mercoledì 20 giugno 2012

D. A. 3 CAPITOLO PUBBLICO IMPIEGO.


3 CAPITOLO
PUBBLICO IMPIEGO.


1.       La privatizzazione del pubblico impiego.

 

Il d.L.vo 165/2001 conclude il processo di privatizzazione del pubblico impiego. R. Chieppa R. Giovagnoli, Manuale di ritto amministrativo, 2011, 269.
L’art. 1, dispone che l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche deve: a) accrescere l'efficienza delle amministrazioni , b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni.
A seguito della riforma la pubblica amministrazione non esercita più, nel rapporto di pubblico impiego, poteri di supremazia speciale, ma opera con la capacità del datore di lavoro privato e nell'ambito di un rapporto contrattuale paritario.
Non configurandosi in capo ai dipendenti situazioni di interesse legittimo di diritto pubblico, la posizione degli stessi non è degradabile per effetto di atti unilaterali del datore di lavoro; con la conseguenza che l'indubbia persistente rilevanza che assume l'interesse generale non determina la funzionalizzazione dei singoli atti, bensì dell'attività complessiva della stessa, così che i singoli atti di gestione o di organizzazione non sono sindacabili alla stregua dei tradizionali vizi dell'atto amministrativo ma nei limiti consentiti dal rapporto negoziale e dalle relative fonti, legali e contrattuali, di riferimento, il che implica che non risulta configurabile un potere di autotutela della pubblica amministrazione, in quanto i poteri discrezionali o valutativi, che sono riconosciuti al datore di lavoro pubblico si collocano sul piano del regime del diritto comune e costituiscono espressione di potere privato e non anche di discrezionalità amministrativa, risultando censurabili in conformità alle disposizioni di legge e di contratto e, comunque, sulla base delle regole di correttezza e buona fede. Consiglio Stato, sez. I, 15/09/2010, n. 1040, in Foro amm. CDS , 2010, 9, 2008.

2.      Funzioni di indirizzo e di gestione.


 Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti.
Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

3.      Dirigenti. Responsabilità.


I dirigenti di uffici dirigenziali generali esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:
a) formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro, nelle materie di sua competenza;
a-bis) propongono le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti ;
b) curano l'attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal Ministro;
c) adottano gli atti relativi all'organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale;
d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate;
d-bis) adottano i provvedimenti che dichiarano segrete particolari opere;
e) dirigono, coordinano e controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia;
f) promuovono e resistono alle liti;
g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell'amministrazione;
h) svolgono le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro;
i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti;
l) curano i rapporti con gli uffici dell'Unione europea e degli organismi internazionali.
l-bis) concorrono alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell'ufficio cui sono preposti .
Il d.lg. 30 marzo 2001 n. 165, art. 21, definisce la fattispecie della "responsabilità dirigenziale"  e prevede la revoca dell'incarico dirigenziale solo "in relazione alla gravità dei casi"; sicché occorre che sussistano i presupposti di fatto della responsabilità dirigenziale (mancato raggiungimento degli obiettivi, inosservanze di direttive, illeciti disciplinari) e che questi raggiungano una soglia di apprezzabile gravità tale da essere proporzionale alla più radicale misura della revoca dell'incarico. In ogni caso, a garanzia del dirigente, gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità dell'art. 21, comma 1, secondo periodo, cit. Quanto poi alle conseguenze della revoca illegittima dell'incarico dirigenziale la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici non è quella dell'art. 2118 c.c., propria dei dirigenti privati, ma segue i canoni del rapporto di lavoro dei dipendenti con qualifica impiegatizia. Pertanto, in caso di revoca illegittima dell'incarico dirigenziale ne consegue che l'Amministrazione è tenuta a ripristinare l'incarico dirigenziale illegittimamente revocato ed a corrispondere le differenze retributive. Cassazione civile, sez. un., 01/12/2009, n. 25254, in Giust. civ. 2010, 3, 719.

4.      La contrattazione collettiva


La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali.
L'art. 40, comma 3, d.lg. n. 165 del 2001, prevede che la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, con divieto, a pena di nullità, di sottoscrivere accordi in contrasto con i vincoli risultanti da questi ultimi Cassazione civile, sez. lav., 30/12/2010, n. 26493, in Giust. civ. Mass. 2010, 12, 1667.

5.      Il reclutamento del personale.


L'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro:
a) tramite procedure selettive volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno;
b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo.
L'art. 35 comma 3, lett. e), d.lg. n. 165 del 2001 ha l'evidente scopo di evitare qualsiasi ingerenza politica o sindacale nelle procedure riguardanti i pubblici concorsi. Pertanto, non appare logico limitare l'applicazione della norma all'interno della stessa Amministrazione che ha bandito il concorso pubblico, nel senso di ritenerla applicabile solo se la designazione avvenga per rappresentare il sindacato in organismi interni alla stessa Amministrazione. Infatti, è l'appartenenza in generale ad una forza politica o ad una organizzazione sindacale che rende indebitamente influenzabile da fattori esterni, identificati dal legislatore, quel determinato soggetto, a prescindere dalla circostanza che la designazione sia avvenuta all'interno della stessa Amministrazione che ha bandito il concorso. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 03/12/2009, n. 12429, in Foro amm. TAR 2009, 12, 3514 .

6.      La disciplina delle mansioni superiori.


L’art. 52 del D.L.vo 165/2001 disciplina le mansioni del dipendente pubblico, ribadendo che egli deve svolgere i compiti per i quali è stato assunto o quelli corrispondenti alla qualifica superiore che egli abbia conseguito in seguito a promozione per sviluppo di carriera o in seguito ad apposite procedure elettive e concorsuali.
La disciplina della materia dello svolgimento delle mansioni superiori nell'ambito della c.d. contrattualizzazione o privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, quale risultante dall'art.. 52 del d.lg. n. 165 del 2001, ha riconfermato il principio secondo cui l'esercizio di fatto di mansioni diverse da quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore. Cass. Civ., sez. lav., 25 ottobre 2004, n. 20692.
Non vi può essere un inquadramento del dipendente nella qualifica superiore prodotto dal solo fatto che egli svolga effettivamente mansioni superiori a quelle della propria qualifica.
E’ molto dibattuto il problema di come disciplinare lo svolgimento di mansioni superiori e di quanto esso sia rilevante, ferma restando sempre la sua irrilevanza ai fini di un superiore inquadramento.
Una diffusa interpretazione giurisprudenziale giudica irrilevante l’esercizio di compiti superiori a quelle della qualifica sia per quanto riguarda l’inquadramento sia per la retribuzione.
Essa ritiene che ciò non sia di pregiudizio per i dipendenti interessati, in quanto essi non sono tenuti né legittimati a svolgere mansioni diverse da quelle che devono eseguire in base alla loro qualifica. Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1998, n.1036; Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 1998, n. 746. S. MEZZACAPO, Giudizio disciplinare: debutta anche l’arbitro unico, in Guida Dir. Dossier, 2001, n. 5, 110.
Il principio che l’esercizio di mansioni superiori, nell’ambito del pubblico impiego, è irrilevante sia da un punto di vista giuridico sia sotto l’aspetto economico – a meno che ciò si verifichi in seguito a una precisa disposizione normativa – è stato affermato anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Cons. Stato, Ad. Pl., 18 novembre 1999, n. 22, in Foro Amm., 1999, 2376.
Nessuna norma, infatti, prevede, in via di principio, che lo svolgimento di mansioni superiori sia retribuibile. Esistono invece, e danno sostegno alla suddetta tesi, specifiche e precise disposizioni che consentono la rilevanza, come espressa eccezione, come ad esempio, in campo sanitario, l’art. 29, D.P.R. 61 del 1979.
L’art. 36 della Costituzione, che afferma il principio in base al quale la retribuzione deve corrispondere alla qualità e quantità del lavoro prestato, non è ritenuto applicabile dalla giurisprudenza, in quanto nel pubblico impiego concorrono altri principi di pari rilevanza costituzionale, vale a dire quelli del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione.
In definitiva, il dipendente, nel pubblico impiego, viene retribuito in base alla formale qualifica che gli viene assegnata.
L’art. 52 del D.L.vo 165 del 2001 consente di adibire eccezionalmente il pubblico dipendente a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore per obiettive esigenze di servizio o nel caso il posto in organico sia vacante – per non più di sei mesi, prorogabili a dodici se sono state iniziate le procedure di copertura del posto vacante – o nel caso si debba sostituire un altro dipendente con diritto alla conservazione del posto – per la durata della relativa assenza.
Nelle precedenti ipotesi è previsto, ai sensi dell’art. 52, comma 4, del D.L.vo 165 del 2001, il diritto del dipendente al trattamento economico spettante alla qualifica superiore.
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.L.vo 165 del 2001, la differenza di retribuzione con la qualifica superiore spetta comunque al lavoratore anche se sia stato incaricato a svolgere mansioni superiori per motivi che non rientrano nelle ipotesi tassativamente previste dalla normativa e, quindi, vi sia un’espressa declaratoria di nullità di tale assegnazione.
E’ il dirigente che ha deciso tale illegittima assegnazione, con dolo o colpa grave, che deve rispondere del maggior onere economico fatto sopportare all’amministrazione.


7.      Il procedimento disciplinare.


Il potere disciplinare incide sul rapporto di appartenenza del soggetto, in questo caso il pubblico dipendente, a un’istituzione e, di conseguenza, determina il sorgere di una varietà di principi giuridici che ne regolano l’esercizio.
Ai sensi dell’art. 55, comma 3, D.L. vo 165/2001, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi.
Il comma 2 dello stesso articolo contiene un’altra disposizione di particolare rilievo sull’argomento, in quanto si limita a dichiarare applicabili solamente l’art. 2106, c.c. e l’art. 7, commi 1, 5, 8, L. 20 maggio 1970, n. 500, senza rinviare integralmente alla normativa privatistica.
Nel procedimento disciplinare previsto dal citato art. 55, l’interessato può impugnare il provvedimento disciplinare immediatamente davanti al giudice, prescindendo dal ricorso al collegio arbitrale, in modo analogo, peraltro, a quanto, ai sensi dell’art. 7, L. 300/1970, è consentito al dipendente privato. T.A.R. Piemonte, sez. II, 4 febbraio 1999, n. 58.
E’ possibile, del resto, ricorrere al cosiddetto patteggiamento disciplinare, previsto nel nostro sistema normativo dal comma 6 del citato art. 55, D.L. vo 165/2001, che consente di ottenere la riduzione della sanzione non ancora irrogata in cambio della sua incondizionata accettazione. S. S. MEZZACAPO, Giudizio disciplinare: debutta anche l’arbitro unico, in Guida Dir. Dossier, 2001, n. 5, 113.
In base a tale disposizione, infatti, qualora vi sia il consenso dell’interessato, la sanzione applicabile può essere ridotta, senza che vi sia più però la possibilità di impugnarla.
Il dipendente sotto accusa può solo chiedere e non pretendere che venga applicato il meccanismo riduttivo succitato, dato che è una facoltà discrezionale dell’amministrazione esercitarlo. T.A.R. Veneto, 9 febbraio 1999, n. 117; T.A.R. Milano, 10 novembre 1999, n. 3659.
La giurisprudenza ha ròecisato che nei procedimenti disciplinari instaurati a seguito di pronuncia di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p., il datore di lavoro è tenuto, con autonoma valutazione, a riscontrare, sulla base dei fatti materiali e della loro ascrivibilità al dipendente, per come accertati dal giudice penale, e svolgendo, se necessario, ogni ulteriore utile accertamento, se i medesimi siano idonei, alla luce dei principi e della disciplina contrattuale che regolano il rapporto d'impiego, a legittimare la violazione dei doveri di ufficio, garantendo la necessaria proporzionalità ed adeguatezza della sanzione al caso concreto.
La corte territoriale ha nella fattispecie accertato le emergenze più significative dell'indagine penale avviata nei confronti del ricorrente in ordine ai reati di favoreggiamento della prostituzione e pornografia minorile e conclusasi con la sentenza di condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 600 di multa per il reato di favoreggiamento della prostituzione. Ii fatti contestati trovavano puntuale riscontro negli atti del procedimento penale "richiamati in sede disciplinare, sia nella fase della contestazione che nel procedimento sanzionatorio.
L'accertamento dei fatti costituenti illecito disciplinare non risultava basato solo sulla sentenza ex art. 444 c.p.c., ma anche sugli atti di indagine penale posta a fondamento della sentenza di condanna patteggiata, in virtù della quale era stato successivamente adottato il provvedimento di licenziamento impugnato.
In difetto di allegazione da parte del lavoratore, nel corso del processo penale, di una diversa e plausibile ricostruzione dei fatti, legittimamente il datore di lavoro aveva ritenuto che la condotta accertata integrasse una grave violazione dei doveri di servizio "per il coinvolgimento di minori e trattandosi di fatti commessi dal lavoratore nell'edificio scolastico approfittando delle proprie funzioni di custode". Cassazione civile, sez. lav., 19/01/2011, n. 1141, in Giust. civ. Mass. 2011, 1, 78.

8.      Il tentativo obbligatorio di conciliazione.


Il tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie individuali, di cui all’art. 69 del D.L.vo 29 del 1993 e mod., non ha avuto grande fortuna in campo privato e, probabilmente, è destinato ad aver ancor meno seguito nelle controversie di pubblico impiego.
L’attore ha l’obbligo prima di ricorre al tribunale del lavoro, con l’entrata in vigore del D.LGS. 19 febbraio 1998, n. 51, a condizione di procedibilità della domanda di tentare la conciliazione.
La dottrina nota come tale tentativo non sia previsto nelle residue controversie di competenza del giudice amministrativo. G. NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, 1999, 67.
Il tentativo di conciliazione deve essere svolto, secondo le procedure previste dai contratti collettivi, davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del lavoro e della massima occupazione, nella cui circoscrizione si trova l’ufficio presso il quale il lavoratore è addetto.
La richiesta di conciliazione, che può essere avanzata dal lavoratore o dalla stessa amministrazione deve essere spedita a mezzo raccomandata R.R. all Ufficio di conciliazione e all’altra parte deve essere
Il nuovo art. 69 bis, comma 8, prevede che la conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al primo comma, ovvero in sede giudiziale ai sensi dell’art. 420, comma primo, secondo e terzo del codice di procedura civile, non può dar luogo a responsabilità amministrativa.
Qualora siano trascorsi inutilmente 90 giorni dalla presentazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, è prevista dalla normativa la procedibilità della domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 69, comma 2 del nuovo testo introdotto dall'art. 31 del decreto delegato. Si può intuire, quindi, quale sarà la situazione effettiva.
L’art. 28 del D.L.vo 80 del 1998, inserendo un nuovo art. 59 bis nel decreto legislativo 29/1993, attribuisce al collegio di conciliazione - di cui all’art. 32 - la competenza a decidere eventuali impugnative delle sanzioni disciplinari da parte dei lavoratori, qualora nei contratti di lavoro non siano previste apposite procedure di conciliazione ed arbitrato.

9.      Il ricorso al Tribunale del lavoro.


Il ricorso al Tribunale del lavoro, con l’entrata in vigore del D.LGS. 19 febbraio 1998, n. 51, si sviluppa secondo il dettato dell’art. 414 c.p.c.
Il ricorso deve indicare:
·         il giudice presso il quale si radica l’azione che, ai sensi dell’art. 413 c.p.c., è quello nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto;
·         il nome, il cognome nonché la residenza od il domicilio eletto nel comune in cui ha sede il giudice adito, la denominazione dell’amministrazione convenuta ed il suo domicilio;
·         la documentazione che dimostri l’esperimento del tentativo di conciliazione;
·         la determinazione dell’oggetto della domanda e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni;
·         l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e, in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione.
Il ricorso è depositato nella cancelleria del giudice.
Il giudice fissa con decreto la data dell’udienza.
L’attore ha l’obbligo di notificare il ricorso unitamente al decreto entro dieci giorni dalla sua pronuncia all’amministrazione destinataria.
La notifica, relativa a procedimenti contro amministrazioni dello Stato, va eseguita presso gli uffici dell’Avvocatura dello stato competente per territorio, art. 41 D. LGS. 80/1998. G. NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, 1999, 129.


10.  L’interpretazione dei contratti collettivi.


L’arbitrato previsto nei contratti collettivi sembra però avere maggiori possibilità di funzionare con efficacia.
L’art. 30 del D.L.vo 80/1998, che aggiunge l’art. 68 bis al D.L.vo 29 del 1993, dispone l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, sulla validità e sull’interpretazione dei contratti collettivi.
Ne consegue che, qualora per definire una controversia sia necessario l’accertamento della regola esplicitamente definita dal contratto collettivo sul punto in esame, il giudice deve sospendere il processo e disporre la comunicazione degli atti della causa all’ARAN ed ai sindacati. G. NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, 1999, 82.
La norma consente di ottenere un’interpretazione autentica del contratto di lavoro.
Entro trenta giorni l’ARAN deve convocare i sindacati; l’accordo deve poi essere raggiunto entro i successivi 90 giorni, trascorsi i quali si considera conclusa in modo negativo la procedura.
Il giudice in tale caso decide solo sulla questione pregiudiziale, ossia, obbligatoriamente, con sentenza non definitiva.
Questa è soggetta solo a ricorso per cassazione, che è fattibile anche per violazione o errata applicazione dei contratti o degli accordi collettivi, le cui parti contraenti possono non solo portare informazioni e osservazioni - come avviene nel rito ordinario del lavoro - ma anche intervenire nel processo oltre i termini ordinari ed impugnare la sentenza, facendo valere una loro autonoma e speciale legittimazione.
Il giudice, poi, che non intenda adeguarsi al parere già formulato dalla Suprema corte su una determinata questione ha l’identico obbligo di pronunziarsi con sentenza immediatamente ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 68 bis, comma 7 del D.L.vo 29/1993.




11.  La giurisdizione nel pubblico impiego.


L’art. 63 del D.L.vo 165/2001, dispone una radicale cambiamento della giurisdizione nel pubblico impiego, trasferendo, colla privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, al giudice ordinario le controversie relative al rapporto di lavoro alla dipendenza delle pubbliche amministrazioni.
Restano sempre devolute al giudice amministrativo, come precisa l’art. 63 del D.L.vo 165/2001, le controversie in materia delle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni, fatta evidente eccezione per i dirigenti nominati direttamente con rapporto privatistico e per i dirigenti generali.
La giurisdizione del giudice amministrativo viene conservata in via di eccezione dall’art. 3, del D.L.vo 165/2001, per taluni rapporti di pubblico impiego e, in tali ipotesi, si tratta di giurisdizione esclusiva.
La norma precisa che, in deroga alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti, dopo l’ultima modifica portata dall’art. 2 del D.L.vo 80/1998: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia - quest’ultima a partire dalla qualifica di vice consigliere di prefettura - nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'art. 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e 10 ottobre 1990, n. 287. Il rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti.


12.  La giurisdizione amministrativa. Limiti.


L’art. 63, D.L. vo 165/2001 assegna le controversie riguardanti i rapporti di lavoro dipendenti da pubbliche amministrazioni alla giurisdizione del giudice ordinario.
Vengono però previste le seguenti eccezioni:
1) sono escluse da tale giurisdizione, e permangono nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie riguardanti il personale di diritto pubblico, vale a dire magistrati, militari e altre categorie previste all’art. 5 del D.L.vo 165/2001;
2) permangono sotto la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo le controversie inerenti alle procedure concorsuali, che consistono essenzialmente nell’impugnazione con richiesta di annullamento di atti ritenuti illegittimi.
L’origine della prima esclusione prevista dal legislatore è la distinzione fra personale cosiddetto contrattualizzato e personale cosiddetto non contrattualizzato, ora definito “in regime di diritto pubblico”.
La centralità riconosciuta al contratto collettivo – e anche a quello individuale - nella costituzione e regolazione degli aspetti del rapporto di lavoro, e il mutamento della fonte regolatrice del rapporto, esclude automaticamente ogni posizione di supremazia dell’amministrazione e, di conseguenza, ogni presenza di poteri pubblici esercitabili nel rapporto di lavoro. Esso è ora disciplinato da atti paritetici, vale a dire da quelli che sono prodotti da un incontro, su un piano di parità, della volontà della pubblica amministrazione e di quella del singolo soggetto, titolare a sua volta di posizioni di diritto soggettivo.
Nel nuovo sistema di riparto della giurisdizione sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative alla disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, poiché il legislatore ha inteso concentrare la competenza presso un unico giudice al fine di assicurare l'applicazione di una disciplina tendenzialmente omogenea ai lavoratori pubblici e a quelli privati, avendo riguardo alla consistenza di diritto soggettivo delle situazioni giuridiche del dipendente inerenti al rapporto e alla facoltà del giudice ordinario di disapplicare tanto gli atti amministrativi presupposti quanto gli atti di organizzazione e gestione del lavoro eventualmente coinvolti dalla controversia.
Pertanto, allorquando la domanda introduttiva del giudizio si fondi su un petitum sostanziale riconducibile al rapporto di lavoro, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, non rilevando in contrario che la prospettazione della parte sia rivolta anche contro atti prodromici, come è fatto palese dal disposto dell'art. 68 del D.L.vo n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall'art. 29 del D.L.vo n. 80 del 1998 (ora trasfuso nell'art. 63 del D.L.vo n. 165 del 2001), che prevede la giurisdizione ordinaria ancorché "vengano in questione atti amministrativi presupposti", e in considerazione della circostanza che non sussiste alcuna vis attractiva della giurisdizione amministrativa a cagione di questo nesso di presupposizione.
La giurisdizione, infatti, è inderogabile per ragioni di connessione e il coordinamento tra le giurisdizioni su rapporti diversi, ma interdipendenti può trovare soluzione secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato. Cass. Civ., sez. un., 7 marzo 2003, n. 3508.
Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia originata dal provvedimento adottato dalla p.a., con il quale venga disposto il passaggio nei ruoli dello Stato, ai sensi della L. 124 del 1999 e delle relative disposizioni di attuazione dettate con D.M. 184 del 1999, del dipendente di un ente locale in servizio presso istituzioni scolastiche statali e venga respinta, al riguardo, l'istanza del medesimo dipendente tesa alla permanenza nei ruoli dell'ente locale, in virtù della facoltà di opzione riconosciuta dall'art. 8 della L. 124 del 1999.
Il petitum sostanziale si identifica nel diritto alla continuazione del rapporto in atto con l'amministrazione locale, non rilevando in contrario che la prospettazione della parte si estenda all'impugnativa di un atto prodromico, quale, nella specie, il citato D.M. 184 del 1999. Cass. Civ., sez. un., 6 febbraio 2003, n. 1807.
Diverso è il caso del personale in regime di diritto pubblico;
qualora, infatti, le particolari funzioni esercitate da tale personale confermino posizioni di supremazia dell’amministrazione, si afferma l’esistenza e l’esercizio di poteri pubblici e, quindi, di posizioni di interesse legittimo, unitamente a posizioni di diritto soggettivo.
La conferma della giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie concernenti procedure concorsuali si basa sostanzialmente sul fatto che esiste un potere organizzativo della pubblica amministrazione nei confronti del quale è solo possibile configurare posizioni di interesse legittimo.
Rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, anche ai sensi dei commi 1 e 4 dell’art. 63, D.L.vo 165/2001, le controversie riguardanti rapporti di lavoro; ne restano, pertanto, escluse le procedure come i concorsi che hanno il solo scopo di individuare i soggetti con cui successivamente stipulare il contratto individuale di lavoro.
Con il termine di concorso si definisce ogni procedura volta ad individuare soggetti con i quali si intende stabilire un rapporto di lavoro, anche a tempo determinato, con la pubblica amministrazione.
L’art. 35 del D.L. vo 165/2001, oltre alla possibilità di utilizzare le liste di collocamento, stabilisce l’utilizzo di “procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno” e, al comma 5, richiama i concorsi pubblici, facendo riferimento allo stato e agli enti autonomi.
Con l’espressione ‘concorso pubblico’ la normativa sembra, pertanto, definire le particolari procedure selettive con le quali si intende individuare i soggetti con cui stipulare un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e la stessa interpretazione vale anche per il principio espresso nell’art. 97 della costituzione.
L’espressione “procedure selettive”, invece, comprende, oltre al concorso pubblico con il ruolo sopra descritto, anche le procedure cosiddette non concorsuali, volte alla formazione di rapporti di lavoro temporaneo.
Tali procedure e le relative controversie sembra spettino alla giurisdizione del giudice ordinario. O. FORLENZA, Sui concorsi decide il giudice amministrativo, in Guida Dir. Dossier, 2001, n. 5, 121.
Il concorso interno innanzitutto, per sua stessa natura, presuppone l’esistenza di un rapporto di lavoro che costituisce il requisito fondamentale della stessa partecipazione al concorso. Non si cercano quindi nuovi soggetti con cui istituire un rapporto di lavoro, ma si cerca di individuare, nell’ambito di un rapporto lavorativo già contrattualizzato, i soggetti nei cui confronti procedere alla novazione di uno degli elementi del contratto di lavoro già in essere attribuendo una qualifica superiore.
La giurisprudenza ordinaria si è espressa per la sussistenza della sua giurisdizione. Trib. Roma 11 ottobre 199. Pretura Catanzaro 17 febbraio 1999.
Contrariamente la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto sussistere la sua giurisdizione sulla questione affermando che l'art. 68 comma 4, D.L.vo 3 febbraio 1993, n. 29, mod. dall'art. 29, D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80 - nella parte in cui prevede che restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, deve intendersi riferito anche ai c.d. concorsi interni. T.A.R. Puglia sez. II, Lecce, 6 novembre 1999, n. 750, in Foro amm., 2000, 1948.




13.  Il risarcimento danno. Le fattispecie.


La giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata non già in base al criterio cosiddetto della soggettiva prospettazione della domanda ossia in base alla qualificazione compiutane dall'interessato, ma alla stregua del petitum sostanziale individuato dagli elementi oggettivi che caratterizzano la sostanza del rapporto giuridico posto a fondamento delle pretese.
Il giudice amministrativo, a norma dell'art. 7, comma 3, della L. 205 del 2000, ha altresì il potere, anche nelle controversie che rientrano nella giurisdizione generale di legittimità, e non solo in quelle attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di condannare l'amministrazione al risarcimento del danno, in tal modo concentrandosi in un unico giudizio le questioni relative all'annullamento degli atti illegittimi e quelle attinenti al ristoro dei danni da questi determinati, senza che all'uopo sia necessaria in via pregiudiziale la declaratoria di illegittimità del provvedimento, ed eliminandosi altresì il pericolo di contrasto tra giudicati. Cass. Civ., sez. un., 26 maggio 2004, n. 10180, in Foro amm. CDS, 2004, 1319.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego trova applicazione per le domande risarcitorie quando il rapporto di pubblico impiego funzioni da momento genetico diretto ed immediato dei diritti che si pretende essere stati disconosciuti o lesi dall'ente pubblico in pregiudizio del dipendente. Cass. Civ. sez. un., 27 febbraio 2002, n. 2882.
Le controversie che possono comportare la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno sono le seguenti:
E’ affermata in via prevalente la giurisdizione amministrativa sul danno derivante dalla partecipazione ai pubblici concorsi o alle prove di idoneità.
È ammissibile la richiesta di risarcimento del danno commisurata alle retribuzioni non percepite per il periodo anteriore alla tardiva effettiva immissione in servizio del dipendente, vincitore di concorso, poiché viene a collegarsi direttamente al rapporto di pubblico impiego già esistente, in quanto costituito con efficacia retroattiva, purché sia presente nella fattispecie l'elemento soggettivo dell'illecito, facente capo alla responsabilità per colpa della p.a.
Nella specie è stata ritenuta sussistente la colpa grave della p.a. sul piano della diligenza e della perizia per effetto della medesima violazione, giudizialmente accertata per due volte consecutive, del corretto svolgimento della procedura concorsuale.
Il danno relativo è stato quantificato nella somma corrispondente alle retribuzioni non percepite, con un abbattimento del 50%, oltre interessi e rivalutazione monetaria da calcolarsi separatamente sull'importo nominale del credito. T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 6 novembre 2003, n. 1491, in Foro amm. TAR, 2003, 3325.
L’annullamento della delibera del Consiglio superiore della magistratura di inidoneità alla nomina a magistrato di cassazione rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.
La domanda del magistrato ordinario intesa ad ottenere il risarcimento del danno per pretesa lesione del suo diritto, perfetto ed assoluto, all'immagine professionale spetta al giudice ordinario, se proposta dopo l'esaurimento del processo la cognizione nella fase transitoria prevista dal D.L.vo n. 80 del 1998. Trib. Roma, 11 aprile 2003, in Giust. civ., 2004, I, 2465, osservazione MOROZZO DELLA ROCCA.
Successivamente è da affermare la giurisdizione amministrativa.
2) Gli artt. 3 e 63, c. 4, D.L.vo n. 165 del 2001 attribuiscono alla giustizia amministrativa le controversie relative al rapporto di impiego dei professori universitari, conservando il regime pubblicistico ed escludendo la cognizione del giudice ordinario. Cass. Civ., sez. un., 5 aprile 2005, n. 7000, in Dir. e Giust., 2005, f. 20, 97 nota EVANGELISTA.
Parimenti la situazione giuridica soggettiva dei militari non è mutata nell'ambito del nuovo regime di riparto di giurisdizione rispetto alla situazione ante 1998, in quanto al pari di altre categorie i soggetti che rivestono la qualifica suddetta risultano esclusi dalla privatizzazione del pubblico impiego.
E’ stata dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda con la quale un candidato ad un concorso di professore universitario di prima fascia chieda il risarcimento del danno da perdita di chance, in relazione al pregiudizio della propria posizione nel procedimento di valutazione comparativa a causa della illegittima nomina suppletiva, a seguito della intervenuta decadenza di un membro della commissione esaminatrice, di altro componente in luogo della sostituzione della intera commissione.
Trova, infatti, applicazione il disposto dell'art. 63, comma 4, del D.L.vo n. 165 del 2001, in base al quale restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione di dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Nel caso di costituzione del rapporto di pubblico impiego, in seguito a ricorso in giudizio, e di retrodatazione della nomina ai fini giuridici, ma non a quelli economici, la controversia instaurata nei confronti della pubblica amministrazione avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno, appartiene - nel regime di riparto anteriore a quello stabilito dal D. L.vo 31 marzo 1998, n. 80 - alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, dato che la causa petendi si collega, non occasionalmente, al rapporto di pubblico impiego, che risulta già esistente, perché costituito con efficacia retroattiva nel periodo in relazione al quale si lamenta la perdita economica. Cass. Civ., sez. un., 11 gennaio 2005, n. 317.
La giurisprudenza rileva, poi, che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie in materia di pubblico impiego non trova deroga nei casi in cui la violazione della regola del rapporto sia dedotta a fini di pretese risarcitorie, allorché il rapporto stesso funzioni da momento genetico diretto ed immediato dei diritti che si assumono disconosciuti o lesi dall'ente pubblico in pregiudizio del dipendente. Cass., sez. un., 27 febbraio 2002, n. 2882.
3) L'azione promossa per il risarcimento del danno derivante dalla lesione dell'integrità psico – fisica rientrante nel contratto di lavoro rientra parimenti nella giurisdizione amministrativa.
L'azione promossa da un dipendente nei confronti dell'ente pubblico suo datore di lavoro per il risarcimento del danno derivante dalla lesione di beni primari come quello dell'integrità psico - fisica, che sono oggetto di protezione generale, nei confronti di qualsiasi cittadino, a prescindere dall'attualità del suddetto rapporto di lavoro.
Le Sezioni unite hanno da tempo elaborato il principio per cui deve essere accertata la natura giuridica dell'azione di responsabilità che in concreto è stata proposta, in quanto, se è stata fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - trattandosi di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998, ex art. 69, settimo comma, D.L.vo 30 marzo 2001 n. 165 - mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario. Cass. Sez. Un. 28 luglio 1998 n. 7394.
Al fine di tale accertamento, non possono invocarsi come indizi decisivi della natura contrattuale dell'azione né la semplice prospettazione della inosservanza dell'art. 2087 c.c., né la lamentata violazione di più specifiche disposizioni strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro, allorché il richiamo all'uno o alle altre sia compiuto in funzione esclusivamente strumentale alla dimostrazione dell'elemento psicologico del reato di lesioni colpose e/o della configurabilità dell'illecito. Ma una siffatta irrilevanza di detto richiamo dipende da tratti propri dell'elemento materiale dell'illecito, ossia da una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso; mentre, ove la condotta dell'amministrazione si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poiché l'ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto medesimo si articola e si svolge.
Nella specie, la S.C. ha dichiarato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con riguardo alla controversia promossa da alcuni lavoratori nei confronti della Gestione commissariale delle Ferrovie del Sud - Est, per ottenere il risarcimento dei danni provocati dal comportamento della predetta datrice di lavoro, che aveva loro impedito il godimento del riposo settimanale. Cass. Civ., sez. un., 2 luglio 2004, n. 12137, in Foro amm. CDS, 2004, 1990.
4) Le questioni patrimoniali consequenziali sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del T.A.R.
La sussistenza della giurisdizione non va vista in astratto, ma in concreto. Se il T.A.R., dunque, ha conosciuto una specifica questione, in sede di giurisdizione di legittimità o esclusiva, e si è già pronunciato nell'ambito della sua giurisdizione, conseguentemente deve conoscere tutte le questioni patrimoniali consequenziali, tra cui quelle inerenti al risarcimento del danno. Il g.a. conosce, quindi, di tali questioni nell'ambito della sua giurisdizione, già legittimamente esercitata ratione temporis nel primo giudizio, anche se proposte dopo il 15 settembre 2000, limite temporale massimo della possibilità di esercizio della giurisdizione amministrativa in tema di risarcimento del danno nel contesto di un rapporto di pubblico impiego, previsto dall'art. 69, comma 7, D.L.vo 165 del 2001. T.A.R. Lazio, sez. III, 25 giugno 2004, n. 6254, in Foro amm. TAR, 2004, 1748.
Quando la domanda risarcitoria e l'accertamento della violazione di diritti soggettivi si fondino sulla pretesa illegittimità di un provvedimento amministrativo, tale pretesa illegittimità deve esser fatta valere nel termine decadenziale di cui al richiamato art. 21, L. 1034 del 1971.


14.  La giurisdizione del giudice ordinario dopo al privatizzazione del pubblico impiego.


L’art. 63 del D.L.vo 165/2001, attribuisce al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie del pubblico impiego privatizzato.

Secondo un unanime orientamento giurisprudenziale dopo la privatizzazione del pubblico impiego sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti le vicende del rapporto di lavoro, dalla sua instaurazione alla sua estinzione, compresa ogni fase intermedia relativa a qualsiasi circostanza modificativa Cass. civ., Sez. Lav., 1 febbraio 2007, n. 2233.
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto il mancato superamento del periodo di prova ai fini della costituzione del rapporto di impiego. T.A.R. Basilicata Potenza, 29 giugno 2007, n. 487.
Il trasferimento della giurisdizione avviene anche nel caso in cui vengano in questione atti amministrativi presupposti.
L’atto amministrativo presupposto nella controversie deve venire disapplicato dal giudice ordinario.
L’impugnazione dell’atto rilevante nella controversia, davanti al giudice amministrativo, non è causa di sospensione del processo.
Il giudice ordinario deve prendere, nei confronti delle amministrazioni convenute, tutti i provvedimenti di accertamento, siano essi costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati.
Le sue sentenze, nel caso sanciscano il diritto all’assunzione, hanno anche effetto costitutivo del rapporto di lavoro; qualora, invece, accertino l’illegittimità dell’assunzione, hanno effetto estintivo dello stesso.
Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, anche le controversie in materia di comportamento antisindacale e quelle inerenti le procedure di contrattazione collettiva; il ricorso in cassazione è concesso anche nel caso di violazione dei contratti o degli accordi collettivi. Il legislatore stabilisce così un criterio di ripartizione effettivamente per materia, con maggiori garanzie nell’applicazione concreta, secondo il quale il giudice ordinario ha piena giurisdizione in tutte le controversie relative al pubblico impiego cosiddetto privatizzato: ne sono escluse solo quelle che si riferiscono a procedimenti di concorso per l’assunzione.
L’art. 7 del D.L.vo 80/1998, aggiungendo l’art. 12 bis al D.L.vo 29/1993, invita le amministrazioni a organizzare la gestione del contenzioso del lavoro, anche creando appositi uffici, in modo da assicurare l’efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giudiziali inerenti alle controversie e a sfruttare eventuali sinergie con amministrazioni omogenee o simili.
Le nuove norme decorrono dal 1° luglio 1998 e riguardano le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo a tale data, ai sensi dell’art. 45, comma 1, del D.L.vo 80/1998.
Le controversie in essere e quelle concernenti questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro precedente il 1° luglio 1998 - che possono essere presentate fino al 15 settembre 2000 - restano invece assegnate al giudice amministrativo.

15.  Il risarcimento danno nella giurisdizione ordinaria.


I comportamenti successivi all'esaurimento del concorso e, cioè, alla pubblicazione della graduatoria, danno luogo a controversie che rientrano nella giurisdizione del g.o., avendo il legislatore disegnato una sorta di giurisdizione ordinaria per materia, nell'ambito della quale sono da comprendere le questioni che attengono al rifiuto o al ritardo nell'assunzione.
Le controversie che possono comportare la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno sono le seguenti:
1) La controversia avente a oggetto il risarcimento del danno da ritardata assunzione di un vincitore di pubblico concorso è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario secondo un indirizzo che contrasta con quello dominante che ritiene sussista la giurisdizione amministrativa.
Nel giudizio relativo ad una candidata risultata idonea al concorso a cattedre per esami e titoli, relativo alle scuole ed istituti statali di istruzione secondaria è stato affermato il diritto al risarcimento per ritardi nell’assunzione. Trib. Roma, 22 Settembre 2004. R. Proietti, Ancora dubbi sul risarcimento del danno da interesse legittimo, in Dir. e Giust., 2004, 39, 27.
La ricorrente, originariamente classificatasi fuori della graduatoria degli idonei aveva, poi, raggiunto una posizione utile all’assunzione per rinunce degli altri concorrenti.
Malgrado i posti disponibili fossero in numero superiore si provvedeva ad assumere un numero di idonei inferiore a quelli disponibili sicché l'interessata sosteneva di avere diritto ad essere assunta.
Poiché, a suo parere, gli atti dell'amministrazione che avevano provocato il ritardo dell'assunzione erano viziati da illegittimità, essa chiedeva il risarcimento:
- dei danni patrimoniali sofferti in conseguenza di tali fatti;
- del danno morale da reato, ravvisabile nelle condotte dei funzionari dell'amministrazione che avevano agito illecitamente;
- del danno biologico ed esistenziale per il pregiudizio psicofisico dovuto alle sofferenze determinate dalla situazione di grande incertezza sul proprio futuro personale e professionale venutasi a creare in virtù del suddetto ritardo.
Il giudice, accertato che la ricorrente risultava essere candidata idonea e che, quindi, sarebbe rientrata nel numero di candidati che avrebbero dovuto essere nominati in ruolo e valutata la responsabilità ex articolo 2043 c.c. ha accolto la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali subiti per la lesione dell'interesse legittimo ad essere tempestivamente assunta secondo l'ordine di graduatoria e nell'ambito della disponibilità dei posti.
La domanda di risarcimento dei danni patrimoniali per lesione dell'interesse legittimo dell'attrice ad una tempestiva assunzione da parte dell'amministrazione convenuta è stata accolta richiamando la giurisprudenza secondo la quale la posizione soggettiva del candidato idoneo, una volta approvata la graduatoria, va qualificata in termini di interesse legittimo Cass., sez. lav., 11955/2001. Cons. St., sez. V, 465/1998.
Nella fattispecie, all'illegittimità dell'atto amministrativo di determinazione del numero di posti da destinare agli idonei della graduatoria de qua, è stato posto rimedio in via di autotutela, riconoscendo l'errore commesso, ma ciò non ha eliminato il danno, poiché l'amministrazione ha riconosciuto l'errore tardivamente e vi ha rimediato ancor più tardi.
2) La p.a. è tenuta al risarcimento del danno esistenziale subito dal dipendente portatore di handicap cui sia stato illegittimamente negato il permesso orario di due ore giornaliere o di tre giorni mensili; e il danno può liquidarsi in relazione al valore della ore lavorate in luogo di quelle da cui il dipendente si sarebbe dovuto esonerare grazie ai permessi negatigli. Trib. Lecce, 2 marzo 2004, in Giur. Merito, 2004, 1514.
3) L'azione del dipendente che, avendo subito danni personali nello svolgimento delle sue mansioni, faccia valere la violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, ha, natura extracontrattuale, e ricade nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario. T.A.R. Toscana, sez. III, 3 febbraio 2004, n. 245, in Foro amm. TAR, 2004, 411.
La lesione di un interesse legittimo può essere fonte di responsabilità aquiliana, e quindi dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, solo a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell'attività illegittima della p.a., l'interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo.
Qualora rilevi un interesse cosiddetto pretensivo, il quale assicura solo che il bene in vista del quale è accordato sarà negato o concesso nel rispetto di determinate regole e non garantisce il conseguimento del bene suddetto, ne consegue che - una volta conclusosi il procedimento di scelta del candidato - l'interesse pretensivo ha trovato integrale soddisfazione.
Non vi è spazio in detta ipotesi per far valere posizioni giuridicamente garantite e deve escludersi l'esistenza di un pregiudizio risarcibile.
Nella specie, la S.C. ha cassato, decidendo sulla domanda, la sentenza di merito che, in ipotesi di annullamento della delibera di nomina a direttore generale USL e conseguente inoperatività del connesso contratto, aveva condannato la p.a. al risarcimento del danno riconoscendo l'esistenza di un diritto soggettivo a seguito della nomina. Cass. Civ., sez. lav., 20 dicembre 2003, n. 19570. Trib. Catania, 26 giugno 2003, in Giur. Merito, 2003, 2421.
4) Il risarcimento per danni dovuti a false informazioni fornite dalla p.a. in materia di quiescenza.
Poiché il diritto alla pensione - da intendersi come il diritto avente ad oggetto il trattamento pensionistico - trovando il proprio fondamento nella rilevanza degli interessi che ne sono a base e che ricevono tutela dall'art. 38 cost., deve essere considerato alla stregua di un bene primario, come tale non soggetto a prescrizione né ad atti di disposizione
Di fronte ad un medesimo fatto che integri, contemporaneamente, la violazione di diritti soggettivi primari spettanti alla persona offesa e la violazione di diritti derivanti a una delle parti da un contratto validamente concluso può ipotizzarsi sia l'esistenza della responsabilità extracontrattuale che di quella contrattuale a carico dell'agente.
L'azione risarcitoria per la lesione del diritto al trattamento di quiescenza promossa nei confronti della p.a. da parte di un soggetto che sia legato alla stessa da un rapporto di pubblico impiego, attribuita in ipotesi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, deve essere qualificata come extracontrattuale sia nel caso in cui l'attore ponga a fondamento della propria domanda, in modo espresso, la cosiddetta responsabilità aquiliana sia qualora non emerga una precisa e chiara scelta del danneggiato in favore della responsabilità contrattuale sia comunque nel caso in cui la lesione del diritto del lavoratore non sia correlata a poteri della p.a. che si estrinsecano in atti amministrativi di cui si contesti la legittimità, ma sia dedotto un quid pluris rispetto al provvedimento amministrativo e ai suoi effetti indiretti, naturali ed inevitabili, sufficiente ad integrare un'attività illecita della p.a.
Nella specie, in relazione alla domanda proposta da un dipendente di un Comune, che, sulla base delle informazioni fornite dall'ente in ordine alla sua anzianità lavorativa, aveva rassegnato le dimissioni, conseguendo il trattamento di quiescenza provvisorio, poi revocato dal Ministero del tesoro per carenza del requisito dell'anzianità utile per conseguire il trattamento di pensione, e che, deducendo sia la negligenza dell'ente, che aveva agito al di fuori dei canoni della diligenza che deve richiedersi al datore di lavoro, sia la violazione delle norme contenute negli art. 2043 e 2049 c.c., aveva chiesto la condanna del Comune al pagamento delle somme trattenute sullo stipendio e sulla pensione e al risarcimento del danno, le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario. Cass. Civ., sez. un., 10 giugno 2003, n. 9219, in Foro amm. CDS, 2003, 1827.
5) Il risarcimento del danno morale e del mobbing.
La domanda del dipendente di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno morale e del danno biologico va qualificata come azione di natura extracontrattuale, proposta ai sensi dell'art. 2043 c.c. appartenente, quindi, alla giurisdizione del giudice ordinario. Cass. Civ. sez. un., 22 maggio 2002, n. 7470.
Nel caso di mobbing il rapporto di impiego pubblico ha costituito la mera occasione per l'insorgere di rapporti di intimidazione e minaccia, lesivi dell'integrità psico fisica del ricorrente, da parte di altri colleghi.
Il corretto ragionamento seguito dalla giurisprudenza prevalente appare quindi fondato sulla qualificazione dell'azione di responsabilità fatta valere.
E’ stato ad esempio precisato che, ai fini del riparto della giurisdizione rispetto ad una domanda di risarcimento danni proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell'amministrazione che non sia assoggettata alla nuova disciplina di cui alla recente privatizzazione, assume valore determinante l'accertamento della natura contrattuale o extracontrattuale dell'azione di responsabilità in concreto proposta, dovendosi ritenere proposta la seconda tutte le volte in cui non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore dell'azione contrattuale, e la prima, con conseguente devoluzione della controversia al giudice amministrativo, quando la domanda di risarcimento sia espressamente fondata sull'inosservanza, da parte del datore di lavoro, di una violazione degli obblighi inerenti al rapporto di impiego, sicuramente configurabile, come nel caso della erronea valutazione medico legale delle condizioni di salute del dipendente, che abbia originato il provvedimento di congedo anticipato dello stesso. Cass. Civ., sez. un., 29 gennaio 2002, n. 1147.
In analoga direzione si è già espressa la prevalente giurisprudenza amministrativa: si è infatti precisato che il risarcimento del danno consistente nella lesione dell'integrità psico – fisica, seguita ad un provvedimento di destituzione dall'impiego dichiarato illegittimo, ha natura extracontrattuale e rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, esulando dal campo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia del pubblico. Cons. St. sez. IV, 3 settembre 2001, n. 4629.
In termini analoghi, è stato ribadito che la controversia instaurata da un soggetto legato alla pubblica amministrazione da un rapporto di pubblico impiego per ottenere il risarcimento del danno alla propria integrità fisica rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo nel caso in cui la lesione sia derivante da una violazione del rapporto contrattuale, e quindi l'azione proposta venga a fondarsi su uno specifico inadempimento da parte dell'amministrazione T.A.R. Molise 29 aprile 2002, n. 344.
Qualora la domanda abbia ad oggetto l'accertamento della lesione dell'integrità psico fisica imputabile all'ambiente ostile, da cui sarebbe derivato un danno permanente dell'integrità psicofisica in misura del 25 %, la stessa domanda riguarda un danno avente natura extracontrattuale.
Rileva, quindi, che, rispetto alle angherie asseritamente subite, il rapporto di impiego ha costituito una semplice occasione, non risultando dimostrato né dimostrabile quel collegamento con la violazione di doveri legali che regolano il rapporto.
La controversia in tal caso ha origine extracontrattuale e rientra nella sfera di cognizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria.
Altro filone giurisprudenziale afferma invece che la controversia che ha ad oggetto la richiesta, formulata da un soggetto appartenente alle forze armate o a forze di polizia di Stato, all'Amministrazione statale datrice di lavoro, di risarcimento del danno per mobbing, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. T.A.R. Veneto, sez. I, 8 gennaio 2004, n. 2, in Foro amm. TAR, 2004, 64.




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