domenica 20 maggio 2012

Provvedimento Amministrativo. Revoca. Limiti. Indennizzo . Obbligo.


Nel diritto amministrativo la P.A. ha generalmente la possibilità di riesaminare i propri atti e revocarli.
Secondo la definizione più condivisa, la revoca è l’atto di ritiro con effetto non retroattivo che presuppone non un vizio di legittimità, ma una nuova valutazione dell’opportunità del provvedimento ritirato.
La revoca del provvedimento amministrativo è disciplinata dall’art. 21-quinquies l.241/1990, introdotto dalla l.15/2005, secondo cui “per motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti”.
In tale disposto normativo viene ripresa l’impostazione giurisprudenziale e dottrinale, attraverso la formulazione di un’ipotesi di caducazione del provvedimento di primo grado che prescinde quindi dall’esistenza di vizi di legittimità e che produce effetti ex nunc, salvaguardando quelli medio tempore prodotti dall’atto revocato. (F.Caringella, Manuale di diritto amministrativo, 2012, p. 1472.).
La revoca, dunque, incide sull’efficacia del provvedimento: il provvedimento amministrativo revocato, pertanto, non viene eliminato retroattivamente, ma non è più ritenuto idoneo a produrre ulteriori effetti in contrasto con l’interesse pubblico
L’art. 21-quinquies ha regolamentato tre presupposti alternativi che legittimano l’adozione del provvedimento di revoca:
a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
b) mutamento della situazione di fatto;
c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Dalla norma in esame, la revoca può essere disposta nel caso di sopravvenienze (mutamento della situazione di fatto ovvero sopravvenuti motivi di interesse pubblico) ed in caso di diversa valutazione dell’interesse pubblico originario (jus poenitendi, che comporta una riconsiderazione dell’originaria situazione di fatto).
La ratio di tale istituto è, dunque, l’incompatibilità fra il perdurare degli effetti di un provvedimento già adottato ed interessi ritenuti dalla P.A preminenti.
Perché sia ammissibile, è necessario che il mutamento dello stato materiale delle cose comporti un mutamento della valutazione concreta dell’interesse pubblico. (F.Caringella,op. cit., 2012, 1473)
La revoca è finalizzata alla rivalutazione dell’interesse pubblico: essa è espressione di amministrazione attiva, che si realizza, con effetto ex nunc, modificando un rapporto precedentemente creato attraverso l’emanazione di un atto amministrativo.
Giurisprudenza costante richiede, ai fini della legittimità dei provvedimenti in discorso, l’attualità dell’interesse pubblico alla rimozione degli effetti dell’atto originario.
(T.A.R Campania, Napoli, Sez. III, n.4246/2011; Cons.St.Sez.V, n.2244/2010).
In primo luogo, con riguardo ai sopravvenuti motivi di interesse pubblico, è stata affermata l’illegittimità del provvedimento con il quale sono stati revocati in autotutela il bando e tutti gli atti di gara per sopravvenuti concreti motivi di interesse pubblico, determinati dalla necessità di non incorrere nelle negative conseguenze susseguenti al mancato rispetto del c.d. “patto di stabilità” con la motivazione correlata ai limiti alla attività di spesa, in presenza di indisponibilità sopravvenuta delle risorse finanziarie necessarie (T.A.R Sicilia, Catania, Sez. III, n.2490/2011).
E’ stato, inoltre, dichiarato legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto - disposta in una fase non ancora definita della procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso - laddove tale provvedimento è motivato con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, posto che l'art. 21- quinquies l. n. 241/1990, consente un ripensamento da parte della amministrazione là dove questa ritenga di operare motivatamente una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. (Cons. Stato, sez. III, n. 2291/2011).
Con particolare riguardo al disposto di cui all'art. 21 quinquies comma 1, l. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento di revoca deve essere adeguatamente motivato quando incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, non solo con riferimento ai motivi di interesse pubblico che giustificano il ritiro dell'atto, ma anche in considerazione delle posizioni consolidate in capo al privato e all'affidamento ingenerato nel destinatario dell'atto da revocare (cfr. ex multis Consiglio Stato , sez. V, 18 gennaio 2011 , n. 283).
Nel caso di specie, l'Amministrazione Regionale Calabrese ha revocato il finanziamento di 83.000 euro concesso al progetto del Consorzio Scuola Lavoro Calabria, quale contributo assegnato per un corso di Tecnico specialista in gestione della coltivazione, produzione e trasformazione vitivinicola, destinatario di finanziamento nell'ambito del POR Calabria 2000/2006.
La finalità dei progetti ammessi a finanziamento è quello di realizzare un percorso formativo post-secondario, destinato a creare particolari figure di qualificata professionalità.
La convenzione stipulata dal Consorzio con la Regione ha per oggetto la definizione dei rapporti tra i due enti "allo scopo di determinare un canale di formazione non universitaria denominato "Istruzione Formazione Tecnico Superiore".
Il Consorzio è stato ritenuto idoneo per l'affidamento di n. 1 progetto formativo.
Alla luce di tali circostanze, la revoca totale del finanziamento concesso con decreto del 2002, ai sensi dell'art. 21- quinquies della l. n.241/1990 e ss.mm., per mancata assunzione dei corsisti e mancata produzione di specifica polizza fideiussoria da parte del partner Agricola , è priva di idonea motivazione e carente dei presupposti richiesti per l'esercizio in autotutela, nonché illegittimamente lesiva del legittimo affidamento.
La revoca per sopravvenuti motivi di ordine pubblico, soprattutto qualora adottata a distanza di tempo dall'atto oggetto di revoca ed in presenza, come nel caso di specie, di motivi idonei a creare un legittimo affidamento, con relativa assunzione di spese, necessitava di idonea motivazione che esplicitasse i presupposti di cui all'art. 21- quinquies.
Il provvedimento impugnato, invece, non indica in alcun modo quali siano i sopravvenuti motivi di pubblico interesse, né i mutamenti nella situazione di fatto, né ancora su quali considerazioni si fondi la nuova valutazione dell'interesse pubblico originario sulla cui base è stata disposta la revoca del contributo concesso 7 anni prima.
Ravvisando un pubblico interesse a dare unica ed esclusiva prevalenza alla finalità dell'occupazione, anziché a quella della formazione, l'Amministrazione Regionale ridetermina in radice ed in modo rilevante il contenuto del bando e degli atti attuativi, con mutamento delle stesse finalità dei progetti per i quali erano previste partecipazioni finanziarie delle Stato e di privati.
Come precisato di recente, il principio di tutela del legittimo affidamento "...si traduce in un limite all'adozione di provvedimenti negativi o sfavorevoli emanati a notevole distanza temporale dal verificarsi della fattispecie legittimante, ovvero in presenza di elementi che rendano razionalmente ammissibile la conservazione di effetti prodotti dal provvedimenti illegittimi, ovvero in presenza di un contegno tenuto dall'Amministrazione che sia idoneo a suscitare falsi affidamenti, ovvero ancora in presenza di mutamenti normativi o giurisprudenziali che rendano incerta per il destinatario la validità o l'efficacia di atti emanati dall'Amministrazione" (TAR Puglia, Bari, sez. I, 9 maggio 2011 n. 688. T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez.II, n.149/2012).
In merito al presupposto della nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi) la revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, consentita non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (Cons. Stato, V, 6 ottobre 2010, n. 7334; v., anche Cons. Stato, VI, 17 marzo 2010, n. 1554).
Nel caso di specie, il Comune di Manduria indiceva con bando una gara avente a oggetto i lavori di riqualificazione e ristrutturazione del locale Palazzo Municipale (per un importo a base d'asta di 2.000.000 di euro). La selezione veniva aggiudicata in via provvisoria alla Società Lu. Sa. Impresa di Costruzione s.r.l; i verbali di gara venivano quindi approvati; in seguito l'aggiudicazione dei lavori veniva congelata ed, infine, veniva annullata dalla delibera di Giunta n. 54 dell'11 marzo 2011 per ragioni inerenti a problematiche di tipo finanziario e organizzativo. La motivazione del provvedimento di ritiro era appunto costituita da una nuova valutazione dell'interesse pubblico, posto che l'Amministrazione, preso atto di un proprio disequilibrio di bilancio di circa 1,6 milioni di euro, delle difficoltà logistiche esistenti per il trasferimento degli uffici durante l'esecuzione dei lavori (l'aspetto organizzativo relativo al trasferimento mostra aspetti di criticità in quanto, da una parte, l'appalto non prevede un frazionamento dei lavori e, dall'altro, la mancata propedeutica indagine atta alla individuazione di strutture idonee alla bisogna impedisce, di fatto, un immediato trasloco) e di quelle economiche pure riscontrate (l'onere riveniente dal pagamento di canoni di locazione di immobili di privati non è sostenibile per le casse comunali), mutava il proprio originario indirizzo e si determinava, così, all'annullamento degli atti di gara.
Nell'esercizio dello jus poenitendi l'Amministrazione gode, soprattutto nel caso di scelte aventi carattere di ampio respiro, di significativi margini di discrezionalità: pertanto, la motivazione adottata dal Comune di Manduria può certamente ritenersi idonea a supportare la scelta compiuta. (T.A.R. Puglia, Lecce Sez.III n.139/2012).
Il legislatore con la nuova disciplina positiva data all'istituto della revoca introdotta nel 2005 ha, in definitiva, dilatato la preesistente nozione elaborata dall'insegnamento dottrinario e giurisprudenziale, ricomprendendo in essa anche il potere di rivedere il proprio operato in corso di svolgimento e di modificarlo, perché evidentemente ritenuto affetto da inopportunità, in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell'interesse pubblico originario.
Tale potere è stato ulteriormente precisato - può essere esercitato anche per eliminare degli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica ed anche in caso di esistenza del contratto, nell'ipotesi, ad esempio, di una diversa scelta organizzativa e gestionale del servizio svolto da privati; e tale scelta, ove congruamente motivata, appartiene alla sfera del merito amministrativo e non è sindacabile dal giudice amministrativo in assenza di profili di sviamento apprezzabili in sede di legittimità (cfr. Cons. St., sez. VI, 6 maggio 2011, n. 2713, e sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554).
In tal caso sorge, per effetto della revoca legittima di cui al predetto art. 21-quinquies, un diritto all'indennizzo derivante dai principi generali sulla tutela dell'affidamento nei rapporti di durata, affidato alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo.
(T.A.R. Abruzzo Pescara n.321/2011)
Infine, il presupposto del mutamento della situazione di fatto si verifica, ad esempio, quando il beneficiario di un finanziamento pubblico, finalizzato alla realizzazione di un certo investimento per una produzione da mantenere nel tempo, distoglie le somme dalla destinazione prevista. La revoca del finanziamento sanziona un comportamento illecito, ma è determinata soprattutto da circostanze di fatto sopravvenute incompatibili con gli scopi del provvedimento originario. (G.Corso, Manuale di diritto amministrativo, p. 307)
Va rilevato che sussistono alcuni limiti all’esercizio del potere di revoca con riguardo alle categorie di atti revocabili.
Poiché la revoca incide sull’efficacia del provvedimento, la stessa può avere ad oggetto i soli provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole attualmente operante, ancora idonei a proporre effetti nel momento in cui la P.A. provvede a rivalutare l’opportunità del provvedimento, anche a fronte di eventuali sopravvenienze di fatto e di diritto.
Pertanto, non sono revocabili i provvedimenti ad efficacia istantanea ed i provvedimenti che hanno già esaurito i loro effetti nel momento in cui la P.A. potrebbe disporne la revoca, come ad esempio nel caso di ordine già eseguito o di concessione oramai estinta.(R.Chieppa, R.Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, 2011, p.507).

Obbligo d’indennizzo


In ordine alla tutela dell’affidamento, l’art. 21- quinquies, comma 1, l.241/1990, introdotto dalla l.15/2005, prevede che “ove la revoca comporta un pregiudizio in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materie di determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
La P.A. ha il potere di revocare il provvedimento, salvo l’obbligo di corrispondere un indennizzo, se la revoca in autotutela comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati.
Il legislatore ha parametrato l’indennizzo al solo danno emergente, escludendo, invece, il lucro cessante ed ha  specificato che l’indennizzo deve essere quantificato in ordine alla tutela dell’affidamento: ovvero, tenendo conto dell’affidamento che il privato aveva riposto (o poteva ragionevolmente riporre) sull’atto revocato.
La norma dispone che l’indennizzo venga quantificato tenendo conto sia della conoscenza o della conoscibilità da parte del privato della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso del contraente o di terzi nell’erronea valutazione in cui è incorsa la P.A.
L'obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica Amministrazione, come previsto e definito nella sua misura dall'art. 21- quinquies, non presuppone elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi considerati dal legislatore, onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell'interesse pubblico attuale da parte dell'amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell'atto di revoca, cui non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.
Ricorre, dunque, l'ipotesi che suole definirsi come di responsabilità della Pubblica Amministrazione per attività legittima (forma conosciuta dal nostro ordinamento, come conseguente ad atti leciti, fin dall'art. 46 l. 25 giugno 1865 n. 2359), la quale, lungi dal trovare il proprio presupposto in fatti o atti illeciti ovvero in atti illegittimi imputabili alla stessa amministrazione, più propriamente risponde ad intenti equitativi, e, a stretto rigore, non potrebbe essere definita utilizzando il termine "responsabilità".
Tale ipotesi differisce nettamente da quella risarcitoria, di modo che anche le due azioni devono essere tenute distinte, sia con riferimento alla causa petendi, sia con riferimento al petitum.
La causa petendi, nel giudizio volto ad ottenere l'indennizzo, deve essere ravvisata nella legittimità dell'atto adottato dall'amministrazione, ovvero nella liceità della condotta da questa tenuta, e che ha causato il pregiudizio; mentre nel giudizio risarcitorio, essa consiste nel fatto o nell'atto produttivo del danno.
Quanto al petitum, nel giudizio per responsabilità da atti legittimi o leciti, esso è limitato al pregiudizio immediatamente subito, ed è quindi limitato al cd. danno emergente, mentre nel giudizio risarcitorio esso si estende - fermi, ovviamente, i necessari presupposti probatori - a tutto il pregiudizio (danno emergente e lucro cessante), conseguente all'illegittima violazione della sfera giuridico - patrimoniale del soggetto leso.
Vengono ristorate al destinatario del provvedimento di revoca solo le eventuali spese che abbia sostenuto facendo affidamento sull’efficacia o, nel caso di revoca di un atto ad efficacia durevole, sulla perdurante efficacia, del provvedimento revocato.
Per l’ottenimento del ristoro integrale, anche del lucro cessante, si dovrà dimostrare che la revoca è illegittima e si dovrà richiedere il risarcimento del danno, in conseguenza del fatto illecito compiuto dalla P.A.
Pertanto, il destinatario del provvedimento di revoca non potrà ottenere, a titolo d’indennizzo, il ristoro del guadagno che, grazie al provvedimento revocato, avrebbe potuto conseguire.
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, presupposto dell’indennizzo è la legittimità della revoca (trattasi di responsabilità per atti legittimi), spettando altrimenti il risarcimento del danno. (Cons. St. Sez. V. n.671/2010).




Illegittimità indennizzo. Risarcimento del danno.

Diversamente da quanto affermato per l'indennizzo, l'obbligazione della pubblica amministrazione per responsabilità extracontrattuale ha natura risarcitoria e si fonda, ai sensi dell’art. 1337 c.c., sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede "nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto".
Come ha chiarito anche l'Adunanza Plenaria (dec. 5 settembre 2005 n. 6), l'accertamento della eventuale responsabilità precontrattuale dell'amministrazione non è esclusa dalla dichiarata legittimità del provvedimento (di annullamento o, in particolare, di revoca) assunto in via di autotutela, posto che, se "la revoca dell'aggiudicazione e degli atti della relativa procedura (vale) a porre al riparo l'interesse pubblico dalla stipula di un contratto che l'amministrazione non avrebbe potuto fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie occorrenti".
Ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a. non si deve tener conto della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1337 c.c. (Cons. St., sez. V, 7 settembre 2009 n. 5245).
Può dirsi, infatti, sufficientemente condiviso che la responsabilità precontrattuale comporta obbligo di risarcimento del danno nei limiti del cd. interesse negativo, e cioè dell'interesse del soggetto a non essere leso nell'esercizio della sua libertà negoziale. (laddove l'interesse positivo è interesse all'esecuzione del contratto).
Mentre l'interesse positivo consiste nella perdita che il soggetto avrebbe evitato (danno emergente) e nel vantaggio economico che avrebbe conseguito (lucro cessante) se il contratto fosse stato eseguito, al contrario il danno proprio dell'interesse negativo consiste nel pregiudizio che il soggetto subisce per avere inutilmente confidato nella conclusione e nella validità del contratto ovvero per avere stipulato un contratto che senza l'altrui ingerenza non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse.
Ne consegue che, nel caso di mancata conclusione del contratto, il soggetto avrà diritto al risarcimento del danno consistente innanzi tutto nelle spese inutilmente sostenute, e consistente inoltre nella perdita di favorevoli occasioni contrattuali, cioè di ulteriori possibilità vantaggiose sfuggite al contraente a causa della trattativa inutilmente intercorsa, ovvero a causa dell'inutile stipulazione del contratto.
A tali voci, ritiene il Collegio che deve essere aggiunto il cd. "danno curriculare", cioè quel danno consistente nell'impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell'appalto non eseguito.
Quanto alle "voci" del danno risarcibile, esse consistono (Cons. Stato, sez. V, n. 491/2008; sez. VI, n. 2384/2010):
a) nel danno emergente, costituito dalle spese e dai costi sostenuti per la preparazione dell'offerta e per la partecipazione alla procedura (secondo Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144, solo in caso di illegittima esclusione dalla gara);
b) nel lucro cessante, determinato nel 10% del valore dell'appalto, precisandosi anche che il lucro cessante è innanzi tutto determinato sulla base dell'offerta economica presentata al seggio di gara (Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2009 n. 2143);
c) una ulteriore percentuale del valore dell'appalto, "a titolo di perdita di chance, legata alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell'appalto non eseguito", cd. "danno curriculare" (in senso conforme,Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751; sez. V., 23 luglio 2009 n. 4594;
Secondo Cons. Stato, sez. VI, n. 3144/2009, la percentuale del "danno curriculare" va calcolata sulla misura del lucro cessante e non già sull'importo dell'appalto.
d) il danno, equitativamente liquidato, per il mancato ammortamento di attrezzature e macchinari;
e) infine, il danno esistenziale, posto che "il diritto all'immagine, concretizzantesi nella considerazione che un soggetto ha di sé e nella reputazione di cui gode, non può essere considerato appannaggio esclusivo della persona fisica e va anzi riconosciuto anche alle persone giuridiche".
L'esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene:
- o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori (ad esempio, si è in presenza di un contratto eseguito o in esecuzione, che avrebbe dovuto essere certamente eseguito da una diversa impresa, in luogo di quella beneficiaria di aggiudicazione illegittima);
- o attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducono a concludere per la sua sussistenza;
- ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del c.d. "più probabile che non" (Cass. civ., n. 22022/2010), e cioè "alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali" (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010).




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