mercoledì 3 ottobre 2012

Beni pubblici. 13 Patrimonio naturale.


Capitolo tredicesimo
Il patrimonio naturale.

Guida bibliografica.

1. Il patrimonio naturale.
La dottrina rileva che, a fronte alla frammentazione normativa e alle incertezze definitorie da cui era afflitta la previgente disciplina, la legge quadro sulle aree protette, l. 6.12.1991, n. 394, tenta di enucleare e tipizzare la materia protezione della natura e di individuare il fondamento costituzionale, le finalità, i principi generali, le nozioni e gli istituti specifici. Desideri e Fonderico 1998, 17.

2. Le aree protette.
La dottrina considera l’elaborazione del piano dell’area protetta come il momento di sintesi fra la composizione di interessi di diversa natura e la configurazione del giusto equilibrio tra conservazione e sviluppo. Assini e Mantini 1997, 881.

3. I parchi nazionali.
L’Ente Parco ha la gestione del parco; esso, la cui istituzione è regolamentata dall'art. 9, l. 394/1991, ha personalità di diritto pubblico.
L’Ente Parco tutela i valori naturali ed ambientali mediante il piano per il Parco. Desideri e Fonderico 1998, 37.

3.1. Il procedimento di approvazione.
Per la giurisprudenza la scelta dei territori da includere nella perimetrazione provvisoria del Parco nazionale, che l'art. 34, l. 6.12.1991, n. 394 demanda al Ministero dell'ambiente, concreta un'attività tecnico discrezionale insindacabile in sede di giudizio di legittimità se non per palese illogicità o arbitrarietà della scelta operata dall'amministrazione. T.A.R. Lazio sez. II, 22.6.1995, n. 1093, FA, 1996, 218.

4. I parchi regionali.
La giurisprudenza afferma che la delibera della Giunta regionale recante l'approvazione della proposta di legge di modifica di una precedente legge in relazione alla riduzione del perimetro di un parco naturale regionale, stante la sua natura di atto di iniziativa legislativa, è assoggettata al regime giuridico di sindacabilità proprio delle leggi, perciò sfugge al sindacato del g.a. T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 18.4.2005, n. 183, FATAR, 2005, 4, 1138.

4.1. Il procedimento di approvazione.
La giurisprudenza ha affermato che la procedura - prevista dalla l. r. Lombardia n. 86 del 1983, di formazione, adozione e approvazione dei piani territoriali di coordinamento di parco regionale - è suddivisa in due fasi autonome
La prima, esclusivamente amministrativa, è diretta a realizzare la partecipazione ed il concorso dei soggetti pubblici e privati portatori dei molteplici interessi coinvolti, come apporto non solo meramente collaborativo, ma con funzione anche garantistica del ruolo dei Comuni, cioè con il concorso attivo degli enti locali e con la facoltà di intervento di altri soggetti privati interessati.
In detta fase sono posti in essere atti, adottati da organi amministrativi e nell'esercizio di attività amministrativa, con efficacia non limitata all'interno del procedimento di formazione e adozione del piano territoriale, ma suscettibili di ledere immediatamente, attraverso l'automatica imposizione della salvaguardia, le posizioni di tutti i soggetti interessati che soggiacciono alle previsioni del progetto di piano per gli effetti impeditivi rispetto ad ogni intervento in contrasto.
Gli eventuali vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e della delibera di modifiche da parte della Giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica e partecipazione non rimangono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidono su situazioni giuridiche soggettive.
Per tali motivi la Corte Cost. ha respinto la questione di legittimità costituzionale dato che il procedimento così configurato non può paralizzare l’impugnazione giurisdizionale degli atti amministrativi. Corte cost., 11.6.1999, n. 226, GC, 1999, 2046.
La seconda fase è di mera approvazione di natura politica da parte dell'assemblea regionale, che tuttavia non attribuisce al contenuto del piano valore di legge né assume il significato di conversione dell'atto di pianificazione del parco. Corte cost., 11.6.1999, n. 225, R, 1999, 1029.


5. Le misure di salvaguardia.
La giurisprudenza ha riconosciuto che sono pienamente legittime e conformi all'art. 3 cost. le misure di salvaguardia imposte con d.p.r. 17.5.1996, istitutivo del Parco nazionale dell'arcipelago della Maddalena, anche nella parte in cui stabiliscono un limitato differente trattamento tra residenti e non residenti. L'applicazione di tali misure di salvaguardia non è limitata solo ai non residenti, avendo tali misure una portata precettiva nei confronti di tutti residenti e non.
La discriminazione operata dalle stesse può, al limite, essere ravvisata nella diversa misura in cui certe attività sono consentite ai residenti ed ai non residenti.
L'art. 3, 1° co., cost., infatti, stabilisce il principio cosiddetto di uguaglianza formale.
L'azione amministrativa deve tendere, secondo il principio di ragionevolezza, ex art. 97 cost., a garantire un'imparzialità non tanto formale, quanto piuttosto sostanziale: il principio di uguaglianza postula infatti, nella sua globalità formale e sostanziale, che se è vero che deve essere garantito un trattamento uguale per disciplinare situazioni uguali, è anche vero che deve essere garantito un trattamento differenziato per disciplinare situazioni differenziate. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 23.6.1998, n. 1092, FA, 1999, 1071.


6. I limiti all’edificazione e alle attività e i relativi indennizzi.
La giurisprudenza ha negato il carattere espropriativo dei vincoli imposti dalla legge che ha istituito il parco naturale del fiume Sile, che va, invece, escluso, alla stregua delle ripetute statuizioni della Corte cost., le quali ne hanno posto in evidenza il carattere conformativo. I predetti vincoli traggono, cioè, origine dalle caratteristiche dell'area, tali da imporre limitazioni intrinseche all'esercizio delle facoltà di uso della stessa, rispetto alle quali l'intervento dell'amministrazione o del legislatore assume valenza meramente ricognitiva e non costitutiva. In relazione a ciò, è da escludere, secondo l'insegnamento della Corte cost., l'indennizzabilità di tali vincoli, in quanto attinenti a beni che costituiscono categorie ab origine di interesse pubblico generale, e perciò soggetti ad un regime al quale è estranea la materia della espropriazione. Cass. Civ., sez. I, 21.9.1998, n. 9433, DGA, 1999, 414.

7. Il rilascio del nulla-osta da parte dell'Ente parco.
Il nulla-osta dell’Ente parco che autorizza le richieste per realizzare opere od interventi all’interno del parco è sottoposto al regime del silenzio-assenso, costituendo eccezione alla regola che nega detto sistema alle autorizzazioni inerenti la tutela dell’ambiente. Desideri e Fonderico 1998, 120.







1. Il patrimonio naturale.

La definizione del patrimonio naturale è data direttamente dalla l. 6.12.1991, n. 394, che comprende non un singolo bene ma una parte del territorio che per determinate caratteristiche fisiche ha un particolare valore naturalistico e ambientale.

1. La presente legge, in attuazione degli artt. 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, detta princìpi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese.
2. Ai fini della presente legge costituiscono il patrimonio naturale le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale.
(art. 1, l. 6.12.1991, n. 394, mod. art. 2, l. 9.12.1998, n. 426).
La norma non si preoccupa di classificare detto patrimonio secondo le categorie che caratterizzano i beni pubblici; essa si limita a rilevarne il particolare significato naturalistico.
La normativa ha il fine di accorpare in un sistema omogeneo le norme tese a protezione della natura.
Lo scopo della normativa è quello di creare un sistema d protezione del patrimonio naturale del tutto differente da quello che ha ispirato la gestione dei cosiddetti beni demaniali; la ratio è quella di conservazione e gestione tesa prevalentemente alla salvaguardia ambientale e alla protezione e difesa dell'ambiente.
I beni del patrimonio naturale sono soggetti al vincolo paesistico. Vedi Cap. XII, n. 3.

3. I territori nei quali siano presenti i valori di cui al comma 2, specie se vulnerabili, sono sottoposti ad uno speciale regime di tutela e di gestione, allo scopo di perseguire, in particolare, le seguenti finalità:
a) conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici;
b) applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;
c) promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;
d) difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.
4. I territori sottoposti al regime di tutela e di gestione di cui al comma 3 costituiscono le aree naturali protette. In dette aree possono essere promosse la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive compatibili.
5. Nella tutela e nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le regioni e gli enti locali attuano forme di cooperazione e di intesa ai sensi dell'art. 81 del d.p.r. 24.7.1977, n. 616, e dell'art. 27 della l. 8.6.1990, n. 142. Per le medesime finalità lo Stato, le regioni, gli enti locali, altri soggetti pubblici e privati e le Comunità del parco possono altresì promuovere i patti territoriali di cui all'art.
2, 203° co. della l. 23.12.1996, n. 662.
(art. 1, l. 6.12.1991, n. 394, mod. art. 2, l. 9.12.1998, n. 426).



2. Le aree protette.

La legge quadro sulle aree protette, l. 6.12.1991, n. 394, art. 1, ha fissato i principi generali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, col fine di garantire la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale della nazione.
Il patrimonio naturale è costituito dalle formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale.
Una speciale tutela e una particolare gestione sono adottate nei territori che possiedono i valori che caratterizzano il patrimonio naturale e costituiscono le aree naturali protette.
In dette aree la compressione dello ius aedificandi è massima; è dovuto, infatti, il più totale rispetto dell’ambiente anche se non sono esclusi gli interventi edilizi; essi sono considerati possibili solo previo parere dell’ente preposto.
Ai sensi dell’art. 34 del d. lg. 267/2000, lo Stato, le regioni e gli enti locali devono realizzare forme di collaborazione e d’intesa per la tutela e la gestione delle aree naturali protette.

Solo dopo avere sentito le Regioni interessate ovvero solo dopo che siano decorsi trenta giorni dalla data di richiesta del parere senza che questo sia stato espresso, il Ministro dell’ambiente possa adottare le misure di salvaguardia nelle zone individuate come aree da destinare a riserve naturali d’importanza nazionale o internazionale.
(Corte cost., 22.11.1991, n. 422. Corte cost., 13.12.1991, n. 464).

La l. 6.12.1991, n. 394 istituisce una apposita amministrazione di settore cui compete la gestione delle aree protette e la loro tutela (Desideri e Fonderico 1998, 20).
Al vertice di tale amministrazione l’art. 3 della l. 394/1991 pone il Comitato per le aree naturali protette, un organo a composizione paritetica Stato-regioni.
I compiti del Comitato sono quelli di individuare lo stato dell’ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali e i profili di vulnerabilità del settore, ed inoltre di adottare il programma triennale delle aree protette.
I compiti del Comitato sono stati successivamente limitati dall’abrogazione del programma effettuata dall’art. 76, d.lg. 112/1998, in relazione ai compiti attribuiti alla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome dal d.lg. 281/1997, su delega dell'art. 1, 4° co., lett. c) della l. 59/1997.
Il Comitato è assistito da un organo tecnico, la Consulta tecnica per le aree naturali protette.
Sono, però, gli enti gestori dei parchi, sia nazionali che regionali, che hanno i poteri di programmazione e di pianificazione, oltre a quelli regolamentari e di tutela.



3. I parchi nazionali.

Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’ambiente, sentita la Regione, sono istituiti e delimitati i parchi nazionali, individuati dal programma triennale; in tale fase non è, quindi, richiesta la partecipazione degli enti locali.
Il piano per il Parco ha per oggetto la tutela dei valori naturali ed ambientali.

1. La tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici tradizionali affidata all'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco, di seguito denominato “piano”, che deve, in particolare, disciplinare i seguenti contenuti:
a) organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela;
b) vincoli, destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano;
c) sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli anziani;
d) sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agro-turistiche;
e) indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale in genere.
(art. 12, l. 394/1991, mod.art. 2, 30° co., l. 9.12.1998, n. 426).

Il piano del parco incide sul territorio ad esso soggetto con un diverso grado di protezione a seconda della divisione delle varie zone.
La tutela più integrale si effettua nelle riserve integrali, mentre le aree di promozione economica sono consentite le attività ritenute compatibili dall’ente parco.

2. Il piano suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
a) riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità;
b) riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione delle opere esistenti, ai sensi delle lettere a) e b) del primo comma dell'art. 31 della l. 5.8.1978, n. 457;
c) aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità ai criteri generali fissati dall'Ente parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. Sono ammessi gli interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma dell'art. 31 della citata legge n. 457 del 1978, salvo l'osservanza delle norme di piano sulle destinazioni d'uso;
d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori”
(art. 12, l. 394/1991, mod.art. 2, 30° co., l. 9.12.1998, n. 426).



3.1. Il procedimento di approvazione.

L’Ente Parco, entro diciotto mesi dalla sua istituzione, deve predisporre il piano che deve essere adottato, sentiti gli enti locali.
Il piano è depositato presso le sedi dei Comuni, delle Comunità montane e delle Regioni per 40 giorni:

E' illegittimo il provvedimento di perimetrazione di un parco nazionale, ove non sia stato acquisito, ai sensi dell'art. 34, 3° co. della l. 6.12.1991, n. 394, il parere delle regioni interessate.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 22.6.1995, n. 1092, DGA, 1996, 342)

Chiunque può inviare osservazioni scritte entro i successivi 40 giorni e ad esse l’Ente deve rispondere, esprimendo il proprio parere, entro i successivi 30 giorni.
La Regione, in accordo con l’Ente Parco ed i Comuni, per quanto riguarda le disposizioni del piano relative alle attrezzature e ai servizi che consentono la gestione sociale del parco stesso, emana il provvedimento di approvazione entro 90 giorni dal ricevimento del piano e del parere sulle osservazioni presentate.
L’impugnazione va proposta dal momento di pubblicazione nel BUR.
Il piano territoriale di coordinamento del Parco nazionale del Mincio va impugnato nel prescritto termine di decadenza, decorrenti dalla pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione dell'avviso di deposito del detto piano presso la segreteria del consorzio del parco, anche da parte dell'utente di acqua pubblica, tenuto ad osservare i vincoli stabiliti dal piano stesso”
(Trib. sup. acque, 2.10.1992, n. 64, CS, 1992, II, 1535).

Il piano, ogni 10 anni, è modificato con la stessa procedura ed è aggiornato.
Esso equivale ad una dichiarazione di interesse pubblico generale e gli interventi in esso previsti assumono il carattere di indifferibilità ed urgenza.
Esso sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali od urbanistici ed ogni altro strumento di pianificazione.
Dal momento della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e sul B.U.R. il piano è immediatamente vincolante sia per le amministrazioni sia per i privati (art. 12, l. 6.12.1991, n. 394).
La protezione si estende anche alle aree contigue.

La nozione di zona contigua di cui all'art. 32 della l. 6.12.1991, n. 394, sostituisce quella di zona limitrofa, di cui all'art. 2 della l. 12.7.1923, n. 1511, istitutiva del Parco nazionale d'Abruzzo, pur restando comune la funzione di entrambe di assicurare tutela alle specie protette, garantendo la permanenza di una disciplina controllata e limitata della caccia immediatamente al di fuori del parco.
(T.A.R. Molise, 10.1.1996, n. 1, T.A.R., 1996, I, 999).

L'art. 34 della l. 6.12.1991, n. 394 istituisce alcuni parchi e aree di reperimento come, ad esempio, i parchi nazionali del Cilento e del Vallo di Diano, del Gargano, del Gran Sasso e Monti della Laga, della Maiella, della Val Grande e del Vesuvio.


4. I parchi regionali.

La legge quadro sulle aree protette fissa le norme quadro cui deve riferirsi la legislazione regionale, che deve definire la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, nonché il soggetto gestore e deve poi indicare gli elementi del piano del parco e i principi del regolamento (Assini e Mantini 1997, 881).
L’art. 22, 3° co., l. 6.12.1991, n. 394, esprime la preferenza ceh i aprchi siano realizzati su aree appeaterneti al demanio regionale.

3. Le regioni istituiscono parchi naturali regionali e riserve naturali regionali utilizzando soprattutto i demani e i patrimoni forestali regionali, provinciali, comunali e di enti pubblici, al fine di un utilizzo razionale del territorio e per attività compatibili con la speciale destinazione dell'area.
(art. 22, 3° co., l. 6.12.1991, n. 394).

La giuriisprudenza considera che il favor espresso nell'art. 22, 3° co., l. 394 del 1991, dal legislatore nazionale per l'inclusione nelle aree naturali protette di immobili ed aree demaniali o, comunque, in titolarità pubblica, non esclude la possibilità - allorché l'area meritevole di protezione sia prevalentemente in titolarità privata - di procedere comunque al perseguimento, mediante l'istituzione del parco, dell'interesse pubblico preminente alla conservazione della natura ed alla promozione di uno sviluppo sostenibile dei territori caratterizzati da interesse naturalistico-ambientale (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 27.9.2004, n. 13237, FATAR, 2004, 2622).


4.1. Il procedimento di approvazione.

Il parco regionale è istituito con legge regionale che deve definire la sua perimetrazione provvisoria.

1. La legge regionale istitutiva del parco naturale regionale, tenuto conto del documento di indirizzo di cui all'articolo 22, comma 1, lettera a) , definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il soggetto per la gestione del parco e indica gli elementi del piano per il parco, di cui all'articolo 25, comma 1, nonché i princìpi del regolamento del parco. A tal fine possono essere istituiti appositi enti di diritto pubblico o consorzi obbligatori tra enti locali od organismi associativi ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142. Per la gestione dei servizi del parco, esclusa la vigilanza, possono essere stipulate convenzioni con enti pubblici, con soggetti privati, nonché con comunioni familiari montane.
(art. 23, l. 6.12.1991, n. 394).

I piani territoriali di coordinamento di parco regionale sostituiscono quelli territoriali paesistici nei territori compresi nei parchi naturali ed hanno la funzione non solo di coordinamento al fine di indirizzare le successive pianificazioni sottordinate, ma comportano immediatamente e direttamente vincoli e limiti anche per i privati.
La normativa regionale deve prevedere la partecipazione degli enti locali al procedimento pianificatorio (Desideri e Fonderico 1998, 43).
La giurisprudenza richiede, comunque, l’attuazione del procedimento di approvazione per ogni provvedimento che identifichi un’area soggetta a tale normativa.

L'approvazione del piano territoriale di ogni stazione di parco regionale, ai sensi dell'art. 9, l. r. Emilia Romagna, 2.4.1988, n. 11, deve essere preceduta, oltre che dalla relativa delibera di adozione, da talune fasi procedimentali dirette in particolare ad assicurare a chiunque, mediante il deposito per sessanta giorni del piano adottato, la possibilità di presentare osservazioni e proposte scritte.
(T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, Bologna, 5.10.1991, n. 480, FA, 1992, 2764).

La dottrina nota che la legislazione regionale nell’istituzione dei parchi prescinde da un documento programmatico pianificatorio anche se individua le aree protette - come ad esempio la l.r. Abruzzo 38/1996 - e difficilmente essa si inserisce nella pianificazione territoriale, come fa, invece, la l.r. Toscana 49/1995 (Desideri e Fonderico 1998, 47).





5. Le misure di salvaguardia.

Le misure di salvaguardia consistono nella sospensione di ogni attività di modifica del territorio in attesa della pianificazione disposta dal piano per il parco; esse sono previste in rapporto a fasi diverse (Desideri e Fonderico 1998, 45).
L’art. 4, 9° co. della l. 394/1991 prevede l’adozione delle misure di salvaguardia in rapporto all’adozione del programma delle aree protette.
Le misure di salvaguardia scattano ancora quando è individuata l’area da destinare a protezione e, successivamente, quando è realizzata la perimetrazione provvisoria del parco regionale, ai sensi degli artt. 22 e 23 della l. 394/1991.
Le misure di salvaguardia scattano in relazione alle fattispecie previste e non abbisognano dell’approvazione di ulteriori strumenti pianificatori.

Ai sensi dell'art. 6, 3° co. della l. r. Toscana 13.12.1979, n. 61, istitutiva del Parco naturale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, l'efficacia delle misure di salvaguardia relative alla cessazione delle attività di cava in corso non è subordinata all'approvazione del piano territoriale, essendo sufficiente la sola sua adozione. Le misure di salvaguardia hanno efficacia temporanea e perdono la forza vincolante se entro cinque anni dall'entrata in vigore del piano territoriale di recupero non siano approvati i relativi piani di gestione, quali atti secondari di pianificazione e programmazione.
(Cons. St., sez. VI, 25.3.1996, n. 497, CS, 1996, I, 491).

Il potere di disporre la riduzione in pristino dei luoghi e di ricostituzione delle specie vegetali o animali danneggiate è attribuito all'Autorità di gestione del Parco dall'art. 6, 6° co., l. 394/1991, per i casi di violazione delle misure di salvaguardia, dettate dall'art. 6, 3° co., l. 394/1991, in attesa della pianificazione e della regolamentazione dell'Ente Parco.
Tra le misure di salvaguardia stabilite dalla suddetta disposizione legislativa è annoverato il divieto di realizzazione di nuove costruzioni e di trasformazione di quelle esistenti, che è previsto nei siti al di fuori dei centri abitati e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, nei centri edificati.
Il legislatore ha inteso salvaguardare le aree sottoposte alla particolare tutela da ogni evento che potesse pregiudicare la pianificazione e la regolamentazione di competenza dell'Ente Parco, dettando norme che, come è tipico delle misure di salvaguardia, consentissero, per quanto possibile, l'integrale conservazione dei siti sino all'istituzione del Parco ed alla relativa regolamentazione.
La considerazione è coerente con le finalità della legislazione in materia e trova argomento testuale nell’art. 8, 5° co., l. 394/1991 che dispone che, con il provvedimento d'istituzione del Parco possono essere integrate le misure di salvaguardia introdotte dall'art. 6, l. 394/1991, sino all'entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta.

Tra le misure di salvaguardia, stabilite dall'art. 6, l. 394 del 1991, unitamente alla tassativa sanzione ripristinatoria, è annoverato il divieto di realizzazione di nuove costruzioni e di trasformazione di quelle esistenti, previsto nei siti al di fuori dei centri abitati ed anche, per gravi motivi di salvaguardia ambientale e con provvedimento motivato, nei centri edificati.
(T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 22.4.2003, n. 329, FATAR, 2003, 1751).

Qualora non siano ancora adottati il Piano e il Regolamento del parco la giurisprudenza afferma che sono correttamente applicate le misure di salvaguardia approvate dall'Ente parco.
L'art. 6, 4° co., l. 394/1991, nell'occuparsi di misure di salvaguardia, stabilisce che, dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento, operano i divieti e le procedura per eventuali deroghe di cui all'art. 11, 3° co., l. 394/1991
Quest'ultima norma tra l'altro stabilisce, con disposizione di carattere generale attributiva di un potere di valutazione discrezionale da parte dell'Amministrazione, che nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.
Inoltre, l'art. 8, 5° co., l. 394/91, precisa che con il provvedimento di istituzione del parco possono essere integrate, sino alla entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta, le misure di salvaguardia introdotte dall'art. 6, l. 394/91.

Nella attesa della formazione e approvazione del piano e del regolamento di un parco nazionale, operano le misure di salvaguardia previste dall'art. 6 e i divieti di cui all'art. 11, l. 6.12.1991 n. 394, che possono essere integrati da misure dettate dal provvedimento di istituzione dell'ente parco.
(T.A.R. Toscana, sez. I, 19.2.2002, n. 288, FI, 2002, III, 599).


6. I limiti all’edificazione e alle attività e i relativi indennizzi.

I vincoli sul piano del parco pongono non solo sulle limitazioni sul diritto di costruire, ma anche sull’esercizio di attività come quelle agricole che si sono da sempre esercitate nel parco, ma che diventano incompatibili con i suoi piani e programmi.
I vincoli al diritto di edificare non trovano indennizzo.
Il diritto di proprietà deve cedere alcune delle sue facoltà rispetto all’esigenza di salvaguardare i valori del paesaggio, tutelati dall’art. 9 cost., in conformità all’indirizzo consolidato della Corte cost. 56/1968.
Il parco nell’ambito del suo programma e dei suoi mezzi finanziari può gestire, nella maniera che ritiene più utile, le sue risorse al fine di utilizzare gli immobili compresi nel suo territorio.
Gli strumenti possono essere i più vari partendo dalla locazione e arrivando alla espropriazione.
La compressione delle attività agricole deve essere indennizzata.
Il regolamento del parco deve stabilire criteri equitativi generali che valutino le modalità di corresponsione degli indennizzi in relazione alle tipologie delle coltivazioni effettuate e ai limiti successivamente posti dai programmi del parco.
L'Ente parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla selvaggina che trova nel parco il suo habitat ideale; essa, infatti, può creare dei danni alle proprietà che si trovano nel parco e, in particolare, alle coltivazioni agricole.
Esse trovano nell’Ente parco il soggetto tenuto al risarcimento dei danni arrecati previa idonea documentazione.
1. L'Ente parco, nel quadro del programma di cui al comma 7, può prendere in locazione immobili compresi nel parco o acquisirli, anche mediante espropriazione o esercizio del diritto di prelazione di cui al comma 5, secondo le norme generali vigenti.
2. I vincoli derivanti dal piano alle attività agro-silvo-pastorali possono essere indennizzati sulla base di princìpi equitativi. I vincoli, temporanei o parziali, relativi ad attività già ritenute compatibili, possono dar luogo a compensi ed indennizzi, che tengano conto dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dall'attività del parco. Con decreto da emanare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro dell'ambiente provvede alle disposizioni di attuazione del presente comma.
3. L'Ente parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco.
4. Il regolamento del parco stabilisce le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi, da corrispondersi entro novanta giorni dal verificarsi del nocumento.
omissis
7. L'Ente parco provvede ad istituire nel proprio bilancio un apposito capitolo, con dotazione adeguata al prevedibile fabbisogno, per il pagamento di indennizzi e risarcimenti, formulando un apposito programma, con opportune priorità.
(art. 15, l. 6.12.1991, n. 394).


7. Il rilascio del nulla-osta da parte dell'Ente parco.

Le richieste di concessione o di autorizzazione per realizzare opere od interventi all’interno del parco devono essere sottoposte al preventivo nulla-osta dell’Ente parco.

1. Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente parco. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l'intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato. Il diniego, che è immediatamente impugnabile, è affisso contemporaneamente all'albo del comune interessato e all'albo dell'Ente parco e l'affissione ha la durata di sette giorni. L'Ente parco dà notizia per estratto, con le medesime modalità, dei nulla osta rilasciati e di quelli determinatisi per decorrenza del termine.
2. Avverso il rilascio del nulla osta è ammesso ricorso giurisdizionale anche da parte delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349.
3. L'esame delle richieste di nulla osta può essere affidato con deliberazione del Consiglio direttivo ad un apposito comitato la cui composizione e la cui attività sono disciplinate dal regolamento del parco.
4. Il Presidente del parco, entro sessanta giorni dalla richiesta, con comunicazione scritta al richiedente, può rinviare, per una sola volta, di ulteriori trenta giorni i termini di espressione del nulla osta.
(art. 13, l. 6.12.1991, n. 394).

Successivamente al rilascio o al formarsi del silenzio assenso, i comuni o le altre amministrazioni possono procedere al rilascio del permesso di costruire.

La sottoposizione a nulla osta da parte del consorzio del parco delle concessioni edilizie relative ad opere interne al parco della Maremma e la prevalenza delle prescrizioni al piano territoriale di coordinamento sulle diverse previsioni degli strumenti urbanistici locali non violano le attribuzioni urbanistiche dei comuni, bensì realizzano il necessario coordinamento tra competenze urbanistiche e competenze in materia di tutela della natura.
(Cons. St., sez. VI, 10.8.1988, n. 976, RGU, 1989, 111).

Il nulla osta previsto dall'art. 13 della l. 6.12.1991, n. 394, è necessario solo in presenza di una disciplina partecipata del parco, ossia dalla approvazione del regolamento e del piano del parco, in assenza della quale la predetta autorizzazione si risolverebbe in un mero formalismo.

Il nulla osta è esclusivamente collegato alla verifica della conformità dell'intervento progettato alle disposizioni del piano e del regolamento del parco, che si pongono, quali strumenti fondamentali di conformazione del territorio, come sede per la composizione degli interessi globalmente presenti nell'area protetta.
(Cass. pen., sez. III, 27.6.1995, RP, 1995, 1436).

La giurisprudenza più recente ritiene che, in coerenza con i precetti costituzionali, art. 9 cost., e con le finalità della legislazione in materia di tutela del paesaggio, gli Enti parco sono titolari di un potere di carattere urbanistico tendente a predisporre particolari cautele per la salvaguardia di zone di rilevante pregio paesaggistico-ambientale, potere che può essere esercitato anche prima dell'approvazione del piano e del regolamento del Parco di cui alla l. 6.12.1991, n. 394.
Infatti, l'Ente parco, nell'esame dei progetti di costruzioni insistenti nel proprio territorio, ha il potere-dovere di verificare la congruenza degli interventi sia con le norme istitutive del Parco sia con le previsioni urbanistiche dei Comuni di cui trattasi, contenute nei piani regolatori generali e nei loro piani attuativi, come i piani particolareggiati e i programmi pluriennali di attuazione.
Tanto si evince sia dalla legislazione generale in materia che dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 175/1976 ed è in sintonia con quanto è avvenuto in concreto nella prassi amministrativa, che ha visto l'intervento di apposite intese tra l'Ente parco ed i Comuni interessati. Le intese sono formalizzate in appositi protocolli il cui contenuto è recepito dalle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico comunale.

Il potere di verificare la congruenza degli interventi sia con le norme istitutive del Parco che con le previsioni urbanistiche dei piani regolatori dei comuni interessati ben può essere esercitato dall'Ente Parco anche prima dell'approvazione del piano e del regolamento del Parco di cui alla l. 394 del 1991.
L'art. 13 di tale legge espressamente subordina al nulla-osta dell'Ente Parco qualsiasi concessione o autorizzazione relativa ad interventi all'interno del parco.
Nella specie l'art. 13 delle N.T.A. del Comune di Pescasseroli richiama e legittima la necessità di nulla-osta per le nuove costruzioni e per altri interventi.
(T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 18.8.2003, n. 590, FATAR, 2003, 2310).







a �7c r �k H� ede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti amministrativi illegittimi, puntualizzandosi in esse la tutela di interessi diffusi e connettendosi a tali interessi, per forza normativa, la garanzia propria degli interessi legittimi (T.A.R. Lazio, sez. I, 21.9.1989, n. 1272, GI, 1992, III, 1, 516).
E' priva della legittimazione ad agire l'associazione ambientalista che non presenti le caratteristiche definite dagli artt. 13 e 18, 5° co., l. 8.7.1986, n. 349, consistenti nell'essere un'associazione nazionale, riconosciuta con decreto del ministro per l'ambiente, presente in almeno cinque regioni (T.A.R. Veneto, sez. II, 9.6.1992, n. 475, FA, 1993, 179).
Le associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi dell'art. 13, l. 6.7.1986, n. 349, possono proporre le azioni risarcitorie conseguenti a danno ambientale, di competenza del giudice ordinario, che spettano al comune o alla provincia.

Le associazioni di protezione dell'ambiente possono intervenire nel processo e costituirsi parti civili, in quanto abbiano dato prova di continuità della loro azione, aderenza al territorio, rilevanza del loro contributo, ma soprattutto perché formazioni sociali nelle quali si svolge dinamicamente la personalità di ogni uomo, titolare del diritto all'ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1996, n. 9837, DPP, 1997, 590).

La giurisprudenza ha precisato che l'eventuale risarcimento del danno deve essere liquidato in favore dell'Ente sostituito (Cass. Pen., sez. III, 3.12.2002, n. 43238, CP, 2004, 1711).
Una diretta partecipazione all'esercizio dell'azione di danno, è stata invece prevista dall'art. 9, d.lg. n. 267/2000, che ha introdotto un meccanismo di sostituzione processuale, in forza del quale le associazioni riconosciute possono proporre le azioni risarcitorie spettanti al Comune o alla Provincia, nei casi in cui tali enti siano rimasti inerti.
Ai fini che qui interessano, giova ricordare che quest'ultimo riconoscimento normativo si è inserito in un sistema processuale diverso da quello vigente al momento dell'approvazione della l. 349/1986, al cui interno gli enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato, portatori di un interesse penale alla repressione del fatto criminoso, hanno lo status di autonoma figura soggettiva, munita della facoltà di intervenire nel procedimento, ex artt. 91 e ss. c.p.p.
L'intervento de quo, subordinato al consenso della persona offesa, ex art. 92 c.p.p., è svincolato da finalità di tipo risarcitorio.
In particolare, esso ha la funzione di garantire l'apporto conoscitivo degli enti collettivi al processo, in materie connotate da particolare complessità tecnica - come l’edilizia, l’ambiente e la tutela dei consumatori - e regolate da normative in continua evoluzione, nell'affrontare le quali l'ufficio del pubblico ministero era stato ritenuto incapace di garantire un esercizio tempestivo e costante dell'azione penale.
Le associazioni ambientalistiche sono legittimate a costituirsi parte civile iure proprio, nei procedimenti per reati ambientali.
Niente osta alla costituzione di parte civile delle associazioni ambientalistiche che abbiano subìto un danno risarcibile dal reato, alla stregua di un qualunque soggetto dell'ordinamento.
Si pensi, ad esempio, ai reati contro il patrimonio o contro l'onore, come l’attentato contro la sede dell'associazione, o, più in generale, ai casi in cui il perseguimento dei fini statutari sia stato impedito o ostacolato da comportamenti criminosi spiegati nei confronti dei legali rappresentanti o dei portavoce del sodalizio.
Le stesse considerazioni valgono nei casi di danno ambientale.
Se, pertanto, dal fatto lesivo dell'ambiente sia derivato anche un autonomo danno all'associazione, questa è certamente legittimata, secondo le regole ordinarie, ad esercitare l'azione civile riparatoria, come nell'ipotesi in cui è proprietaria dell'area boschiva danneggiata da una costruzione abusiva, o la sua sede è situata in una zona interessata da un disastro ambientale.
Accanto a questa legittimazione ordinaria, la prevalente giurisprudenza di legittimità, riprendendo idee elaborate sotto la vigenza del c.p.p. del 1930, ammette una legittimazione speciale.
In caso di danno ambientale le associazioni possono costituirsi parte civile in quanto tali, e cioè nella qualità di soggetti che perseguono la finalità statutaria di tutela dell'ambiente.
La tesi si articola nei seguenti passaggi: a) il danno ambientale, in quanto lesivo di un bene rilevante ex art. 2 cost., reca, ipso facto, un'offesa alla persona umana nella sua dimensione individuale e sociale; b) per le associazioni ambientalistiche, la lesione riguarda il diritto della personalità del sodalizio, in relazione allo scopo perseguito; c) il conseguente danno ha natura sia patrimoniale - per i costi sostenuti nello svolgimento delle attività di propaganda e di sensibilizzazione della pubblica opinione - sia non patrimoniale per le frustrazioni degli associati nonché per il discredito derivante dal mancato raggiungimento dello scopo, che potrebbe indurre gli stessi associati a privare il sodalizio del loro sostegno personale e finanziario.


9. Il danno arrecato dalla selvaggina protetta.

Vi è controversia in giurisprudenza sull’attribuzione della giurisdizione
in materia di risarcimento dei danni arrecati dalla selvaggina protetta alle colture agricole.
Un orientamento ritiene che trattandosi di lesione di diritti soggettivi la controversia rientri nella giurisdizione ordinaria.
Occupandosi del caso di un'azienda agricola compresa in una "zona di rifugio" della selvaggina in base all'art. 20 della l.r. Veneto 14.7.1978, le cui colture ad orzo e frumento avevano subito danni a causa della eccessiva quantità di passeri esistenti in tale zona, la giurisprudenza ha attribuito alla posizione del proprietario danneggiato la consistenza di diritto soggettivo.
E’ stato affermata, perciò, la giurisdizione del giudice ordinario - nonostante la ritenuta inconsistenza del richiamo agli artt. 2043 e 2052 cod. civ. ed il riconoscimento che gli uccelli, come fauna selvatica, appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato e sono tutelati nell'interesse della comunità nazionale.
Dall’art. 20, l.r. Veneto 14.7.1978, e dagli artt. 6 e 26, legge-quadro 27.12.1977 n. 968, contenente principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela faunistica e disciplina della caccia, emerge che l'indennizzo da esse previsto per i terreni, compresi nelle zone di rifugio, i quali ricevano pregiudizio economico a causa della fauna selvatica protetta, ha funzione risarcitoria in senso stretto e, quindi, di reintegrazione patrimoniale, così da doversi escludere un potere discrezionale dell'amministrazione sia in ordine all'an, sia in ordine al quantum debeatur (Cass. civ., Sez. U., 27.10.1995 n. 11173).
In un’altra fattispecie disciplinata dall'art. 22 della l.r. Lombardia 22.3.1980 n. 33 - che detta le norme di attuazione del Piano territoriale di coordinamento del Parco Lombardo della Valle del Ticino, stabilendo che i danni arrecati dalla selvaggina alle colture agricole all'interno della fascia di silenzio venatorio saranno risarciti dal Consorzio, previo accertamento del danno, con finanziamenti regionali - si è discusso se il danneggiato abbia una posizione tutelabile avanti al giudice ordinario ovvero se, al contrario, il risarcimento sia pur sempre sottoposto ad un controllo da parte del Consorzio e ad una compatibilità con le disponibilità finanziarie erogate dalla Regione.
L’intervento regionale, infatti, esclude quel carattere di certezza che è tipico del diritto soggettivo e fa viceversa palese la subordinazione - propria dell'interesse legittimo - ad un interesse pubblico prevalente.
Si argomenta, ancora, che le norme sul ristoro dei danni all'interno delle aree protette configurano norme di azione, come si evincerebbe dalla dizione dell'art. 15, 3° e 4° co., della legge quadro 6.12.1991, n. 394, là dove si prevede che l'Ente Parco è tenuto ad indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del Parco e che il regolamento del Parco stabilisce le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi.
In detto caso è stato ritenuto che la qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo delle posizioni giuridiche configurabili a favore degli interessati relativamente ai ristori conseguibili per i pregiudizi arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole non è automaticamente correlata alla ubicazione - all'esterno o all'interno delle zone di protezione - dei fondi danneggiati e deve invece attribuirsi essenziale rilievo al concreto atteggiarsi della disciplina positiva.
In applicazione di tale criterio, deve riconoscersi la natura di diritto soggettivo - comportante la giurisdizione del giudice ordinario - alla pretesa al risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica nell'ambito del Parco lombardo della Valle del Ticino, fondata sull'art. 15 della "legge - quadro" sulle aree protette n. 394 del 1991, che prevede, senza margini di discrezionalità, l'obbligo dell'Ente parco di indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco nel termine di novanta giorni dal loro verificarsi; né portata diversa è attribuibile all'art. 22, 6° co., della l.r. Lombardia n. 33 del 1980 - norme di attuazione del piano territoriale di coordinamento del parco del Ticino - che, nel disciplinare l'aspetto di finanza pubblica, prevedendo finanziamenti regionali, ribadisce l'obbligo del Consorzio di risarcire i danni arrecati dalla selvaggina alle colture all'interno della fascia di silenzio venatorio (Cass. civ., Sez. U., 30.12.1998, n. 12901, GCM, 1998, 2664).



Capitolo diciasettesimo
La giurisdizione del Tribunale delle acque

Guida bibliografica.

1. La giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche.
Il t.u. approvato con r. d. 1775/1933 sulle acque pubbliche istituisce un sistema di giurisdizione in detta materia costituito dai Tribunali regionali e dal Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Le particolarità di tali controversie, caratterizzate dalla necessità di una particolare conoscenza tecnica, ha giustificato la composizione di tali collegi nei quali sono presenti gli esperti del settore. Centofanti 2005, 293.

2. La giurisdizione del Tribunale superiore delle acque.
Il Tribunale superiore delle acque pubbliche è giudice in grado di appello di tutte le cause decise in primo grado dal Tribunale regionale, ex art. 142, r. d. 1775/1933. Centofanti 2005, 295.


1. La giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche.

La giurisdizione dei Tribunali delle acque pubbliche è divisa tra quella del Tribunale delle acque pubbliche che decide sulle controversie relative alla demanialità delle acque e quella del Tribunale Superiore delle Acque che è competente sui provvedimenti amministrativi che riguardano l'utilizzazione del demanio idrico.
Ai sensi dell'art. 140, T.U. n. 1775/1933, rientrano nella giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche tutte le controversie relative: a) alla demanialità delle acque; b) ai limiti dei corsi e dei bacini, loro alveo e sponde; c) alle derivazioni e utilizzazioni delle acque e relativi diritti di utenza; d) alle indennità per occupazioni ed espropriazioni occorrenti per l'esecuzione di opere idrauliche; e) al risarcimento dei danni a causa di opere idrauliche eseguite dall'amministrazione.
Le controversie che non hanno per oggetto la demanialità del bene rientrano nella giurisdizione ordinaria.
La norma di cui all'art. 140, 1° co., lett. c) del r.d. n. 1775 del 1933, non comporta la necessità di rimessione alla cognizione del giudice specializzato di tutte le controversie attinenti, direttamente o indirettamente, al regime delle acque pubbliche, presupponendo, per converso, la sola devoluzione, al detto giudice, delle specifiche controversie implicanti la necessità di particolari conoscenze extragiuridiche per la soluzione dei problemi tecnici riconnessivi, con esclusione, pertanto, di ogni questione che, non attenendo al regime delle derivazioni od utilizzazioni di acque pubbliche (e non implicando la soluzione di problemi tecnici, ma solo di tematiche squisitamente giuridiche), possa influire solo indirettamente su tale regime.

La controversia relativa al pagamento di un indennizzo per l'occupazione sine titulo di un suolo - pacificamente appartenente al demanio lacustre - ed all'occupazione di costruzioni ed opere su di esso insistenti (oltre che relativa all'accertamento della titolarità di eventuali diritti reali sui manufatti), non presupponendo la soluzione né di problemi tecnici, né di questioni circa la delimitazione dell'alveo o delle sponde del lago - ovvero l'accertamento della demanialità delle acque - deve ritenersi senz'altro devoluta alla cognizione del giudice ordinario.

Il petitum sostanziale della domanda è determinante per stabilire la competenza del giudice.
Appartengono alla competenza del giudice ordinario (nella specie, il tribunale di Catanzaro), e non a quella del tribunale delle acque pubbliche, alla stregua dell'art. 140 t.u. n. 1775 del 1933, le controversie nelle quali si discuta se un terreno, ubicato nei pressi della foce di un corso d'acqua, appartenente al demanio fluviale ovvero marittimo, sia suscettibile di usucapione, per effetto di una sdemanializzazione tacita, in difetto di uno specifico atto ad hoc della p.a., non venendo, in tal caso, in discussione la demanialità del bene, né dovendosi accertare preliminarmente se, ed entro quali limiti, il bene abbia cessato di fare parte dell'alveo del torrente.


2. La giurisdizione del Tribunale superiore delle acque.

La giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque è fissata dall'art. 143, 1° co., lett. a) del T.U. n. 1775 del 1933.
La norma, infatti, istituisce, in unico grado, un procedimento che ha il carattere di giudizio di impugnazione, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, contro i provvedimenti definitivi adottati dall'amministrazione in materia di acque pubbliche e, data la sua lata e onnicomprensiva previsione, si attaglia a tutti i provvedimenti amministrativi che, pur costituendo esercizio di un potere non prettamente attinente alla materia, riguardino comunque l'utilizzazione del demanio idrico, incidendo in maniera diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche (Cass., Sez. Un., 15.7.1999, n. 403. Cons. St., Sez. V, 3.12.2001, n. 6012).
La giurisprudenza ha affermato che in relazione al principio desumibile dall'
art. 143, 1° co., lett. a), r.d. 11.12.1933, n. 1775 - che attribuisce alla cognizione diretta del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge avverso i provvedimenti presi dall'amministrazione "in materia di acque pubbliche" - devono ritenersi devoluti alla cognizione del Tribunale Superiore anche i provvedimenti amministrativi che, pur incidendo su interessi più generali e diversi rispetto a quelli specifici relativi alla demanialità delle acque o ai rapporti concessori di beni del demanio idrico, attengano comunque all'utilizzazione di detto demanio idrico, interferendo immediatamente e direttamente sulle opere destinate a tale utilizzazione e, in definitiva, sul regime delle acque pubbliche (Sez. Un. 26.7.2002, n. 11099).
I giudizi d’impugnazione dei provvedimenti amministrativi che attengono all’utilizzazione del demanio idrico - Cass. Civ., sez. un., 26.7.2002, n. 11099 - come appunto il provvedimento d’approvazione di una derivazione d’acque per uso idropotabile della popolazione; nonché sulle occupazioni di fondi che si rendano a tal fine necessarie - Cass. Civ., sez. un., 11.7.2000, n. 479 -; e infine sulle concessioni edilizie strettamente finalizzate alla suddetta utilizzazione delle acque - Cass. Civ., sez. un., 4.8.2000, n. 541 - sono devoluti alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche, ex art. 143, alinea “a” del r.d. 11.12.1933, n. 1775 sulle acque pubbliche.
(Cons. St., Sez. V, 15.4.2004, n. 2146).

Rientra nella competenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie nelle quali ha giurisdizione, la controversia in tema di legittima determinazione del canone di concessione.
Nella specie, si faceva questione della determinazione del canone per l'utilizzo di porzioni di demanio fluviale (Trib. sup.re acque, 22.2.1999, n. 37, CS, 1999, II, 261).
La giurisprudenza ravvisa il discrimen, che delimita la giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche rispetto a quella del giudice ordinario, nell’oggetto della richiesta formulata in giudizio.

In tema di diritti esclusivi di pesca, la giurisdizione riservata al tribunale superiore delle acque pubbliche dall'art. 143, r.d. 1775/33, che non è né generale né esclusiva, è limitata in base al collegamento a fattispecie tipiche qualificate dal contenuto e dalla forma dei provvedimenti impugnati, dalla procedura richiesta per la loro emanazione e dalla autorità pubblica da cui promanano, ossia alla cognizione dei ricorsi proposti contro provvedimenti di revoca o di decadenza dei diritti su acque del demanio marittimo, fluviale, lagunare e, in genere, su ogni acqua pubblica, adottati dai ministeri competenti. Pertanto, spetta alla cognizione del giudice ordinario la causa avente ad oggetto la rimozione dell'impianto di itticoltura intensiva, installato da un privato nel tratto di mare, ove si assume esistente il diritto esclusivo di pesca derivante da antiche concessioni, rilasciate ad altro privato, perché caratterizzata dall'accertamento solo incidentale, tra le parti, dall'attuale esistenza del diritto a tutela del quale è stata chiesta la rimozione degli impianti, senza che venga in discussione alcun provvedimento amministrativo.

Del pari gli atti aventi ad oggetto le acque pubbliche non rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo.

Poiché l'art. 143, 1° co., lett. a), r.d. 11.12.1933, n. 1775, attribuisce alla cognizione diretta del tribunale superiore delle acque pubbliche i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge avverso i provvedimenti adottati dall'Amministrazione in "materia di acque pubbliche", esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo (che può rilevarne il difetto in ogni stato e grado del processo) anche i casi in cui l'atto, pur costituendo esercizio di un potere non propriamente attinente alla materia in parola (cioè: pur incidendo su interessi più generali e diversi rispetto a quelli specifici relativi alla demanialità delle acque od ai rapporti concessori di beni del demanio idrico) attenga comunque all'utilizzazione di dette risorse, interferendo immediatamente sulle opere destinate a tale utilizzazione e, in definitiva, sul regime delle acque pubbliche.


















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