mercoledì 3 ottobre 2012

Beni pubblici. 18 Giurisdizione


Capitolo diciottesimo
La giurisdizione della Corte dei Conti

Guida bibliografica.

1. La responsabilità amministrativa.
La dottrina rileva che i rapporti fra giudizio amministrativo e giudizio contabile sono di assoluta autonomia in quanto non sono previste né preclusioni, né precedenze. Centofanti 2005, 247.

2. Il danno erariale.
L'istituto della responsabilità amministrativa, al pari della comune responsabilità per danno, va evolvendosi da forma di protezione di beni patrimoniali della p.a. a situazioni giuridiche di tutela di interessi pubblici più generali. La giurisprudenza tiene conto non solo del danno patrimoniale ma anche del danno finanziario inteso quale alterazione dell'equilibrio economico finanziario della p.a. in relazione alle possibilità economiche dell'ente ed ai limiti derivanti dai vincoli di bilancio e dalle risultanze finali di competenza e di amministrazione.
Corte Conti, sez. riun., 18.9.1992, n. 802, RCC, 1992, fasc. 6, 36

1. La responsabilità amministrativa.

L'art. 3, l. 19/1994 attribuisce alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti la giurisdizione sui funzionari, impiegati ed agenti civili e militari, che nell'esercizio delle loro funzioni cagionino danno allo Stato o ad altra amministrazione dalla quale dipendano.
La responsabilità amministrativa è caratterizzata:
- da un rapporto di dipendenza o di servizio nei confronti dello Stato che comprende anche i funzionari onorari ed i ministri.
- da un comportamento anche solo colposo, derivante da negligenza o dalla inapplicazione della legge, che trova esimente solo nella forza maggiore, quale ad esempio la carenza organizzativa o l'organico insufficiente.
- da un danno erariale patrimoniale derivante all'amministrazione, che sia direttamente riconducibile all'evento.
Il danno non deve essere assoggettabile a compensazione col beneficio che l'amministrazione ne abbia eventualmente ricavato.
Il giudizio non ha alcun rapporto con l'accertamento della illegittimità degli atti dell'amministrazione.
L'accertamento della responsabilità amministrativa contabile prescinde dall'accertamento dell'illegittimità degli atti dell'amministrazione.
Nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile la valutazione del giudice investe in primo luogo il comportamento dell'amministratore o dipendente pubblico nella gestione di beni pubblici o mezzi finanziari pubblici o nello svolgimento di un'attività giuridica materiale, al fine di accertare la rispondenza a legge e anche a regole non giuridiche di efficienza, di efficacia e di buon andamento.
Il danno risarcibile non viene in evidenza secondo gli schemi astratti civilistici, né è utile il riferimento alla distinzione tra le categorie del debito di valore e del debito di valuta nel riflesso che la p.a. in ultima analisi, a seguito degli illeciti comportamenti dannosi, non acquisisce entrate dovute o eroga spese non consentite che si traducono sempre in somme di denaro; con l'ulteriore conseguenza che è applicabile l'art. 1224 c.c. e che, correttamente, la rivalutazione monetaria è compresa nella somma di cui è stata pronunciata condanna (Corte Conti, sez. riun., 9.7.1993, n. 893/A, RCC, 1993, fasc. 6, 62).

2. Il danno erariale.

La giurisprudenza afferma che concretizza danno erariale la lesione del fondamentale principio di interesse pubblico sulla corretta conservazione e gestione dei mezzi economici dell'azione amministrativa, dovendosi qualificare tali tutte le risorse costituite dal danaro, dai beni fisici, dai diritti reali o di credito e dai diritti su ogni altra utilità anche immateriale (Corte Conti reg. Umbria, sez. giurisd., 28.6.2004, n. 275,
RCC, 2004, f. 3, 176).
L’ipotesi più evidente di responsabilità per danno erariale deriva dal fatto che l’amministratore non ha applicato la legge nella gestione dei beni pubblici. In tale maniera egli ha reso economicamente svantaggioso all’erario gli atti di disposizione di detti beni.

Sussiste la responsabilità amministrativa dell'assessore e del segretario di un Comune che disposero la cessione in affitto a terzi di aree appartenenti al demanio indisponibile stradale, allorquando la misura del canone di affitto sia stata quantificata in una misura inferiore a quella della t.o.s.a.p.
(Corte Conti, reg. Marche, sez. giurisd., 14.1.2005, n. 65, RCC, 2005, f. 1, 198).

La responsabilità si manifesta anche in comportamenti omissivi, qualora la pubblica amministrazione rinunci a richiedere spese relative ai beni dati in concessione e addebitabili ai concessionari.

Il canone di concessione corrisposto dai dipendenti pubblici a fronte dell'utilizzazione di un bene demaniale a titolo di corrispettivo non comprende la fornitura dei servizi accessori; pertanto, costituisce danno patrimoniale il mancato addebito delle spese di riscaldamento relative ad alloggi di servizio dati in concessione a pubblici dipendenti (nella specie di osservatorio astronomico) dietro pagamento di un canone d'affitto.
(Corte Conti, sez. I, 17.4.1989, n. 147, FA, 1989, 2240).

La responsabilità si manifesta anche per gli atti che hanno a riferimento la gestione dei beni pubblici come l’affidamento di un incarico per la loro inventariazione.

In relazione all'ipotesi di danno erariale derivante dall'affidamento ad una ditta esterna dell'incarico di inventariare i beni patrimoniali di una amministrazione, la Corte dei conti può e deve valutare l'esistenza dei presupposti per l'affidamento dell'incarico e cioè l'eccezionalità e gravità della situazione di arretrato e la carenza del personale in organico.
(Corte Conti, reg. Emilia Romagna, sez. giurisd., 1.10.1999, n. 747, RCC, 2000, n. 6, 90).

Vi è responsabilità anche nel caso in cui la amministrazione ometta la dovuta attività di controllo che non ha impedito l’inquinamento di aree demaniali, nel caso marittime, addossando alla collettività i relativi costi per la bonifica.

L'inquinamento di una vasta zona di mare, che, pur verificandosi oltre il limite delle acque territoriali, comporti una diminuzione delle utilità che dal mare ritrae la comunità dei cittadini, concreta un danno per lo Stato, sia sotto il profilo del depuramento di un bene che costituisce patrimonio della collettività, sia sotto il profilo degli oneri finanziari che lo Stato stesso può essere chiamato a sostenere in dipendenza dell'inquinamento. Sussiste pertanto la giurisdizione di responsabilità del magistrato contabile nei confronti dei pubblici dipendenti, che con la violazione di doveri inerenti al proprio ufficio abbiano consentito l'attività inquinante.
Nella specie è stato espresso parere favorevole e concessa relativa autorizzazione allo scarico in mare dei c.d.
fanghi rossi, residui della lavorazione del biossido di titanio negli stabilimenti Montedison di Scarlino.
(Corte Conti , sez. I, 8.10.1979, n. 61, FI, 1979, III,593).



Capitolo diciannovesimo
La giurisdizione del liquidatore degli usi civici.

Guida bibliografica.

1. Il liquidatore degli usi civici.
E’ stata prospettata una censura di legittimità costituzionale dell'art. 29, 2° co., l. 1766 del 1927 che, nella interpretazione della Cass. Civ., Sez. un., 23.1.1994, n. 858, nega al commissario degli usi civici il potere di promuovere ex officio le controversie di sua spettanza, attribuendo esclusivamente alle regioni il potere di agire in giudizio. Nunziata 1996, 79.
In particolare era censurato il coincidere nella figura del commissario delle attribuzioni di parte e di giudice nel medesimo procedimento avente natura esclusivamente giurisdizionale - dopo il trasferimento ad altro soggetto delle funzioni amministrative in materia - ed il venire meno del carattere incidentale della giurisdizione riconosciutagli.
Nella prospettazione del giudice a quo tale stato di cose, tra l'altro, incideva sulla garanzia della terzietà del commissario - nemo iudex in re sua - indefettibile per assicurare l'effettività della tutela del diritto di difesa, ex art. 24 cost.
La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non consente la permanenza del potere del commissario agli usi civici di esercitare d'ufficio la propria giurisdizione pur dopo il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative.
L'art. 29, l. 16.6.1927, n. 1766, interpretato nel senso che esso dopo il trasferimento alle regioni della materia degli usi civici disposta dall'art. 66 d.p.r. 24.7.1977, n. 616 esclude la permanenza nel commissario agli usi civici del potere di esercitare d'ufficio la propria giurisdizione, è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, 1°, 3°, 9° co., e 32 cost., poiché non consente - in attesa di una revisione della situazione ordinamentale attuale, che non prevede alcun altro organo dello Stato che sia abilitato ad agire davanti al commissario degli usi civici, per la tutela dell'interesse della collettività generale alla conservazione dell'ambiente delle zone gravate da usi civici - che tale tutela sia intanto esercitata attraverso la permanenza del potere d'azione del commissario stesso.
Corte cost., 20.2.1995, n. 46, RGE, 1995, I, 554.


1. Il liquidatore degli usi civici

L'art. 29, l. 16.6.1927, n. 1766, demanda alla giurisdizione del Commissario regionale degli usi civici ogni controversia attinente alla qualitas soli, in cui si dibatte dell'esistenza, della natura e dell'estensione dei diritti di uso civico.
Detti organi in origine erano dotati sia di giurisdizione avente carattere "incidentale" rispetto alla funzione amministrativa, connotata come primaria sia di competenza amministrativa in materia; quest'ultima è stata trasferita alle regioni, in forza dell'art. 66, 5° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616.
I Commissari regionali degli usi civici sono distribuiti in tredici specifiche circoscrizioni territoriali e sono composti da magistrati ordinari.
Si tratta di organi giurisdizionali che, grazie alla elevata specializzazione derivante dalla trattazione esclusiva di una materia tanto peculiare, limitata ed al contempo delicata, hanno progressivamente acquisito una posizione decisiva nella tutela degli usi civici e della funzione conservativa del patrimonio ambientale che questi ultimi, indubbiamente, svolgono

I commissari procederanno, su istanza degli interessati od anche di ufficio, all'accertamento, alla valutazione, ed alla liquidazione dei diritti di cui all'art. 1, allo scioglimento delle promiscuità ed alla rivendica e ripartizione delle terre.
I commissari decideranno tutte le controversie circa la esistenza, la natura e la estensione dei diritti suddetti, comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità demaniale del suolo o l'appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni, nonché tutte le questioni cui dia luogo lo svolgimento delle operazioni loro affidate.
In ogni fase del procedimento potrà essere promosso un esperimento di conciliazione, sia per iniziativa del commissario, sia per richiesta delle parti, le quali, per questo oggetto, potranno farsi rappresentare da persona di loro fiducia munita di speciale mandato.
I commissari cureranno la completa esecuzione delle proprie decisioni e di quelle anteriori, ma non ancora eseguite.
Tutte le conciliazioni, relative alle materie contemplate nella presente legge, dovranno riportare l'approvazione del commissario e del Ministero delle politiche agricole e forestali, la quale terrà luogo di quella della Giunta provinciale amministrativa.
(art. 29, l. 16.6.1927, n. 1766).

La giurisprudenza ha affermato che rientrano nella giurisdizione speciale del liquidatore degli usi civici l'accertamento della qualità di un terreno che si assume di uso civico, l'appartenenza di un'area alla collettività civica e l'avvenuta occupazione dei suoli senza titolo legittimo.

Il giudizio di impugnazione del provvedimento sindacale di reintegrazione al demanio civico comunale e di ingiunzione di rilascio dei suoli indicati come ricadenti nel piano di zona per l'edilizia economica e popolare, appartiene alla giurisdizione del liquidatore degli usi civici, ove le parti private ingiunte contestino l'esistenza dell'appartenenza dell'area in questione alla collettività civica e l'avvenuta occupazione dei suoli senza titolo legittimo.

Tutte le questioni su atti amministrativi relativi agli usi civici e non sul regime della proprietà rientrano invece nella giurisdizione amministrativa.

In materia di usi civici, appartiene alla giurisdizione del g.a. la controversia avente ad oggetto la legittimità del provvedimento amministrativo che ha denegato la richiesta legittimazione e disposto la reintegrazione dell'amministrazione nel possesso del bene demaniale, ove il provvedimento stesso sia contestato per il mero vizio di incompetenza.
(Cons. giust. amm. Sicilia , sez. giurisd., 27.7.2005, n. 474, FACDS, 2005, 7/8 2349).

Il rimedio impugnatorio avverso le sentenze rese dai commissari regionali in materia di esistenza, natura ed estensione dei diritti di uso civico è costituito, ai sensi dell'art. 32, l. 16.6.1927, n. 1766, esclusivamente dal reclamo alla Corte d'appello di Roma, sezione speciale usi civici (Cass. Civ., sez. un., 20.11.2003, n. 17668, GCM, 2003, 11).
Contro le sentenze delle sezioni specializzate per gli usi civici delle corti d'appello è proponibile ricorso per cassazione nel termine di quarantacinque giorni dalla sentenza ritualmente notificata.

Ai fini del decorso del termine breve di 45 giorni, di cui agli artt. 7 e 8, l. 10.7.1930, n. 1078, la comunicazione della sentenza ai sensi dell'art. 133 c.p.c., ove eseguita mediante notifica tramite ufficiale giudiziario.



Capitolo venti
La giurisdizione penale.

Guida bibliografica.


1. La tutela penale dei beni pubblici.
La tutela penale dei beni pubblici non rientra in uno schema unitario.
Il c.p. rappresenta solo i reati di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale e di distruzione di bellezze naturali
La tutela penale deve essere ricercata nella legislazione speciale.
Il sistema più completo e omogeneo è quello rappresentato dalla normativa sui beni culturali. Il d. lg 42/2004 dedica l’intero titolo secondo della parte quarta alle sanzioni penali poste a tutela dei beni culturali e dei beni paesaggistici. Angiuli A. Caputi Jambrenghi V. 2005, 431.

2. L’invasione di terreni demaniali
La dottrina rileva come l’interesse tutelato dall’art. 733 c.p. consista nel diritto al pacifico godimento dell’immobile da parte di colui che lo detiene a prescindere quindi dalla sua qualità.
Il fatto che si tratti di un immobile pubblico non costituisce neppure aggravante specifica. Brigandi’ 1993, 259.

3. L’abusiva occupazione del demanio marittimo.
Il reato di cui all’art. 54 c. n. è strettamente connesso al fatto che il soggetto attivo non sia in possesso dell’autorizzazione quindi esso sussiste anche quando il comportamento sussiste dopo che l’autorizzazione è scaduta. Cass. Pen., sez. III, 7.6.2005, n. 25813.

4. La tutela dei beni di interesse pubblico. Il reato di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale.
L'oggetto giuridico protetto da tale norma è rappresentato dal bene-interesse della collettività a godere e fruire di tutto ciò che materialmente attesta la civiltà nazionale nelle varie espressioni culturali di tutte le epoche. Cass. pen., sez. III, 12.5.1993, CP, 1995, 556.
Nel caso in cui il bene sia di proprietà pubblica è necessario che esso appartenga al demanio culturale.
Nel caso in cui il bene danneggiato sia di proprietà privata, magari dello stesso danneggiante, diventa elemento costitutivo del reato l’atto col quale avviene l’imposizione del vincolo.
La giurisprudenza ha precisato che la notifica al proprietario del bene, prevista dalla legislazione in materia di antichità e belle arti ai fini della imposizione del vincolo d'interesse storico-artistico, richiede una dichiarazione del ministro o soprintendente, senza di che la semplice notificazione compiuta dal messo comunale è viziata di incompetenza assoluta, ed il vincolo è inesistente; pertanto, in caso di danneggiamento del bene, è inapplicabile l'art. 733, c.p. Pret. Firenze, 20.7.1989, FI, 1992, II, 375.
Per contro poiché la nullità della notificazione con cui è imposto un vincolo di interesse storico-artistico, per omessa sottoscrizione del ministro o soprintendente, è sanabile, sia attraverso il rinnovo dell'atto che attraverso l'acquiescenza del destinatario, il deterioramento del bene vincolato è punibile ai sensi dell'art. 733, c.p. Pret. Firenze, 19.6.1990, FI, 1992, II, 374.

5. Il soggetto attivo del reato.
Alcune sentenze sono portate ad una interpretazione estensiva comprendendo il concorso anche con altri soggetti, purché questi ultimi abbiano piena
conoscenza del pregio artistico della cosa danneggiata.
E' ben vero che la norma prevede un'ipotesi di reato proprio, che cioè può essere commesso solo dal proprietario, ma non è esclusa la partecipazione di un concorrente extraneus, quando questi sia a conoscenza della qualifica posseduta dagli estranei; è così configurabile il concorso nel reato del sindaco, del quale risulti evidente sia il contributo causale alla verifica del fatto, sia la volontà di cooperare nel reato. Pret. Belluno, 29.10.1992, RGE, 1993, I, 985.

6. La distruzione o il deturpamento di bellezze naturali.
La giurisprudenza ha affermato che la tutela fornita dall'art. 734, c.p., ha per oggetto le menomazioni permanenti o le distruzioni dell'ambiente, in tutte le sue componenti essenziali, ivi compresa la fauna e la flora. Integra l'ipotesi di cui all'art. 734 c.p. - che si configura come reato di danno - la condotta di chi, in assenza delle necessarie autorizzazioni, prosegua l'attività di escavazione in zona sottoposta a vincolo ambientale, deturpando così le bellezze naturali dell'area. Pret. Roma, 20.12.1996, CP, 1997, 3200.

6.1. Gli effetti della autorizzazione amministrativa.
La giurisprudenza meno recente che afferma che l'attività, debitamente autorizzata dalla competente autorità amministrativa, del soggetto che astrattamente viola l'art. 734 c. p. non integra gli estremi della contravvenzione di cui all'art. 734 del c.p., non soltanto per difetto dell'elemento psicologico, bensì anche di quello materiale del reato. Cass. pen., sez. II, 14.3.1988, GP, 1989, II, 293.
Detto indirizzo giurisprudenziale esclude che possa configurarsi il reato quando il comportamento del soggetto attivo sia stato autorizzato; né l'autorizzazione può essere disapplicata dal giudice penale ai sensi dell'art. 5, l. 20.3.1865, n. 2248, all. E), che concerne solo atti incidenti negativamente su diritti soggettivi. Cass. pen., sez. III, 10.2.1987, CP, 1990, I, 1287.

6.2. Il potere del giudice.
Il giudice deve accertare la piena consapevolezza del reo dell'inadempimento delle prescrizioni espresse con parere dalla Commissione Beni Ambientali, con evidente travisamento del fatto e con eccesso di potere. Detto comportamento esclude ictu oculi ogni buona fede dei progettisti e dei responsabili del servizio costruzioni. Cass. Pen., sez. un., 21.1.1993.

7. I reati contro i beni culturali previsti dal d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del codice dei beni culturali ha affermato che integra il reato di cui all'art. 118, d.lg. 29.10.1999, n. 490, che prevede l’esecuzione di opere su beni culturali in difetto di autorizzazione, la mancata ottemperanza alle condizioni apposte dalla p.a. in sede di rilascio del provvedimento autorizzativo, atteso che in tale ipotesi esso deve considerarsi inefficace.
Fattispecie nella quale la autorizzazione alla installazione dell'impianto di illuminazione della cattedrale di Trani era condizionata alla necessità che ogni passaggio esecutivo fosse verificato da sopralluogo della sovrintendenza. Cass. Pen., sez. III, 17.1.2002, n. 11275, CP, 2003, 239.
La giurisprudenza ha affermato che il reato di cui all'art. 118, d.lg. 29.10.1999, n. 490, non si estingue in conseguenza del rilascio della concessione in sanatoria, di cui all'art. 13, l. 28.2.1985, n. 47, come avviene ex art. 22 stessa legge per il reato urbanistico, dato che il rilascio della concessione in sanatoria estingue soltanto i reati previsti dalle norme urbanistiche e non anche quelli previsti da altre disposizioni di legge. Cass. Pen., sez. III, 15.2.2002, n. 11149, CP, 2003, 972.

8. I reati contro i beni ambientali previsti dal d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La dottrina rileva come l’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42, non sia per niente chiara poiché richiama una disposizione ora abrogata, l’art. 20, l. 47/1985, e sostituita dall'art. 44, d.p.r. 380/2001. Gentile 2005, 968.

8.1. I reati contro i beni ambientali di particolare pregio.
Pur aumentando le pene per i reati ambientali la l. 308/2004, art. 1, 36° co., lett. c), ha introdotto la possibilità del rilascio della autorizzazione postuma con effetti estintivi del reato paesaggistico per tre tipologie di abusi minori, modificando l’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La dottrina si è posta il problema dell’estensione della non punibilità ai concorrenti che non abbiano richiesto il rilascio della dichiarazione di conformità. Essa ritiene ammissibile l’estensione dell’effetto premiale a tutti coloro che, a qualsiasi titolo sono stati coinvolti nell’abuso, poiché la norma non impone di richiedere la sanatoria personalmente. Bisori 2005, 509.
Il codice dei beni culturali, d. lg. 42/2004, art. 146, 10° co., lett. c), ha espressamente negato la possibilità di rilascio di autorizzazione postuma successivamente alla realizzazione anche parziale degli interventi.
La l. 308/2004 cambia radicalmente indirizzo e, all’art. 1, 37° co., disciplina il condono ambientale.
La norma introduce una speciale causa di estinzione del reato paesaggistico con effetti più dilatati rispetto all’art. 32, 43° co., l. 326/2003.
Si determina, infatti, l’estinzione sia del reato di cui all’art. 181, d.lg. 42/2004, sia di quello previsto dall’art. 734, c.p., disponendo, inoltre, la scadenza più favorevole del 30.9.2004. Molinaro 2005, III, 89.

9. I reati previsti dalla l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette.
La giurisprudenza ha precisato che l'operatività dell'art. 13, 1° co., l. 6.12.1991, n. 394, nella parte in cui stabilisce che il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente parco e della correlativa sanzione penale prevista dal successivo art. 30, 1° co., l. 6.12.1991, n. 394, non sono subordinati alla previa approvazione del nuovo piano e del nuovo regolamento del parco.
In mancanza di detta approvazione occorre, infatti, fare riferimento ai piani paesistici, territoriali o urbanistici ed agli altri eventuali strumenti di pianificazione di cui è menzione nel succitato art. 12, c. 7, l. 6.12.1991, n. 394, i quali restano in vigore fino al momento della loro prevista sostituzione con il nuovo piano. Cass. pen., sez. III, 27.5.1999, n. 11537, CP, 2001, 269.

10. I reati previsti dal t.u. 25.7.1904, n. 523.
La giurisprudenza ha precisato che il divieto di sostituzione delle pene detentive brevi, posto dall'ultimo comma dell'art. 60, l. 24.11.1981, n. 689, secondo il quale la sostituzione non opera in materia edilizia ed urbanistica quando la pena detentiva non è alternativa a quella pecuniaria, pur in presenza di una concezione ampia della materia urbanistica coincidente con l'assetto complessivo del territorio, non comprende il testo unico sulle opere idrauliche del 25.7.1904, n. 253. La specifica finalità di tale disposizione è, infatti, tesa a consentire la disponibilità di una idonea fascia libera per intervenire sugli argini in caso di esondazione dei corsi d'acqua. Cass. Pen., sez. III, 20.3.2001, n. 16104, CP, 2002, 1790.



1. La tutela penale dei beni pubblici.

La tutela penale sui beni pubblici si articola in due filoni principali.
Il primo è quello che prevede la tutela sui beni demaniali il secondo è quello che tutela i beni di interesse pubblico.
La tutela dei beni demaniali trova riferimento nelle fattispecie previste dall’art. 633 c. p. che reprime l’invasione di terreni demaniali e nella legislazione speciale come ad esempio l’occupazione abusiva del demanio marittimo prevista dagli artt. 54 c.n. che sanziona le innovazioni abusive sul demanio marittimo e l’art. 1161 c. n.
In tal caso è l’appartenenza al patrimonio pubblico che costituisce elemento costitutivo della fattispecie criminosa
La tutela i beni di interesse pubblico è sicuramente la disciplina più articolata; essa non è riconnessa all’appartenenza del bene al patrimonio pubblico poiché il bene può essere di proprietà di altri soggetti, ma la tutela è fondata su altri valori che il legislatore intende preservare.
LA tutela del paesaggio la tutela del patrimonio storico artistico sono elementi fondanti della tutela e l’elemento costitutivo del reato è l ben che deve essere compreso fra le categorie di beni che il legislatore intende salvaguardare.
Questa tutela trova riferimento nelle fattispecie previste dall’art. 733 c. p. che sanziona il reato di danneggiamento del patrimonio archeologico storico o artistico e dall’artt. 734 c.p. che sanziona la distruzione o il deturpamento delle bellezze naturali.
La legislazione speciale rafforza la tutela per i reati contro i beni culturali, prevista dall’art. 169, d.lg. 22.1.2004, n. 42, per i reati contro i beni ambientali previsti dall’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
reati contro le aree protette previsti dall’art. 30, l. 6.12.1991, n. 394, reati contro il mancato rispetto dei divieti di realizzare opere in vicinanza di fiumi, previsti dal t.u. 25.7.1904, n. 523.


2. L’invasione di terreni demaniali

Il reato di invasione previsto dall’art. 633, c.p., va ricondotto ad una qualunque introduzione dall'esterno, con modalità violente.
Il reato sanziona sia l’invasione di immobili privati che pubblici non riconnettendo al fatto che l’immobile sia pubblico una particolare gravità; tanto è vero che non sono previste aggravanti specifiche.
Il nucleo essenziale della condotta tipica consiste, dunque, nell'accesso arbitrario o violento all'edificio altrui, non può, conseguentemente, ritenersi rientrare in tali ipotesi la condotta di chi si trattenga oltre l'orario d'ufficio presso un edificio pubblico.

1. Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 euro a 1.032 euro.
2. Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi.
(art. 633 c.p.).

La ratio dell'art. 633, c.p., risiede nell'esigenza di proteggere il patrimonio immobiliare da arbitrarie intromissioni perpetrate da parte di terzi (Trib. Siena, 29.10.2001, RGPL, 2002, 510).

Il reato di invasione di terreni ed edifici è connotato da una specifica destinazione alla tutela degli interessi proprietari e presuppone nell'agente il dolo specifico della occupazione della cosa altrui al fine di trarne profitto. La dimostrazione dell'esistenza dell'elemento soggettivo così connotato non discende in modo automatico dalla consapevolezza che l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione, cui corrisponde una volontà effettiva di consentire l'attività edificatoria, è illegittima per violazione di legge.

La consapevolezza di procedere ad attività edilizia su terreno demaniale in base ad un'autorizzazione paesistica illegittima, mentre non esclude la responsabilità penale per la violazione della normativa urbanistica, non implica necessariamente quella per la violazione dell'art. 633 c. p. e quelli di cui agli artt. 632 e 639, c. p., con il primo collegati.
(Cass. Pen., Sez. II, 20.1.2006, n. 2592).

Il delitto di invasione di terreni demaniali di cui agli artt. 633 e 639 cod. pen. ha natura permanente, atteso che l'offesa al patrimonio demaniale perdura sino a che continua l'invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di trame profitto (Cass. Pen., Sez. II, 20.1.2006, n. 2592).


3. L’abusiva occupazione del demanio marittimo.

Il reato previsto all’art. 55 e 1161 c. n. sanziona l’abusiva occupazione di spazio demaniale senza l’autorizzazione prevista dall’art. 55, c.n.
La ratio incriminatrice si fonda nell'interesse pubblico a che, nella proprietà privata contigua al demanio marittimo, non siano realizzate opere idonee a pregiudicare la sicurezza della navigazione (Cass. pen., sez. III, 5.11.1999 n. 3442, RGE, 2000, I, 1211).

1. Chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo o aeronautico o delle zone portuali della navigazione interna, ne impedisce l'uso pubblico o vi fa innovazioni non autorizzate, ovvero non osserva i vincoli cui è assoggettata la proprietà privata nelle zone prossime al demanio marittimo od agli aeroporti, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a 516 euro, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato.
2. Se l'occupazione di cui al primo comma è effettuata con un veicolo, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire duecentomila a lire un milione duecentomila; in tal caso si può procedere alla immediata rimozione forzata del veicolo in deroga alla procedura di cui all'art.
54.
(art. 1161, c.n.).

La giurisprudenza ritenne che configuri il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale la costruzione e successiva utilizzazione di una discesa al mare realizzata in blocchi di cemento mediante sbancamenti di sabbia e collocazione di massi di contenimento. Deve essere provata in tal caso la riconducibilità del complesso balneare alla proprietà dell'appellante e l'utilizzo delle opere medesime da parte dell'imputato (Cass. Pen., sez. III, 23.9.2005, n. 40535).
Il reato di cui all’art. 54 c. n. è strettamente connesso al fatto che il soggetto attivo non sia in possesso dell’autorizzazione quindi esso sussiste anche quando il comportamento sussiste dopo che l’autorizzazione è scaduta

Il reato di cui all’art. 1161 c. n. si configura anche in ipotesi di prosecuzione della occupazione dello spazio demaniale dopo la scadenza del titolo autorizzativo, a nulla rilevando in proposito la esistenza di trattative in corso per il rinnovo dalla autorizzazione.
(Cass. Pen., sez. III, 7.6.2005, n. 25813).



4. La tutela dei beni di interesse pubblico. Il reato di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale.

L’art. 733, c. p., punisce chiunque distrugga, deteriora o comunque danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio storico o artistico nazionale, con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda non inferiore a quattro milioni.
La giurisprudenza conferma che l'art. 733, c. p., prevede nella parte precettiva l'obbligo a chi ha la disponibilità dei beni sia di prevenire ed evitare ogni forma di danneggiamento degli stessi sia di fare tutto ciò che è opportuno per la buona conservazione del bene.
La violazione di tale obbligo integra, sotto il profilo oggettivo, un reato di danno a forma libera e permanente.
L'evento lesivo dell'oggetto materiale, infatti, può verificarsi sia attraverso un solo atto, istantaneamente, sia attraverso un comportamento continuo e prolungato, attivo o inerte, come per esempio il persistente stato di abbandono, tale da lasciare il bene materiale privo di ogni tutela da aggressioni umane, cosiddetto vandalismo, dai fattori naturali, quali, ad esempio, insetti o agenti atmosferici, o da elementi chimico-fisici, quali, ad esempio, i fattori inquinanti (Cass. pen., sez. III, 12.5.1993, CP, 1995, 556).
Rientra nel concetto di danneggiamento qualunque condotta sia commissiva che omissiva che diminuisca sensibilmente il valore della cosa.
Integra il reato di cui all'art. 733, c.p., la condotta dei proprietari di un palazzo notificato per il suo particolare valore storico-artistico. Essi, omettendo per incuria l'esecuzione di lavori di manutenzione e di restauro degli elementi lapidei disgregantesi per effetto degli agenti atmosferici - che hanno determinato l'intervento della pubblica amministrazione per la messa in opera ed il mantenimento per oltre un ventennio di un vistoso ponteggio parasassi a tutela della pubblica incolumità - concorrono a cagionare una grave alterazione degli elementi architettonici e la duratura obliterazione della facciata con elementi posticci (Pret. Firenze, 5.6.1990, GM, 1992, 1336).
Per la sussistenza dell'elemento psichico del reato non si richiede il dolo ma è sufficiente la colpa: è però necessario, in ogni caso, che l'agente abbia la consapevolezza del rilevante pregio della cosa (Cass. pen., sez. III, 15.10.1980, CP, 1982, 245).
Occorre verificare se dal fatto sia derivato un danno al patrimonio archeologico nazionale, atteso che tale nocumento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, nonché accertare che l'agente proprietario della cosa danneggiata sia consapevole del rilevante pregio del bene, anche se in assenza della imposizione del vincolo storico artistico, che non costituisce un elemento presupposto dalla norma incriminatrice.
La contravvenzione di cui all'art. 733 c.p. configura un reato di evento, e più esattamente un reato di danno, giacché si perfeziona solo quando la condotta dell'agente provochi la distruzione, il deterioramento o il danneggiamento di monumenti o di altre cose di pregio rilevante, se dal fatto derivi un nocumento al patrimonio artistico nazionale (Cass. pen., sez. III, 29.11.2000, n. 4001).



5. Il soggetto attivo del reato.

La violazione contemplata dall'art. 733, c.p., in tema di danneggiamento del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale può essere commessa anche da soggetti diversi dal proprietario del bene.
La giurisprudenza in tal senso ha precisato che il danneggiamento di beni privati di particolare interesse artistico, storico o archeologico non notificati è punibile rispettivamente a norma degli artt. 635 o 733 c.p. ove avvenga ad opera di terzo estraneo ovvero ad opera del proprietario, possessore o detentore di essi, sempre che, in quest'ultimo caso, l'agente sia consapevole del loro rilevante pregio (Trib. Venezia, 2.10.2000, ND 2000, 1099).
Per un altro indirizzo giurisprudenziale soggetto attivo del reato è solo il proprietario della cosa, non il possessore in quanto tale e tanto meno il semplice detentore.
I terzi estranei alla proprietà possono solo concorrere col proprietario alla commissione della contravvenzione.
Questa interpretazione letterale risponde anche alla ratio implicita della norma che, nell'interesse pubblico alla salvaguardia del patrimonio artistico, storico e archeologico della nazione, ha voluto costituire un vincolo giuridico a carico dei proprietari privati di cose aventi pregio artistico, storico o archeologico, impedendo loro di danneggiarle o deteriorarle (Cass. pen., sez. III, 29.4.1998, n. 1521, CP, 2000, 51).
La giurisprudenza è incerta nell’affermare se il soggetto attivo del reato sia solo il proprietario e non anche il legale rappresentante di ente pubblico.
La giurisprudenza è divisa. Talune sentenze sono per una soluzione restrittiva affermando che l'ambito di operatività dell'art. 733 c.p. è ristretto al solo privato che abbia danneggiato un monumento o una cosa d'arte di sua proprietà, e non comprende fatti posti in essere dal legale rappresentante di ente pubblico (Cass. pen., sez. II, 4.11.1993, FI, 1994, II, 137).
La Suprema Corte ha escluso che soggetto attivo del reato possa essere il dipendente pubblico che gestisce il bene di rilevante pregio storico, archeologico ed artistico di pubblica appartenenza (Cass. pen., sez. II, 4.11.1993, CP, 1995, 551).



6. La distruzione o il deturpamento di bellezze naturali.

L’art. 734, c.p., punisce con l’ammenda da Euro a Euro , chiunque mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio storico o artistico nazionale.
La giurisprudenza propende correttamente per una interpretazione estensiva ritenendo che per definire il concetto di bellezza naturale non può farsi esclusivo riferimento alla l. 29.6.1939, n. 1497, e mod., che tutela i beni paesistici quale fonte di godimento estetico, ma, alla luce dei principi costituzionali di cui all’art. 9, cost., va considerato il bene ambientale nel suo complesso.
La violazione del vincolo paesaggistico e del danno ambientale devono essere oggetto di autonoma ed apposita valutazione, non essendo legata la lesione dell'interesse protetto dalle norme relative a tali specifici aspetti alla assoggettabilità o meno a concessione edilizia dell'attività posta in essere.
Nel caso di specie la Corte ha annullato con rinvio in parte qua la sentenza di assoluzione per i reati previsti dagli art. 1 sexies, l. 431 del 1985, e 734, c.p., fondata sul solo presupposto della non necessità di concessione edilizia dell'opera (Cass. pen., sez. III, 7.7.2000, n. 9138, RP, 2001, 662).
La giurisprudenza ha ritenuto corretta l'applicazione dell'art. 734, c.p., relativamente a ripetuti episodi di inquinamento che avevano provocato estese morie di pesci negli allevamenti e nel fiume, oggetto di speciale protezione paesistica (Cass. pen., sez. II, 19.9.1990, CP, 1992, 2186).
E’ stato ravvisato in reato nella alterazione della Villa Comunale di Napoli, non solo per il suo degrado in genere, ma anche perché il parco era ridotto ad una autorimessa pubblica, occupato da una massiccia e costante presenza di autovetture lasciate in sosta.
L'evento della alterazione delle bellezze naturali consiste nella diminuzione del godimento estetico che il luogo offriva, e ciò avviene anche quando il luogo, pur rimanendo invariato, non sia più fruibile per gli ostacoli frapposti (Cass. pen., sez. III, 10.12.1991).
L'attività di cava, che si svolga in assenza di autorizzazione paesaggistica, consente al magistrato penale l'accertamento circa l'alterazione del paesaggio, ex art. 734, c.p., dovendosi stabilire in concreto il danno (Cass. pen., sez. III, 1.7.1992, CP, 1994, 145).
La giurisprudenza ribadisce la necessità che si tratti di un area vincolata per aversi il reato. Nel caso in cui risulti accertata l'esistenza soltanto di un vincolo idrogeologico interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione abusiva, con esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto, non è configurabile il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, né quello di cui all'art. 734, c.p., che presuppone l'imposizione di un vincolo a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio (Cass. pen., sez. III, 28.2.1997, n. 4423, CP, 1998, 1472).
La distruzione o l'alterazione del paesaggio si verifica, nell'ipotesi di costruzione o demolizione, all'epoca della ultimazione delle dette attività.
In quel momento il danno è ormai intervenuto.
La successiva protrazione del medesimo non configura una prosecuzione della condotta, ormai esaurita, ma soltanto un effetto duraturo nel tempo.
Il reato è quindi permanente, ma detta permanenza termina con la cessazione dei lavori (Cass. pen., sez. fer., 26.7.1993, CP, 1994, 2196).

6.1. Gli effetti della autorizzazione amministrativa.

Il fatto che l’opera sia stata oggetto di autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza della violazione delle bellezze naturali, ma può assumere semmai rilevanza in materia di valutazione dell'elemento psicologico o della gravità del reato.
La prevalente giurisprudenza ritiene che il fatto che la costruzione e il permesso di costruire siano conformi alla normazione urbanistica forma elemento costitutivo o normativo dei reati contemplati dall'art. 44, d.p.r. 380/2001, in relazione all'interesse sostanziale protetto (Cass. Pen., sez. III, 16.10.2002, n. 18746).
Qualora l'opera eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, il reato di cui all'art. 734, c.p., indipendentemente dalla concessione e/o del nulla-osta amministrativo, è comunque integrato a carico contestualmente del titolare dei lavori ed eventualmente a carico contestuale dell'amministratore comunale firmatario della concessione medesima (Pret. Terni, 26.4.1994, RP, 1994, 771).
Il reato è, però, ugualmente configurabile quando l'entità dell'alterazione infici, per la sua enormità, la presunzione di legittimità del nulla-osta su cui il soggetto aveva ragione di confidare. (Cass. pen., sez. III, 29.9.1992, CP, 1994, 927).
Infatti, la giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del t.u. ed. ritiene che, in presenza di una concessione edilizia illegittima, non si tratta di disapplicare un atto amministrativo bensì di valutare la sussistenza di un elemento normativo della fattispecie penale.
Traendo spunto dall'interesse sostanziale protetto dal D.P.R. 380/2001 la prevalente giurisprudenza afferma essere interesse sostanziale quello della protezione del territorio e, quindi, la legittimità dell'atto deve costituire elemento normativo della fattispecie di cui all'art. 44, d.p.r. 380/2001.
La giurisprudenza afferma che il provvedimento illecito e non illegittimo può essere frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del soggetto privato che lo consegue e, quindi, non è riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico.
L’affermazione consente di evidenziare come l'area della c.d. collusione, non indicativa di uno specifico reato perché insussistente nel codice penale comune, debba essere ampliata alle attività fraudolente del richiedente, non colpite per inerzia della p.a., e possa essere riferita genericamente alla sfera dell'illecito giuridico, che si pone in contrasto con il generale principio del neminem ledere e con quello di buona fede.
Il giudice può conoscere incidentalmente di questioni attinenti a dette controversie e l'elemento soggettivo finisce con il costituire l'effettiva verifica della macroscopicità della violazione alla normazione urbanistica e con il salvaguardare i vari valori costituzionali implicati, tutti di eguale forza, in aderenza a quella concezione del diritto penale che attribuisce sempre maggior rilevanza alla colpevolezza ed alla buona fede, strumento indispensabile per bilanciare i vari interessi.
Pertanto, si deve riconoscere la possibilità di sindacare la legittimità della concessione edilizia, di quella in sanatoria, del condono e di tutte le cause di giustificazione oppure di quelle speciali di estinzione dei reati giacché, se il potere di disapplicazione deriva dall'art. 101 Cost., logicamente i termini concessione, autorizzazione, atto amministrativo in generale devono presupporre la loro conformità alla legge.
E’ in contrasto con gli stessi principi costituzionali in materia penale considerare ammissibile un comportamento posto in essere in una condizione di illegittimità se non sia previsto da una specifica norma.
Non si discute più della facoltà di disapplicare un atto amministrativo e dei relativi poteri del giudice penale, ma del potere accertativo di detto magistrato dinanzi ad un provvedimento che costituisce presupposto o elemento normativo di un reato.
L'esame deve riguardare non l'esistenza ontologica dello stesso, ma l'integrazione o meno della fattispecie penale in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo (Cass. Pen., sez. un. 21.12.1993).


6.2. Il potere del giudice.

La giurisprudenza rimette la valutazione del danno all’apprezzamento del giudice a prescindere da autorizzazioni amministrative.
Il giudice ha il potere di accertare se, in concreto, l'opera eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, indipendentemente dalla concessione comunale e/o dal nullaosta amministrativo regionale.
Il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato (Cass. pen., sez. III, 1.10.1998, n. 1773, CP, 1999, 3228).
L’orientamento giurisprudenziale prevalente ha affermato che, ai fini dell'applicazione dell'art. 734 c.p., è demandato sempre al giudice penale l'accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, indipendentemente da ogni valutazione della pubblica amministrazione.
Si tratta, infatti, di reato di danno e non di pericolo, caratterizzato dall'alterazione o distruzione della bellezza naturale, per questo l’accertamento dell'evento concretante la contravvenzione spetta al giudice.
Il provvedimento della pubblica amministrazione può assumere, al limite, rilevanza in materia di valutazione dell'elemento psicologico (Cass. Pen., sez. III, 3.3.2004, n. 15299, CP, 2005, f. 1, 34).


7. I reati contro i beni culturali previsti dal d.lg. 22.1.2004, n. 42.

Il d.lg. 22.1.2004, n. 42, che approva il codice dei beni culturali e del paesaggio, sanziona penalmente coloro che trasgrediscono ai suoi disposti.
La contravvenzione stabilita dall’art. 169, d.lg. 22.1.2004, n. 42, punisce con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da 774 Euro a 38.734 Euro, chi rientra in una delle seguenti ipotesi di reato:
a) chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell'art. 10;
b) chiunque, senza l'autorizzazione del Soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o no alla pubblica vista, anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall'articolo 13;
c) chiunque esegue, in casi di assoluta urgenza, lavori provvisori indispensabili per evitare danni notevoli ai beni indicati nell'articolo 10, senza darne immediata comunicazione alla Soprintendenza ovvero senza inviare, nel più breve tempo possibile, i progetti dei lavori definitivi per l'autorizzazione.
La stessa pena si applica in caso di inosservanza dell'ordine di sospensione dei lavori impartito dal Soprintendente, ai sensi dell'art. 28, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La dottrina esclude la conversione della pena detentiva in pecuniaria posto il limite massimo della pena edittale che non deve essere superiore ai tre mesi, ex art. 53, l. 689/1981, e l’oblazione trattandosi di pena detentiva congiunta alla pena pecuniaria (Tamiozzo 2005, 748).


7.1. I delitti in materia di alienazione.

Un gruppo di delitti è previsto dall’art. 173, d.lg. 42/2004, per le violazioni in materia di alienazione. La pena edittale della reclusione fino ad un anno e della multa da euro 1.549,50 a euro 77.469 si applica a tre differenti fattispecie, ex art. 173, d.lg. 42/2004, mod. dall'art. 3, 1° co., lett. b), d.lg. 24.3.2006, n. 156.
La prima prevede il fatto di chi, senza la prescritta autorizzazione, alieni i beni culturali indicati negli
artt. 55 e 56, d.lg. 42/2004.
La seconda contempla la ipotesi di chi, essendovi tenuto, non presenta, nel termine indicato all'
art. 59, 2° co., d.lg. 42/2004, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali.
La giurisprudenza ha ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 173 del citato d.lg. n. 42, che punisce la omessa presentazione della denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali, anche in relazione al patrimonio culturale reale.

Il riferimento contenuto nell'art. 2, d.lg. 22.1.2004, n. 42, alle altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà costituisce una formula di chiusura che consente di ravvisare il bene giuridico protetto dalle nuove disposizioni sui beni culturali ed ambientali non soltanto nel patrimonio storico-artistico-ambientale dichiarato, ma anche in quello reale, ovvero in quei beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal previo riconoscimento da parte della autorità competenti

La fattispecie si configura quale reato di pericolo volto a tutelare non solo la preservazione del patrimonio archeologico, storico ed artistico, ma anche l'interesse alla individuazione delle cose appartenenti a detto patrimonio.
Le previsioni sanzionatorie dell'art. 173, d.lg. 42/2004, si correlano a quelle dell'art. 59, 4° co., d.lg. 42/2004.
Essa disciplina il contenuto necessario della denuncia non reca alcun riferimento alla dichiarazione prevista dall'art. 13, d.lg. 42/2004.
Il trasferimento di beni culturali appartenenti a privati non deve, pertanto, essere denunziato soltanto nelle ipotesi in cui sia già intervenuta la dichiarazione di interesse culturale.
Non deve in ogni caso dimenticarsi, in proposito, che il reato di cui all'art. 173, d.lg. 42/2004, rubricato come delitto, richiede la sussistenza del dolo e questo deve investire, oltre la condotta omissiva, anche la percettibilità della nota di valore della cosa.
La verifica dell'effettiva sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico della cosa denunziata non riguarda, invece, il momento prodromico della denunzia di trasferimento: essa è demandata, infatti, dalla legge ad un momento successivo e dovrà essere effettuata dalla pubblica amministrazione sulla base di indirizzi di carattere generale uniformi.
Mentre in tale fattispecie si ravvisa la necessità di evitare che i beni mobili siano sottratti al controllo pubblico eccessivamente gravosa appare la norma che sanziona anche la mancata notifica degli atti di trasferimento di beni immobili. Questi sono infatti resi facilmente accertabili dal sistema della pubblicità immobiliare la sanzione deve essere limitata la fatto che semmai il venditore e l’acquirente vogliono spostare il tempo di esercitare la prelazione in caso di vendita come risultati controproducenti per entrambi.
Resta da verificare se sussiste per l’amministrazione una effettiva volontà di esercitare la prelazione anche nel caso di affitto.
Nel caso di messa denuncia di beni mobili la possibilità che lo stesso sia sottratto può fare apparire necessaria una sanzione penale.
Nella denuncia di beni immobili, invece, l’esercizio della prelazione consente alla pubblica amministrazione di potere esercitare tranquillamente la prelazione. Per quanto attiene alla locazione l sistema sanzionatorio appare palesemente punitivo senza alcuna ragione valida. La giurisprudenza ha delineato il volto costituzionale del sistema penale che pone limiti alla potestà punitiva in funzione di una giustizia proporzionale che colleghi la pena all’entità della sanzione (Corte cost., 14.4.1980, n. 50, GC, 1980, I, 352).
La giurisprudenza afferma che il reato previsto dall'art. 173, 2° co., d.lg. 42/2004, consistente nell'omessa denuncia del trasferimento di proprietà o della detenzione di cosa di interesse artistico o storico, ha natura permanente, in quanto, mancando un termine entro cui ottemperare a detto obbligo, la condotta omissiva si protrae fino al momento nel quale la denuncia viene effettuata
La terza prevede il aso in cui l'alienante di un bene culturale soggetto a prelazione effettui la consegna della cosa in pendenza del termine previsto dall'art. 61, 1° co., d.lg. 42/2004.



8. I reati contro i beni ambientali previsti dal d.lg. 22.1.2004, n. 42.

L’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42, prevede un autonomo reato per chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità da lei, esegua lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici.
Ma vi è di più. L’ipotesi prevista dall’art. 181, 1° co., del d.lgs. citato, non fa chiarezza sulla pena edittale in quanto si riferisce all’art. 20, l. 47/1985, ora soppresso e non all'art. 44, d.p.r. 6.6.2001, n. 380, ora vigente.
La giurisprudenza ha, in via di interpretazione, applicato al reato ambientale la fattispecie più grave prevista dall’art. 20, lett. c), l. 47/1985.
Di fatto il reato viene regolamentato dall’art. 181, 1° bis co., del d.lgs. citato, che secondo la dottrina reca una sanzione pecuniaria che è inferiore a quella prevista per il corrispondente reato edilizio (Bisori 2005, 508).
Con la sentenza di condanna il giudice deve ordinare la rimessione in pristino (Tamiozzo 2005, 778).

8.1. I reati contro i beni ambientali di particolare pregio.

La l. 308/2004, art. 1, c. 36, lett. c), ha modificato l’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42, aggiungendo il c. 1-bis.
Tale modifica aumenta la pena disponendo la reclusione da un a quattro anni qualora i lavori:
a) ricadano su immobili od aree che, ai sensi dell'
art. 136, d.lg. 42/2004, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;
b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'
art. 142, d.lg. 42/2004, ed abbiano cagionato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano avuto come effetto una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.
La dottrina osserva come si tratti di una nuova ipotesi di delitto che rappresenta un maggiore gravità rispetto alle contravvenzioni.
Alla prova del nove la punibilità del delitto appare inferiore rispetto a quella della contravvenzione del corrispondente reato edilizio previsto dall'art. 44 del d.p.r. 6.6.2001, n. 380.
La nuova disposizione non prevede la sanzione pecuniaria congiunta con la detenzione e perciò non oblazionabile.
La pena detentiva è, inoltre, destinata alla conversione in pena pecuniaria oggi ammessa per i reati edilizi a seguito abrogazione dell'art. 60, l. 689/1981 disposta dall’art. 4, l. 134/2003.
Con le attenuanti generiche e con i benefici del patteggiamento, è stato calcolato che si può convertire la pena di sei mesi di reclusione con 6.840 euro di multa (Bisori 2005, 501).


9. I reati previsti dalla l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette.

L’art. 30, 1° co., l. 394 del 1991, prevede due distinti reati.
Il primo reato prevede due distinte fattispecie, sanzionate con l’arresto fino a dodici mesi e con l’ammenda da euro 103 a euro 25.822.
La prima punisce il mancato rispetto delle misure di salvaguardia emanate dal Ministero dell’ambiente e dalle regioni intese a proteggere le aree del cosiddetto patrimonio naturale, costituite, come precisa l’art. 1, L. 394/1991, dalle formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche che hanno rilevante valore naturalistico o ambientale.
La seconda sanziona la mancanza di preventivo nulla osta dell'Ente parco per interventi, impianti ed opere all'interno del parco.
La giurisprudenza ha precisato che la realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree protette deve essere preceduta da tre autonomi provvedimenti: il permesso di costruire, l'autorizzazione paesaggistica, ed il nulla osta dell'ente parco di cui alla l. 6.12.1991, n. 394.
La circostanza che il rilascio di questi due ultimi provvedimenti sia attributo, con legge regionale, ad un unico organo, non fa perdere agli stessi la loro autonomia, con la conseguente necessità di una duplice valutazione in merito (Cass. Pen., sez. III, 9.10.2003, n. 47706, CP, 2004, 3754).
Il secondo reato prevede altre due distinte fattispecie, sanzionate con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da euro 103 a euro 12.911.
La prima colpisce le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, come l’apertura di cave, la modificazione del regime delle acque con particolare riguardo alla flora, come il relativo danneggiamento delle specie vegetali protette, o della fauna, come la cattura, l’uccisione, il danneggiamento e il disturbo delle specie animali.
La giurisprudenza ha affermato che il reato di cui all'art. 11, 3° co., lett. c), l. 6.12.1991, n. 394, che proibisce la modificazione del regime delle acque, ha natura permanente, atteso che questo si riferisce non soltanto alla condotta finalizzata alla realizzazione delle opere strumentali alla modificazione, che si esaurisce con la ultimazione delle stesse, ma al fatto di continuare ad attingere acqua, in quanto con tale condotta si perpetua la modifica del regime delle acque; conseguentemente la permanenza cessa solo con l'ultimo dei prelievi non autorizzati (Cass. Pen., sez. III, 4.10.2002, n. 33170, DGA, 2004, 60).

L'art. 11, 3° co., lett. f), l. 6.12.1991, n. 394, prescrive espressamente la necessità della preventiva autorizzazione degli enti preposti alla tutela delle aree stesse per l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, a fissare con sufficiente chiarezza le condotte vietate e a dettare, in caso di violazione dei divieti previsti, specifiche sanzioni penali, non sono necessarie ulteriori determinazioni regolamentari per la sua immediata applicabilità.
Ne discende che, al fine della configurabilità della contravvenzione al divieto di introduzione di armi in area protetta, è sufficiente la constatata presenza del privato, senza la prescritta autorizzazione, all'interno dell'area e in possesso di arma e munizioni, a prescindere dalla flagranza dell'attività venatoria o dell'atteggiamento di caccia, costituendo il relativo divieto lo strumento prescelto dal legislatore per la radicale salvaguardia della fauna protetta.
Fattispecie relativa all'introduzione non autorizzata di un fucile da caccia e relativo munizionamento all'interno della riserva naturale biogenetica di Vallombrosa.
(Cass. pen., sez. I, 14.2.2000, n. 2919, CP, 2001, 268).

La giurisprudenza ha affermato che l'allestimento di un campeggio all'interno di un parco senza la prescritta autorizzazione integra il reato di cui all’art. 30, l. 6.12.1991, n. 394.
La richiamata norma dell’art. 11, 3° co., l. 6.12.1991, n. 394, pur recando un elenco di specifiche condotte vietate che non comprende la realizzazione di un campeggio abusivo, proibisce in generale tutte le attività ed opere che possano compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati in relazione alla flora ed alla fauna protette.
La Corte in motivazione ha rilevato che la realizzazione di un campeggio pone in pericolo quanto meno la flora del parco, attraverso opere di sbancamento della terra, accensione di fuochi ed altro (Cass. Pen., sez. III, 22.10.2002, n. 42209, CP, 2004, 1742).
La seconda sanziona le attività vietate nelle aree marine protette, come la cattura, la raccolta ed il danneggiamento delle specie animali e vegetali, l’alterazione delle caratteristiche delle acque, la navigazione a motore e la discarica dei rifiuti.
La giurisprudenza ha precisato che il reato non sussiste nel caso di ormeggio. Il transito e l'ormeggio in acque protette, nella specie circostanti l'isola di Giannutri, non integrano il reato di cui all'art. 1-sexies della l. 8.8.1985, n. 431, in riferimento all'art. 30, l. 6.12.1991, n. 394, poiché manca l'alterazione dello stato dei luoghi vincolati e cioè una modificazione non momentanea, ma destinata a durare nel tempo. La nozione di alterazione non può poi essere desunta da leggi regionali, nella specie della Toscana, applicativa della l. 8.8.1985, n. 431, poiché detto concetto deve essere unitario in tutto il territorio.
Nel caso la Corte ha rigettato il ricorso del p.m. avverso il proscioglimento per oblazione dal reato di cui all'art. 164 c.p. (Cass. pen., sez. III, 10.2.1993, CP, 1994, 1062).


10. I reati previsti dal t.u. 25.7.1904, n. 523.

Il mancato rispetto dei divieti di realizzare opere in vicinanza di fiumi formulati dall’art. 96, t.u. 25.7.1904, n. 523, sulle opere idrauliche, ai sensi dell’art. 100 dello stesso t.u., soggiacciono alla sanzione stabilita dall'art. 374, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), non abrogata dal testo unico che si è limitato a riordinare la materia.
Alle pene di polizia e alla multa, comminate dalla disposizione del 1865, in virtù dell'art. 1, r.d. 28.5.1931, n. 601, corrispondono quelle dell'arresto e dell'ammenda (Cass. pen., sez. III, 5.2.1996, CP, 1997, 1852).
La pena consiste nell’arresto non superiore a tre mesi e nell’ammenda non superiore a 51 euro, ex artt. 113 e 114, l. 24.11.1981, n. 689.
Il controllo del giudice penale prescinde dalle eventuali autorizzazioni amministrative.
Spetta, infatti, all'autorità giudiziaria controllare se l'atto concessorio è stato rispettato e, in caso negativo, indagare sul relativo reato e prevenirne l'aggravamento (Cass. Pen., sez. III, 3.3.1995, n. 1038, RTDPE, 1996, 1117).
Il fatto poi che vi siano state autorizzazioni comunali per opere di bonifica agraria non esonera il ricorrente dall'osservanza di norme penali aventi peraltro finalità diverse da quella urbanistica.
Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 96, lett. f), t.u. 25.7.1904, n. 523, per avere l'imputato eseguito scavi a distanza inferiore a dieci metri dal piede dell'argine di un torrente, era stata dedotta l'inapplicabilità del divieto di realizzare opere nel caso di argine artificiale (Cass. pen., sez. III, 5.2.1996, n. 2412, CP, 1997, 1852).

11. Il sequestro.

Il sequestro è misura cautelare penale, disposta con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero, dal giudice competente a pronunciarsi nel merito o, prima dell’esercizio dell’azione penale, dal giudice per le indagini preliminari, come afferma l’art. 321, c.p.p., quando vi è pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati.

1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari.
(art. 321, c.p.p.).

Il sequestro ha lo scopo di creare un vincolo di indisponibilità sulle cose mobili e sui beni immobili che sono serviti al titolare per commettere il reato.
Proprio questa finalità impone che lo strumento giuridico abbia una durata limitata.
La giurisprudenza ha ritenuto la formale inalienabilità ed impignorabilità dei beni demaniali, sancita dall'art. 823, c. c., non vale a garantire che su tali beni o per mezzo di essi possano essere commessi reati e che tali reati, ove siano tuttora in itinere, possano provocare ulteriori conseguenze pregiudizievoli dell'interesse primario tutelato dalla norma penale violata.
E’ stato ritenuto legittimo il sequestro di un'area demaniale, allorquando la misura di cautela reale sia rivolta ad impedire il protrarsi di un'attività illecita in corso di effettuazione sull'area medesima (Cass. Pen., Sez. VI, 31.1.2001, n. 3947).
Il sequestro preventivo è rivolto a tutelare l'esigenza di protezione della collettività dalla prosecuzione dell'attività criminosa ovvero dalla commissione di nuovi reati e, nella specie, razionalmente è stata ravvisata la probabilità di danno futuro connessa all'uso considerato illecito che in concreto è fatto di un'area del demanio militare.

Nella vicenda in esame, con il sequestro, l'area non è stata sottratta alle finalità di difesa nazionale alle quali è destinata per la sua natura demaniale. Ciò che è stato impedito non è l'uso pubblico istituzionale del bene demaniale Cass. Pen., Sez. III, 16.3.1994, n. 270, bensì l'uso illecito di esso quale sito di abbandono incontrollato di rifiuti ed in proposito va ricordato che, ai sensi dell'art. 321, 3° co., c.p.p., il giudice deve revocare immediatamente la misura di cautela allorquando "risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti" i requisiti previsti dal 1^ comma dello stesso articolo. (Cass. Pen., Sez. III, 5.3.2004, n. 10662).

La giurisprudenza conferma la possibilità di sequestro di beni demaniali in rapporto al reato di invasione.
Poiché il delitto ha natura permanente - perché l'offesa al patrimonio demaniale perdura sino a che continua l'invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di trarne altrimenti profitto – in sede cautelare sussiste il fumus del delitto di invasione arbitraria di terreno demaniale e sussiste inoltre il periculum in mora atto a legittimare il sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321 c.p.p..
Nella fattispecie la Cotte ha affermato che la libera disponibilità del terreno da parte del gestore del campeggio può protrarre e aggravare le conseguenze del reato, e - in ipotesi di inondazione - può anche agevolare la commissione di altri reati quali l'omicidio e la lesione personale per colpa (Cass. Pen., sez. III, 26.11.2003, n. 2026, CP, 2005, n. 4, 1258).

E’ stato ritenuto legittimo il sequestro di costruzione realizzata su area del demanio marittimo anche dopo il suo completamento.

In materia di tutela delle zone demaniali, è legittimo il sequestro preventivo di una costruzione realizzata nella fascia di rispetto di trenta metri dal demanio marittimo, in relazione all'ipotesi di reato di cui agli art. 55 e 1161 c. nav., anche successivamente alla avvenuta ultimazione dell'opera, atteso che a tal fine non occorre fare riferimento alla condotta attiva del soggetto, bensì alle conseguenze di essa, accertando se nel caso tali conseguenze siano tuttora lesive dell'interesse protetto, potendosi verificare che attraverso la disponibilità del bene, anche ad evento realizzatosi, si producano ulteriori conseguenze antigiuridiche che le disposizioni in questione mirano ad evitare.






Nessun commento:

Posta un commento