mercoledì 3 ottobre 2012

Beni pubblici. 3 I beni del demanio necessario.


Capitolo terzo
I beni del demanio necessario

Guida bibliografica.

1. Il demanio marittimo.
Le autorità marittime hanno competenza in tema di ampliamento e delimitazione del demanio marittimo e di destinazione di zone demaniali marittime ad altri usi pubblici. Angelone, 1998, 1210.
Le funzioni amministrative in materia di utilizzo del demanio marittimo a fini turistici sono state delegate, ex art. 105, 2° co., lett. d, d.lg. 31.3.998 n. 112, dallo Stato in via esclusiva alla Regione. Nobile 2003, 25.

1.2. La Conservatoria delle Coste.
La Conservatoria delle coste, nata in Sardegna con una decisione della Giunta del 9 marzo 2005, è un organismo sul modello del National Trust inglese, e del Conservatoire du littoral francese che ha compito di promuovere acquisizioni di terreni lungo i 1850 chilometri di costa dell’Isola, anche attraverso sottoscrizioni, lasciti, permute, da privati e da altri enti, e di tutelare questo patrimonio dai rischi ai quali è sottoposto. Regione Sardegna del. n. 9/2 del 9.3.2005.
Il Piano paesaggistico regionale successivamente approvato il 25.5.2006 pone in regime di salvaguardia la fascia di 2 chilometri dal mare. essa varia secondo il Piano paesaggistico in funzione della conformazione del paesaggio costiero, in alcuni casi è più profonda, in qualche caso meno profonda dei 2 chilometri.

2. L’accertamento della situazione dei confini.
Per la giurisprudenza il procedimento di delimitazione di un’area demaniale marittima postula l’esistenza di una obiettiva incertezza in ordine ai confini del demanio marittimo - non essendo quindi a tal fine sufficiente una semplice non documentata asserzione della natura privata dell’area oggetto del provvedimento di autotutela - incertezza che il procedimento suddetto si propone di superare con un accertamento sull’esatta posizione dei confini stessi, ex art. 32 c.n. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 14.10.2004, n. 2273.

3. Le concessioni per l’utilizzo del demanio marittimo.
La presenza di un interesse pubblico, substrato dell'atto concessorio, non solo vincola il concessionario al rispetto dei limiti predetti, ma nel momento della scelta del concessionario impone all'amministrazione di prediligere, in caso vi siano più domande, il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e che si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell'amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse.
4. I caratteri della concessione.
Il bene oggetto di concessione è trasferibile solo col consenso dell’amministrazione. Per la giurisprudenza, qualora il titolare di uso esclusivo su suolo demaniale marittimo, in forza di concessione amministrativa, attribuisca ad un terzo i diritti a lui derivanti da detta connessione, mediante un negozio di diritto privato, tale negozio, salva restando la sua inopponibilità nei confronti dell'amministrazione concedente la quale può dichiarare la decadenza dalla concessione, ex art. 47, c.n., è valido ed operante inter partes, e, quindi, anche nei confronti dei loro eredi.
L’atto di trasferimento integra un contratto di cosiddetta sub concessione, che non investe il bene demaniale in sé, né comporta una cessione della concessione, ma implica il mero trasferimento al sub-concessionario delle facoltà spettanti al concessionario, che si qualificano, nei rapporti fra privati, come diritti soggettivi perfetti. Cass. Civ., sez. I, 29.5.1982, n. 3324.

5. Il diritto di insistenza.
Il diritto di insistenza ad una concessione demaniale derivante dall'avere detenuto il bene per svariati anni non costituisce un diritto soggettivo, ma consiste nell'interesse del concessionario ad essere preferito ad altri aspiranti. Di conseguenza non è tutelato incondizionatamente, ma rappresenta solo un limite alla discrezionalità dell'amministrazione che, nel ponderare la scelta, deve tenere conto anche della situazione di colui che già si trova in detta posizione e che quindi potrebbe risentire un danno dalla cessazione dell'attività. Perfetti 2003, 621.

6. La revoca di concessione.
La giurisprudenza precisa che deve essere comunicato l'avvio del procedimento di revoca della concessione del manufatto demaniale in godimento al titolare della stessa, ai sensi dell'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, che impone all'amministrazione procedente di comunicare l'avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti. T.A.R. Liguria, sez. I, 27 settembre 2001, n. 974

7. I vincoli di rispetto delle distanze dal demanio marittimo.
L’art. 55, r.d. 327/1942, impone per l’esecuzione di nuove opere il limite di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare. Centofanti 2003, 264.

8. Le autorizzazioni per opere su zone demaniali.
I lavori per l’esecuzione di nuove opere su terreni del demanio marittimo sono sottoposti alla previa autorizzazione del capo del Compartimento marittimo, ex art. 55, r.d. 327/1942. Centofanti 2005 (2), 915.
La giurisprudenza ha precisato che l'autorizzazione del capo del Compartimento marittimo non costituisce atto del procedimento di rilascio del permesso di costruire né presupposto necessario per la sua legittimità, ma solo condizione di efficacia del permesso, consentendo quindi la possibilità di acquisire l’autorizzazione anche successivamente alla presentazione della domanda. T.A.R. Sardegna, 23.9.2003, n. 1079, FATAR, 2003, 2775.

9. La tutela amministrativa del demanio marittimo.
La dottrina rileva come in Italia manchi una disciplina generale del procedimento di autotutela. Il procedimento è oggetto delle norme speciali. Cassese 1969, 328.

10. Il demanio portuale. Limiti.
La dottrina distingue il porto naturale che fa parte del demanio marittimo da quello artificiale che può essere dato in concessione ai privati.
La nozione di porto, cui fa riferimento l'art. 28, c. n., presuppone una realtà che deve esistere naturalmente e che per la sua particolare natura fisica è atta al rifugio, all'ancoraggio ed all'attracco delle imbarcazioni. Grigoli 1998, 323.


10.0. Le darsene.
La natura demaniale delle darsene, scavate a secco, è sostenuta da due teorie. La prima ritiene che il terreno di proprietà privata, trasformato in darsena, divenga demaniale per accessione alla cosa principale, dato che tale terreno, quand'anche se ne ritenesse l'originaria natura privata, una volta ricoperto dalle acque pubbliche diviene anch'esso parte del più ampio sistema demaniale, ex art. 943 c.c. Tale norma, infatti, prevede che i terreni coperti dall'acqua, quando essa sia all'altezza dello sbocco del lago e dello stagno, ancorché il volume dell'acqua venga a scemare, accedano al proprietario del lago. L'altra teoria perviene al riconoscimento della natura demaniale delle darsene, realizzate su aree private, in quanto, pur appartenendo ad un sotto tipo di porto, qualificabile come porto turistico, esse presentano quelle caratteristiche fisico-naturali che le renderebbero un bene pubblico per definizione.
Esse rientrano, pertanto, sotto il tipo generale di porto, di cui all'art. 28 c. n. ed appartengono de facto al genere dei beni demaniali marittimi, essendo immancabilmente collegati con i pubblici usi del mare.
Gli impianti, i manufatti e le opere compresi nel perimetro del porto turistico, in quanto tali, sarebbero suscettibili di futura acquisizione al demanio marittimo, quali pertinenze, ex art. 29 c. n. e art. 817 c.c. Scoca e Forza 2003, 1117.
11. Il demanio idrico.
La dottrina esclude dal demanio idrico le acque minerali e termali che assoggetta al regime delle miniere. Sandulli 1984, 747.

11.2. La concessione delle acque pubbliche.
Il rapporto che si instaura per l’utilizzo dei beni demaniali è regolato da un atto amministrativo disciplinato dalla legislazione speciale. Sandulli 1984, 767.

12. Il demanio militare.
La dottrina rileva che non esiste un elenco di opere da eseguirsi a carico dello Stato destinate alla difesa militare, né una definizione in termini normativi e generali di siffatte opere. Grassi 2005, 2486.
Spetta, pertanto alla giurisprudenza il compito di individuarle in concreto, sulla base della loro effettiva e inequivoca destinazione alla difesa militare, che si riveli mediante un chiaro nesso teologico che a questa le ricolleghi Cons. St., sez. IV, 27.5.2002 n. 2930, CS, 2002, I, 1205.

12.1. La localizzazione e la costruzione di opere militari.
Per la dottrina le opere militari godono di un regime urbanistico differenziato rispetto a quello della generalità delle opere pubbliche, dal momento che le esigenze connesse alla distribuzione territoriale delle opere di difesa e alla progettazione trascendono le possibilità di apprezzamento delle autorità urbanistiche. Grassi 2005, 2494.


1. Il demanio marittimo.

I beni rientranti nel demanio marittimo sono indicati nell’art. 28, c.n.
Secondo tale articolo rientrano tra i beni del demanio marittimo fra gli altri il lido del mare e la spiaggia (Virga 1995, 365).

1. Fanno parte del demanio marittimo:
a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade;
b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare;
c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.
(art. 28 c.n.).

Sono comprese nel demanio marittimo anche tutte le opere che sono state costruite entro l’area delimitata come demaniale.

1. Le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, sono considerate come pertinenze del demanio stesso.
(art. 29 c.n.).

Il lido è quella parte di terra contigua al mare che è normalmente coperta delle onde delle mareggiate ordinarie.
La spiaggia è quella parte di terra contigua al mare che di solito non è sommersa ma che può esserlo nelle mareggiate straordinarie.
La giurisprudenza ha affermato che costituiscono lido e spiaggia, e come tali sono comprese nel demanio marittimo, la striscia di terreno immediatamente a contatto con il mare e comunque coinvolta dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree, nonché quell'ulteriore porzione, fra detta striscia e l'entroterra, che sia concretamente interessata dalle esigenze di pubblico uso del mare. (Cass. Civ., sez. III, 28.5.2004, n. 10304, FACDS, 2004, 1321).
Le caratteristiche per definire un’area demaniale hanno a riferimento l’azione del mare in relazione all’aera costiera.

Per stabilire se un'area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le seguenti circostanze: 1) che l'area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale.

Il lido del mare appartiene allo Stato e fa parte del demanio pubblico dello Stato stesso, ai sensi dell'art. 822, comma 1, c.c.: pertanto, il suo utilizzo non può costituire oggetto di concessione da parte di un ente territoriale diverso dallo Stato, atteso anche che l'art. 824, comma 1, del codice medesimo assoggetta al regime dei beni demaniali, se appartenenti alle province o ai comuni, soltanto i beni della specie di quelli indicati dal comma 2 del citato art. 822, tra i quali non è compreso il lido del mare. (Cass. Civ. , sez. trib., 9.3.2004, n. 4769, FACDS, 2004, 658).


1.1. La gestione del demanio marittimo. La competenza regionale.

Il regime amministrativo attuale dei beni demaniali marittimi non è più caratterizzato dalle sole norme del codice navale, bensì è stato oggetto nel corso degli anni di numerose integrazioni da parte di altre fonti che ne hanno minato la stabilità interna, l'esaustività e la sistematicità codicistica.
La prima conseguenza del mutato assetto statale dovuto all'evoluzione socio-economica nonché alle modifiche politiche è stato il venire meno del regime di esclusività di competenze attribuite all'autorità marittima sulla gestione dei beni demaniali marittimi.
La nascita delle Regioni e l'evoluzione in senso federale dello Stato hanno portato a coordinare la gestione del demanio marittimo delineata nell'art. 30, c. n., con le sopravvenute esigenze economiche ed il mutato assetto territoriale
L'iniziale delega alle regioni delle funzioni relative all'utilizzazione dei soli beni demaniali marittimi che avessero carattere turistico-ricreativo, e dunque la potestà circoscritta all'assegnazione in concessione delle aree aventi tale destinazione, si è successivamente estesa anche alle zone portuali di rilevanza economica regionale e interregionale.
La ratio dell'originaria esclusione dalle funzioni amministrative delegate sia dei porti sia delle aree di preminente interesse nazionale era generalmente ravvisata nella corrispondenza tra attività di tutela, di modificazione e trasformazione di beni e diritti la cui titolarità era indiscutibilmente riferibile allo Stato.
Una simile configurazione del diritto di appartenenza statale comportava necessariamente l'attribuzione al titolare, e solo a questi, di ogni facoltà di disporre la fruizione del bene proprio in ragione dell'assolutezza del contenuto del proprio diritto.
Ad infrangere questo assetto dal contenuto perfetto per solennità ed assolutezza è intervenuta la Presidenza del Consiglio dei Ministri che, con parere del 2.5.1980, n. 66500/3.6, ha demandato alla competenza regionale le controversie in tema di innovazioni ed occupazioni abusive, con facoltà di esperire le azioni possessorie a tutela.
La riforma federale, iniziata dalla Bassanini e passata attraverso i d.lg. n.112 del 1998 e n. 96/99 ed i limiti da essi imposti in ordine al conferimento di funzioni in tema di concessioni, ha trovato pieno riconoscimento nella riforma del titolo V della Costituzione.
Il ristretto ambito del demanio turistico-ricreativo oggetto di delega di funzioni, timidamente introdotto dall'art. 59, d.lg. n. 616 del 1977, è stato ampliato con il d.lg. n. 112 del 1998 che ha dato voce e concretezza al nuovo assetto. Esso ha disposto un conferimento generale ed onnicomprensivo a regioni ed enti locali delle funzioni amministrative relative alla gestione delle vicende che interessano il demanio marittimo.
L'art. 105, 2° co., lett. l) del d.lg. n. 112/1998, nel testo modificato dall'art. 9 della l. n. 88 del 2001, prevede che siano conferite alle Regioni le funzioni relative al rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia; tale conferimento non opera nei porti finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale nonché nelle aree di preminente interesse nazionale, individuate con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21.12.1995.
Nei porti di rilevanza economica regionale ed interregionale il conferimento decorre dal 1.1.2002.
La disposizione relativa al conferimento alle Regioni delle funzioni in materia di gestione dei beni demaniali marittimi nei porti di rilevanza economica regionale ed interregionale a decorrere dal 1.1.2002 riproduce la formulazione dell'art. 4, 1° co., della l. 28.1.1994, n. 84, in materia di classificazione di porti, il quale, alla lett. d), prevede, tra gli altri, i porti di categoria II, classe III, individuabili, appunto, come porti di rilevanza economica regionale ed interregionale.
Alla crescita dello Stato in senso federale si è affiancato il processo di privatizzazione di settori particolarmente rilevanti (c.d. public utilities) quale quello delle imprese portuali.
Il percorso è stato successivamente e progressivamente segnato ed incentivato nel suo svolgimento dal prepotente ingresso della normativa comunitaria nell'ordinamento nazionale.
L'applicazione delle norme comunitarie in tema di concorrenza e gli interventi degli organi della Comunità sono alla base della privatizzazione dei servizi resi dalle imprese in ambito portuale e della progressiva modifica della disciplina marittima, legislativa e regolamentare, tradizionalmente orientata al riconoscimento del carattere pubblico (demaniale) del territorio e dell'insediamento dei porti, ma anche delle attività, seppure di carattere aziendalistico, ivi svolte.
In questa prospettiva assumono particolare significato gli interventi volti a separare lo svolgimento delle operazioni portuali, di competenza delle imprese private, dalla funzione di indirizzo e controllo di dette attività, affidata alle autorità portuali.





1.2. La legislazione regionale sarda in materia di utilizzazione dei litorali.

I piani di utilizzazione dei litorali sono stati introdotti nell'ordinamento statale dal d.l. 5.10.1993, n. 400, art. 6, conv. l. 4.12.1993, n. 494, recante disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime.
La norma stabilisce che ai fini del rilascio e del rinnovo delle concessioni demaniali le regioni sono tenute a predisporre, sentita l'autorità marittima, un piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo, dopo aver acquisito il parere dei sindaci dei comuni interessati e delle associazioni regionali di categoria, appartenenti alle organizzazioni sindacali più rappresentative dei concessionari marittimi.

Il Pul, Piano di Utilizzazione dei Litorali), che, ai sensi dell'art. 6, comma 3, l. 4.12.1993, n. 494, le regioni predispongono per l'utilizzazione delle aree del demanio marittimo, è funzionale al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime per finalità turistiche e ricreative, ma non può essere considerato quale atto di pianificazione urbanistica, al rispetto delle cui prescrizioni è subordinato il rilascio delle concessioni edilizie, in assenza del recepimento delle relative disposizioni negli ordinari strumenti urbanistici.
(T.A.R. Sardegna, 26.1.2004, n. 77, FATAR, 2004, 274).

Lo scarno dato legislativo, quantunque integrato dalle successive normative regionali, configura il P.U.L. come uno strumento settoriale destinato ad assolvere, nella prospettiva della migliore gestione del demanio marittimo d'interesse turistico-ricreativo, ad una funzione schiettamente programmatoria delle concessioni demaniali assentibili.
In Sardegna il sistema dei P.U.L., in coerenza con l'intervenuta delega alla regione autonoma delle funzioni amministrative in ordine all'utilizzo per fini turistici e ricreativi delle aree demaniali immediatamente prospicienti al litorale si articola in due differenti, ma coordinati, livelli di governo, essendovi previsti, oltre ad un Piano regionale di utilizzo delle aree demaniali marittime con valenza estesa alle fasce costiere dell'intero territorio regionale, anche dei piani di utilizzazione dei litorali di ambito locale, G.R. del. 14.1.1998, n. 17/1, e del. 23.3.1999, n. 17/20.
Nel suo insieme dunque l'articolazione dei piani mira a rendere compatibile l'offerta dei servizi turistici con le esigenze della salvaguardia e della valorizzazione di tutte le componenti ambientali dei siti costieri.

In Sardegna, il sistema dei piani di utilizzazione dei litorali si articola in due differenti, ma coordinati, livelli di governo, essendosi previsto, oltre ad un piano regionale di utilizzo delle aree demaniali marittime con valenza estesa alle fasce costiere dell'intero territorio regionale, anche dei piani di utilizzazione dei litorali di ambito locale, con l'effetto che, nel suo insieme, l'articolazione dei piani mira a rendere compatibile l'offerta dei servizi turistici con le esigenze della salvaguardia e della valorizzazione di tutte le componenti ambientali dei siti costieri, onde consentirne uno sfruttamento equilibrato ed ecosostenibile.
(Cons. St., sez. V, 21.6.2005, n. 3267, FACDS, 2005, f. 6,1797).

Le concessioni sono assentibili solo se vi è coincidenza fra i due strumenti pianificatori; in ogni caso prevale il piano comunale se i presunti contrasti con il piano regionale non sono fatti valere nei termini di decadenza del processo amministrativo.



1.2. La Conservatoria delle Coste.
La regione Sardegna in attesa di una legge organica, ha proceduto all’istituzione della Conservatoria delle Coste col compito di promuovere acquisizioni di terreni lungo i 1850 chilometri di costa dell’Isola, anche attraverso sottoscrizioni, lasciti, permute, da privati e da altri enti, e di tutelare questo patrimonio dai rischi ai quali è sottoposto.
A detta struttura è stato affidato il compito, con del. 26.7.2005, n. 36/1, di monitorare il patrimonio immobiliare regionale ricadente nella fascia costiera dei due chilometri, mediante l’acquisizione dei dati disponibili presso tutti gli Assessorati ed Enti regionali e di
attivazione la collaborazione con i Comuni costieri al fine di acquisire i dati disponibili riguardanti il loro patrimonio immobiliare ricadente nella fascia dei due chilometri accentrando i dati in un Data Base.
La Conservatoria fa capo ad Comitato Scientifico con sede presso la
Presidenza della Regione che deve pronunciarsi sulle varie ipotesi di dismissione ovvero di concessione del patrimonio costiero della Regione. Ad esso dovranno essere portati a conoscenza qualsiasi forma di disposizione dei beni del patrimonio immobiliare della Regione e degli Enti regionali, ricadenti nella fascia costiera dei due chilometri al fine di coordianre futuri intereventi.


2. L’accertamento della situazione dei confini.

Il demanio marittimo, cui appartengono quali beni naturali il lido del mare e la spiaggia, ha, a causa della continua azione delle correnti marine sulle coste, una conformazione mutevole. Proprio a causa di tale naturale mutevolezza il codice della navigazione, all'art. 32, c. n. prevede in capo alla autorità marittima un potere di accertamento della esatta delimitazione delle aree demaniali.

Poiché il demanio marittimo ha una conformazione mutevole a causa della continua azione delle correnti marine sulle coste, in caso di incertezza riguardo all'esatta delimitazione di esso è necessario procedere ad un accertamento della situazione dei confini, previo formale procedimento di delimitazione dell'area ai sensi dell'art. 32, c. n., e dell’art. 58, relativo regolamento di attuazione, in contraddittorio con gli interessati.

L’accertamento deve esercitarsi, anche d'ufficio, in contraddittorio con i privati proprietari ogni volta che vi sia una situazione di incertezza obiettiva in relazione alle linee di confine.

L'art. 32, 1° co., c. n., prevedendo che il capo del compartimento, quando sia necessario o quando comunque ritenga opportuno promuovere la delimitazione di determinate zone del demanio marittimo, inviti, nei modi stabiliti dal regolamento, le pubbliche amministrazioni e i privati che possono avervi interesse a presentare le loro deduzioni e ad assistere alle relative operazioni, non contempla un obbligo, ma una facoltà di carattere discrezionale, in capo all'autorità marittima, di procedere alla delimitazione del demanio, se ed in quanto ne ravvisi la necessità, vale a dire se ed in quanto vi siano ragionevoli dubbi in ordine al confine del demanio.

In casi ove sussista una obiettiva incertezza la giurisprudenza afferma la necessità di procedere ad un accertamento in contraddittorio della situazione dei confini adottato previo formale procedimento di delimitazione dell'area, ai sensi degli artt. 32 c.n. e 58 del relativo regolamento.
1. Il capo del compartimento, quando sia necessario o se comunque ritenga opportuno promuovere la delimitazione di determinate zone del demanio marittimo, invita, nei modi stabiliti dal regolamento, le pubbliche amministrazioni e i privati che possono avervi interesse a presentare le loro deduzioni e ad assistere alle relative operazioni.
2. Le contestazioni che sorgono nel corso della delimitazione sono risolte in via amministrativa dal direttore marittimo, di concerto con l'intendente di finanza, con provvedimento definitivo.
3. In caso di accordo di tutte le parti interessate il provvedimento del direttore marittimo dà atto nel relativo processo verbale dell'accordo intervenuto.
4. Negli altri casi il provvedimento deve essere comunicato, con i relativi documenti, al ministro dei trasporti e della navigazione, il quale entro sessanta giorni dalla ricezione può annullarlo con suo decreto, da notificarsi, entro i dieci giorni successivi, agli interessati per tramite del direttore marittimo.
5. In caso di annullamento, la risoluzione in via amministrativa della contestazione spetta al ministro dei trasporti e della navigazione, di concerto con quello per le finanze.
6. Nelle controversie innanzi alle autorità giurisdizionali, la tutela dei beni demaniali spetta esclusivamente al ministro per le finanze
(art. 32 c. n.).

Il regolamento del c.n. fissa le modalità per lo svolgimento delle operazioni di accertamento.

1. Il capo del compartimento notifica a coloro che possono avere interesse alle operazioni di cui all'articolo 32 del codice l'invito a intervenire alle operazioni stesse e a produrre i loro titoli.
2. La commissione delimitatrice è presieduta dal capo del compartimento o da un suo delegato e di essa fanno parte un rappresentante della intendenza di finanza ed uno dell'ufficio del genio civile.
3. La commissione procede alla data stabilita alla delimitazione anche se non interviene alcun interessato.
4. Dell'avvenuta delimitazione è redatto processo verbale, corredato dai piani e dagli altri disegni; tale verbale è firmato da tutti gli intervenuti e diviene obbligatorio per lo Stato, salvo il potere di annullamento attribuito al ministro dei trasporti e della navigazione dall'articolo
32 del codice, dopo che sia approvato dal direttore marittimo, di concerto con l'intendente di finanza.
5. Le spese sono sostenute per metà dallo Stato e per l'altra metà dai privati interessati. I privati devono effettuare un deposito presso la cassa dell'ufficio del compartimento nella misura da questo stabilita. Il deposito è liquidato secondo le norme dell'articolo
11.
(art.58 reg. c.n.).

La controversia è di pertinenza del giudice ordinario, in quanto la posizione che fa valere il soggetto che assume di essere proprietario dell'immobile è di diritto soggettivo.

Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda di accertamento dei confini tra terreno privato e demanio marittimo proposta dal privato nei confronti della p.a., avendo detta domanda per oggetto l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione del diritto soggettivo di proprietà privata rispetto alla proprietà demaniale.

Un orientamento giurisprudenziale afferma la giurisdizione amministrativa qualora il ricorso proposto contro una ingiunzione di sgombero di area demaniale lamenti lo scorretto esercizio dei poteri di autotutela dell'autorità marittima, in particolare sotto il profilo della omessa effettuazione della delimitazione del demanio marittimo, ai sensi dell'art. 32 c. nav. e dell'art. 58 del relativo regolamento di esecuzione: l'interessato non aveva, infatti, formulato siffatte censure, limitandosi a contestare la demanialità dell'area in questione (T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 8.9.2005, n. 1399, FATAR, 2005, f. 9,2984).




3. Le concessioni per l’utilizzo del demanio marittimo.

Lo strumento di liberalizzazione ed accesso al demanio pubblico è individuato dall'art. 36, c. n., nella concessione.
1. L'amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo.
2. Le concessioni di durata superiore a quindici anni sono di competenza del ministro dei trasporti e della navigazione. Le concessioni di durata superiore a quattro ma non a quindici anni, e quelle di durata non superiore al quadriennio che importino impianti di difficile sgombero, sono di competenza del direttore marittimo. Le concessioni di durata non superiore al quadriennio, quando non importino impianti di difficile sgombero, sono di competenza del capo di compartimento marittimo.
(art. 36, r.d. 30.3.1942, n. 327).

Essa, essendo costituita per ampliare la sfera giuridica del destinatario, si configura come provvedimento ultimo emesso dall'amministrazione al termine dell'iter di verifica della compatibilità tra la destinazione pubblicistica del bene e la sua utilizzazione individuale nonché dell'idoneità dell'atto concessorio ad incrementare le potenzialità di utilizzazione del bene.
L'emissione del provvedimento di concessione, dunque, non rappresenta un obbligo per l'amministrazione, ma figura come risultato di un giudizio ponderato che segue ad una valutazione comparativa dei diversi interessi coinvolti.
Con la concessione sorge un rapporto di diritto pubblico tra l'amministrazione concedente ed il concessionario che soggiace all'attività di vigilanza del concedente, comprensiva della potestà di effettuare controlli e della facoltà di irrogare sanzioni a tutela della primaria esigenza di garantire che il servizio dato in concessione a terzi sia svolto con regolarità e in conformità con il principio di buona amministrazione.
Le concessioni per l’utilizzo del demanio marittimo sono rilasciate seguendo la procedura indicata dal c.n. che impone un procedimento ad evidenza pubblica.

1. Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell'amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico.
2. Al fine della tutela dell'ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. È altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze. Qualora non ricorrano le ragioni di preferenza di cui ai precedenti commi, si procede a licitazione privata.
(art. 37, r.d. 30.3.1942, n. 327).

L’art. 18 del regolamento c.n. prevede un procedimento ad evidenza pubblica che si articola seconda l’importanza e la durata della richiesta di concessione.

Il centro focale del procedimento concessorio viene logicamente a situarsi nelle cosiddette operazioni comparative per la scelta di quel privato che offra maggiori garanzie di saper curare nel modo più congruo il pubblico interesse.
(Querci 1964, 99).

La procedura stabilita per le concessioni considerate rilevanti è soggetta a pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione o sui giornali visto che i Fogli degli annunci legali delle province sono stati aboliti, in base all'art. 31, l. 24.11.2000, n. 340.

1. Quando si tratti di concessioni di particolare importanza per l'entità o per lo scopo, il capo del compartimento ordina la pubblicazione della domanda mediante affissione nell'albo del comune ove è situato il bene richiesto e la inserzione della domanda per estratto nel Foglio degli annunzi legali della provincia.
(art. 18 d.p.r. 15.2.1952, n. 328, mod. art. 1, d.p.r. 18.4.1973, n. 1085, e art. 7, 1° nonies co., l. 27.2.1998, n. 30).
La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto rilevanti anche le concessioni che hanno una durata inferiore al decennio.

Una concessione di beni appartenenti al demanio marittimo di rilevante superficie, avente durata decennale, a fronte di un'ordinaria durata di 4 anni, deve essere considerata particolarmente rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 18 del regolamento di attuazione del Codice della navigazione (d.p.r. n. 328 del 1952); pertanto, la predetta concessione va considerata illegittima qualora l'amministrazione non abbia seguito la procedura prevista nella norma citata (pubblicazione dell'unica domanda pervenuta nell'albo del comune e nel foglio annunci legali della provincia), non potendosi ritenere sufficiente l'acquisizione del parere di un organo tecnico, considerato che la pubblicazione ha lo scopo non solo di suscitare avvisi ad opponendum, ma anche quello di favorire la partecipazione di altri eventuali interessati.
(Corte Conti, sez. contr., 21.7.1999, n. 57, DT, 2000, 538).

Il procedimento obbligatorio prevede la pubblicazione delle domande di partecipazione.

Ai sensi dell'art. 18 regolamento di attuazione del codice di navigazione, la pubblicazione delle domande di concessione di aree portuali costituisce obbligo procedimentale dell'autorità portuale, sulla base dell'apprezzamento obiettivo dell'importanza della concessione, escludendosi che al riguardo l'autorità predetta fruisca di minor potere discrezionale.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 17.12.2003, n. 1666, FATAR, 2004, 648).

La dottrina rileva che vi è la necessità che le modalità di pubblicazione siano realizzate con mezzi congrui, ex art. 7, l. n. 241 del 1990. (Sinisi 2004, 656).
Le garanzie di partecipazione, previste dall'art. 7 e ss. sono rispettate quando la disciplina per regolare specifici procedimenti sia idonea a garantire la possibilità di esercitare facoltà di informazione e intervento di spessore pari, o almeno sostanzialmente equivalente, a quello previsto da tale legge (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 11 giugno 2001, n. 2704, DT, 2003, 1062).
Ciò si verifica, dunque, anche per la procedura di rilascio delle concessioni demaniali di cui agli artt. 36 c. n. e 5 ss. reg. nav. mar.
La forma prescelta deve cioè rivelarsi idonea a garantire la partecipazione di qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati, nonché dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ex art. 9, l. 241 del 1990, cui possa derivare un pregiudizio dall'adozione del provvedimento.
La partecipazione si svolge attraverso poteri e facoltà ad essi riconosciuti, tra cui quelli di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare, ai sensi dell'art. 10, l. 241 del 1990.
La finalità della pubblicazione è, così come definita dal T.A.R., non solo quella di suscitare avvisi ad opponendum, ma anche e soprattutto nel favorire la partecipazione di altri interessati.
Nella giurisprudenza costante l'utilizzazione degli avvisi ad opponendum è stata ritenuta idonea a soddisfare le esigenze di pubblicità, e dunque a stimolare la presentazione di domande concorrenti coll’unico limite di fissare modalità e termini rigidi che escludono la possibilità di presentare nuove domande.

Il procedimento di comparazione fra domande concorrenti intese ad ottenere la concessione demaniale (nella specie, di un complesso turistico-balneare) è rigidamente disciplinato, in particolare, per le modalità ed i termini di presentazione al fine di consentire un'istruttoria, in contraddittorio, tramite la quale tutti gli interessati possono prospettare le proprie ragioni nonché presentare osservazioni ed opposizioni propedeutiche alla decisione risolutiva del Ministro; la qual cosa perciò, esclude l'eventualità che la Capitaneria, a tutela del prevalente interesse pubblico, possa ammettere alla comparazione una istanza nuova, a meno che non sia acquisita apposita autorizzazione del Ministro, ex art. 18, 6° co., reg. c. n.
(T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 7.12.1995, n. 576, FA, 1996, 2065).

Il procedimento comparativo in caso di pluralità di domande concorrenti, di cui all'art. 37, c. n., è dunque rigidamente disciplinato, per modalità e termini, al fine di consentire un'istruttoria in contraddittorio che garantisca a ciascuna delle parti la possibilità di prospettare le proprie ragioni, nonché di presentare deduzioni ed opposizioni propedeutiche all'adozione della decisione definitiva.
La giurisprudenza ha precisato che in caso di più domande di un bene appartenente al demanio marittimo deve essere preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e che proponga un uso del bene che, a giudizio discrezionale dell'amministrazione, risponda maggiormente all'interesse pubblico. (T.A.R. Liguria, sez. I, 17.12.2003, n. 1666, FATAR, 2004, 648).
Il regolamento c.n. precisa dettagliatamente le modalità della pubblicazione della domanda.

2. Il provvedimento del capo del compartimento che ordina la pubblicazione della domanda deve contenere un sunto, indicare i giorni dell'inizio e della fine della pubblicazione ed invitare tutti coloro che possono avervi interesse a presentare entro il termine indicato nel provvedimento stesso le osservazioni che credano opportune e che l'autorità decidente ha l'obbligo di valutare, dandone conto nella motivazione del provvedimento finale.
3. (abrogato).
4. In ogni caso non si può procedere alla stipulazione dell'atto se non dopo la scadenza del termine indicato nel provvedimento per la presentazione delle osservazioni e se, comunque, non siano trascorsi almeno venti giorni dalla data dell'affissione e dell'inserzione della domanda.
5. Nei casi in cui la domanda di concessione sia pubblicata, le domande concorrenti debbono essere presentate nel termine previsto per la proposizione delle opposizioni.
6. (abrogato).
7. Quando siano trascorsi sei mesi dalla scadenza del termine massimo per la presentazione delle domande concorrenti senza che sia stata rilasciata la concessione al richiedente preferito per fatto da addebitarsi allo stesso, possono essere prese in considerazione le domande presentate dopo detto termine.
8. (abrogato).
(art. 18, d.p.r. 15.2.1952, n. 328, mod. art. 1, d.p.r. 18.4.1973, n. 1085, e art. 7, 1° nonies co., l. 27.2.1998, n. 30).



4. I caratteri della concessione.

La concessione non è trasferibile senza il consenso del concedente.
L'art. 46, c.n., si limita a stabilire gli effetti giuridici del subingresso nella concessione, unitariamente intesa, con riguardo, al primo comma, al profilo soggettivo e, al secondo, a quello oggettivo.
Con riferimento alla vicenda soggettiva la norma, che coerentemente disciplina l' ipotesi di sostituzione non già di cessione previa formale domanda del concessionario, ribadisce l'indisponibilità dell'oggetto costituito dal titolo pubblico per sua natura sottratto alla negoziabilità inter-privatistica.
Con riferimento all’aspetto oggettivo la disposizione si limita invece a prevedere, ai fini del subingresso nella titolarità dell'uso esclusivo del bene demaniale, l'inopponibilità dell'acquisto dei beni strumentali per l'esercizio della concessione nei confronti dell'amministrazione concedente.

1. Quando il concessionario intende sostituire altri nel godimento della concessione deve chiedere l'autorizzazione dell'autorità concedente.
2. In caso di vendita o di esecuzione forzata, l'acquirente o l'aggiudicatario di opere o impianti costruiti dal concessionario su beni demaniali non può subentrare nella concessione senza l'autorizzazione dell'autorità concedente.
3. In caso di morte del concessionario gli eredi subentrano nel godimento della concessione, ma devono chiederne la conferma entro sei mesi, sotto pena di decadenza. Se, per ragioni attinenti all'idoneità tecnica od economica degli eredi, l'amministrazione non ritiene opportuno confermare la concessione, si applicano le norme relative alla revoca.
(art. 46 c.n.).

Nessuna disposizione di legge stabilisce espressamente il regime giuridico dei beni costruiti dal concessionario sul suolo demaniale. Effettivamente in giurisprudenza si ipotizza la proprietà superficiaria di cui all'art. 953, c.c.
Tuttavia, con riguardo alla concessione di edificare attribuita dall'amministrazione pubblica sul suolo demaniale, sulla base del presupposto che il bene demaniale non è suscettibile per sua natura di formare oggetto di diritti reali a favore di terzi, sicché non potrebbe mai darsi la proprietà superficiaria, nella più avvertita dottrina è parola di proprietà separata. In questa più coerente qualificazione, il concessionario acquista (solo) il diritto di costruire e mantenere la costruzione sul suolo demaniale in virtù del contratto ad effetti obbligatori accessivo alla concessione. È appena il caso di rilevare come tale configurazione sia la più rispondente all'interesse pubblico connesso all'uso dei beni demaniali solo che si abbia riguardo, a mero titolo di esempio, alla possibilità dell'amministrazione di rientrare nel possesso dei beni demaniali, e con essi delle opere realizzate dal concessionario, per sopravvenute esigenze pubbliche prima della naturale scadenza della concessione.
Il provvedimento concessorio condiziona infatti anche il titolo negoziale accessivo in base al quale il diritto di proprietà separata si è costituito.
In sintesi questo, diversamente dalla proprietà superficiaria, assume ab origine carattere limitato (o relativo in senso a-tecnico), cioè rigidamente circoscritto alla funzione per il quale è stato attribuito dall'amministrazione concedente: tanta da integrare uno dei casi di c.d. "proprietà funzionale".
Conseguentemente non è dato nemmeno astrattamente ipotizzare una sorta di concessione pubblicistica di secondo grado avente ad oggetto beni di proprietà ab origine privata né tantomeno un'autonoma fattispecie di subingresso in detti beni per effetto della loro alienazione al terzo acquirente: piuttosto, dal punto di vista dell'aderenza della forma giuridica alla realtà, l'inopponibilità all'amministrazione del negozio traslativo con il terzo è la conseguenza più adeguata per tradurre sul piano giuridico gli effetti previsti al secondo comma dell'art. 46, c. n.
Né è giuridicamente sostenibile un effetto reale differito posto che, per un verso, come già avuto modo di precisare, la concessione, quale titolo pubblicistico per l'uso del bene demaniale, è indisponibile da parte del concessionario; mentre, per l'altro, le singole opere e gli impianti possono essere oggetto di compravendita ove l'effetto reale fra le parti sia immediato anche se, in mancanza dell'autorizzazione prevista al secondo comma dell'art. 46, c.n., il negozio non è comunque opponibile all'amministrazione concedente ai fini del subingresso nella concessione

La concessione demaniale marittima, quale titolo pubblicistico per l'uso del bene demaniale, è indisponibile da parte del concessionario; mentre le singole opere e gli impianti possono essere oggetto di compravendita ove l'effetto reale fra le parti è immediato anche se, in mancanza dell'autorizzazione prevista al comma 2 dell'art. 46, c. nav., il negozio non è comunque opponibile all'amministrazione concedente ai fini del subingresso nella concessione.


4.1. Gli indennizzi per la concessione.

I canoni di concessione sono determinati dallo Stato e aggiornati sulla base degli indici ISTAT.
L’art. 32, l. 24.11.2003, n. 326, dà mandato al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di rideterminare i canoni annui già fissati con l. 4.12.1993, n. 494.
L’art. 8, l. 4.12.1993, n. 494, fissa il principio che gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo dei beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati in misura maggiorata rispettivamente del duecento per cento e del cento per cento rispetto all’indennizzo normale.
La l. 4.12.1993, n. 494, nel prevedere che per le utilizzazioni sine titolo di beni demaniali marittimi di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo ovvero per loro utilizzazioni difformi dal titolo concessorio sono dovuti, fin dall'anno 1990, indennizzi in misura rispettivamente tripla o doppia rispetto a quelli ordinariamente stabiliti, tende a scoraggiare l'utilizzazione abusiva dei beni demaniali marittimi ed il protrarsi di simili situazioni.
La ratio della norma è quella di salvaguardare, in quanto possibile, la corretta fruizione di tali beni destinati istituzionalmente al soddisfacimento di esigenze di tutta la collettività.
Per la giurisprudenza la norma integra il criterio del risarcimento del danno dovuto allo Stato proprietario ai sensi dell'art. 2043 c.c., con un nuovo sistema di determinazione degli indennizzi con prevalente carattere sanzionatorio. (Cons. St. , sez. III, 30.5.1995, n. 496, CS, 1998, I, 154).



4.2. La natura della concessione.

La concessione amministrativa può avere natura meramente obbligatoria o reale nel caso in cui sia anche ad aedificandum.
Al fine di stabilire se una concessione amministrativa ad aedificandum sia costitutiva di diritti di natura reale o meramente obbligatoria, è decisiva l'interpretazione complessiva - attribuita al giudice del merito, trattandosi di apprezzamenti di fatto - del titolo, e cioè dell'atto di concessione, e, in particolare, della disciplina relativa alla sorte delle opere costruite dal concessionario al momento della cessazione del rapporto concessorio.

La concessione amministrativa su beni demaniali o su beni indisponibili, al di fuori dei casi in cui la legge, esplicitamente o attraverso la specifica regolamentazione adottata, abbia predeterminato la natura del diritto conferito al concessionario, non attribuisce necessariamente a quest'ultimo diritti di consistenza reale, ma può attribuire anche diritti assimilabili a quelli personali di godimento non esclusi della previsione dell'art. 823 c.c. e pienamente compatibili con i poteri d'impiego dell'ente concedente a tutela dell'interesse pubblico. Di conseguenza, per stabilire nei singoli casi, anche al fine d'individuare l'aliquota dell'imposta di registro applicabile, se a favore del concessionario sia stato costituito un diritto di natura reale o personale, occorre accertare, con indagine da compiersi dal giudice del merito secondo i normali criteri d'interpretazione dei contratti e degli atti amministrativi, l'effettiva e concreta consistenza di quel diritto sulla base dell'intero contenuto della convenzione e delle sue clausole e, se separato, del provvedimento amministrativo di concessione.
(Cass. Civ., sez. I, 8.9.1983, n. 5527, in CTC, 1983, II, 1545).
.
Qualora l'atto di concessione preveda che, al momento della cessazione del rapporto, le opere costruite dalla Società concessionaria siano acquisite in proprietà dallo Stato senza indennizzo - e non, ad es., che le opere medesime avrebbero dovuto esser demolite a cura e spese del concessionario, con conseguente obbligo di restituzione del bene demaniale concesso nello stato originario - non può esservi dubbio, per le suesposte considerazioni, che la concessione de qua sia costitutiva del diritto di superficie a favore della Società concessionaria.
L’art. 41, c.n., prevede che il concessionario può, previa autorizzazione dell'autorità concedente, costituire ipoteca sulle opere da lui costruite sui beni demaniali.
L’art. 49, c. n., statuisce fra l'altro che, in mancanza di diversa previsione dell'atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato senza alcun compenso o rimborso.
La facoltà del concessionario di costituire ipoteca sulle opere dallo stesso costruite sul bene demaniale comporta che questa contenga la costituzione a favore della Società concessionaria di un diritto reale di godimento sulle opere medesime, ritenute peraltro di proprietà originaria dello Stato, ai fini della determinazione dell'aliquota dell'imposta di registro da corrispondere per la registrazione dell'atto di concessione.

Al fine di stabilire se una concessione amministrativa su di un bene appartenente al demanio marittimo sia costitutiva di diritti aventi natura reale o meramente obbligatoria, risulta decisiva la complessiva interpretazione - di competenza del giudice di merito, trattandosi di apprezzamenti di fatto - del "titolo" costitutivo del diritto e, cioè, dell'atto di concessione, con particolare riferimento alla disciplina relativa alla destinazione delle opere costruite dal concessionario al momento della cessazione del rapporto. Principio affermato dalla Corte in relazione ad una vicenda concessoria avente ad oggetto la temporanea occupazione e l'uso di uno specchio d'acqua del demanio marittimo allo scopo di costruire e mantenere una darsena da attrezzare ad approdo asservito ad attività cantieristica minore. Premessi i rilievi che, nell'atto di concessione, era stato previsto l'obbligo della società concessionaria di costruire una serie di opere funzionali all'attrezzatura della darsena; che il corrispettivo della concessione era determinato ad anno; che era facoltà della concessionaria la costituzione - previa autorizzazione della amministrazione - di ipoteca sulle opere costruite sui beni demaniali; che, in caso di decadenza, rinuncia o revoca della concessione, era prevista l'acquisizione in proprietà dello Stato delle opere - e non anche la loro demolizione al momento della cessazione del rapporto a cura e spese del concessionario - la S.C. ha ritenuto sussistere, nella specie, un rapporto concessorio costitutivo di un vero e proprio diritto di superficie in favore della società concessionaria, considerando, ancora, che a tale conclusione era legittimo pervenire anche in forza di una corretta interpretazione della disciplina di cui agli art. 46 c. nav. e 30 reg. es., dettati in tema di subingresso nella concessione e di vendita o esecuzione forzata con riferimento alle opere costruite dal concessionario.


5. Il diritto di insistenza.

L’art. 37, c.n., codifica il diritto di insistenza che privilegia nel rilascio delle istanze di concessione quelle che sono già state oggetto di concessione negli anni precedenti.

1. Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell'amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico.
2. Al fine della tutela dell'ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. È altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze. Qualora non ricorrano le ragioni di preferenza di cui ai precedenti commi, si procede a licitazione privata.
(art. 37 c.n.).

Il diritto di insistenza è un esempio di compromesso tra esigenze pubbliche e tutela dell'attività privata in virtù del quale si accorda la preferenza al titolare della concessione durante il precedente anno, in caso di rinnovo (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1021/2002).
Sulla natura e sulla legittimazione del diritto di insistenza l’interpretazione giurisprudenziale ha variamente detto che esso si identifica con l'interesse pubblico ad affidare lo sfruttamento del bene ad un soggetto esperto e, inoltre, che esso si collega direttamente all'esigenza di trarre dalla concessione demaniale marittima un adeguato corrispettivo.
L'opinione dominante sembra tuttavia essere quella che intravede nel diritto di insistenza una applicazione del principio di affidamento del cittadino, limitando la discrezionalità della p.a.

In sede di rinnovo di concessione demaniale marittima permane l'inderogabilità del principio dell'insistenza, che prevale anche su quello della licitazione privata.
(T.A.R. Liguria, sez. II, 31.10.2005, n. 1421).

La giurisprudenza ha ricostruito l'istituto accentuando la potestà amministrativa nei confronti dell’interesse del privato ovvero l’aspetto formale rimettendosi a quanto previsto dalla legge o dal contratto. (Perfetti 2003, 624).
La giurisprudenza s'è sforzata di limitare il diritto di insistenza, negandogli la natura di diritto soggettivo, subordinandolo alle valutazioni circa l'interesse pubblico. L’amministrazione è ritenuta comunque libera di individuare il concessionario con gara nei limiti della ragionevolezza.

Il diritto di insistenza ad una concessione demaniale derivante dall'avere detenuto il bene per svariati anni, non costituisce un diritto soggettivo, ma consiste nell'interesse del concessionario ad essere preferito ad altri aspiranti e, come tale, non è tutelato incondizionatamente, ma rappresenta solo un limite alla discrezionalità dell'amministrazione che, nel ponderare la scelta, deve tenere conto anche della situazione di colui che già si trova in detta posizione e che quindi potrebbe risentire un danno dalla cessazione dell'attività.
(T.A.R. Toscana, sez. I 11 marzo 2002 n. 461)

Secondo una differente prospettazione il diritto d'insistenza sarebbe la conseguenza della protezione dell'affidamento del privato e, quindi, verrebbe in particolare rilievo la valutazione del potenziale danno in capo allo stesso, determinato dal venire meno del presupposto della sua attività d'impresa senza che l'amministrazione ne abbia particolare vantaggio (rientrando per questa via la valutazione circa l'esistenza di terzi che sono in grado di assicurare condizioni più favorevoli).

Il diritto di insistenza tutela l’interesse del concessionario sicché l'amministrazione deve tenere conto della posizione di colui che già si trovava in detta posizione e che quindi potrebbe risentire un danno dalla cessazione dell'attività.
(Cons. St., sez. IV, 1.10.1993, n. 817).

Secondo una diversa prospettazione il diritto d'insistenza sussiste solo se ed in quanto previsto dalla legge (come nel caso del codice della navigazione) ovvero dal contratto.
La ricostruzione ha il pregio di evitare sia l'affermazione di una sorta di potere libero ed illimitato in capo all'amministrazione, che caratterizza il primo orientamento, carico di un evidente disfavore per il concessionario aspirante a fare valere un diritto che la legge di settore gli assicura, sia la ricostruzione del diritto di insistenza quale conseguenza dell'affidamento al privato, quasi che il mancato rinnovo equivalga ad una revoca della concessione.
Il Consiglio di Stato limita i contenuti del diritto di insistenza a quelle sole ipotesi nelle quali il diritto medesimo discenda dalla legge o dal contratto e quindi lo configura come un limite alla discrezionalità dell'amministrazione che però deve essere espressamente riconosciuto dalla legge o dall'autonomia delle parti.

Il cosiddetto "diritto d'insistenza", cioè l'interesse del precedente concessionario ad essere preferito rispetto ad altri aspiranti alla concessione, in quanto si configura come un limite alla discrezionalità dell'Amministrazione, deve essere espressamente riconosciuto dalla legge o dall'autonomia delle parti.

Non è configurabile disparità di trattamento nella circostanza in cui, in presenza di provvedimenti con i quali il Comune e la Capitaneria rinnovavano gli assensi in precedenza rilasciati in favore di altri operatori balneari, sia stata negata al ricorrente una nuova concessione demaniale marittima per la realizzazione di una struttura balneare.

L'art. 37, c. n., prevede che nel caso di più domande di concessione vada data preferenza al rinnovo delle precedenti concessioni rispetto alle nuove istanze e che l'attuale istante non ha dimostrato di offrire maggiori garanzie, rispetto ai precedenti concessionari, di proficua utilizzazione della concessione sotto il profilo del più rilevante interesse pubblico, condizione necessaria per superare la regola sul c.d. diritto di insistenza.
(T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 23.9.2003, n. 6182, FATAR, 2003, 2735).

Il diritto di insistenza può trovare un correttivo nella legislazione regionale poiché, con la l. cost. 18.10.2001, n. 3, il governo del territorio rientra tra le materie di legislazione concorrente, relativamente alle quali spetta alle regioni la potestà legislativa, con esclusione della determinazione dei principi fondamentali che è riservata allo Stato. I principi vigenti in materia non escludono la possibilità da parte delle regioni di prevedere una nuova tipologia di concessioni demaniali.

È manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 15, l. r. Abruzzo 17.12.1997, n. 141, nella parte in cui prevede, nell'attesa dell'approvazione del Piano del Demanio Marittimo, una tipologia di concessioni demaniali marittime (le concessioni a carattere stagionale o temporaneo senza diritto di insistenza) diversa da quella previste dalla legislazione nazionale, avente una durata limitata nel tempo e non di sei anni, senza il c.d. diritto al rinnovo - cioè la possibilità di rinnovare la concessione alla scadenza senza lo svolgimento di una nuova attività istruttoria - e senza il c.d. diritto di insistenza - cioè la preferenza riconosciuta al precedente concessionario.
A seguito della modifica del titolo V della Costituzione introdotto con la l. cost. 18.10.2001, n. 3, il governo del territorio rientra tra le materie di legislazione concorrente, relativamente alle quali spetta alle regioni la potestà legislativa, con esclusione della determinazione dei principi fondamentali, che è riservata allo Stato, e nella fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, i principi fondamentali della disciplina che la legislazione regionale deve rispettare sono, così come chiarito dall'art. 1, l. 5.6.2003, n. 131, quelli desumibili dalle leggi statali vigenti ed i principi vigenti in materia non escludono la possibilità da parte delle regioni di prevedere una nuova e diversa tipologia di concessioni demaniali.


6. La revoca di concessione.

La concessione come qualunque atto amministrativo è revocabile. La revoca ben può essere contestuale al rilascio di una nuova concessione sullo stesso bene del demanio marittimo.
La giurisprudenza ha affermato che l’autorità competente, nel predisporre il provvedimento di revoca, deve individuare il precipuo interesse pubblico alla revoca indiscriminata delle ricordate concessioni.
In particolare il rilievo pubblicistico delle finalità perseguite dall’ente concessionario deve indurre l’amministrazione procedente ad una più accurata ponderazione degli interessi coinvolti, al fine precipuo di individuare una soluzione che, pur corrispondendo alle esigenze connesse alla nuova situazione, comporti al contempo il minor sacrificio del soggetto inciso.
Nella specie si trattava di revoca di concessione rilasciata alla Lega navale italiana, ente pubblico preposto a servizi di pubblico interesse, ai sensi del capo IV della tabella allegata alla l. 20.3.1975, n. 70. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 6.4.2004, n. 2379, FATAR, 2004, 1168).
L'art. 42, 4° co., c.n. dispone che nelle concessioni che hanno dato luogo a costruzione di opere stabili l'amministrazione marittima, salvo che non sia diversamente stabilito, è tenuta a corrispondere un indennizzo pari al rimborso di tante quote parti del costo delle opere quanti sono gli anni mancanti al termine di scadenza fissato.
La disposizione, qualora le parti nulla abbiano previsto per il caso di anticipata revoca della concessione, ha determinato un criterio proporzionale, in base al quale il concessionario ha titolo a percepire un indennizzo, in considerazione del costo delle opere realizzate e da rimuovere.
La norma, peraltro, con l'espressione “salvo che non sia diversamente stabilito”, ha posto una regola di natura dispositiva e non cogente, attinente al contemperamento delle posizioni patrimoniali dell'amministrazione concedente e del concessionario: l'indennizzo spetta solo nel caso in cui le parti nulla abbiano previsto per l'ipotesi di revoca anticipata della concessione.
L'art. 42, c.n., pertanto, consente all'Amministrazione di prevedere nella concessione o nell'accordo ad essa collegato l'esclusione della spettanza dell'indennizzo ovvero di determinare criteri risarcitori per essa meno onerosi.
L'indennizzo previsto a favore del concessionario di area demaniale marittima per il caso di anticipata revoca della concessione non è dovuto nell'ipotesi in cui la cessazione della concessione sia stata stabilita fin dall'atto concessorio con riferimento a prestabilite esigenze dell'amministrazione e, in ogni modo, in tale atto sia stato escluso il diritto del concessionario a compensi, indennizzi o rimborsi di sorta.
Nel caso di specie è stato rilevato che la società concessionaria non è stata destinataria di un improvviso e inaspettato provvedimento di revoca, ma ben sapeva che vi sarebbe stata la anticipata perdita degli effetti della concessione, così come già da essa previsto, anche in relazione all'evento che si sarebbe verificato quando fossero divenuti improrogabili i lavori di realizzazione della nuova darsena toscana, la cui rilevanza ed il cui andamento erano ben noti alla società sia perché la stessa era operante sul luogo sia perché essi erano stati valutati nella loro complessità dalle parti, anche in sede di conclusione dei loro accordi. (Cons. St. , sez. VI, 06.7.2000, n. 3775).



7. I vincoli di rispetto delle distanze dal demanio marittimo.

L’art. 55, r.d. 327/1942, impone per l’esecuzione di nuove opere il limite di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare e sottopone i lavori a previa autorizzazione del capo del compartimento marittimo (Assini e Mantini 1997, 536).

Al demanio marittimo appartiene anche la spiaggia, la quale normalmente è priva, verso la terra, di limiti determinati dipendendo la esclusione o la esistenza di essa dalla natura dei luoghi e dalla marea.
I 30 m., di cui all'art. 55, c. n., entro i quali è necessario ottenere l'autorizzazione del capo compartimento marittimo per eseguire nuove opere, vanno misurati non dal limite del lido, ma da quello della spiaggia
(Cons. Stato, sez. V, 19.5.1978 n. 570, RGE, 1978, I, 801).

Detta disposizione è stata successivamente aggiornata dalla legislazione regionale - come, ad esempio, dalla l. r. Sardegna n. 80 del 1976.
La legislazione regionale ha superato le censure di illegittimità costituzionale in quanto la giurisprudenza ha riconosciuto che si tratta di norme conformative di beni che hanno caratteristiche comuni.

I beni di particolare valore ambientale e paesaggistico hanno caratteristiche tali da far ritenere coessenziali alla loro stessa natura limiti in via generale imposti alla concorrente facoltà di godimento del proprietario; limiti che gli organi amministrativi competenti possono solo esplicare in riferimento a casi concreti, sulla base di valutazioni tecnico–discrezionali; si tratta, pertanto, di vincoli derivanti dal regime ordinario di tali beni, che in nessun caso possono assumere valore espropriativo; non sussiste, dunque, la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 42, cost., dell'art. 14, l. r. sarda n. 17 del 19 maggio 1981, che prevede il divieto di eseguire costruzioni a distanza inferiori a 150 metri dal mare
(Cons. Stato, sez. V, 27.10.1986, n. 576, RGE, 1987, I, 243).

La giurisprudenza ha stabilito la tassatività del vincolo anche per zone che risultino già compromesse da precedenti interventi edilizi. Le nuove norme, infatti, non possono essere derogate per il fatto che il sito risulti già compromesso.

Il divieto posto dalla l. r. Campania 13.5.1974, n. 17, e successive proroghe, di edificare lungo la fascia costiera ad una distanza inferiore a m. 500 dal mare, non può essere superato dalla circostanza che le nuove costruzioni si inseriscono in insediamenti già esistenti nel centro abitato, essendo volto a mantenere l'assetto urbanistico esistente
(Cons. Stato, sez. V, 1.2.1989 n. 82, FA, 1989, 143).

Unica deroga all’applicazione del vincolo delle distanze è stata ammessa per le autorizzazioni già rilasciate i cui lavori siano regolarmente iniziati entro il tempo massimo di scadenza del provvedimento assentivo.

Il divieto di eseguire costruzioni ed opere di urbanizzazione nel demanio marittimo o comunque a distanza superiore a 150 m. dal mare, previsto dalla l. reg. Sarda n. 80 del 1976, non si applica alle licenze edilizie regolarmente rilasciate ai sensi dell'art. 10, l. 765 del 1967, e i cui lavori siano stati iniziati e vengano contemplati entro il termine di tre anni. Peraltro non possono ritenersi licenze regolarmente rilasciate quelle per le quali il nulla osta del soprintendente ai monumenti sia intervenuto dopo l'entrata in vigore della legge dato che dette licenze o dovevano ritenersi illegittime o comunque esposte al rischio di sfavorevoli sopravvenienze normative sino a che non fosse stato rilasciato il nulla osta.
(Cons. Stato, sez. V, 30.10.1979, n. 670, FA, 1979, I, 1857).

L'Amministrazione preposta alla tutela dei beni del demanio marittimo ha la facoltà in ogni momento di provvedere alla delimitazione di determinate zone del demanio stesso, ai sensi dell'art. 32, c. nav., quando appaia necessario - o comunque soltanto opportuno - estendere il regime di vincolo (Cons. giust. amm. Sic., 8.8.1998, n. 456, CS,
1998, 1227).
Il limite di rispetto è stato successivamente aggiornato ed è stato portato a trecento metri dalla legge Galasso.


8. Le autorizzazioni per opere su zone demaniali.

I beni del demanio marittimo sono protetti da disposizioni che vietano - senza autorizzazione dell’autorità competente - l’esecuzione di nuove opere entro una determinata zona di rispetto (Mengoli 2003, 547).

1. L'esecuzione di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare è sottoposta all'autorizzazione del capo del compartimento.
2. Per ragioni speciali, in determinate località la estensione della zona entro la quale l'esecuzione di nuove opere è sottoposta alla predetta autorizzazione può essere determinata in misura superiore ai trenta metri, con decreto del Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato.
3. L'autorizzazione si intende negata se entro novanta giorni l'amministrazione non ha accolto la domanda dell'interessato.
4. L'autorizzazione non è richiesta quando le costruzioni sui terreni prossimi al mare sono previste in piani regolatori o di ampliamento già approvati dall'autorità marittima.
5. Quando siano abusivamente eseguite nuove opere entro la zona indicata dai primi due commi del presente articolo, l'autorità marittima provvede ai sensi dell'articolo precedente.
(art. 55 c.n.)

L'autorizzazione, prevista dall'art. 55, c. n., dell'autorità marittima è richiesta anche nel caso in cui le opere siano edificate su area a confine del demanio marittimo, compresa nel piano regolatore generale comunale fra le aree edificabili, previa approvazione del piano stesso da parte della competente capitaneria di porto. (Cons. St., sez. VI, 8.3.2000, n. 1174, FA, 2000, 928).
Anche qualora sia stato approvato dalla Regione lo strumento edilizio in virtù del quale l'area de qua è stata inserita in zona edificabile è necessaria l'autorizzazione della Capitaneria di Porto, anche se detto organo è gerarchicamente subordinato agli organi della Regione che hanno approvato lo strumento Urbanistico.
La giurisprudenza ha ritenuto che, anche nel caso in cui lo strumento urbanistico contempli genericamente la possibilità di realizzare una costruzione nella zona, non può ritenersi che la generica previsione di realizzazione di costruzioni nella zona, e la qualificazione dell'area quale zona di completamento, comporti, automaticamente, la possibilità di ingrandimento mediante realizzazioni di pertinenze sempre più invasive della zona di confine prescindendo dalla autorizzazione della Capitaneria di Porto, relativamente alle opere concretamente realizzate, Detto provvedimento autorizzativo deve accertare l'effettivo inserimento dell'opera specifica nella previsione generale (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 14.6.2005, n. 995, FATAR, 2005, 6 2189).
La Regione, in relazione ad una istanza rivolta alla Capitaneria di Porto per il rilascio di una concessione demaniale marittima, può legittimamente richiedere che la pratica sia trasmessa per parere alla Soprintendenza, soggetto diverso da quelli elencati dal regolamento di esecuzione del codice della navigazione, in considerazione della obiettiva consistenza paesaggistica ed ambientale degli interessi coinvolti.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza non può escludersi per l'Amministrazione la possibilità, nel corso dell'iter procedimentale, di acquisire pareri da parte di soggetti idonei, per competenza ed esperienza, ad illuminare l'espletamento delle proprie funzioni (Cons. St., sez. VI, 20.10.2004, n. 6885).
Le determinazioni dell’amministrazione non possono essere censurate per disparità di trattamento.
La circostanza che la p.a. abbia nel tempo rilasciato in quel tratto di costa altre concessioni demaniali non comporta, ovviamente, la necessità di accogliere ogni ulteriore richiesta in tal senso. Nel caso di specie si è negato di aumentare la porzione di spiaggia destinata agli stabilimenti balneari a discapito di quella cosiddetta libera, operando un equilibrato bilanciamento fra le varie destinazioni d'uso nel complessivo assetto del litorale. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 8.9.2005, n. 4175, FATAR, 2005, 9 295).
La giurisprudenza ammette anche la richiesta di un’autorizzazione in sanatoria nel caso in cui essa possa essere richiesta legittimamente, secondo le disposizioni di piano vigenti al momento della domanda.

Nel caso in cui, a fronte di opere realizzate entro la fascia di rispetto del demanio marittimo, sia stata chiesta l'autorizzazione in sanatoria ai sensi dell'art. 55 c. n., la p.a. non può procedere ad emettere ingiunzione di sgombero se non si sia prima pronunciata sull'istanza di autorizzazione in sanatoria avanzata dal privato.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 17.5.2005, n. 676, FATAR, 2005, f. 5, 1450).


9. La tutela amministrativa del demanio marittimo.

La tutela che l'ordinamento accorda ai privati deve garantire che l'interesse pubblico sia salvaguardato anche a discapito dei ricorrenti.
L’art. 54, c. n., consente alla pubblica amministrazione di disporre la rimessione in pristino in tema di innovazioni ed occupazioni abusive.

1. Qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il capo del compartimento ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino entro il termine a tal fine stabilito e, in caso di mancata esecuzione dell'ordine, provvede di ufficio a spese dell'interessato.
(art. 54 c.n.).

L’azione repressiva non necessita di una specifica motivazione essendo essa implicita

L'esercizio dei poteri postulati dall'art. 54 c. n. non richiede alcuna particolare motivazione sul pubblico interesse raffrontato con quello dei privati in quanto la prevalenza dell'interesse pubblico alla salvaguardia del bene demaniale è stata implicitamente affermata dal legislatore allorché ha sancito il carattere dovuto del ripristino dello status quo ante.
(T.A.R. Puglia, sez. I, 5.5.1994, n. 259, T.A.R., 1994, I, 2828).

Il provvedimento con il quale si ordina la demolizione di opere realizzate senza preventiva autorizzazione nella fascia di intercapedine confinante con il demanio marittimo non deve necessariamente contenere un'esplicita motivazione in ordine all'interesse pubblico perseguito, in quanto lo stesso legislatore ha già individuato tale interesse, ritenendolo prevalente rispetto a quello dei confinanti col bene demaniale e configurando proprio per questo il diritto di questi ultimi con un contenuto meno ampio dell'ordinamento di diritto di proprietà (T.A.R. Marche, 7.7.2000 n. 1147, DT, 2001, 873).

In caso di incertezza riguardo all'esatta delimitazione del demanio marittimo, vista la sua conformazione mutevole a causa della continua azione delle correnti marine sulle coste, è necessario procedere ad un accertamento della situazione dei confini.
Si deve esperire preventivamente il formale procedimento di delimitazione dell'area ai sensi dell'art. 32, c. n., e dell’art. 58 del relativo regolamento di attuazione, in contraddittorio con gli interessati.
La giurisprudenza ha ritenuto, pertanto, illegittima l'ordinanza di demolizione di opere abusive realizzate su area demaniale marittima emessa in assenza di atto di accertamento, ma solo sulla base di un rapporto della capitaneria di porto fondato su vecchie mappe, senza contraddittorio con i proprietari (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 20.6.2005, n. 1116, FATAR, 2005, f. 6, 2176).


9.1. La competenza statale.

Si discute della competenza statale in materia di tutela del demanio marittimo nel caso in cui vi siano stati trasferimenti di competenza alle regioni su detta materia.
L'art. 46, d.p.r. 19.6.1979, n. 348, ha disposto, infatti, il trasferimento, in capo alla Regione autonoma della Sardegna, della gestione dei beni del demanio marittimo.
La giurisprudenza ha precisato che si tratta di una mera delega di compiti, senza trasferire il diritto domenicale sulle aree interessate; pertanto, gli organi statali istituzionalmente competenti conservano il potere di agire a tutela del diritto di proprietà pubblica. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 2.8.2005, n. 1737, FATAR, 2005, n. 7/8, 2619).
Ai sensi dell'art. 46, d.p.r. 19.6.1979, n. 348, la competenza in ordine all'esercizio del potere di cui si discute spetta alla Regione.
La norma attua una mera delega di compiti, senza trasferire il diritto dominicale sulle aree interessate; gli organi statali conservano il potere d'agire a tutela del diritto di proprietà pubblica.
Gli organi statali non possono disporre autonomamente dei beni trasferiti alla Regione perché questa li gestisca al meglio, in vista dell'utilizzo turistico e ricreativo preso in considerazione dall'art. 46, 1° co., d.p.r. n. 348/1979; possono, invece, agire per impedire utilizzazioni abusive degli stessi beni, oggetto della delega.
La censura deve, pertanto, essere respinta.
L'Autorità marittima non deve in tal caso richiedere il parere delle altre Autorità interessate.
Occorre infatti considerare che il potere di polizia marittima che in questo giudizio è contestato trova il suo fondamento nell'esigenza di tutela del diritto dominicale di cui l'Autorità Marittima è depositaria.
Il d.p.r. 19.6.1979, n. 348 ha attuato una mera delega di compiti e non il trasferimento del diritto di proprietà sui beni interessati.
Perciò, non vi è alcuna ragione di diritto per ritenere che l'Amministrazione abbia l'onere di richiedere pareri altrui, essendo essa titolare del diritto dominicale sulle aree interessate.



9.2. La giurisdizione amministrativa.
Il giudice amministrativo ha la giurisdizione sulle controversie proposte da coloro che, avendo partecipato alla procedura di assegnazione della concessione, si ritengano lesi nel loro interesse legittimo all’assegnazione medesima. Vedi Cap. XIII.
La giurisprudenza non ha ritenuto direttamente impugnabile il parere espresso dal comitato portuale poiché non è atto definitivo della procedura.

In sede di procedimento diretto al rilascio della concessione di area demaniale marittima, non è configurabile un onere di immediata impugnazione del parere espresso dal comitato portuale ai sensi dell'art. 8, 3° co., lett. f), l. 28.1.1994, n. 84, trattandosi di atto endoprocedimentale, obbligatorio ma non vincolante, come tale non autonomamente lesivo.

Il soggetto che abbia partecipato a una procedura di comparazione in base all'art. 18 del regolamento della navigazione marittima, al fine di ottenere una concessione, poi ridotta ad anticipata occupazione del bene demaniale, ai sensi dell'art. 38 c. n., presentando un progetto di intervento relativo a una determinata zona del più vasto ambito demaniale in concorso, che non è stato fra quelli prescelti dall'Autorità portuale, ben può impugnare l'atto che contiene l'autorizzazione all'anticipata occupazione, anche per vizi concernenti l'assegnazione ai soggetti autorizzati per aree diverse da quella da lui domandata. Questo è configurabile sia per evidenti ragioni di utilità strumentale, al fine di rimettere in discussione l'intera procedura, sia anche per il carattere unitario del procedimento comparativo da cui ha avuto origine la selezione delle domande ritenute più meritevoli che non può essere scomposto in singoli segmenti, ciascuno relativo a una delle istanze prescelte, tanto più che, nella specie, la suddivisione in zone, la loro destinazione, e talora, anche l'assegnazione ad esse di alcune domande, sono state fatte d'ufficio (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 23.8.2004, n. 532, FATAR, 2004, 1972, 2019).


10. Il demanio portuale. Limiti.

Il porto appartiene al demanio marittimo.
La giurisprudenza ha precisato che la nozione di porto, cui fa riferimento l'art. 28 c. n., presuppone una realtà che deve esistere naturalmente, e come tale assolvere alla funzione sua propria, anche senza opere di adattamento o perfezionamento.
Con tale nozione si intende il tratto di mare chiuso che per la sua particolare natura fisica e atto al rifugio, all'ancoraggio ed all'attracco delle imbarcazioni provenienti dall'alto mare. (Cons. St., sez. VI, 27.3.2003, n. 1601, FACDS, 2003, 1108).
Nel concetto di porto non rientrano i cosiddetti porti interni, ricavati artificialmente, siano essi canali, fluviali o lacuali.
La giurisprudenza esclude che i bacini interni artificiali, anche se collegati attraverso aperture direttamente al mare, abbiano natura demaniale marittima.

Non può annoverarsi tra i beni del demanio marittimo il canale che realizza la comunicazione di una darsena privata con il mare in quanto non assolve ad un uso pubblico.
A maggior ragione, ove tale collegamento avvenga attraverso fiumi, laghi, o canali anche demaniali non si può parlare di porti, alla stregua della previsione dell'art. 822 c.c.
La possibilità che esistano darsene private permane anche volendo considerare tali bacini come una sorta di piccoli laghi, stante la previsione dell'art. 943 c.c., che riconosce espressamente che può esserci una proprietà privata su laghi e stagni.
L’esistenza di darsene private non trova ostacolo nemmeno nell'art. 56 c. n., che riguarda i porti e gli approdi, adibiti al pubblico servizio della navigazione interna su laghi, fiumi e canali.
I porti e gli approdi interni possono essere anche non adibiti al pubblico servizio ed avere perciò natura privata.
Non vi è alcuna ulteriore indicazione che faccia ritenere necessaria una loro appartenenza al pubblico demanio.
Quanto alla disposizione prevista dall’art. 28, lett. b), c. n., che fa rientrare nel demanio marittimo le lagune, le foci dei fiumi, i bacini di acque salse o salmastre che comunichino direttamente con il mare, essa semplicemente intende affermare la demanialità degli acquisti irreversibili compiuti dal mare, in linea con la tradizione giuridica di numerose legislazioni europee.
È ovvio che, per dar luogo alla demanialità dei suddetti specchi d'acqua salsa o salmastra, è necessario che avvenga una ricorrente invasione del mare mediante la sommersione della costa o attraverso amplissime aperture naturali.
Quando si tratti di bacini creati artificialmente con uno scavo e riempiti d'acqua marina, comunicanti con il mare solo mediante canali, anche stretti, non si può parlare di laguna e, tanto meno, di bacini naturali comunicanti liberamente con il mare.


10.0. Le darsene.

Le opere indicate all'art. 5, 2° co., d.m. n. 343/1998, vale a dire i canali di comunicazione con il mare e gli specchi acquei portuali realizzati in base a concessione, unitamente alle relative sponde, sono state considerate, ai sensi della normativa vigente quali elementi del demanio marittimo.
1. Le aree non demaniali marittime e gli impianti, i manufatti e le opere sulle stesse edificati, anche se compresi nel perimetro del porto turistico definito con l'atto di concessione, conservano la loro natura giuridica preesistente, indipendentemente dalle trasformazioni strutturali e funzionali dei luoghi.
2. La previsione del comma 1 non si applica ai canali di comunicazione con il mare, agli specchi acquei portuali realizzati in base alla concessione né alle relative sponde, per l'ampiezza di banchina ritenuta dall'autorità concedente tale da assicurare la funzione portuale delle strutture e comunque non inferiore a metri sei dal ciglio. Le opere di cui al presente comma assumono immediatamente la qualificazione demaniale marittima ai sensi dell'
articolo 28 del codice della navigazione e ad esse, in deroga a quanto disposto dall'articolo 1, comma 2, si applica il canone indicato nell'articolo 1, comma 1, per le opere di difficile rimozione, fino alla scadenza del titolo concessorio (1) .
(art. 5, 2° co., d.m. n. 343/1998. Il 2° co., è stato annullato dal Cons. St., sez. VI, 27.3.2003, n. 1601).
Detta impostazione non è stata condivisa dalla giurisprudenza.
Secondo la giurisprudenza le darsene costruite a secco su aree private e nei canali di comunicazione con il mare realizzati in funzione delle stesse darsene non possono essere comprese in alcuna delle categorie dei beni del demanio marittimo naturale, così come elencate nell'art. 28, c.n., e art. 822, c.c.

Le opere indicate nell'art. 5, 2° co., d.m. n. 343 del 1998 - che si identificano in pratica nelle darsene costruite "a secco" su aree private, e nei canali di comunicazione con il mare realizzati in funzione delle stesse darsene - non possono essere comprese in alcuna delle categorie dei beni del demanio marittimo naturale, così come elencati nell'art. 28 c. n. (oltre che nell'art. 822, 1° co., prima parte, c.c.) e neppure tra i beni del demanio marittimo artificiale, di cui al successivo art. 29 c. nav.

La dottrina ritiene che non è più ipotizzabile la tesi di uno Stato in posizione di mera difesa dei beni demaniali.
Il suo ruolo oggi è mutato trasformandosi in una posizione attiva che deve favorire un'utilizzazione più vasta e diffusa dei beni demaniali.
Deve essere questo il nuovo modo di intendere il rapporto del cittadino nei confronti dei beni demaniali, secondo il paradigma costituzionale di uno Stato inteso come comunità (Scoca e Forza 2003, 1117).


10.1. Il procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto.

Il regolamento approvato con d.p.r. 2.12.1997, n. 509, disciplina, nel rispetto dei princìpi di cui all'art. 20, l. 15.3.1997, n. 59, il procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto, il procedimento di approvazione dei relativi progetti, nonché gli altri procedimenti che risultano strettamente connessi o strumentali.
Sono oggetto di domanda i porti turistici, l’approdo turistico e il punto d’ormeggio come definiti dal regolamento.

1. Sono strutture dedicate alla nautica da diporto:
a) il "porto turistico", ovvero il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire unicamente o precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari;
b) l'"approdo turistico", ovvero la porzione dei porti polifunzionali aventi le funzioni di cui all'art. 4, comma 3, della l. 28.1.1994, n. 84, destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari;
c) i "punti d'ormeggio", ovvero le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all'ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto.
2. La concessione demaniale marittima per la realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto di cui al comma 1, lettere a ) e b ), è rilasciata:
a) con atto approvato dal direttore marittimo, nel caso di concessioni di durata non superiore a quindici anni;
b) con atto approvato dal dirigente generale preposto alla Direzione generale del demanio marittimo e dei porti del Ministero dei trasporti e della navigazione, nel caso di concessioni di durata superiore a quindici anni.
3. Qualora la concessione ricada nella circoscrizione territoriale di una autorità portuale, è rilasciata dal presidente ai sensi dell'art. 8, comma 3, lettera h ), della l. 28.1.1994, n. 84, e l'attività istruttoria di competenza dell'autorità marittima è curata dal segretario generale.
(art. 2, d.p.r. 2.12.1997, n. 509).

Ai sensi dell'art. 3 d.p.r. 2.12.1997, n. 509, spetta all'autorità portuale locale decidere sull'istanza di concessione di aree appartenenti al demanio marittimo. (Cons. St., sez. VI, 21.5.2001, n. 2809, DT, 2002, 654).

1. Chiunque intenda occupare zone del demanio marittimo o del mare territoriale o pertinenze demaniali marittime o apportarvi innovazioni allo scopo di realizzare le strutture dedicate alla nautica da diporto di cui all'articolo 2, lettere a) e b) , deve presentare domanda al capo del compartimento marittimo competente per territorio, dandone comunicazione al comune.
2. La domanda, redatta su modello approvato dal Ministero dei trasporti e della navigazione, deve essere corredata da un progetto preliminare, redatto ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della l. 11.2.1994, n. 109, che definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori ed il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire. Contiene inoltre uno studio con la descrizione del progetto ed i dati necessari per individuare e valutare i principali effetti che il progetto può avere sull'ambiente, ai fini della verifica di cui all'articolo 10 del d.p.r. 12.4.1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 7.9.1996.
3. La cartografia di riferimento per la individuazione a fini amministrativi di aree, opere ed altri elementi di interesse sulle zone demaniali marittime e sulla fascia di rispetto di cui all'articolo 55 del codice della navigazione è quella catastale revisionata prodotta in sede di costituzione ed aggiornamento del sistema informativo del demanio marittimo, di cui alla l. 11.2.1991, n. 44.
4. La localizzazione è effettuata mediante rilievi topografici con precisione catastale tali da identificare, mediante angoli e distanze rispetto a punti materializzati riferiti a capisaldi noti, il perimetro della concessione.
5. Tutta la documentazione tecnica a corredo dell'istanza, nonché quella prodotta nel corso del procedimento deve essere firmata da un ingegnere iscritto all'albo.
(art. 3, d.p.r. 2.12.1997, n. 509, mod. art. 39, l. 7.12.1999, n. 472).
La giurisprudenza ritiene che, nell’esaminare un progetto relativo a un porto turistico o al suo ampliamento, non si può prescindere dal considerare tutto il complesso delle opere occorrenti, siano esse a mare ovvero a terra. Tale interpretazione è basata non solo sul fatto che l'art. 2, 1° co., d.p.r. 2.12.1997, n. 509, comprende nella nozione di porto turistico sia le opere a mare che quelle complementari realizzate a terra, ma anche sul motivo che interessarsi delle sole opere a mare, e con ciò limitare ad esse il progetto, rinviando a un secondo tempo la progettazione delle opere a terra, potrebbe, in contrasto con il principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 cost., precostituire una situazione tale da rendere in prosieguo inevitabile il compimento di opere a terra, la cui realizzazione potrebbe trovare ostacoli non facilmente sormontabili. (T.A.R. Lazio Latina, 16.12.2002, n. 1456, FATAR, 2002, 12).
La procedura impone all’autorità amministrativa di pubblicare la domanda del concessionario per metterla a confronto con altre eventuali richieste di pari oggetto sul medesimo bene.
La norma sottopone, infatti, le concessioni di beni pubblici ai principi dell'evidenza pubblica che impongono l'espletamento di una gara tra più soggetti interessati, anche nella ipotesi in cui il procedimento inizi non già per volontà dell'amministrazione, bensì sulla base di una specifica richiesta di uno dei soggetti interessati all'utilizzo del bene.
Il procedimento consente ad un imprenditore di operare sul mercato in vista di una possibilità di lucro, con conseguente necessità di assicurare una procedura competitiva ispirata ai principi comunitari di trasparenza e non discriminazione. (Corte Conti , sez. contr., 13.5.2005, n. 5, RCC, 2005, 3, 1).

1. Il capo del compartimento, entro venti giorni dalla ricezione della domanda, ne ordina la pubblicazione mediante affissione nell'albo del comune ove è situato il bene richiesto e la inserzione per estratto nel foglio degli annunzi legali della provincia.
2. L'ordine di pubblicazione della domanda indica i giorni dell'inizio e della fine della pubblicazione e l'invito a tutti coloro che vi hanno interesse a presentare, entro un termine che non può essere inferiore a trenta né superiore a novanta giorni, le osservazioni che credano opportune e che le amministrazioni partecipanti al procedimento hanno l'obbligo di valutare, dandone conto nella motivazione del provvedimento finale, ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento.
3. Eventuali domande concorrenti con quella pubblicata vanno presentate, a pena d'inammissibilità, entro il termine previsto per la presentazione delle opposizioni e sono pubblicate ai soli fini della eventuale presentazione delle osservazioni di cui al comma 2.
(art. 4, d.p.r. 2.12.1997, n. 509).



10.2. Il ruolo dell’ente locale. La conferenza di servizi.

Il sindaco del Comune, nel cui ambito ricade l'area demaniale, è l'autorità cui spetta promuovere la conferenza di servizi per l'esame dei progetti preliminari.
L’art. 5, 2° co., d.p.r. 2.12.1997, n. 509, seleziona le amministrazioni che debbono parteciparvi; la norma individua per ciascuna di esse lo specifico interesse di rilievo pubblico in raffronto al quale il progetto che ricade sul demanio marittimo deve essere valutato.

1. Esperita la pubblicazione, le istanze pervenute, corredate della relativa documentazione, sono trasmesse a cura dell'autorità marittima, entro trenta giorni, al sindaco del comune interessato.
2. I progetti preliminari sono sottoposti all'esame di una conferenza di servizi promossa dal sindaco entro trenta giorni dalla ricezione delle istanze, alla quale sono chiamati a partecipare:
a) la regione, per la ammissibilità sotto il profilo urbanistico e pianificatorio, per la verifica di cui all'art. 10 del d.p.r. 12.4.1996, nonché per l'autorizzazione ai sensi dell'art. 7 della l. 29.6.1939, n. 1497, ove non delegata agli enti locali;
b) il comune, per l'ammissibilità sotto il profilo urbanistico edilizio;
c) la circoscrizione doganale, ai fini dell'autorizzazione di cui all'articolo 19 del d. lg. 8.11.1990, n. 374;
d) l'autorità competente al rilascio della concessione demaniale marittima ai sensi dell'art. 2, comma 2;
e) l'ufficio del genio civile opere marittime, ai fini della valutazione sull'idoneità tecnica delle opere;
f) l'ufficio del territorio del Ministero delle finanze, per gli aspetti dominicali;
g) altre amministrazioni che, in forza di leggi, regolamenti o appositi provvedimenti amministrativi, risultino preposte alla tutela di specifici interessi pubblici.
3. Le domande, complete degli allegati, sono inviate agli enti invitati alla conferenza almeno novanta giorni prima della data di convocazione, al fine di consentire ai medesimi l'espletamento delle procedure necessarie alla compiuta e definitiva espressione delle rispettive competenze. La regione si esprime per i profili di propria competenza previa acquisizione del parere dei propri organi tecnici consultivi.
4. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'art. 5, commi 5, 6 e 7, del d.p.r. 12.4.1996, nonché quelle di cui all'art. 27 della l. 8.6.1990, n. 142, e successive modificazioni.
5. La conferenza di servizi può disporre, per una sola volta, adeguamenti dei progetti preliminari a motivate prescrizioni, al fine di consentirne la concreta comparabilità.
6. La conferenza di servizi decide sulle istanze rigettandole ovvero individuando, con provvedimento motivato, l'istanza ammessa alle successive fasi della procedura.
7. L'individuazione di cui al comma 6 è motivata con riferimento alla maggiore idoneità dell'iniziativa prescelta a soddisfare in via combinata gli interessi pubblici alla valorizzazione turistica ed economica della regione, alla tutela del paesaggio e dell'ambiente e alla sicurezza della navigazione.
8. Qualora non ricorrano ragioni di preferenza, si procede a pubblica gara (1).
9. Ai fini della tutela delle zone di interesse ambientale disciplinate dalla l. 8.8.1985, n. 431, le regioni o gli enti locali da esse delegati danno immediata comunicazione al Ministero per i beni culturali ed ambientali delle determinazioni assunte ai sensi dell'art. 7 della l. 1497 del 1939 nella conferenza di servizi di cui al presente articolo. Il Ministero per i beni culturali ed ambientali esercita, nei termini di cui all'art. 1, comma 5, della l. 431 del 1985, i poteri surrogatori e di annullamento previsti nella disposizione medesima.
10. La regione, in relazione alle caratteristiche, localizzazione, tipologia, dimensioni ed interessi sovracomunali del progetto del porto od approdo, nonché in relazione agli strumenti di pianificazione regionale vigenti, può disporre l'assunzione della responsabilità del procedimento di esame dei progetti preliminari.
(art. 5, d.p.r. 2.12.1997, n. 509, mod. art. 39, l. 7.12.1999, n. 472).

Le conferenze di servizi finalizzate al rilascio di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto hanno la funzione di sostituire sia l'ordinario procedimento concessorio sia i procedimenti con esso connessi, ivi compreso quello di rilascio dei necessari titoli abilitativi in materia edilizia.
La connessione si ha quando diversi procedimenti siano tra loro condizionati o siano tutti necessari per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto.
Alla conferenza di servizi relativa al progetto preliminare è chiamato a partecipare, tra gli altri, il Comune per l'ammissibilità sotto il profilo urbanistico edilizio.
Alla conferenza di servizi relativa al progetto definitivo è, del pari, chiamato a partecipare il Comune, per la formalizzazione dei provvedimenti di competenza.
Il progetto definitivo ed i documenti connessi sono inviati agli enti partecipanti almeno centocinquanta giorni prima della data di convocazione, al fine di consentire ai medesimi l'espletamento delle procedure necessarie alla compiuta e definitiva espressione delle rispettive competenze.
In tale modo la conferenza di servizi in cui viene approvato il progetto definitivo sostituisce gli atti di assenso necessari, ivi compresi i titoli edilizi necessari per la realizzazione delle opere.
Le conferenze di servizi finalizzate al rilascio di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto, come disciplinate dal d.p.r. 2.12.1997, n. 509, hanno la funzione di sostituire sia l'ordinario procedimento concessorio, sia i procedimenti con esso connessi, ivi compreso quello di rilascio dei necessari titoli abilitativi in materia edilizia.
Per la giurisprudenza le manifestazioni di volontà espresse da dette p.a., in base al modello procedimentale, restano fra loro distinte e ciascuna delle amministrazioni che partecipa alla conferenza di servizi esterna il giudizio di comparazione del progetto con l'interesse pubblico del quale è preposta alla cura.
Esse, quindi, non si fondono in un'unica volontà da imputarsi alla conferenza di servizi, intesa quale organo collegiale, così che la maggioranza dei consensi possa imporsi al dissenso di taluna delle amministrazioni chiamate a pronunziarsi sul progetto preliminare. (Cons. St., sez. VI, 18.4.2005, n. 1768, FACDS, 2005, 4 1168).
La legislazione regionale ha in taluni casi non possono essere realizzati porti o approdi turistici non inseriti nel Piano regionale dei porti e degli approdi previsto come ad esempio l'art. 7, comma 3, della legge regionale n. 68/97, recante norme sui porti e gli approdi turistici della Toscana.

Ne deriva che il contrasto del nuovo intervento con la disciplina della regione Toscana è preclusivo alla realizzazione del progetto, per cui, a fronte del tassativo ed assorbente divieto di realizzare porti turistici non inseriti nel PREPAT e nella pianificazione transitoria, coerentemente la Conferenza di servizi ha omesso ogni valutazione del merito del progetto preliminare presentato e ogni istruttoria sul medesimo.
(
T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 10.10..2002, n. 2424, FATAR, 2002, 3225).



10.3. Il rilascio della concessione demaniale.

Prima di vedersi rilasciare la concessione demaniale il richiedente deve presentare il progetto esecutivo.
Il progetto è approvato, se conforme agli strumenti urbanistici, dalla conferenza di servizio.

1. Entro quindici giorni dalla valutazione di ammissibilità del progetto preliminare, il sindaco invita il richiedente alla presentazione del progetto definitivo, redatto ai sensi dell'art. 16, comma 3, della l. n. 109 del 1994, con particolare riferimento al piano di monitoraggio e manutenzione dell'opera e del tratto di costa interessato e allo studio d'impatto ambientale, ove prescritto, redatto secondo le indicazioni di cui al d.p.r. 12.4.1996, per la successiva trasmissione alla competente autorità regionale.
2. L'approvazione del progetto definitivo è effettuata:
a) in caso di conformità dello stesso ai vigenti strumenti di pianificazione ed urbanistici, mediante conferenza di servizi, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 14 della l. 7.8.1990, n. 241 e successive modificazioni;
b) in caso di difformità del progetto rispetto ai vigenti strumenti di pianificazione ed urbanistici, mediante accordo di programma ai sensi e per gli effetti dell'art. 27 della l. n. 142 del 1990 e successive modificazioni.
3. Alla conferenza di servizi o all'accordo di programma promossi dal sindaco partecipano, per la formalizzazione dei provvedimenti di rispettiva competenza, ove non definitivamente formalizzati nel corso dell'esame del progetto preliminare, le amministrazioni di cui all'art. 5, comma 2, ed in ogni caso il competente ufficio del genio civile delle opere marittime del Ministero dei lavori pubblici per la valutazione di idoneità tecnica delle opere descritte nel progetto, nonchè l'autorità competente per la pronuncia di compatibilità ambientale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996.
4. La regione, in relazione alle caratteristiche, localizzazione, tipologia, dimensioni ed interessi sovracomunali del progetto del porto od approdo, nonchè in relazione agli strumenti di pianificazione regionale vigenti, può disporre l'assunzione della responsabilità del procedimento di approvazione del progetto definitivo.
5. Il progetto definitivo ed i documenti connessi sono inviati agli enti partecipanti almeno centocinquanta giorni prima della data di convocazione, al fine di consentire ai medesimi l'espletamento delle procedure necessarie alla compiuta e definitiva espressione delle rispettive competenze.
(art. 6, d.p.r. 2.12.1997, n. 509).

Nel caso di non conformità del progetto agli strumenti urbanistici l’approvazione è effettuata in sede di accordo di programma, rimanendo salva la successiva approvazione del consiglio comunale.

L'accordo di programma si consegue con il "consenso unanime" delle amministrazioni partecipanti ed inoltre proprio il richiamo all'art. 27, l. 142/90, sostituito dall'art. 34, d. lg. n. 267/2000, consente di affermare che alla eventuale variazione degli strumenti urbanistici si può giungere "sempreché vi sia l'assenso del comune interessato" (commi 4 e 5), con ciò confermandosi che il sistema abbia voluto dare una giustificabile prevalenza all'avviso dell'ente Comune preposto in via diretta alla cura degli interessi che confluiscono nei provvedimenti di pianificazione urbanistica.

Ove il progetto di ampliamento di un porto turistico comporti la necessità di effettuare, sia pur in un secondo momento, anche opere a terra che vadano ad interessare una zona protetta, l'approvazione del progetto deve essere preceduta dalla conferenza di servizi prevista dagli artt. 5 e 6, d.p.r. 2.12.1997, n. 509, alla quale deve necessariamente partecipare, ai fini del rilascio del necessario nulla osta, l'Ente posto a tutela della zona protetta.

Ove il progetto di ampliamento di un porto turistico comporti la necessità di effettuare, sia pur in un secondo momento, anche opere a terra che vadano ad interessare una zona protetta (nella specie, il Parco nazionale del Circeo), lo stesso deve essere obbligatoriamente sottoposto a valutazione d'impatto ambientale, come previsto dall'art. 1, 4° co., d.p.r. 12.4.1996, Disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale.

Il rilascio della concessione è atto dovuto dopo l’approvazione della conferenza di servizi o dell’accordo di programma.

1. Entro trenta giorni dall'esito favorevole della conferenza di servizi o dell'accordo di programma di cui all'articolo 6, l'autorità competente rilascia al richiedente la concessione demaniale marittima mediante atto pubblico redatto con le formalità di cui agli articoli 9 e 19 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione, previa determinazione del canone di concessione calcolato secondo le disposizioni di legge vigenti al momento della stipula.
2. Copia dell'atto di concessione è trasmessa al competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze.
(art. 7, d.p.r. 2.12.1997, n. 509).

Il soggetto richiedente dopo il rilascio della concessione è immesso nel possesso dei beni.
L’esecuzione delle opere deve essere conforme al progetto approvato e deve avvenire sotto il controllo e la vigilanza di una commissione nominata dall’autorità competente.
1. Dopo l'approvazione dell'atto di concessione, il capo del compartimento marittimo con l'assistenza, ove lo ritenga necessario, dell'ufficio del genio civile per le opere marittime, immette il concessionario nel possesso dei beni oggetto della concessione. La consegna risulta da processo verbale.
2. L'esecuzione delle opere è soggetta alla vigilanza ed al collaudo finale di una commissione composta dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 2, comma 2, dal capo dell'ufficio del genio civile per le opere marittime, del capo del competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze e dal sindaco o da loro delegati.
(art. 8, d.p.r. 2.12.1997, n. 509, mod. art. 39, l. 7.12.1999, n. 472).



11. Il demanio idrico nel codice civile.

Fanno parte del demanio idrico, ai sensi dell’art. 822, c.c., i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia.
La giurisprudenza ha ravvisato la profonda distinzione fra i beni del demanio idrico e quelli del demanio marittimo.
I beni del demanio idrico sono preordinati alla fruizione dell'acqua per usi di pubblico generale interesse ed alla difesa del territorio dai danni derivanti da un regime non controllato delle acque. I beni del demanio marittimo, invece, si identificano in relazione alla loro funzione strumentale alla navigazione ed al traffico.

Le opere idrauliche, le golene e le terre emergenti, che si trovino alla foce di un fiume, in zona di demanio marittimo, non fanno parte di tale demanio, poiché la compresenza di un interesse marittimo non priva il demanio idrico e le opere idrauliche della loro specifica funzione pubblica.
(Trib. sup.re acque, 5.6.1990, n. 45, CS, 1990, II, 969).

1.      I fiumi e i torrenti.

Secondo gli orientamenti della giurisprudenza, il carattere della demanialità contraddistingue, oltre che il corso d'acqua, l'alveo e le rive, ma non anche gli argini e le altre opere destinate a regolare il flusso e il regime delle acque che non siano state realizzate dalla p.a. al fine specifico di tutela del corso idrico cui accedono (Cass. Civ., 11.6.1980, n. 3718).
La giurisprudenza ha precisato che fanno parte di un corso d'acqua pubblico, e perciò appartengono al demanio idrico, non solo il letto di magra del fiume, ma anche le zone che, comprese tra questo e l'argine (naturale ed artificiale), sono soggette a rimanere sommerse in caso di piene ordinarie; a tal fine il livello della piena ordinaria di un corso d'acqua pubblico va determinato in base alla congiunta valutazione dell'elemento quantitativo e di quello temporale, dovendosi considerare come quota raggiunta dalla piena ordinaria il livello massimo attinto dalle acque in un numero di anni talmente prevalente rispetto a quelli del residuo periodo (all'uopo sufficientemente lungo) preso in considerazione da rappresentare la norma. (Cass. Civ., sez. un., 30.6.1999, n. 361, GCM, 1999, 1509).
Le isole che si formano nel letto dei fiumi o torrenti, di cui è prevista la demanialità dall'art. 945, comma 1, c.c. - i cui commi 2 e 3 sono stati abrogati dall'art. 2 l. 5.1.1994, n. 37 - non appartengono al cosiddetto demanio necessario dello Stato, ai sensi dell'art. 822, comma 1, c.c., ma al demanio non necessario, o legale, secondo la previsione del comma 2 dello stesso articolo, a norma del quale fanno parte del demanio pubblico, ove appartenenti allo Stato, anche i vari beni ivi specificamente elencati ed inoltre gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. Ne consegue che l'entrata in vigore del suindicato art. 945, c.c., del 1942, innovativo rispetto all'art. 458, c.c., del 1865, che ammetteva la proprietà privata per le isole nate nei fiumi o torrenti non navigabili né atti al trasporto, non ha ipso iure fatto diventare demaniali le isole appartenenti a privati.

2) Laghi.

I laghi sono espressamente qualificati come beni del demanio idrico.
Si è posto il problema della demanialità di opere accessorie realizzate su suoli prospicienti a laghi da utilizzare come darsene.
La giurisprudenza ha fissato un principio discriminante per qualificare tali opere.
Se esse sono eseguite in diretta comunicazione del lago esse per accessione diventano demaniali.

Nell'ipotesi in cui il proprietario di un suolo sito sull'alveo di un lago realizzi una darsena mediante escavazione del proprio suolo, facendo sì che l'acqua lacustre allaghi lo scavo, non è possibile scindere tra proprietà privata del suolo e proprietà demaniale dell'acqua e così ritenere che la darsena appartenga al privato, salvo il diritto della p.a. alla derivazione. Al contrario, posti i principi di inseparabilità tra acqua ed alveo e di inalienabilità dei beni del demanio pubblico, deve ritenersi che, per accessione alla cosa principale, il terreno, originariamente privato ma trasformato in darsena, sia divenuto anch'esso demaniale.

Restano invece di proprietà privata le opere realizzate in vicinanza del lago, ma collegate da un canale che separi le opere dal lago.
È esclusa la demanialità della darsena costruita su suolo privato circondato da proprietà privata con accesso al lago mediante un lungo canale che regola il flusso e il deflusso delle acque, in assenza di una modificazione strutturale del lago, quale situazione di fatto, mediante espansione dell'alveo fino alla darsena, valevole come modo di acquisto per tale bene artificiale della qualità di bene pubblico.

Il provvedimento amministrativo che stabilisce i termini fra le proprietà demaniali e quelle private lungo le spiagge lacuali, includendo nell'area demaniale una parte di un terreno di proprietà privata, deve acquisire il parere dell'intendente di finanza - a nulla rilevando che in un sopralluogo all'uopo disposto abbiano preso parte dei funzionari dell'ufficio tecnico erariale - previsto dall'art. 3, r.d. 1,12.1895 n. 726. (Trib. sup.re acque, 30.10.1995, n. 85, CS, 1995, II, 1847).

Ove sia riconosciuto necessario e conveniente, si promuove, lungo le spiagge lacuali, l'apposizione dei termini fra le proprietà demaniali e quelle private, in conformità all'art. 441 del codice civile.
Le delimitazioni sono determinate dal prefetto dopo sentito il genio civile, l'intendenza di finanza e gli interessati, salvo a questi ultimi il ricorso all'autorità giudiziaria, qualora si credessero lesi nei loro diritti.
(art. 3, r.d. 1.12.1895 n. 726).



11.0. Le isole che si formano nel letto dei fiumi.

Le isole che si formano nel letto dei fiumi o torrenti sono demaniali, ex art. 945, 1° co., c.c.
Esse non appartengono al cosiddetto demanio necessario dello Stato, ai sensi dell'art. 822, 1° co., c.c., ma al demanio non necessario, o legale, secondo la previsione dell'art. 822, 2° co., c.c., a norma del quale fanno parte del demanio pubblico, ove appartenenti allo Stato, anche i vari beni ivi specificamente elencati ed inoltre gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
L’isola è una porzione di terreno circondata da ogni parte dall’acqua; essa si può essere formata o perché il fiume abbandona una parte di alveo o perché i materiali di deposito del fiume emergono dalle acque.
Occorre che l’emersione sia definitiva e, quindi, l’isola non deve essere sommersa durante le piene ordinarie del fiume (Resta 1964, 467).

L'entrata in vigore del suindicato art. 945, c.c., del 1942, innovativo rispetto all'art. 458 c.c. del 1865, che ammetteva la proprietà privata per le isole nate nei fiumi o torrenti non navigabili né atti al trasporto, non ha ipso iure fatto diventare demaniali le isole appartenenti a privati.

Il 2° e 3° co., art. 945, c.c., sono stati abrogati dall'art. 2, l. 5.1.1994, n. 37.
Essi prevedevano che la proprietà privata permaneva nel caso di isole formate per avulsione.
L’avulsione avviene quando l’isola si forma o per un distacco del terreno da uno dei fondi rivieraschi o perché le acque circondano un fondo da ogni parte.
Il legislatore ha successivamente precisato che le isole non possono essere oggetto di sdemanializzazione.

4. Le aree del demanio fluviale di nuova formazione ai sensi della l. 5.1.1994, n. 37, non possono essere oggetto di sdemanializzazione.
(art. 41, d.lg. 1.5.1999, n. 152).

La giurisprudenza ha affermato che tale disposizione non ha introdotto un divieto generalizzato di sdemanializzazione dei beni appartenenti al demonio idrico.

Eccettuate le aree del demanio fluviale di nuova formazione di cui agli artt. 942 e 945 c.c., come sostituiti dall’art. 1, l. 5.1.1994 n. 37, residua in capo alle amministrazioni competenti il potere di provvedere alla sdemanializzazione dei beni del demanio idrico per i quali non abbia più ragione di sussistere tale particolare regime giuridico, imposto a tutela di esigenze pubblicistiche la cui connessione con il corso d’acqua sia successivamente venuta meno.
(Cons. St., sez. II, 15.12.2004, n. 5548, RGA, 2005, n. 5, 818).



11.1. Il demanio idrico nella legislazione speciale.

Il d.lg. 3.4.2006, n. 152, che reca norme in materia ambientale, precisa che fanno parte del demanio idrico gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione.

1. Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.
2. Spetta anche all'Autorità d'ambito la tutela dei beni di cui al comma 1, ai sensi dell'articolo 823, secondo comma, del codice civile.
(art. 143, d.lg. 3.4.2006, n. 152).

Fanno inoltre parte del demanio idrico tutte le acque superficiali e sotterranee.
La dichiarazione di pubblicità delle acque superficiali e sotterranee è stata introdotta dalla l. 5.1.1994, n. 36.
Il progressivo "aumento dei fabbisogni derivanti dai nuovi insediamenti abitativi e dalle crescenti utilizzazioni residenziali anche a seguito delle nuove tecnologie introdotte nell'ambito domestico, accompagnato da un incremento degli usi agricoli produttivi ed altri usi, ha indotto il legislatore, di fronte a rischi notevoli per l'equilibrio del bilancio idrico, ad adottare una serie di misure di tutela e di priorità dell'uso delle acque intese come risorse, con criteri di utilizzazione e di reimpiego indirizzati al risparmio, all'equilibrio e al rinnovo delle risorse medesime.
Di qui la esigenza avvertita dallo stesso legislatore di un maggiore intervento pubblico concentrato sull'intero settore dell'uso delle acque, sottoposto al metodo della programmazione, della vigilanza e dei controlli, collegato ad una iniziale dichiarazione di principio, generale e programmatica, di pubblicità di tutte le acque superficiali e sotterranee, indipendentemente dalla estrazione dal sottosuolo, art. 1, 1° co., l. n. 36 del 1994.
La pubblicità delle acque ha riguardo al regime dell'uso di un bene divenuto limitato, di modo che la dichiarazione di pubblicità di un'acqua, intesa come risorsa suscettibile di uso previsto o consentito, si basa su un interesse generale ritenuto in linea di principio esistente in relazione alla limitatezza delle disponibilità e alle esigenze prioritarie di uso dell'acqua.
Quanto alla mancanza di una generalizzata ed indiscriminata forma di pubblicità (e regime concessorio di uso) di tutte le acque, si tratta di una circostanza che trova fondamento nella scelta, tutt'altro che irragionevole, del legislatore di privilegiare talune utilizzazioni tradizionali caratterizzate da una mancanza di interesse generale o da una razionale ponderazione di interessi.
La dichiarazione di pubblicità delle acque superficiali e sotterranee secondo la giurisprudenza non provoca un limite alla proprietà per il fatto di avere considerato l'intrinseca e mutata rilevanza della risorsa idrica, rispondente alla sua natura.
La scelta operata dal legislatore non può pertanto ritenersi irragionevole essendo un modo di salvaguardia l’acqua che è uno dei valori fondamentali dell'uomo né vi è contrasto colla costituzione per avere introdotto un vincolo alla proprietà senza la previsione di indennizzo.

L'art. 1, 1° co., l. 5.1.1994, n. 36, non contrasta con l'art. 42, cost., sotto il profilo della mancata previsione di un indennizzo, giacché non vi è luogo ad indennizzo quando la legge regoli in via generale i diritti domenicali in relazione a determinati fini per assicurare la funzione sociale della proprietà con riferimento ad intere categorie di beni, né quando sia regolata la situazione rivestita dai beni stessi rispetto ad interessi della p.a., purché la legge abbia per destinataria la generalità dei soggetti, tanto più quando i proprietari dei fondi finitimi al corpo idrico non subiscono una lesione irrimediabile del contenuto minimo della loro proprietà.
(Corte cost., 27.12.1996, n. 419, CS, 1996, II, 2117).

La pubblicità delle acque superficiali e sotterranee è stata confermata dal d.lg. 3.4.2006, n. 152.

1. Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato.
2. Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.
3. La disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici.
4. Gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità.
5. Le acque termali, minerali e per uso geotermico sono disciplinate da norme specifiche, nel rispetto del riparto delle competenze costituzionalmente determinato.
(art. 144, d.lg. 3.4.2006, n. 152).

Il t.u. 11.12.1933, n. 1775, che approva il testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici impone la formazione di un catasto che raccolga le utenze di acqua pubblica.

1. In ogni provincia è formato e conservato a cura del ministero delle finanze il catasto delle utenze di acqua pubblica.
2. Per la formazione del catasto tutti gli utenti debbono fare la dichiarazione delle rispettive utenze.
3. La dichiarazione deve indicare:
a) i luoghi in cui trovansi la presa e la restituzione;
b) l'uso a cui serve l'acqua;
c) la quantità dell'acqua utilizzata;
d) la superficie irrigata ed il quantitativo di potenza nominale prodotta;
e) il decreto di riconoscimento o di concessione del diritto di derivazione.
4. Le dichiarazioni di utenze devono essere fatte entro il 31.12.1935 ove si tratti di acqua inscritta in un elenco, la cui pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana sia avvenuta entro il 31.12.1933 e in ogni altro caso entro due anni dalla pubblicazione dell'elenco in cui l'acqua è inscritta.
5. In caso di ritardo, gli utenti sono puniti con la sanzione amministrativa da lire 20.000 a lire 200.000.
6. Sono esonerati dal presentare la dichiarazione gli utenti che abbiano ottenuto il decreto di riconoscimento o di concessione posteriormente al 1.2.1917.
(art. 5, t.u. 11.12.1933, n. 1775).

Il t.u. 11.12.1933, n. 1775 regola anche il procedimento per richiedere la relativa concessione per derivazione d'acqua che è soggetto al parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

L'art. 7, 7° co., r.d. 11.12.1933, n. 1775, impone che la determinazione conclusiva del procedimento di concessione per derivazione d'acqua ad uso idroelettrico sia preceduta (ai fini della completezza istruttoria e della idoneità della motivazione) dall'acquisizione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici, tanto più nell'attuale assetto normativo di liberalizzazione del settore elettrico, in forza della direttiva 96/92/CE e del d.lg. 16.3.1999, n. 79, attuativo della direttiva comunitaria stessa.
(Trib. sup.re acque, 15.12.2003, n. 166, FACDS, 2003, 3935).

Tutte le funzioni relative alla tutela, alla disciplina e utilizzazione delle risorse idriche sono delegate alle regioni che le esercitano nell'ambito della programmazione nazionale della destinazione delle risorse idriche e in conformità alle direttive statali sia generali sia di settore per la disciplina dell'economia idrica, ex art. 90, d.p.r. 24.7.1977 n. 616.
Ai fini dell'istruttoria sulla richiesta di concessione di piccola derivazione di acqua ad uso idroelettrico, la Regione ben può, con delibera di Giunta, istituire una conferenza di servizi onde acquisire e valutare tutti gli elementi relativi alla compatibilità della richiesta concessione con le esigenze ambientali, atteso che il ricorso al modulo procedimentale della conferenza, lungi dall'interferire con la disciplina dettata dall'art. 7 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, r.d. 11.12.1933, n. 1775, rappresenta uno strumento ordinario e di applicazione generale, rivolto a consentire l'emersione e la comparazione dei vari profili di interesse pubblico valutabili ai fini dell'adozione del provvedimento finale.

Sono riservate allo Stato le funzioni concernenti la programmazione nazionale generale o di settore della destinazione delle risorse idriche.


11.2. La concessione delle acque pubbliche.

La derivazione di acque pubbliche è consentita solo se il richiedente ottiene regolare concessione.

Possono derivare e utilizzare acqua pubblica:
a) coloro che posseggono un titolo legittimo;
b) coloro i quali, per tutto il trentennio anteriore alla pubblicazione della l. 10.8.1884, n. 2644 (ora abrogata), hanno derivato e utilizzato acqua pubblica, limitatamente al quantitativo di acqua e di forza motrice effettivamente utilizzata durante il trentennio;
c) coloro che ne ottengono regolare concessione, a norma della presente legge.
(art. 2, t.u. 11.12.1933, n. 1775).

La convenzione, stipulata fra un ente pubblico ed un privato, avente ad oggetto l'attribuzione al privato dell'utilizzazione di un bene del demanio nonché della gestione del servizio pubblico cui esso serve, è qualificata come concessione-contratto.

La convenzione che regola l'attribuzione a privati, tanto della utilizzazione di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello stato o del comune, quanto della gestione di un servizio pubblico comunale obbligatorio, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile alla figura della concessione contratto.
Nella specie le Sezioni Unite, dopo avere affermato il suddetto principio, sempre ai fini della qualificazione suddetta hanno dato rilievo anche alla circostanza che il termine concessione era stato usato in una clausola della convenzione, nonché all'ulteriore dato della presenza, nel procedimento di formazione della convenzione stessa, dei due segmenti della fattispecie complessa della figura della concessione-contratto, che hanno individuato nell'atto deliberativo della Pubblica Amministrazione, avente natura di atto autoritativo, e nell'atto di attuazione, costituito dal contratto, avente la natura di fonte dei diritti e delle reciproche obbligazioni.

I tribunali regionali delle acque hanno giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto qualsiasi diritto relativo alle derivazioni od utilizzazioni di acqua pubblica e che solo indirettamente si riflettano anche sui canoni concessori, in rapporto al corretto esercizio del potere discrezionale della p.a. competente a disciplinare la fruizione di derivazioni idriche secondo modalità primariamente rispettose degli interessi pubblici

L'art. 140, 1° co., lett. c), t.u. 11.12.1933, n. 1775, si riferisce anche alle controversie sull'esistenza e sull'entità dei canoni di concessione di utenze idriche nelle quali si contesti il diritto soggettivo del concessionario alla corretta applicazione delle disposizioni regolanti l'indicato canone in base ad elementi oggettivi e certi, secondo parametri e criteri tecnici vincolanti per la p.a.; conseguentemente, l'illegittimità degli atti amministrativi, determinanti detti elementi, può essere fatta valere mediante impugnativa, in via principale, davanti al g.a. speciale (trib. sup. acque) o, alternativamente, sollecitandone l'incidentale disapplicazione da parte del g.o. specializzato (trib. reg. acque) nelle vertenze sui diritti soggettivi asseritamente lesi da atti consequenziali.
(Trib. sup.re acque, 30.9.2005, n. 118, FACDS, 2005, 9 2773).


11.3. La concessione delle acque pubbliche all’ENEL.

La concessione per le grandi derivazioni d’acque ha valore di dichiarazione di pubblica utilità; il procedimento espropriativo è regolato ora dal d.p.r. 8.6.2001, n. 327.

Per le grandi derivazioni e per le opere di raccolta e regolazione delle acque il decreto di concessione ha efficacia di dichiarazione di pubblica utilità per tutti i lavori e impianti occorrenti così alla costruzione che all'esercizio, compresi i canali primari e secondari di irrigazione, i collettori di bonifica, le condotte principali di acqua potabile e le linee di trasmissione dell'energia elettrica.
(art. 33, t.u. 11.12.1933, n. 1775).

La giurisprudenza ha affermato il diritto dell'ENEL di subentrare alla concessione di acqua pubblica di cui era titolare un'impresa autoproduttrice di energia elettrica, in seguito alla cessione a titolo gratuito delle opere idrauliche attinenti alla derivazione per forza maggiore scaduta della quale l'impresa stessa era titolare ed a titolo oneroso del relativo impianto di produzione di energia elettrica.

E’ illegittimo il provvedimento col quale l'amministrazione dei lavori pubblici, ai sensi degli artt. 7 e 8, t.u. n. 1775 del 1933, ammette ad istruttoria la domanda di subingresso dell'ENEL, nel presupposto che questa debba essere considerata come domanda nuova, da valutare in concorrenza con altre domande.
(Trib. sup.re acque, 9.2.1987, n. 6, CS, 1987, II, 278).

L’attività che compie il concessionario, qualora sia ordinata al raggiungimento del pubblico interesse, prevale sulle pretese particolari avanzate da coloro che sono soggetti alla sua azione.

Il concessionario di acqua pubblica per scopi idroelettrici che procede allo svuotamento del bacino artificiale mediante aperture di paratie al fine di provvedere all'attività manutentiva dell'impianto, dando previa comunicazione delle operazioni di svaso agli interessati, compie attività lecita ed anzi doverosa; pertanto in tal caso è infondata la pretesa di danni, avanzata da un troticoltore che utilizzi senza autorizzazione le acque del fiume, spettando a lui e non al concessionario per scopi idroelettrici adottare le misure idonee per evitare eventuali danni, derivanti dall'intorbidimento delle acque conseguente all'attività di svuotamento del bacino.
(Trib. sup.re acque, 6.2.1987, n. 3, CS, 1987, II, 271).

L’esercizio della concessione è condizionato al pagamento di un canone.
La giurisprudenza ha posto in rilievo il sinallagma che collega le due prestazioni ritenendo legittima la sospensione del pagamento in caso di mancata derivazione per cause naturali.
Qualora la concreta possibilità di sfruttamento della risorsa idrica sia venuta a mancare per cause naturali straordinarie, l'obbligazione di pagamento del sovracanone a carico del concessionario - pur non avendo natura accessoria a quella relativa al canone di concessione demaniale e non essendo ad essa collegata funzionalmente, atteso che le due obbligazioni sono autonome, avendo diversità di fonte e di soggetto beneficiario - resta sospesa al pari di quella di corresponsione del canone per il tempo necessario al ripristino.



12. Il demanio militare.

Fanno parte del demanio necessario le opere destinate alla difesa nazionale.
La dottrina evidenzia inoltre che fanno parte del demanio militare le strade militari, gli aeroporti militari, i porti militari e qualunque altro bene riconosciuto demaniale dal diritto positivo per la sua funzione atta a soddisfare le esigenze militari (Pastore 1964, 441).
L'opera destinata alla difesa militare va individuata in base alla sua effettiva ed inequivocabile destinazione, per cui tra tali opere vanno comprese non solo quelle destinate alla difesa del Paese in stato di guerra, ma in via generale tutte quelle necessarie ad assicurare la sicurezza esterna ed interna dello Stato, anche se eseguite da soggetti diversi dall'amministrazione militare.

Rientra tra le opere destinate alla difesa militare la costruzione di una nuova rete digitale in ponte radio interpolizie, il cui progetto era stato secretato ed era stato classificato come riservatissimo con decreto del Ministro della difesa.
Sono invece da considerarsi come opere militari gli alloggi per il personale militare all'interno di una struttura militare.

Gli edifici esistenti su area demaniale e utilizzati dalle capitanerie di porto per gli alloggi del personale incaricato della sicurezza e della difesa nazionale, in modo da assicurarne l'immediata utilizzabilità per le esigenze anche militari che dovessero prospettarsi, sono destinati ex lege alla difesa militare.
(Cons. St., sez. VI, 03.4.2002, n. 1854, DT, 2002, 1022).

Parimenti sono da considerarsi opere militari tutte le costruzioni eseguite su aree all'interno di basi, impianti o installazioni militari (Cons. St., sez. IV, 13.11.1998 n. 1531, FATAR, 1998, 3014).
Allo stesso modo, sono equiparate ad opere destinate alla difesa nazionale le caserme della polizia di Stato, essendo da considerarsi tali tutte quelle opere necessarie non solo alla difesa del paese in tempo di guerra, ma anche quelle necessarie per soddisfare esigenze di sicurezza interne o esterne (TAR Lazio, sez. I, 15.10.1993, n. 1484, FATAR, 1994, 632.
Stessa regola vale per le sedi di servizio dell'Arma dei carabinieri (T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, 28.10.1998 n. 432, TAR, 1998, I, 4413).
In particolare, sull'equiparazione delle caserme dei carabinieri alle opere di difesa nazionale, è intervenuta la Corte costituzionale, affermando la legittimità costituzionale dell'art. 3, l. 6.2.1985, n. 16, il quale stabilisce che, ai fini dell'accertamento di conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie previsto dall'art. 81, d.p.r. 24.7.1977, n. 616, le opere indicate dalla stessa legge - sedi di servizio, con relative pertinenze, necessarie a soddisfare le esigenze logistico-operative dell'Arma dei carabinieri - sono equiparate alle opere destinate alla difesa militare (Corte Cost., 1.4.1992, n. 150, FI, 1992, I, 2613).
Più correta la teoria che considera le caserme come beni rientranti nel patrimonio indisponibile dello Stato. Vedi Cap. VIII, n. 5.
Non sono stati compresi tra le opere di difesa militare i poligoni di tiro, dovendosi escludere un qualsiasi collegamento tra tale attività e la difesa dello Stato (Cons. St., sez. IV, 27.5.2002 n. 2930, CS, 2002, I, 1205).
Non costituisce opera destinata alla difesa nazionale l'edificio adibito a sede della delegazione di spiaggia, in quanto ufficio amministrativo periferico dell'amministrazione dei trasporti, posto alle dipendenze dell'ufficio circondariale marittimo, con compiti di polizia portuale e di uso del demanio, dal momento che manca nell'edificio un riscontro dell'immediata destinazione alla difesa militare, anche se il personale dell'ufficio in concreto destinatario dell'opera sia inquadrato in organici militari (Cons. St., sez. VI, 28.3.2000 n. 1799, CS, 2000, 956).
L’art. 2, d.p.r. 19.4.2005, n. 170, che reca il regolamento concernente la disciplina delle attività del Genio militare, presenta un elenco di opere da definirsi destinate alla difesa nazionale.
Vengono considerate come tali le infrastrutture ricadenti nelle seguenti categorie: aeroporti ed eliporti, basi navali, caserme, stabilimenti e arsenali, reti e depositi di carburanti e lubrificanti, depositi munizioni e di sistemi d'arma, comandi di unità operative e di supporto logistico, basi missilistiche, strutture di comando e di controllo dello spazio terrestre, marittimo ed aereo, segnali e ausili alla navigazione marittima ed aerea, strutture relative alle telecomunicazioni e ai sistemi di allarme, poligoni e strutture di addestramento, centri sperimentali di manutenzione dei sistemi d'arma, alloggi di servizio per il personale, anche con famiglia, da realizzare ai sensi degli artt. 4, 1° co., e 5, 1° co., l. 18.8.1978, n. 497, opere di protezione ambientale correlate alle opere di difesa nazionale, installazioni temporanee per esigenze di rapido dispiegamento, attività finanziate con fondi comuni della Nato e da utenti alleati sul territorio nazionale.
L'art. 2, d.p.r. 19.4.2005, n. 170, inoltre, definisce infrastrutture per la difesa militare le installazioni permanenti e quelle temporanee relative a specifiche esigenze di dispiegamento, destinate al sostegno operativo, addestrativo e logistico di reparti militari operanti sia all'interno che all'esterno del territorio nazionale. Inoltre il regolamento aggiunge che ove sia necessario realizzare singole infrastrutture riconducibili a opere destinate alla difesa nazionale, ma non comprese nelle categorie elencate prima, si provvede, nei casi di urgenza, mediante provvedimento del Ministro della difesa.
L'elenco fornito, che comprende strutture sinora escluse dalla giurisprudenza come i poligoni di tiro, ha valore esclusivamente per le opere attuate dal genio militare. È però ipotizzabile che l'esistenza di tale elenco possa fornire delle indicazioni anche per l'individuazione di opere di difesa compiute da altre amministrazioni dello Stato deputate alla difesa stessa.
12.1. La localizzazione e la costruzione di opere militari.

Le norme che nel tempo hanno disciplinato in via generale i procedimenti di localizzazione e di costruzione di opere da eseguirsi dallo Stato hanno escluso da tale disciplina di carattere generale le opere destinate alla difesa militare per le quali, pertanto, vige un regime di carattere derogatorio, ex art. 2, d.p.r. 18.4.1994, n. 383.
La giurisprudenza, interpretando tale normativa, ha, pertanto, escluso che tali opere siano soggette ai vincoli o alle autorizzazioni paesaggistiche (Cons. St., sez. II, 17.3.1993, n. 48/92).
Dette opere sono parimenti escluse dall'accertamento di conformità urbanistica, in relazione proprio all'essenziale interesse statuale alla difesa del paese ed alla conseguente recessività di ogni altro interesse, anche pubblicistico, astrattamente confliggente con il primo

Le esigenze connesse alla distribuzione territoriale delle opere di difesa e alla loro progettazione trascendono le possibilità di apprezzamento delle autorità urbanistiche. Siffatte esigenze sono rispecchiate dall'art. 81, 2° co., d.p.r. n. 616 del 1977, e successivamente, dall'art. 2, d.p.r. n. 383 del 1994, i quali hanno escluso le opere destinate alla difesa militare dall'accertamento di conformità urbanistica.
(T.A.R. Campania, Napoli, V, 27.3.2003, n. 3037, FATAR, 2003, 1048).

La Corte Costituzionale, inoltre, ha ritenuto conforme alla Carta costituzionale la specifica normativa che, ai fini che qui interessano, ha incluso gli edifici dei comandi dei carabinieri tra le opere di difesa militare (Corte Cost., 16.2.1993, n. 62).
La giurisprudenza ha concretamente proceduto alla individuazione delle opere destinate alla difesa militare attesa la mancanza di una puntuale definizione normativa in merito: così, ad esempio, si sono compresi in tale nozione gli alloggi di servizio dei militari (Cons. St., IV, 27.5. 2002, n. 2930) e non i poligoni di tiro (Cons. St., IV, 28.8.2001, n. 4543).
Parte della giurisprudenza si è, peraltro, espressa in senso parzialmente contrario rispetto a quanto sopra ricordato, evidenziando la necessità che anche la costruzione delle opere destinate alla difesa militare debba in qualche modo conformarsi alle previsioni volte a tutelare il paesaggio e le bellezze naturali (Cass. pen., III, 28.12.1995, n. 12570).
Essa afferma che deve essere in ogni caso effettuata - quanto meno da parte dell'Amministrazione statale che decide di realizzare l'opera di difesa nazionale - una preventiva comparazione dell'interesse alla difesa nazionale con l'interesse alla cui tutela è posto il vincolo paesaggistico, in quanto la Costituzione attribuisce al paesaggio, ex art. 9, cost., un valore primario di pari dignità rispetto alla sicurezza del paese, ex art. 52, cost.
Per superare alcune di tali incertezze applicativa e l'art. 156 del d. lg. 29.10.1999, n. 490, recante il t.u. delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, ha previsto il rilascio di una specifica autorizzazione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali per le opere da realizzarsi in zone vincolate da parte dello Stato ivi compresi gli alloggi di servizio per il personale militare; nulla però è stato precisato in ordine alle opere destinate in via immediata e diretta alla difesa ed alla sicurezza nazionale.
Con la l. cost. 18.10.2001, n. 3, nel modificare il titolo V ed in particolare l'art. 118 della Costituzione, si è poi previsto che con legge statale vengano disciplinate "forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali".
Infine, con il codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con il d. lg. 22.1.2004, n. 42, si è testualmente disposto all'art. 147, 3° co., che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero, d'intesa con il Ministero della difesa e con le altre amministrazioni statali interessate, siano individuate le modalità di valutazione congiunta e preventiva della localizzazione delle opere di difesa nazionale che incidano su immobili o aree sottoposti a tutela paesaggistica.
Solo con il predetto art. 147, d. lg. 22.1.2004, n. 42, è stata oggi prevista una valutazione congiunta e preventiva della localizzazione delle opere destinate alla difesa nazionale, secondo modalità da disciplinarsi con un d.p.c.m. che però non è stato ancora emanato.
Deve, pertanto, concludersi che, fino all’emanazione del d.p.c.m., sia e resti applicabile la normativa previgente all'entrata in vigore del codice - cioè l'art. 2 del d.p.r. 18.4.1994, n. 383.
Le opere destinate alla difesa nazionale possono, pertanto, essere realizzate prescindendo dal previo rilascio di una specifica autorizzazione da parte del soggetto preposto alla tutela del vincolo e ciò in ragione della prevalenza dell'essenziale interesse statuale alla difesa del paese ed alla conseguente recessività di ogni altro interesse, anche pubblicistico, astrattamente confliggente con il primo.

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