mercoledì 20 giugno 2012

D.A..33 CAPITOLO URBANISTICA


33 CAPITOLO
URBANISTICA


1.      Il procedimento di formazione del piano regolatore generale .


La formazione del piano regolatore generale nel sistema delineato dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942 interviene attraverso una procedura complessa, retta, quanto alle competenze, dal c.d. principio del doppio stadio; esso è articolato in un livello comunale quale ente esponenziale e rappresentativo della collettività e degli interessi locali, ed un livello regionale quale ente di indirizzo e coordinamento in materia urbanistica.
Il procedimento di adozione si compone normalmente di quattro fasi: la fase di iniziativa, la fase istruttoria, quella decisoria e quella integrativa dell'efficacia (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 16.6.2008, n. 5918).
Il procedimento di adozione conclude una fase riservata ed interna alla amministrazione che termina con il deposito del progetto di p.r.g.
L'amministrazione, nell'esercitare il potere pianificatorio ad essa attribuito, non è tenuta a manifestare in modo puntuale le ragioni delle proprie scelte, essendo sufficiente una ragionevole e coerente giustificazione delle linee portanti della pianificazione; né sussiste l'obbligo per l'amministrazione di motivazione specifica ed analitica per le singole zone innovate fatta salva la necessità di una congrua indicazione delle diverse esigenze che si sono dovute conciliare e la coerenza delle soluzioni proposte con i criteri tecnico- urbanistici stabiliti per la formazione del piano regolatore.
La dottrina nota che la norma ha riconosciuto a chiunque la facoltà di prendere visione del progetto di piano regolatore generale depositato presso la segreteria generale del comune consentendo una tutela immediata sulle disposizioni di piano purché vi sia una lesione .
L’altro effetto dell’adozione è l’applicazione delle misure di salvaguardia.
La delibera comunale di adozione di una variante allo strumento urbanistico, pur costituendo un elemento della fattispecie complessa che si completa con l'atto di approvazione regionale, ha acquisito nell'ordinamento vigente un'efficacia imperativa diretta e propria, che ne fa uno strumento di governo del territorio, che impedisce gli interventi edilizi ed urbanistici contrastanti con essa ed impone l'applicabilità delle misure di salvaguardia, già previste come discrezionali dalla l. 3.11.1952, n. 1902 e rese obbligatorie dall'art. 3, l. 6.8.1967, n. 765, con conseguente ammissibilità del ricorso proposto contro di essa.
Altri effetti, quali gli effetti integrativi alla disciplina civilistica delle distanze, conseguono solo con la definitiva approvazione.
La trasmissione all’ente regionale o delegato dalla regione per l’approvazione deve avvenire di norma entro termini dichiarati ordinatori dalla giurisprudenza.

2.      Il contenuto obbligatorio del p.r.g.


L’art. 7 della l. 1150/1942 determina il contenuto obbligatorio del piano regolatore generale.
La caratteristica principale è quella di conformare la proprietà.
Essa può esplicarsi nei limiti consentiti nella singola zona o deve essere ceduta alla p.a. per la realizzazione di opere pubbliche di interesse generale.
L’indicazione legislativa è quella di un piano di larga massima che incide sulle scelte fondamentali del territorio e che rinvia per le scelte di dettaglio alla pianificazione esecutiva.
Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.
Esso deve indicare essenzialmente:
1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;
2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;
3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;
5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6) le norme per l'attuazione del piano.
Tali indicazioni sono state disattese nella pratica, rendendo concreta una pianificazione rigida che incide direttamente sulle possibilità edificatorie e che definisce nel dettaglio persino il modo di realizzare gli interventi.
Il piano regolatore, nella prassi vigente, disciplina minuziosamente l’assetto del territorio e la pianificazione esecutiva si è trovata costretta in maglie troppo rigide.
Il piano regolatore generale può legittimamente determinare le linee essenziali di assetto di una determinata area del territorio comunale anche con previsioni di dettaglio, rendendo in tal modo non necessaria per essa la successiva adozione di uno strumento attuativo. (Cons. St., sez. IV, 2.10.2008, n. 5147).
Le scelte urbanistiche non comportano, di regola, la necessità di una specifica motivazione che tenga conto delle aspirazioni del privato, quando si tratti di varianti al piano regolatore vigente o di modificare scelte precedenti. (Cons. St., sez. IV, 1.3.2009, n. 1477).
Il rapporto fra programmazione e strumenti finanziari è regolato dall'art. 30 della l. urb. che contribuisce a dare alle scelte di piano il necessario contenuto di concretezza.
La giurisprudenza ha, peraltro, minimizzato la funzione della programmazione economica ritenendo sufficiente anche una previsione finanziaria di larga massima. (T.A.R. Lazio sez. I, 10.10.2000, n. 8124).
La dottrina è sulle stesse posizioni. Essa ritiene che la relazione finanziaria non sia un elemento essenziale del piano regolatore generale e delle sue varianti, potendo anche sopravvenire in un momento successivo, allorquando il comune debba deliberare circa l'espropriazione delle aree private, ai sensi dell'art. 18 della l. 17.8.1942, n. 1150.
Nell'esercizio di questa funzione programmatoria l'amministrazione comunale opera con assoluta discrezionalità sulle scelte da compiere, non essendo ammesso alcun sindacato giurisdizionale sul contenuto di quelle che riguardano il merito del provvedimento .





3.      La zonizzazione. Natura conformativa.


Attraverso la zonizzazione sono determinati i vincoli ed i caratteri di ciascuna zona, particolarmente di quelle di carattere storico, ambientale e paesistico, ai sensi dell'art. 7 della l. 1150/1942 .
Ad esempio, sono delimitate le zone destinate alla residenza e quelle riservate all'industria.
Successivamente, con d. m. 2.4.1968 sono fissati gli standard urbanistici di ciascuna zona, stabilendo le opere minime indispensabili di urbanizzazione.
La dottrina ha diviso le prescrizioni conformative della proprietà immobiliare contenute nel piano regolatore generale distinguendo le zonizzazioni dalle localizzazioni .
Sono considerate zonizzazioni quelle prescrizioni di piano che suddividono in zone il territorio comunale, precisando le caratteristiche di ogni singolo comparto.
Si è al cospetto di vincoli conformativi allorché le prescrizioni mirino ad una zonizzazione dell'intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione assolta dalla intera zona in cui questi ricadono e delle sue caratteristiche intrinseche, o del rapporto (per lo più spaziale) con un'opera pubblica. (Cons. St., sez. IV, 9.6.2008, n. 2837).
Le disposizioni aventi natura conformativa definiscono quali sono le caratteristiche delle opere da realizzare nella zona.
Le scelte pianificatorie contenute in uno strumento urbanistico generale che si concretano in nuove destinazioni di zona impresse al territorio non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso
Le norme di zonizzazione hanno natura cogente, come tutti i limiti che la pubblica amministrazione pone all'attività dei privati, e trovano un supporto normativo nell’art. 11, l. urb., che impone l'obbligo ai proprietari degli immobili di osservare nelle costruzioni le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nel piano.
La zonizzazione detta prescrizioni a carattere programmatico che, per essere tradotte in pratica, abbisognano di ulteriori specifiche disposizioni.
Le norme di zonizzazione non hanno natura ablatoria, in quanto la pubblica amministrazione impone delle direttive ai privati senza acquisire gli immobili che, di norma, anzi ottengono dalle prescrizioni di zona una rendita di posizione.
La zonizzazione ha, in ogni modo, un rilievo fondamentale nel procedimento espropriativo poiché essa determina la misura della indennità accertando la natura dell’area e distinguendo chiaramente se essa è agricola o edificabile.
La zonizzazione è determinata dallo strumento urbanistico generale, ma può essere decisa anche da quello attuativo se esso contestualmente determina una variante di piano.
La giurisprudenza ha precisato che la destinazione agricola di una zona non coincide con l'effettiva coltivazione dei relativi fondi, ma ha spesso la finalità di evitare ulteriori espansioni degli insediamenti e significa, in tal caso, che la zona stessa deve essere conservata a verde. Per tale ragione, non sempre sono esclusi gli interventi diversi da quelli strettamente funzionali all'attività agricola ed alla eventuale esigenza dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo, come ad esempio la realizzazione di opere che, non pregiudicando l'assetto territoriale agricolo, non possano tuttavia essere convenientemente collocate in altre zone ovvero la realizzazione di opere che siano pertinenziali o funzionali agli insediamenti ed all'economia dell'area e che comunque vi si inseriscano senza turbare o alterare la destinazione in atto.

4.      La localizzazione. Natura ablatoria.


Le previsioni di p.r.g. possono non avere una portata generale, ma imporre, invece, un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un'opera pubblica la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata.
Il vincolo deve essere qualificato, in tal caso, come preordinato alla relativa espropriazione, con conseguente sua ininfluenza agli effetti indennitari (Cons. St., sez. IV, 9.6.2008, n. 2837).
Con la localizzazione l'amministrazione comunale opera una scelta programmatoria indicando le aree, non importa se edificate o meno, su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico.
Le previsioni di p.r.g. che non hanno una natura generale ma impongono un vincolo particolare incidente su beni determinati - in funzione della localizzazione puntuale di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata - comportano un vincolo che deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione, con conseguente sua ininfluenza agli effetti indennitari. (Cons. St., sez. IV, 9.6.2008, n. 2837).

L’amministrazione comunale ha la piena competenza nella localizzazione delle opere pubbliche ossia essa ha la funzione di scegliere le zone di piano nelle quali esse devono essere eseguite.
Attraverso la delibera di localizzazione si identificano la rete delle principali vie di comunicazione stradale, ferroviaria e di navigazione e dei relativi impianti, le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a determinate servitù, le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale previsti, ex art. 7, n. 1, n. 3, n. 4 della legge urbanistica .
La localizzazione è il necessario presupposto del procedimento ablatorio. Con la localizzazione l'amministrazione opera una scelta programmatoria gestionale indicando, scegliendole fra quelle disponibili, le aree, non importa se edificate o meno, su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico.
Le disposizioni aventi natura localizzatoria hanno in sé un contenuto ablatorio che, nell'impianto della legge urbanistica, non discende direttamente dall'approvazione del piano regolatore, ma dai piani particolareggiati, o, comunque, da quelli aventi natura attuativa - come il piano di zona per l'edilizia economico popolare - ovvero da una successiva dichiarazione di pubblica utilità od indifferibilità ed urgenza dei lavori.
La mera indicazione nel piano regolatore non consente, quindi, l’avvio della procedura espropriativa.


5.      L’approvazione regionale. Effetti.


La competenza ad approvare i piani urbanistici comunali è stata da numerose regioni demandata alle province a completamento delle funzioni programmatorie relative al piano territoriale di coordinamento provinciale, previsto dall’art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267 .
L'atto del consiglio provinciale - competente in base alla legislazione urbanistica della regione Abruzzo - di approvazione del piano regolatore generale di un comune non costituisce esercizio di un potere di controllo da parte degli organi provinciali, ma rappresenta l'atto terminale del procedimento di formazione dello strumento urbanistico comunale, la cui efficacia non è subordinata ad un successivo atto di volontà dell'amministrazione comunale di accettazione o non accettazione delle eventuali modifiche d'ufficio in esso introdotte.(Cons. St., sez. IV, 15.5.2002, n. 2592, RGE, 2002, I, 1427).
L'approvazione del piano ha come effetto quello di vincolare all'osservanza delle sue disposizioni gli interventi edilizi di trasformazione del suo territorio sia in termini negativi di blocco - come nelle zone verdi o destinate a pubblici servizi - sia in termini positivi - come nelle zone di espansione - consentendo l'edificazione.
La approvazione del piano non comporta invece la dichiarazione di pubblica utilità e indifferibilità ed urgenza delle opere in esso previste, preludio necessario all'espropriazione per pubblica utilità.
Tale dichiarazione è implicita nella successiva fase di approvazione degli strumenti esecutivi.
E' prevista la possibilità di esproprio delle aree non edificate e di quelle su cui insistano costruzioni in contrasto col piano stesso od aventi carattere provvisorio, site in zone di espansione, ai sensi dell'art. 18 della l. urb., ottenendo prima la dichiarazione di pubblica utilità che, in tal caso, può essere motivata per relationem alle disposizioni di piano.
La destinazione urbanistica impressa dall'approvazione del piano se impedisce il rilascio di un permesso di costruire in difformità, e quindi una diversa utilizzazione delle aree, non pone alcun limite alla commerciabilità del bene che rimane nella piena disponibilità del proprietario.
Ai sensi dell'art. 15, 4° co., d.p.r. 380/2001, l'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano già iniziati e vengano completati entro tre anni dalla data di inizio (T.A.R. Marche, 18.6.1993, n. 389, T.A.R., 1993, I, 3237).

6.      Le osservazioni e le opposizioni al piano regolatore generale.


I privati possono quindi intervenire nella fase della formazione dello strumento urbanistico, partecipandovi attivamente con i rimedi delle osservazioni e delle opposizioni. . N. CENTOFANTI, Diritto di costruire. Pianificazione urbanistica. Espropriazione, 2010, 611.
La natura dei due strumenti è diversa.
Per quanto riguarda le prime sussiste una certa tendenza da parte della giurisprudenza a ritenerle mera forma di civica collaborazione, tanto che non occorre una motivazione giuridica qualora esse vengano respinte, il rigetto delle osservazioni non richiede una specifica motivazione .
E'sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.
Le osservazioni presentate dai privati interessati all'adozione di un piano regolatore generale, costituiscono forme di collaborazione alla formazione degli strumenti urbanistici e non rimedi a tutela degli interessati, sicché il Comune non è tenuto a confutare analiticamente e specificamente tutte le argomentazioni contenute nelle osservazioni; pertanto, al fine di non tenere conto di alcune osservazioni, è sufficiente evidenziare il loro contrasto con gli interessi o le linee portanti del piano regolatore. Cons. Stato , sez. IV, 1 marzo 2010, n. 1182
Nella specie il piano ha riconosciuta la possibilità di addivenire alla c.d. "microrganizzazione", cioè all'individuazione di sottozone con caratteristiche peculiari nell'ambito di quelle previamente individuate.
In tal caso al giurisprudenza ha rilevato la necessità che per aree aventi caratteristiche comuni ed omogenee sia individuata la corrispondente classificazione e con essa l'uniformità di disciplina. Consegue da ciò che la previsione di prescrizioni difformi per aree appartenenti ad una determinata zona, con conseguente diversità di disciplina, deve, dunque ritenersi di per sé consentita all'Amministrazione che deve farsi interprete delle esigenze peculiari proprie di taluni ambiti, il che richiede tuttavia che la correlativa statuizione sia sorretta da un'adeguata e puntuale motivazione Nel caso di specie, dai documenti di accompagnamento dello strumento urbanistico non è dato cogliere alcuna argomentazione a supporto del restrittivo regime edificatorio stabilito per il fondo dell'istante, silenti essendo anche le osservazioni tecniche predisposte dall'estensore della variante. T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 7 gennaio 2010, n. 1.
Le opposizioni, che spettano solo ai proprietari degli immobili compresi nel piano stesso, hanno carattere di veri e propri rimedi giuridici, in quanto obbligano l'autorità competente ad esaminarle ed a decidere sulle stesse.
Secondo altri invece, poiché si rivolgono contro un atto non ancora perfetto, sono dei semplici mezzi istruttori, che non pregiudicano i futuri rimedi giurisdizionali.

7.      L’accoglimento delle osservazioni e l’obbligo di ripubblicare il piano.


Si discute, qualora le osservazioni e le opposizioni vengano recepite, sulla necessità di ripubblicare il piano con la medesima procedura e di porlo a disposizione del pubblico per nuove eventuali osservazioni, art.9 L.U. 1150/1942.
La giurisprudenza ha escluso la necessità di ripubblicazione dello strumento urbanistico adottato quando il progetto originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di osservazioni, anche nel caso in cui l'accoglimento incida sulle posiziono giuridiche di altri.
L’accoglimento delle osservazioni non determina un obbligo di ripubblicazione del piano, se non ricorra un sostanziale cambiamento dei criteri e degli obiettivi che ne hanno guidato la redazione .Cons. Stato , sez. III, 15 dicembre 2009, n. 583
Diversamente la legislazione regionale della provincia di Trento prevede un vero e proprio subprocedimento amministrativo avente ad oggetto l'esame delle osservazioni
Allorquando l'Amministrazione provvede a modificare il piano adottato, accogliendo osservazioni che incidono sulla proprietà di terzi, essa  è tenuta a fornire idonea comunicazione ai soggetti proprietari dell'area incisa in maniera diretta dalla modificazione, mediante ripubblicazione del P.R.G. nella parte risultata modificata o a darne quanto meno comunicazione agli interessati.
Ad essi deve essere consentito di presentare memorie e osservazioni di merito; pertanto, va annullata la deliberazione di adozione definitiva della variante generale al piano regolatore che stralcia la destinazione alberghiera di un area in accoglimento di osservazioni di soggetti terzi, in assenza di previa pubblicazione idonea ad assicurare agli interessati le necessarie garanzie procedimentali. T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 24 luglio 2008, n. 191.




8.      Le impugnazioni agli strumeni urbanistici.


La legittimazione ad impugnare il piano regolatore generale si individua in capo al soggetto titolare del diritto di proprietà dell’immobile coinvolto dagli interventi da realizzare sulla base delle varianti impugnate. Cons. Stato , sez. VI, 26 novembre 2008, n. 5839.
La legittimazione alle associazioni ambientalistiche all'impugnazione attribuita dagli artt.13 e 18 L.349/1986 è stata esclusa per provvedimenti urbanistici, ossia diretti alla gestione del territorio senza alcuna incidenza ai valori ambientali.
Sotto il profilo del contenuto il piano non è sindacabile nel merito delle sue scelte siano esse zonizzazioni o localizzazioni, purchè queste scelte siano congre e rispondenti al procedimento logico formativo del piano.
Così ad esempio il futuro andamento demografico comunale che è supporto della elaborazione del piano può essere censurato solo per manifesta illogicità e irrazionalità dei calcoli effettuati.
Il piano può essere censurato ,ove non venga oggetto di modifica in sede di approvazione regionale, qualora non rispetti le dotazioni minime inderogabili degli spazi pubblici e di quelli destinati ad attività collettive di cui al DM 2-4-1968 ,ovvero previsti dalla legislazione regionale.
Gli eventuali effetti dell'impugnazione non hanno rilevanza sull'intero piano ma l'eventuale annullamento colpisce le previsioni di cui sia riconosciuta l'illegittimità
Sono soggetti a censura solo quei provvedimenti che hanno oggetto immobili  colpiti dalle previsioni limitative del piano. T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 25 novembre 2009, n. 1974.
Il piano urbanistico può essere impugnato presso il giudice amministrativo sia per motivi di legittimità del procedimento di approvazione sia per motivi sostanziali.
Il procedimento approvativo è soggetto al sindacato del giudice amministrativo.
Il principio generale che afferma che il provvedimento di approvazione può trovare impugnazione solo dopo che l'atto si sia perfezionato trova una evidente eccezione.
Le norme di piano fin dalla loro adozione ,pur se viziate da illegittimità producono immediatamente i loro effetti ,imponendo la sospensione di ogni determinazione del sindaco al riguardo,per l'applicazione obbligatoria delle misure di salvaguardia .
E' ammissibile l'impugnazione in via pregiudiziale del piano regolatore semplicemente adottato relativamente a quelle disposizioni immediatamente lesive per il ricorrente.
La delibera di adozione del piano regolatore generale può formare oggetto di immediata impugnazione quando ad essa consegua la eliminazione o la limitazione dello jus aedificandi, ovvero delle prescrizioni vincolistiche, ma ciò non costituisce un onere ma una semplice facoltà, con la conseguenza che il suo mancato esercizio non comporta alcuna preclusione circa l'impugnazione della successiva approvazione del piano; il piano regolatore è infatti un atto complesso, composto da due atti distinti, l'atto di adozione e l'atto di approvazione, con la conseguenza che la mancata impugnazione del secondo non comporta necessariamente cessazione di interesse al ricorso presentato contro il primo, a meno che l'approvazione non comporti modifiche delle prescrizioni e previsioni impugnate. Cons. Stato , sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 50.


9.      I vincoli di piano.


Il problema di come vincolare le aree attraverso gli strumenti urbanistici generali deve essere risolto dalla normativa urbanistica alla luce dei principi costituzionali che prevedono un congruo indennizzo per ogni limitazione al diritto di proprietà ed il pieno rispetto del principio di uguaglianza dei cittadini, evitando che alla creazione di rendite di posizione faccia riscontro l'espropriazione senza indennizzo.
Per tali motivi la Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità dell'art.7 della legge urbanistica che prevedeva la possibilità di istituire vincoli senza indennizzo a tempo indeterminato.
Per essere in sintonia col sistema ,le disposizioni di piano devono trovare attuazione entro termini precisi,in modo che il potere ablatorio della pubblica amministrazione si accompagni alla corresponsione del risarcimento entro termini ben definiti. Corte Cost. 29 maggio 1968 n. 55, in Riv.Giur.Ed. 1968,777.
Per rispondere alle censure della corte il legislatore approvò la L.1187/1968 che disponeva la perdita di efficacia dei vincoli di piano entro cinque anni dalla approvazione dello strumento urbanistico, se non fossero stati approvati i relativi piani attuativi ovvero non fosse stato perfezionato l'esproprio delle aree interessate al vincolo.
Naturalmente la programmazione esecutiva non è stata predisposta per tutte le aree vincolate ed il legislatore è stato costretto all' emanazione di numerose leggi tampone fino all'approvazione della legge sul regime dei suoli.
Secondo alcuni essa comportava il superamento delle obiezioni fatte dalla corte costituzionale in quanto l'attività edificatoria è subordinata alla concessione rilasciata dalla pubblica autorità.
Non vi sono vincoli che colpiscono la proprietà fondiaria poiché è impossibile esercitare lo ius aedificandi prima del rilascio della concessione edilizia ovvero dell'esercizio del potere programmatorio comunale attraverso il programma pluriennale di attuazione.
Pareva priva di sostenitori la tesi di coloro che ritenevano che, pur con l'entrata in vigore della legge sul regime dei suoli, il sistema non fosse affatto perequato rimanendo di fatto il vincolo senza indennizzo a tempo determinato, poiché lo ius aedificandi pur con la nuova legislazione rimaneva in capo alla proprietà fondiaria .
Gli stessi problemi si riproponevano fino a che la strumentazione urbanistica non avesse dato attraverso gli strumenti esecutivi o l'esproprio attuazione ai piani generali nei termini di legge.
La Corte costituzionale ha avvalorato questa impostazione affermando che il principio del vincolo quinquennale fissato dalla L.1187/1968 deve intendersi tuttora vigente,mentre la giustizia amministrativa ha dato delle ulteriori indicazioni in ordine agli effetti che derivano dalla scadenza del termine quinquennale dei vincoli. .
Scaduto infruttuosamente il quinquennio la cessazione di efficacia del vincolo urbanistico comporta il venir meno della sua esecutorietà e della sua sussistenza quale previsione urbanistica a cui corrisponde la necessaria riespansione delle ordinarie facoltà del diritto di proprietà nei limiti dell'art.9 , D.P.R. 380/2001.
Così ad esempio la presenza di un vincolo a parco oramai scaduto rende illegittima la delibera di approvazione del progetto del parco ed i conseguenti atti ablatori.
I vincoli di inedificabilità che hanno perso efficacia per il decorso quinquennio dalla loro imposizione possono essere reiterati.
La delibera impositiva dei vincoli deve essere congruamente motivata sull'asserità necessità e sul pubblico interesse che giustificano la riproposizione del vincolo.
 Non viene presa in considerazione l'obiezione che in tal modo le aree, comprese nel perimetro dei centri abitati, passano per effetto della caducazione del vincolo da un regime di inedificabilità temporanea ad un regime di inedificabilità permanente.
Teoricamente i comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che ricopra l'intero territorio ed in tal senso si ritiene che l'inedificabilità di cui all'art.4 citato sia solo provvisoria.
In caso di inerzia del comune ad adottare la nuova programmazione il privato può sempre promuovere gli interventi sostitutivi della regione oppure agire in via giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio rifiuto per fare emergere l'obbligo del comune di provvedere alla disciplina urbanistica della zona.
La Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della reiterazione dei vincoli ed ha disposto l’indennizzo per i vincoli scaduti e reiterati dalle amministrazioni. Corte cost., 20.5.1999, n. 179, in Guida Dir., 1999, n. 22, 133.
La Corte non esclude che i vincoli decaduti possano essere reiterati in via amministrativa.
Possono, infatti, sussistere ragioni giustificative accertate e motivate con congruo provvedimento entro i limiti della ragionevolezza e della logicità.
Qualora i vincoli assumano carattere patologico o quando vi sia una ripetizione o una proroga sine die o all’infinito attraverso una reiterazione di proroghe, che si aggiungano le une alle altre, o quando il limite temporale sia indeterminato e senza una previsione di indennizzo, il sistema si scontra con i limiti posti dalle norme costituzionali.
La Corte non giunge a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell’indennizzo anche se pone le premesse per la loro definizione, ex art. 34, comma 4, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.,
L’indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro non necessariamente integrale od equivalente al sacrificio, per una serie di pregiudizi che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito.
Esso deve essere commisurato al mancato uso normale del bene ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
La risarcibilità dei vincoli di piano è stata sancita definitivamente dall’art. 39, D.P.R. 8.6.2001, n. 327.


10. . La tutela giurisdizionale sul permesso di costruire.


Legittimati ad impugnare il permesso di costruire sono tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, che può derivare da un titolo di proprietà ovvero da un rapporto contrattuale di locazione, con la zona in cui si intende realizzare la costruzione, purché facciano valere un interesse di carattere urbanistico quale è quello dell'osservanza delle prescrizioni relative alla zona interessata
In tal modo l'interpretazione giurisprudenziale ha sostanzialmente limitato la legittimazione a ricorrere, che l’art. 31 della legge urbanistica L. 1150/1942 – ora abrogato dall’art. 136 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - estendeva a “chiunque”.
Il termine chiunque è stato considerato come equivalente alla forma impersonale.
La tutela comprende la verifica del rispetto dei tempi previsti dal rituale procedimento amministrativo.
Dalla scadenza del termine previsto per l’emanazione del provvedimento decorrono i sessanta giorni per adire alla giustizia amministrativa per ottenere l'annullamento del diniego illegittimo.
L'azione contro il silenzio diniego riveste oramai un carattere sussidiario rispetto ad altre azioni ipotizzabili.
Il richiedente ha la possibilità di agire per i danni arrecati a causa del comportamento inadempiente del responsabile del procedimento che è anche il soggetto competente all'adozione del provvedimento, secondo quanto previsto dall’art. 35 del D.L.vo 80/1998.
La tutela amministrativa, almeno in questa fase, è destinata a concretizzarsi nel risarcimento del danno ingiusto.
In tal senso si manifesta l’interesse del ricorrente ad ottenere l'annullamento del diniego.
Questo non dà alcun diritto ad edificare, ma tutt’al più concretizza la possibilità di richiedere la nomina di un commissario ad acta.
L’art. 21, 1 comma, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 dichiara l’ammissibilità dell'intervento sostitutivo regionale anche qualora il richiedente si affidi alla giustizia amministrativa.
Il provvedimento può essere impugnato da terzi al fine di ottenere l’annullamento del permesso di costruire.
I proprietari di immobili in zone confinanti o limitrofe con quelle interessate da una nuova costruzione sono legittimati ad impugnare i titoli edilizi che possono pregiudicare la loro posizione sia per il maggior carico urbanistico e il mancato rispetto degli standard, sia per la incisione delle condizioni ambientali dell'area e, più in generale, per le modifiche all'assetto urbanistico ed edilizio della zona ove sono ricompresi gli immobili di cui hanno la disponibilità. Cons. Stato , sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 72.
La giurisprudenza ha rilevato che il termine di impugnazione giurisdizionale di un permesso di costruire da parte di un soggetto terzo, diverso dal destinatario, è la conoscibilità di tale permesso di costruire associata all'effettivo inizio dei lavori, resa possibile dalla pubblicazione nell'albo pretorio dell'apposito avviso e dall'esposizione nel cantiere del cartello con gli estremi del permesso di costruire rilasciato, e non l'effettiva conoscenza del permesso di costruire. T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 20 gennaio 2010, n. 27.
La causa più frequente di illegittimità è quella relativa al mancato rispetto della disciplina delle distanze.
I privati danneggiati dalle costruzioni dei confinanti, che pure hanno ottenuto dal comune il permesso di costruire - che è rilasciato facendo salvi i diritti di terzi - possono usufruire della cosiddetta doppia tutela.
Essi possono adire il giudice ordinario per tutelare, ai sensi del secondo comma dell'art. 872 del c.c., il loro diritto soggettivo perfetto alla riduzione in pristino delle opere realizzate in spregio alla disciplina delle distanze e al risarcimento del danno, vedi infra par. 5.
Parallelamente essi hanno la possibilità di richiedere al giudice amministrativo l'annullamento della permesso che risulti illegittimo per violazione delle norme sulle distanze.
L'interesse del privato si è gradualmente spostato da posizioni di tutela essenzialmente diretta a salvaguardia della proprietà a posizioni che tendono a garantire il più ordinato assetto della città.
Ad esempio, censurando i provvedimenti che consentivano l’installazione di una attività alberghiera o artigianale in zone destinate all'abitazione, ovvero che autorizzavano tipologie diverse da quelle previste dal piano.
Spetta, comunque, al responsabile del procedimento l'adozione dei provvedimenti repressivi o di esecuzione dell'annullamento pronunciato dal T.A.R.
Il ricorrente, in caso di omissione a provvedere, deve azionare un ulteriore ricorso per l'esecuzione del giudicato ai sensi dell'art. 112, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.,.




11. La violazione delle norme sulle distanze. L’azione di riduzione in pristino.


L’art. 872 c.c. distingue le due ipotesi che conseguono dalla violazione delle norme di carattere speciale, che regolano l’attività edificatoria, da quelle derivanti dalle violazioni alle prescrizioni imposte dalle norme del c.c.
La trasgressione delle norme del codice civile ovvero di quelle fissate dai regolamenti edilizi o dai piani - che vengono considerate integratrici di quelle prescritte dal codice civile - produce gli stessi effetti.
Il privato in presenza di un illecito edilizio od urbanistico può chiedere al giudice ordinario l’abbattimento totale o parziale della costruzione abusiva al fine di conformarla alla disciplina delle distanze vigenti e il risarcimento del danno.
La giurisdizione del giudice ordinario presuppone che la lite si svolga tra privati, l'uno dei quali, nelle controversie relative al rispetto delle distanze legali tra costruzioni, pretenda la reintegrazione del suo diritto di proprietà che assume leso dalla costruzione che l'altro ha eseguito in violazione delle norme legislative o regolamentari in materia edilizia; in tal caso, il giudice ordinario, cui spetta la giurisdizione, vertendosi in tema di assunta violazione di un diritto soggettivo, può incidentalmente accertare l'eventuale illegittimità del permesso di costruire. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 18 novembre 2009, n. 7635
Sul punto la giurisprudenza è conforme affermando che, a norma dell'art. 872, 2° co., e dell’art. 873 c.c., la violazione delle norme dei regolamenti edilizi comunali, integrative del codice civile, in materia di distanze tra le costruzioni abilita la parte interessata a richiedere e ottenere la riduzione e l'arretramento della costruzione oltre al risarcimento dei danni. Ciò avviene anche quando è violata la norma di un piano regolatore comunale che, in maniera assoluta e inderogabile, prescriva una certa distanza delle costruzioni dal confine, rendendo così inapplicabili sia le disposizioni del codice civile sia la disciplina sulle costruzioni a dislivello. Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13007, in Dir e Giust., 2000, f. 38, 76.
Nel caso in cui si tratti di una violazione alle norme civilistiche è ammessa, oltre al risarcimento del danno, anche la riduzione in pristino attraverso la demolizione delle opere eseguite in contrasto colla normativa. G. PAGLIARI, Diritto urbanistico, 1998, 298.
Al giudice non è consentita alcuna discrezionalità nella valutazione del danno prodotto perché la sola violazione della disciplina delle distanze è fonte automatica di responsabilità.
Ove le distanze tra costruzioni siano prescritte da un regolamento edilizio, nessuna indagine deve essere svolta per accertare se dalla violazione della norma dello strumento urbanistico sia o meno derivato un danno per il fondo del vicino e se questo sia o meno edificabile, in quanto le disposizioni in materia di distacco delle costruzioni dal confine non lasciano al giudice alcun margine di valutazione in ordine ai pregiudizi prodotti dalla loro inosservanza, avuto riguardo alle finalità di natura pubblicistica cui dette disposizioni si ispirano. Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2294, in Giust. Civ. Mass., 1995, 469).
Il giudice può ordinare alternativamente l’arretramento o la demolizione del manufatto illegittimo, a prescindere dalla richiesta dell’attore. La giurisprudenza ammette che non sussiste il vizio di ultrapetita se il giudice, richiesto di pronunziarsi sull'arretramento e sulla riduzione in pristino di una costruzione, perché in violazione delle distanze legali, ne ordina la demolizione che è l’attività materiale necessaria per realizzare l'arretramento. Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1999, n. 1411, in Giust. Civ. Mass., 1999, 449.
La rilevanza giuridica del provvedimento amministrativo va circoscritta al rapporto tra p.a. e costruttore ed ai possibili riflessi sulle correlate posizioni di interesse legittimo dei terzi, mentre sul piano dei diritti dei privati interessati in senso opposto alla costruzione, l’esistenza e la legittimità del permesso di costruire licenza sono prive di rilievo, dovendo il giudice ordinario risolvere il conflitto tra gli stessi confrontando direttamente le caratteristiche della costruzione con le norme giuridiche che le disciplinano.
Tribunale Messina, 31 agosto 2006



12. L’azione risarcitoria.


Nel caso in cui si tratti di una violazione alle norme portate dalle leggi speciali e considerate non integrative a quelle del codice civile l’unica tutela ammessa è quella del risarcimento del danno, ex art. 872, c.c. Secondo la classificazione della dottrina è esclusa la possibilità di riduzione in pristino per le seguenti violazioni delle norme regolamentari riguardanti:
a) le altezze interne degli edifici;
b) l’ampiezza dei cortili interni dei fabbricati;
c) la larghezza del fronte degli immobili, in base alla tutela dell’estetica;
d ) la sistemazione degli spazi intorno alle costruzioni;
e) l’igiene degli abitati.
Esclusa la violazione delle distanze e delle altezze esterne degli edifici ogni altra violazione di norme edilizia non può comportare il diritto del privato di ottenere la riduzione in pristino.
Detta azione è alternativa a quella ripristinatoria e deve essere specificatamente proposta dall’attore, documentando il danno ricevuto dall’opera abusiva.
La semplice violazione di norme di edilizia può dar luogo solo al risarcimento del danno, in quanto concretamente esistente e nella misura in cui esso si sia effettivamente verificato, anche solo in termini di amenità e comodità del godimento del bene. Il dies a quo dal quale la prescrizione in materia decorre, non può identificarsi nella data in cui venne rilasciata la concessione edilizia, bensì in quella, ben più recente, in cui l’intervento edificatorio lesivo dei diritti dell’istante si è dovuto. Tribunale Messina, 31 agosto 2006



13. La tutela dinanzi alla giustizia amministrativa.


La violazione delle norme di piano o di regolamento edilizio consente la cosiddetta doppia tutela, nel senso che consente oltre alla azione presso il giudice ordinario, ex art. 872 c.c., anche quella presso il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
L’azione presso il giudice ordinario consente come visto in precedenza una tutela diversificata che va dalla remissione in pristino al risarcimento del danno a seconda che le norme violate siano integratrici delle norme civilistiche.
L’azione è autonoma e può essere esercitata anche senza avere prima attivato il giudizio sulla legittimità dell’atto amministrativo che si ritiene lesivo o sulla legittimità della norma.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che, ove dette norme urbanistiche siano state violate, il diritto del vicino alla riduzione in pristino (o al risarcimento del danno) non trova deroga per il fatto che la costruzione sia stata realizzata in base ad un permesso di costruire e resta tutelabile davanti al giudice ordinario senza necessità di una preventiva decisione del giudice amministrativo in ordine alla legittimità o meno del provvedimento di concessione e senza che occorra neppure una deliberazione di detto provvedimento, in via meramente incidentale, da parte del giudice ordinario.
Vige il regime della c.d.  doppia tutela , per cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita con competenza del g.o. e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata conosciuto dal g.a. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 16 ottobre 2009, n. 1742
L’azione amministrativa consente sia l’impugnazione dello strumento urbanistico fonte della disciplina pubblicistica, se esso viola le norme dell’azione amministrativa, sia l’annullamento della eventuale concessione edilizia illegittima che abbia autorizzato i lavori.
Il giudice amministrativo, annullando il provvedimento illegittimo, impone alla pubblica amministrazione di esercitare i provvedimenti repressivi attraverso l’esecuzione della sentenza.
L’azione amministrativa è sostanzialmente rivolta contro la pubblica amministrazione affinché tuteli le norme di azione amministrativa che si ritengono violate.
Chi ritiene di essere danneggiato da un provvedimento amministrativo può quindi scegliere la tutela che ritiene più idonea nel caso di specie, ma in teoria potrebbe iniziare entrambe le azioni poiché esse hanno oggetti completamente diversi.

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