appunto quelli degli enti locali, e dall'art. 4, 1° co., del Regolamento che si verifica qualora, per variazioni di itinerario o per varianti alle strade esistenti, si renda necessario il trasferimento di strade, o di tronchi di esse, nel qual caso occorre la preventiva proposta degli enti proprietari interessati.
Per la giurisprudenza non sussiste alcun obbligo di consultazione dell'ente locale, ai sensi dell'art. 2, 7° co., d.lg. n. 285 del 1992, nell'ipotesi di declassificazione legale, in cui cioè, per effetto della delimitazione posta dal Comune in applicazione dell'art. 4 del medesimo decreto, alcune strade provinciali siano state situate all'interno del relativo centro abitato e siano quindi divenute comunali.
L'art. 2, d.lg. n. 285 del 1992, non prevede affatto che il trasferimento di proprietà di una strada da un ente pubblico ad un altro per effetto di provvedimento di declassificazione sia subordinato ad una previsione di spesa a carico dell'ente trasferente in favore dell'ente beneficiario, né tale mancata previsione può ritenersi costituzionalmente illegittima. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 6.5.2005, n. 5553, FATAR, 2005, f. 5, 1651.

5. La richiesta di occupazione del demanio stradale.
L’art. 63, d. lg. 15.12.1997, n. 446, dispone l’applicazione di un canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche. I comuni e le province adottano l’apposito regolamento. Narducci 2006, 1256.

7. Il demanio ferroviario.
L'ente Ferrovie dello Stato è stato istituito con l. 22.4.1905, n. 137, in seguito alla nazionalizzazione delle reti ferroviarie private che ha comportato l'acquisto da parte dello Stato dei beni ferroviari. Mocci 1968, 238.
L’ente è stata trasformato da azienda autonoma in ente pubblico dotato di personalità giuridica ed autonomia patrimoniale, contabile e finanziaria con l. 17.5.1985 n. 210. Angiuli 1991, 333.
L’ultima trasformazione dell’ente in società per azioni è stata fatta dalla l. 29.1.1992, n. 35.
L'azienda autonoma Ferrovie dello Stato utilizzava e gestiva i beni necessari all'esercizio del servizio di trasporto ferroviario di proprietà dello Stato e, a conclusione di un lungo dibattito circa il regime giuridico ad essi applicabile, l'art. 822, 2° co., c.c., include nel demanio eventuale il cosiddetto demanio ferroviario. Casalini 2003, 528.
L'azienda autonoma si qualificava come affidataria o consegnataria con competenze limitate al mantenimento, all'aumento e all'utilizzazione di tali beni soggetti al regime giuridico proprio del demanio quali l’inalienabilità, l’imprescrittibilità, l’incommerciabilità e l’inusucapibilità, ex art. 823, c.c.
Fra i beni ferroviari alcuni erano classificati come demaniali come la sede stabile ferroviaria e relative dipendenze, i fabbricati delle stazioni, i depositi, i magazzini e le officine.
Taluni erano qualificati come patrimoniali indisponibili in quanto destinati a funzioni complementari od accessorie all'esercizio del servizio ferroviario: fabbricati per uffici, alloggi.
Altri rientravano fra i beni patrimoniali disponibili vale a dire quelli che non avevano mai avuto destinazione diretta o complementare all'esercizio del servizio ferroviario.
La dottrina esclude che siano demaniali le ferrovie adibite a servizio pubblico costruite e gestite in concessione dai privati poiché esse sono soggette al pagamento di ogni sorta di tributo pubblico stabilito dalla legge a carico degli stabili nei paesi attraversati dalle loro linee, art. 16, r. d. 9.5.1912, n. 1447. Le ferrovie in questione vanno pertanto configurate come beni privati di interesse pubblico. Sandulli 1984, 752.

8. Il demanio aeronautico.
Per la giurisprudenza gli aeroporti militari, destinati alla difesa nazionale, fanno parte del demanio militare dello Stato. Cass. Civ., sez. I, 17.11.1978, n. 5349, GC, 1979, I, 649.

9. Il demanio degli acquedotti.
Gli acquedotti già di proprietà statale interessanti una sola regione sono stati trasferiti alle regioni dall’art. 11, l. 281/1970. Sandulli 1984, 753.

10. Il demanio culturale.
Per la dottrina la giustificazione della demanialità storico-artistica è l'esigenza di determinare una sorta di proprietà collettiva demaniale di quei beni che rispondono ad una funzione culturale, ove destinazione pubblica corrisponde al godimento libero da parte della collettività, ad una fruizione potenzialmente universale cui i poteri pubblici sui beni devono essere preordinati.
Stando alla nozione che si evince dall'art. 822, c.c., la demanialità è una qualità, un modo di esistere di alcune categorie di beni caratterizzati dalla titolarità della proprietà in capo agli enti territoriali e dalla loro connaturata destinazione ad una pubblica funzione. Sono cioè beni funzionali, la cui destinazione pubblica è garantita dall'amministrazione attraverso una normativa speciale e poteri autoritativi. Tale qualità si acquista qualora coesistano due elementi: quello soggettivo dell'appartenenza ad un ente pubblico e quello oggettivo della capacità di realizzare direttamente un pubblico interesse.
All'interno della categoria dei beni demaniali, il codice distingue tra quelli che non possono appartenere che allo Stato - il demanio naturale o necessario, composto dal demanio marittimo, idrico e militare - ed una serie di beni che possono appartenere a chiunque, ma qualora proprietari ne siano lo Stato – art. 822, 2° co., c.c. - le province, i comuni - art. 824, c.c. - o ancora le regioni – l. 16.5.1970, n. 281, art. 11, 1° co., c.c. - essi fanno parte del demanio pubblico. E' la categoria del demanio artificiale o accidentale, in cui rientrano gli "immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche – art. 822, 2° co., c.c.
L'altra categoria in cui il codice ripartisce i beni culturali pubblici è quella dei beni del patrimonio indisponibile - art. 826, 2° co., c.c.
Ne fanno parte le "cose di interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo". Si tratta dei beni archeologici. Serra 1999, n. 2.



1. Il demanio stradale.

Fanno parte del demanio accidentale i beni del demanio stradale se appartengono ad un ente territoriale.
Il demanio stradale comprende tutte le strade dello Stato e degli enti pubblici territoriali destinate al pubblico traffico.
La giurisprudenza richiede, perché possa configurarsi una strada e possano trovare applicazione le disposizioni del codice della strada che regolamentano la circolazione e la sosta, che venga accertata una situazione di fatto divergente da quella normalmente propria del bene privato, con effettivo godimento di esso da parte della generalità degli utenti del sistema viario.

L'assenza di impedimenti all'ingresso di terzi non è sufficiente a trasformare il fondo di proprietà privata in una parte del complesso sistema viario pubblico. In applicazione di tale principio, la Corte cass. ha cassato la sentenza impugnata che aveva qualificato strada di uso pubblico un'area privata contigua e allo stesso livello di una strada pubblica, non protetta da recinzioni, ripari o cartelli idonei ad impedire l'accesso a terzi.

La destinazione ad uso pubblico di una strada è desumibile dall'uso pubblico effettivo della stessa, dalla toponomastica nonché dalla presenza o meno dell'illuminazione pubblica, unitamente all'inserimento della stessa nella rete viaria pubblica, o mediante un atto negoziale, oppure in modo simile a quanto previsto dall'art. 1062 c.c. per la costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, mediante una sistemazione dei luoghi in cui sia implicita la realizzazione di una strada per uso pubblico (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 2.12.2004, n. 18030, FATAR, 2004, 12 3806).
L’ANAS, anche dopo la privatizzazione, conserva la natura di ente strumentale per la tutela del demanio stradale.
In altre parole, la trasformazione dell'ANAS in società di diritto privato ha inciso soltanto sulla disciplina organizzativa della struttura senza pregiudicare il regime dell'attività esercitata avente ad oggetto il demanio stradale.
La trasformazione dell’ANAS in società di diritto privato ha inciso soltanto sulla disciplina organizzativa della struttura senza pregiudicare il regime dell'attività esercitata avente ad oggetto il demanio stradale.

Non senza sottolineare che la stessa necessità della concessione per l'esecuzione dell'opera è revocabile in dubbio, in ragione della natura intrinsecamente pubblica dell'opera realizzata (T.A.R., Sicilia, Palermo, sez.II, 20.9.2001, n. 1295).


2. La classificazione delle strade.

Il codice della strada, approvato con d.lg. 30.4.1992, n. 285, definisce e classifica le strade.

1. Ai fini dell'applicazione delle norme del presente codice si definisce "strada" l'area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali.
2. Le strade sono classificate, riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, nei seguenti tipi:
A) Autostrade
B) Strade extraurbane principali;
C) Strade extraurbane secondarie;
D) Strade urbane di scorrimento;
E) Strade urbane di quartiere;
F) Strade locali.
F-bis. Itinerari ciclopedonali.
3. Le strade di cui al comma 2 devono avere le seguenti caratteristiche minime:
A) Autostrada: strada extraurbana o urbana a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia, eventuale banchina pavimentata a sinistra e corsia di emergenza o banchina pavimentata a destra, priva di intersezioni a raso e di accessi privati, dotata di recinzione e di sistemi di assistenza all'utente lungo l'intero tracciato, riservata alla circolazione di talune categorie di veicoli a motore e contraddistinta da appositi segnali di inizio e fine. Deve essere attrezzata con apposite aree di servizio ed aree di parcheggio, entrambe con accessi dotati di corsie di decelerazione e di accelerazione.
B) Strada extraurbana principale: strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia e banchina pavimentata a destra, priva di intersezioni a raso, con accessi alle proprietà laterali coordinati, contraddistinta dagli appositi segnali di inizio e fine, riservata alla circolazione di talune categorie di veicoli a motore; per eventuali altre categorie di utenti devono essere previsti opportuni spazi. Deve essere attrezzata con apposite aree di servizio, che comprendano spazi per la sosta, con accessi dotati di corsie di decelerazione e di accelerazione.
C) Strada extraurbana secondaria: strada ad unica carreggiata con almeno una corsia per senso di marcia e banchine.
D) Strada urbana di scorrimento: strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali esterne alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscite concentrate.
E) Strada urbana di quartiere: strada ad unica carreggiata con almeno due corsie, banchine pavimentate e marciapiedi; per la sosta sono previste aree attrezzate con apposita corsia di manovra, esterna alla carreggiata.
F) Strada locale: strada urbana od extraurbana opportunamente sistemata ai fini di cui al comma 1 non facente parte degli altri tipi di strade.
F-bis. Itinerario ciclopedonale: strada locale, urbana, extraurbana o vicinale, destinata prevalentemente alla percorrenza pedonale e ciclabile e caratterizzata da una sicurezza intrinseca a tutela dell'utenza debole della strada.
4. È denominata "strada di servizio" la strada affiancata ad una strada principale (autostrada, strada extraurbana principale, strada urbana di scorrimento) avente la funzione di consentire la sosta ed il raggruppamento degli accessi dalle proprietà laterali alla strada principale e viceversa, nonché il movimento e le manovre dei veicoli non ammessi sulla strada principale stessa.
(art. 5, d.lg. 30.4.1992, n. 285, mod.
art. 1, d.l. 27.6.2003, n. 151).
La giurisprudenza ha precisato le caratteristiche delle strade extraurbane principali che devono essere delimitate tassativamente da appositi segnali di inizio e fine per riconoscerne la relativa qualifica.
L'art. 2 cod. strada, nel fornire i criteri per la classificazione delle strade in funzione delle caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali delle stesse, alla lettera b) descrive la strada extraurbana principale come strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia.
Esso richiede, altresì, ai fini della classificazione della strada extraurbana come principale - con conseguente elevazione, ai sensi dell'art. 142, 1° co., cod. strada, del limite massimo di velocità consentito nella percorrenza della stessa da 90 km. orari, vigente per le altre strade extraurbane, a 110 - che essa sia contraddistinta dagli appositi segnali di inizio e fine.
In assenza di detti segnali, che costituiscono l'unico elemento di immediata percezione - al di là di una valutazione tecnica in ordine alle altre caratteristiche descritte, che non può essere rimessa all'utente della strada - idoneo ad autorizzare la percorrenza della strada stessa ad una velocità più elevata rispetto a quella massima consentita in via generale, la pur riscontrata sussistenza delle altre caratteristiche indicate dalla citata disposizione non vale a consentire la classificazione della strada extraurbana come principale.
Le strade vengono poi ulteriormente classificate a seconda della proprietà.

5. Per le esigenze di carattere amministrativo e con riferimento all'uso e alle tipologie dei collegamenti svolti, le strade, come classificate ai sensi del comma 2, si distinguono in strade "statali", "regionali", "provinciali", "comunali", secondo le indicazioni che seguono. Enti proprietari delle dette strade sono rispettivamente lo Stato, la regione, la provincia, il comune. Per le strade destinate esclusivamente al traffico militare e denominate "strade militari", ente proprietario è considerato il comando della regione militare territoriale.
6. Le strade extraurbane di cui al comma 2, lettere B, C ed F si distinguono in:
A) Statali, quando:
a) costituiscono le grandi direttrici del traffico nazionale;
b) congiungono la rete viabile principale dello Stato con quelle degli Stati limitrofi;
c) congiungono tra loro i capoluoghi di regione ovvero i capoluoghi di provincia situati in regioni diverse, ovvero costituiscono diretti ed importanti collegamenti tra strade statali;
d) allacciano alla rete delle strade statali i porti marittimi, gli aeroporti, i centri di particolare importanza industriale, turistica e climatica;
e) servono traffici interregionali o presentano particolare interesse per l'economia di vaste zone del territorio nazionale.
B) Regionali, quando allacciano i capoluoghi di provincia della stessa regione tra loro o con il capoluogo di regione ovvero allacciano i capoluoghi di provincia o i comuni con la rete statale se ciò sia particolarmente rilevante per ragioni di carattere industriale, commerciale, agricolo, turistico e climatico.
C) Provinciali, quando allacciano al capoluogo di provincia capoluoghi dei singoli comuni della rispettiva provincia o più capoluoghi di comuni tra loro ovvero quando allacciano alla rete statale o regionale i capoluoghi di comune, se ciò sia particolarmente rilevante per ragioni di carattere industriale, commerciale, agricolo, turistico e climatico.
D) Comunali, quando congiungono il capoluogo del comune con le sue frazioni o le frazioni fra loro, ovvero congiungono il capoluogo con la stazione ferroviaria, tranviaria o automobilistica, con un aeroporto o porto marittimo, lacuale o fluviale, con interporti o nodi di scambio internodale o con le località che sono sede di essenziali servizi interessanti la collettività comunale. Ai fini del presente codice, le strade "vicinali" sono assimilate alle strade comunali.
7. Le strade urbane di cui al comma 2, lettere D, E e F, sono sempre comunali quando siano situate nell'interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti.
(art. 5, d.lg. 30.4.1992, n. 285, mod. art. 1, d.l. 27.6.2003, n. 151).

Il provvedimento di classificazione avviene secondo le procedure fissate dalla legge.

8. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel termine indicato dall'art. 13, comma 5, procede alla classificazione delle strade statali ai sensi del comma 5, seguendo i criteri di cui ai commi 5, 6 e 7, sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici, il consiglio di amministrazione dell'Azienda nazionale autonoma per le strade statali, le regioni interessate, nei casi e con le modalità indicate dal regolamento. Le regioni, nel termine e con gli stessi criteri indicati, procedono, sentiti gli enti locali, alle classificazioni delle rimanenti strade ai sensi del comma 5. Le strade così classificate sono iscritte nell'archivio nazionale delle strade previsto dall'art. 226 (4).
9. Quando le strade non corrispondono più all'uso e alle tipologie di collegamento previste sono declassificate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, acquisiti i pareri indicati nel comma 8. I casi e la procedura per tale declassificazione sono indicati dal regolamento (4).
10. Le disposizioni di cui alla presente disciplina non modificano gli effetti del
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n. 377, emanato in attuazione della legge 8 luglio 1986, n. 349, in ordine all'individuazione delle opere sottoposte alla procedura di valutazione d'impatto ambientale.
(art. 5, d.lg. 30.4.1992, n. 285, mod.
art. 1, d.l. 27.6.2003, n. 151).
L’ente proprietario non può catalogare l'opera arbitrariamente ed in attuazione di parametri difformi da quelli stabiliti dalla normativa primaria.

Il codice della strada si limita a prevedere, in astratto, le caratteristiche strutturali e funzionali delle strade, mentre la classificazione in concreto dell'opera viaria risulta riservata dalla normativa primaria e, segnatamente, all'iniziativa provvedimentale dell'ente proprietario;
La classificazione comunale può essere disattesa, o, meglio, annullata, solo in esito ad un giudizio di legittimità governato dalle regole che presidiano la valutazione giurisdizionale degli atti amministrativi e non anche sulla base di un apprezzamento sostanzialistico che prescinda del tutto dalla considerazione della sua valenza provvedimentale e dall'analisi dei relativi margini di discrezionalità riservati all'ente proprietario.
(Cons. St., sez. V, 1.3.2005, n. 776, FACDS, 2005, 3 803).

I provvedimenti di classificazione rientrano nella giurisdizione amministrativa a meno che non si contesti in radice la demanialità della strada. In tal caso rientrano nella giurisidzione ordinaria.

Appartengono alla giurisdizione ordinaria le controversie in tema di proprietà, pubblica o privata, delle strade, nonché circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su strade private, in quanto tali questioni hanno ad oggetto l'accertamento dell'esistenza e dell'ampiezza di diritti soggettivi, sia dei privati che della p.a.
Nella specie, negando che il proprio fondo fosse attraversato da una strada pubblica o gravato da una servitù di pubblico transito, l'interessata contestava in radice il potere di "classificazione" delle strade di uso pubblico per mancanza del suo stesso presupposto e non si limitava a dolersi dei criteri seguiti dall'amministrazione per la classificazione delle strade comunali e provinciali.



2.1. Le autostrade.

La legislazione ha precisato le modalità di concessione della costruzione e dell’esercizio delle autostrade identificando la società preposta che deve esser controllata dall’IRI.

La costruzione e l'esercizio delle autostrade: Milano-Napoli, in deroga alla l. 21.5.1955, n. 463; Firenze-Mare, in deroga alla l. 17.4.1948, n. 547, nonché delle autostrade: Milano-Brescia; Milano-Laghi; Como-Chiasso; Serravalle-Genova; Genova-Savona; Genova-Sestri Levante: Padova-Bologna; Bologna-Canosa; Roma-Civitavecchia; Napoli-Bari sono concessi a una società per azioni al cui capitale sociale l'Istituto per la ricostruzione industriale partecipi direttamente o indirettamente almeno con il 51 per cento.
Nell'atto costitutivo e nello statuto della predetta società non potranno essere previste le deroghe alle maggioranze assembleari contemplate negli artt. 2368 e 2369 del Codice civile.
(art. 16, l. 24.7.1961, n. 729).

Una consolidata giurisprudenza ritiene che qualora la realizzazione e la gestione di un'autostrada vengano affidate in concessione, ai sensi degli artt. 16 e ss., l. 24.12.1961 n. 729, ad una società privata, questa, per l'intera durata della concessione e per ciò che attiene all'esercizio dell'opera, subentra nei poteri e nelle funzioni spettanti alla p.a. concedente.

La società concessionaria per la realizzazione e per la gestione di una autostrada acquisisce la facoltà di agire dinanzi al giudice ordinario per la tutela del bene demaniale e, in particolare, per difendere questo dagli attentati correlati al fatto di proprietari di fondi limitrofi i quali abbiano costruito in violazione delle distanze minime dalla sede autostradale e per conseguire la riduzione in pristino.
(Cass. Civ., sez. un., 7.8.2001, n. 10890, RGE, 2002, I, 101, 881).





3. Le strade private ad uso pubblico. Le strade vicinali.

Il d.lg. 30.4.1992, n. 285, definisce strada l'area ad uso pubblico destinata al transito di veicoli, pedoni e animali, e quindi il suolo concretamente utilizzato quale componente del sistema viario, non essendo indispensabile la sua inclusione nel demanio stradale ovvero il suo assoggettamento a diritto di passaggio della collettività.
Allorquando manchi un assetto giuridico in sé idoneo a determinare la destinazione al transito pubblico, come nel caso di un terreno di proprietà privata, perché possa configurarsi una strada e possano trovare applicazione le disposizioni del codice della strada che regolamentano la circolazione e la sosta, è necessario che sia accertata una situazione di fatto divergente da quella normalmente propria del bene privato, con il suo effettivo godimento da parte della generalità degli utenti del sistema viario.
La nozione di strade vicinali racchiude due distinte categorie: le strade agrarie o strade vicinali private e le strade vicinali pubbliche.
Le strade agrarie o strade vicinali private sono strade, formate ex collatione privatorum agrorum, costituite per l'uso comune, ma esclusivo, dei proprietari dei fondi latistanti e di quelli in consecuzione. Sono strade destinate al transito esclusivo di un determinato insieme di soggetti. La giurisprudenza ha, da tempo, chiarito che sono da considerare strade agrarie non soltanto quelle costituite con il conferimento di parti di proprietà fronteggiantesi, ma anche quelle, la cui sede si è formata mediante conferimento di tratti di sedime stradale, interessanti, per intero, ciascun fondo dei proprietari confinanti. In definitiva, la strada agraria costituisce una strada campestre, soggetta a transito da parte dei proprietari dei fondi limitrofi, non presentante alcun carattere di pubblicità (Cass. civ., 516/1959).
Le strade vicinali pubbliche sono le strade vicinali, rettamente intese, costituite da tre elementi: il passaggio esercitato iure servitutis publicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze d'interesse generale; il titolo valido (T.A.R. Toscana, sez. III, 385/2003).
La giurisprudenza non ha ritenuto sufficiente il fatto che la strada privata non sia recintata.

Ai fini di accertare l’effettivo godimento della strada da parte della generalità degli utenti del sistema viario l'assenza di impedimenti all'ingresso di terzi non è sufficiente a trasformare il fondo di proprietà privata in una parte del complesso sistema viario pubblico.
In applicazione di tale principio, la Corte cass. ha cassato la sentenza impugnata che aveva qualificato strada di uso pubblico un'area privata contigua e allo stesso livello di una strada pubblica, non protetta da recinzioni, ripari o cartelli idonei ad impedire l'accesso a terzi.

L'inserimento di una strada nell'elenco delle vie vicinali ha natura meramente dichiarativa, e non costituisce di per sé prova della sua destinazione all'uso pubblico.
Per la giurisprudenza, affinché una strada possa rientrare nella categoria delle vie vicinali pubbliche, devono sussistere tre precisi elementi:
1) il passaggio esercitato iure servitutis publicae, da una collettività di persone, qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
2) la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze d'interesse generale;
3) un titolo valido a sorreggere la qualificazione di uso pubblico che può identificarsi nella protrazione dell'uso medesimo da tempo immemorabile.
Ai fini della classificazione di una strada come pubblica o privata rileva unicamente la sua concreta ed effettiva destinazione; si deve ritenere pubblica solo la strada soggetta al passaggio collettivo ed idonea a soddisfare un interesse generale.


4. Il passaggio di proprietà di una strada da un ente pubblico ad un altro.

Il passaggio di proprietà di una strada da un ente pubblico ad un altro è un fenomeno giuridico che il legislatore considera nella sua complessità ed unitarietà, indipendentemente da uno specifico interesse di un determinato soggetto pubblico o privato, ma nell'interesse dell'intera collettività sociale.
Non a caso, le strade pubbliche rientrano nella categoria dei beni demaniali, di quei beni cioè che storicamente e culturalmente sono immediatamente riferibili all'interesse pubblico generale.
In tale ottica è irrilevante che, nei rapporti interni, non sia posto un onere di spesa a carico dell'ente pubblico cedente.
Ciò che rileva è, unicamente, la rispondenza del passaggio di proprietà a fini di interesse generale e l'obbligo dell'ente di volta in volta proprietario di rispondere, verso l'esterno, degli obblighi manutentivi riconnessi alla propria posizione.
Tra l'altro, l'acquisto della proprietà di una strada da parte di un ente pubblico per effetto di declassificazione, comporta pur sempre la contestuale acquisizione di rilevanti competenze amministrative, come quelle previste dagli artt. 26 e 27 del codice della strada, cui sono correlate altrettante situazioni di vantaggio economico per il medesimo ente.
Le norme che disciplinano la declassificazione delle strade pubbliche in favore dei Comuni non ne pregiudicano l'autonomia, ma ne ampliano le competenze e ne esaltano il ruolo di immediata e diretta interlocuzione con la collettività che essi rappresentano, in attuazione, e non in contrapposizione, dei richiamati principi costituzionali.
Il Comune non ha nessuna possibilità di scegliere se diventare o meno proprietario delle strade nell'eventualità che determinate strade siano comprese nell'ambito del centro abitato.
La valutazione automatica operata dal legislatore in ordine alla necessaria appartenenza al Comune delle strade situate all'interno di centri abitati consente altresì di escludere che, in tal caso, permanga un margine di discrezionalità degli enti pubblici coinvolti e che quindi sia configurabile una giurisdizione di merito del giudice amministrativo Tale procedura è differente rispetto alle altre ipotesi di declassificazione, disciplinate dall'articolo 2, 9° co., del codice della strada e degli artt. 3 e 4 del regolamento, che invece postulano una valutazione e ponderazione del pubblico interesse, nell'esercizio di un ampio potere discrezionale che evidentemente giustifica l'attribuzione di un sindacato giurisdizionale esteso al merito, ex art. 27, r.d. 1054/1924.
L'obbligo di consultazione non sussiste in relazione all'ipotesi verificatasi nel caso di specie di declassificazione legale, non essendo esso affatto contemplato dalla riferita disposizione di cui all'articolo 2, 7° co., del codice della strada.
Tale obbligo è invece posto in relazione alle differenti ipotesi di declassificazione discrezionale, disciplinate dal successivo art. 2, 9° co., d.lg. n. 285 del 1992, nonché dall'art. 3 del regolamento, che si verifica quando le strade non corrispondono più all'uso e alle tipologie di collegamento previste.

9. Quando le strade non presentano più le caratteristiche tecniche suindicate o non rispondono più agli scopi funzionali sono declassificate dal Ministero dei lavori pubblici e dalle regioni, secondo le rispettive competenze, acquisiti i pareri indicati nel comma 8. I casi e la procedura per tale declassificazione sono indicati dal regolamento.
(art. 2, 9° co., d.lg. n. 285 del 1992).


5. La richiesta di occupazione della sede stradale.

Il codice della strada precisa le modalità per l’occupazione della sede stradale escludendo la possibilità di cedere in concessione le strade di maggior traffico.

1. Sulle strade di tipo A), B), C) e D) è vietata ogni tipo di occupazione della sede stradale, ivi compresi fiere e mercati, con veicoli, baracche, tende e simili; sulle strade di tipo E) ed F) l'occupazione della carreggiata può essere autorizzata a condizione che venga predisposto un itinerario alternativo per il traffico ovvero, nelle zone di rilevanza storico-ambientale, a condizione che essa non determini intralcio alla circolazione.
2. L'ubicazione di chioschi, edicole od altre installazioni, anche a carattere provvisorio, non è consentita, fuori dei centri abitati, sulle fasce di rispetto previste per le recinzioni dal regolamento.
3. Nei centri abitati, ferme restando le limitazioni e i divieti di cui agli articoli ed ai commi precedenti, l'occupazione di marciapiedi da parte di chioschi, edicole od altre installazioni può essere consentita fino ad un massimo della metà della loro larghezza, purché in adiacenza ai fabbricati e sempre che rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni larga non meno di 2 m. Le occupazioni non possono comunque ricadere all'interno dei triangoli di visibilità delle intersezioni, di cui all'
art. 18, comma 2. Nelle zone di rilevanza storico-ambientale, ovvero quando sussistano particolari caratteristiche geometriche della strada, è ammessa l'occupazione dei marciapiedi a condizione che sia garantita una zona adeguata per la circolazione dei pedoni e delle persone con limitata o impedita capacità motoria.
(art. 20, d.lg. n. 285 del 1992, mod. art. 29, l. 7.12.1999, n. 472, D.M. 22.12. 2004).

La concessione è rilasciata su domanda all’organo competente.
L'ente concedente l'utilizzazione della strada o autostrada ha un'ampia area di discrezionalità nella determinazione del canone di concessione, ai sensi dell'art. 27, d.lg. 30.4.1992, n. 285.
Le norme regolamentari non possono limitare le facoltà riconosciute all’amministrazione.

E’ illegittima una norma regolamentare che permette la determinazione del canone di concessione, non in base all'offerta più conveniente tra quelle avanzate dagli aspiranti, ma secondo il criterio automatico della preferenza alla domanda presentata per prima.

La giurisprudenza ha affermato che qualsiasi atto di disposizione dei beni pubblici deve perseguire l'interesse collettivo, nel rispetto dei canoni di efficienza, efficacia, economicità e razionalità dell'azione amministrativa, quali limiti esterni alla discrezionalità che caratterizza alcune scelte degli organi di governo dell'ente che, altrimenti, si trasformerebbero in mero e insindacabile arbitrio.
Il Comune destinatario - dell'istanza volta ad ottenere la disponibilità della strada comunale da parte della società incaricata della realizzazione dell'interporto - non è libero di comportarsi come si comporterebbe un privato contraente di fronte ad una proposta contrattuale, opponendo eventualmente un legittimo silenzio o un immotivato e insindacabile rifiuto, trattandosi di bene del demanio comunale il cui uso deve perseguire il bene collettivo: pertanto, l'opposizione del Comune alla realizzazione dell'interporto non può costituire ragione unica e sufficiente per legittimare il rifiuto, trattandosi di un'opera volta a soddisfare un interesse che trascende quello strettamente locale, che non può essere compiutamente ed esaurientemente valutato dal solo ente locale, ma deve essere motivato in relazione alle esigenze di viabilità locale ritenute preminenti.
(T.A.R. Lombardia Brescia, 9.2.2005, n. 81, FATAR, 2005, f. 2, 343).

L’art. 20, d.lg. n. 285/1992 punisce, con sanzione pecuniaria, la abusiva occupazione del suolo stradale.
L’ipotesi di illecito amministrativo di cui all'art. 20, c. strada - tenuto conto dell'inserimento dello stesso nel sistema normativo posto dal codice della strada e del tenore delle disposizioni nell'ambito delle quali la ipotesi di illecito trova spazio e ragione di essere - tutela la sicurezza della circolazione stradale.
4. Chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo ottenuto la concessione, non ottempera alle relative prescrizioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 143 a Euro 573.
5. La violazione di cui ai commi 2, 3 e 4 importa la sanzione amministrativa accessoria dell'obbligo per l'autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese, secondo le norme del capo I, sezione II, del titolo VI.
(art. 20, d.lg. n. 285 del 1992, mod. art. 29, l. 7.12.1999, n. 472, d.m.



6. Le spese di spostamento o modifica degli impianti che interferiscono con la sistemazione o l'allargamento delle strade.

L'art. 28, 2° co., del d. lg. 30.4.1992, n. 285, pone a carico dei gestori gli oneri di spostamento o modifica degli impianti che interferiscono con la sistemazione o l'allargamento delle strade.
1. I concessionari di ferrovie, di tramvie, di filovie, di funivie, di teleferiche, di linee elettriche-telefoniche, sia aeree che sotterranee, quelli di servizi di oleodotti, di metanodotti, di distribuzione di acqua potabile o di gas, nonché quelli di servizi di fognature e quelli dei servizi che interessano comunque le strade, hanno l'obbligo di osservare le condizioni e le prescrizioni imposte dall'ente proprietario per la conservazione della strada e per la sicurezza della circolazione. Quando si tratta di impianti inerenti a servizi di trasporto, i relativi provvedimenti sono comunicati al Ministero dei trasporti o alla regione competente.
2. Qualora per le esigenze della viabilità si renda necessario rimuovere, modificare o spostare gli impianti indicati nel comma 1 la spesa relativa è a carico del concessionario e i relativi lavori devono essere eseguiti entro i termini prescritti dall'ente proprietario della strada a pena dell'esecuzione d'ufficio; a questa procede l'ente proprietario della strada addebitando al concessionario le spese sostenute. In caso di ritardo il concessionario è tenuto a risarcire i danni derivati dal ritardo e a corrispondere le eventuali penali fissate dall'ente stesso.
(art. 28, d. lg. 30.4.1992, n. 285).

In primo luogo l'art. 28, d. lg. 30.4.1992, n. 285, fa riferimento, testualmente, anche ai concessionari di servizi di distribuzione di acqua potabile, quale è il Consorzio resistente.
Inoltre, l'applicazione dell'art. 28, 2° co., d. lg. 30.4.1992, n. 285, non presuppone che le condotte idriche si trovino all'interno del demanio stradale prima dei lavori di allargamento stradale.
E' sufficiente che si tratti di tubazioni inerenti all’acquedotto che interessano comunque le strade.
Il legislatore ha inteso estendere l'applicazione del citato art. 28, 2° co., d. lg. 30.4.1992, n. 285, a tutti i casi in cui gli impianti dell’acquedotto interferiscono con le strade, indipendentemente dal fatto che gli stessi si trovino, o no, nel sottosuolo stradale.
Il legislatore del 1992 non ha parlato di sede stradale, o di corpo stradale o sottosuolo stradale, o espressioni simili, ma di impianti che interessano comunque le strade e che quindi possono trovarsi, prima dell'inizio dei lavori di ampliamento, ad esempio sotto pertinenze stradali o fasce laterali adiacenti alla strada.
L'applicazione dell'art. 28, 2° co., d. lg. 30.4.1992, n. 285, non sembra insomma presupporre necessariamente l'appartenenza al demanio stradale del suolo ove si trovano i sottoservizi pubblici e, in particolare, per quanto qui più interessa, le condotte idriche.
Se, per comprovare esigenze di viabilità, ossia per ragioni attinenti alla circolazione stradale, occorre spostare tubature dell’acquedotto che interessano le strade, tali condutture devono essere trasferite a cura e spese del gestore del pubblico servizio, salvo l'onere dell'ente proprietario della strada di mettere a disposizione l'apposita sede ove spostare gli impianti.
Le spese relative allo spostamento di tubazioni acquedottistiche ricadenti su proprietà privata esterna al demanio stradale, ma pur sempre interessanti la strada, spostamento resosi necessario in seguito alla esecuzione di lavori di allargamento stradale, vanno poste a carico dell'ente gestore del servizio, e non dell'amministrazione proprietaria della strada, e ciò ai sensi dell'art. 28, 2° co., c. strad.

7. Il demanio ferroviario.

Le Ferrovie dello Stato sono state trasformate in ente pubblico economico, ex art. 1, 3° co., l. 210 del 1985.
Detto ente succede in tutti i rapporti attivi e passivi già facenti capo all'azienda autonoma; tale trasformazione ha, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, determinato un vero e proprio processo di sdemanializzazione ex lege dei beni di proprietà del nuovo ente.
Sono state allora sostenute entrambe le possibili conseguenze della sdemanializzazione dei beni passati in proprietà del nuovo ente: si è affermata la totale sottoposizione di tali beni al regime ordinario della proprietà privata o, al contrario, la loro ascrivibilità al patrimonio indisponibile dell'ente Ferrovie dello Stato, ex art. 830, 2° co., c.c., non potendo tali beni essere sottratti alla loro destinazione senza il consenso di questo.
Per la dottrina il rinvio, effettuato dall’art. 828, 2° co., c.c., ai modi stabiliti dalle leggi che li riguardano è riferibile all'art. 15, 2° co., l. n. 210 del 1985, secondo cui i beni destinati a pubblico servizio non possono essere sottratti alla loro destinazione senza il consenso dell'ente (Saracco 1991, 321).
In seguito alla successiva trasformazione dell'ente pubblico Ferrovie dello Stato in società per azioni, con conseguente trasferimento a questa della proprietà dei beni appartenenti a quello, l'art. 43, 2° co., l. 23.12.1998, n. 448, dispone espressamente che l'acquisizione, l'attribuzione e la devoluzione dei beni immobili che risultano iscritti nel bilancio della società Ferrovie dello Stato s.p.a. si intendono avvenute a titolo di trasferimento di proprietà.
La giurisprudenza esclude che le modificazioni organizzative che hanno interessato nel tempo l'ente gestore del servizio ferroviario abbiano altresì interessato o modificato il regime giuridico dei beni ad esso trasferiti in proprietà, rispetto a quanto codificato nell'art. 822 c.c.: in tal senso, l'inclusione dei beni ferroviari e delle relative pertinenze nel demanio accidentale parrebbe compatibile con la forma societaria della Ferrovie dello Stato s.p.a.

La trasformazione delle Ferrovie dello Stato in ente pubblico economico, regolata dalla l. 17.5.1985, n. 210, e la successiva modifica in s.p.a., ad opera della l. 8.8.1992, n. 359, ha inciso soltanto sulla disciplina organizzativa della struttura affidataria del servizio, senza far venir meno tutta la restante disciplina prevista dalla richiamata l. 210 del 1985, ivi compreso il regime giuridico dei beni di sua proprietà, che, quindi, resta quello tipico dei beni rientranti nel demanio accidentale, in cui va ricompreso il demanio ferroviario, cioè di quei beni in qualche modo destinati all'esercizio dell'attività ferroviaria.
(Cons. St., sez. IV, 14.12.2002, n. 6923, DT, 2003, 656).


8. Il demanio aeronautico

Il demanio aeronautico comprende gli aerodromi i campi di volo e i campi di fortuna appartenenti a enti territoriali e destinati al traffico civile nonché le loro pertinenze come aviorimesse, impianti radio e radar.

1. Fanno parte del demanio aeronautico civile statale:
a) gli aeroporti civili appartenenti allo Stato;
b) ogni costruzione o impianto appartenente allo Stato strumentalmente destinato al servizio della navigazione aerea.
2. Gli aeroporti militari fanno parte del demanio militare aeronautico
(art. 692, c.n., mod. art. 3, d.lg. 15.3.2006, n. 151).
L'area di sedime sulla quale si svolgono tutte le attività connesse direttamente o indirettamente alla gestione dell'aeroporto appartiene al demanio aeronautico e, in quanto tale, è sottoposto ai poteri propri del regime giuridico tipico della demanialità per tutti gli interventi inerenti alla fruizione ed alla tutela del bene (T.A.R. Veneto, 31.8.1995, n. 1153, T.A.R., 1995, I, 4221).
Gli aeroporti sono gestiti dopo il rilascio della concessione di gestione aeroportuale.

1. Alla concessione della gestione totale aeroportuale degli aeroporti e dei sistemi aeroportuali di rilevanza nazionale si provvede con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e, limitatamente agli aeroporti militari aperti al traffico civile, con il Ministro della difesa.
2. Il provvedimento concessorio, nel limite massimo di durata di quaranta anni, è adottato, su proposta dell'ENAC, all'esito di selezione effettuata tramite procedura di gara ad evidenza pubblica secondo la normativa comunitaria, previe idonee forme di pubblicità, nel rispetto dei termini procedimentali fissati dall'ENAC, sentita, laddove competente, la regione o provincia autonoma nel cui territorio ricade l'aeroporto oggetto di concessione.
(art. 704, c.n., mod. art. 4 d.lg. 15.3.2006, n. 151).

La giurisprudenza ha segnato il limite del contenuto del decreto che non può regolamentare situazioni pregresse.

Il decreto di nuova concessione per la gestione dell'aeroporto di Venezia Tessera non può contenere disposizioni le quali incidano sui rapporti patrimoniali fra il precedente concessionario provveditorato al porto di Venezia ed il successivo, a cui vantaggio è disposto il passaggio della relativa gestione, congiuntamente alla successione nei rapporti del personale e nei beni, secondo le modalità previste dallo stesso decreto nell'esercizio del potere discrezionale, a ciò limitato, dell'amministrazione concedente.
(Cons. St., sez. VI, 26.10.1992, n. 815).
9. Il demanio degli acquedotti.

Gli acquedotti hanno carattere demaniale indipendentemente dal fatto che trasportino acque pubbliche.
La nozione di acquedotto non può essere circoscritta alle sole condutture per il trasporto dell'acqua, ma deve essere estesa secondo una interpretazione funzionale a tutte le altre opere accessorie che consentono la realizzazione delle finalità alle quali è preordinato l'acquedotto.
Conforme a questa ampia nozione funzionale è la definizione di acquedotto contenuta nella del. 4.2.1977, Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento, istituito ai sensi dell'art. l. 10.5.1976, n. 319, che ha stabilito norme tecniche generali per la regolamentazione della installazione degli impianti di acquedotto
L'acquedotto è definito come il complesso degli impianti di attingimento, di trattamento, di trasporto e di distribuzione.
La delibera ha ulteriormente precisato che per impianto di attingimento deve intendersi il complesso delle opere occorrenti per la raccolta, la regolazione e la derivazione di acque sotterranee o superficiali. Nell'impianto di attingimento si intendono comprese tutte le opere occorrenti per proteggere e conservare la disponibilità e la qualità delle acque medesime.
Per impianto di trattamento si intende il complesso delle opere occorrenti per conferire alle acque attinte le particolari caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche, richieste dalla loro destinazione.
L'impianto di trattamento può essere costituito dalle sole apparecchiature destinate alla disinfezione delle acque.
Per impianto di trasporto si intende il complesso delle opere occorrenti per convogliare le acque degli impianti di attingimento agli impianti di distribuzione.
Per impianto di distribuzione si intende il complesso dei serbatoi della rete di distribuzione e delle relative diramazioni fino al punto di consegna agli utenti.
Infine, è stato precisato in dottrina che nell'ambito della nozione positiva di acquedotto sono compresi anche i canali e gli invasi artificiali per la conduzione e la raccolta delle acque che, a differenza dei primi, consistono in condutture scoperte (Sandulli 1984, 753).
Caratteristica principale del regime dei beni stessi è l'inalienabilità, espressa in termini perentori dalla norma di cui all'art. 823 c.c.
La previsione dell'inalienabilità dei beni demaniali appare inderogabile anche in base al dettato delle successive norme di rango legislativo, salvo che le stesse non introducano una espressa deroga.
La possibilità di costituzione sui beni demaniali di diritti reali minori deve essere espressamente prevista dalle leggi che hanno per oggetto la disciplina dei beni medesimi (T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 16.12.2004, n. 1716, FATAR, 2004, 12 3694).

10. Il demanio culturale.

La disciplina dei beni immobili pubblici di interesse storico, archeologico ed artistico è dettata dall’art. 822, c.c.; essa comprende nel demanio pubblico, se appartenenti allo Stato, gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia.
Tali beni sono soggetti al regime del demanio pubblico, anche se appartenenti a comuni, province, ex art. 824 c.c., o regioni, ex art. 11, 1° co., l. 281/1970.
Secondo il disposto dell'art. 823, 1° co., c.c., i beni in questione sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Al momento dell'entrata in vigore del codice civile, tra le leggi in materia, quella fondamentale poteva considerarsi la l. 1.6.1939, n. 1089, alla quale dunque occorreva riferirsi, tanto per stabilire quali immobili dovessero considerarsi riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico, quanto per accertare quali fossero i modi e i limiti della loro circolazione cui faceva riferimento l'art. 823, c.c.
La l. 1089/1939 è stata abrogata dal d.lg. 490/1999 a sua volta abrogato dal d. lg. 42/2004, che approva il codice dei beni culturali e del paesaggio.
L'art. 10, 1° co., d. lg. 42/2004, dispone che sono beni culturali le cose immobili appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali che presentano interesse artistico, storico, archeologico; pertanto, i rinvii del codice civile sono oggi da intendersi riferiti a tale testo normativo.
Del resto, il nesso tra le disposizioni codicistiche e quelle del d. lg. 42/2004, è statuito anche espressamente da quest'ultimo.
L’art. 53, d. lg. 42/2004, che ha la rubrica titolata Beni del demanio culturale, richiama espressamente l’art. 822, c.c.
Esso dispone che i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province e agli altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate dall'art. 822 del codice civile costituiscono il demanio culturale.
La dottrina annota un allargamento della categoria dei beni culturali già operata del d.lg. 490/1999 e ripresa dall’art. 10, 3° co, lett. a) e d), d. lg. 42/2004.

Si deve peraltro notare che il Testo unico definisce beni culturali anche alcune specie di immobili che non sono menzionati dall'art. 822 c.c. e precisamente le cose immobili che presentano interesse demo-etno-antropologico, art. 2, 1° co., lett. a), d.lg. 490/1999, e le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante, art. 2, 1° co., lett. b).
(Sorace 2003, n.1).

Gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico sono da definirsi beni culturali; essi ricadono nel regime demaniale risultante dagli artt. 822, 823 e 824 c.c.
Le regioni, le province, i comuni, gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro presentano al Ministero l'elenco descrittivo delle cose mobili ed immobili di interesse storico ed artistico che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni.
Esse appartengono al patrimonio culturale fino a quando non sia stata effettuata la verifica da parte del Ministero.
All’istituto della verifica il t.u. cult. assegna un ruolo centrale nel sistema di tutela del patrimonio pubblico, condizionando all’espletamento della prescritta procedura la gestione patrimoniale delle cose ad esso appartenenti.
Prima della verifica non sono consentiti né l’alienazione né il trasferimento delle cose all’estero ed ogni intervento è subordinato all’assenso degli organi competenti. Compiuta la verifica che abbia dato esito positivo le cose sono assoggettate ai controlli e ai limiti di alienazione ordinariamente previsti per i beni culturali (Tamiozzo 2005, 54).

2. I competenti organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione .
(art. 12, d. lg. 42/2004, mod. art. 2, 1° co., lett. c), d.lg. 24.3.2006, n.156).
Per i beni immobili dello Stato, la richiesta della verifica è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive.
I criteri per la predisposizione degli elenchi, le modalità di redazione delle schede descrittive e di trasmissione di elenchi e schede sono stabiliti con decreto del Ministero adottato di concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa, anche in accordo con la competente direzione generale dei lavori e del demanio.
Il Ministero ha fissato, con d.m. 25.1.2005, i criteri e le modalità per la predisposizione e la presentazione delle richieste di verifica e della relativa documentazione conoscitiva.
Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse storico od artistico, le cose medesime rientrano nel patrimonio disponibile.


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