giovedì 15 marzo 2012

Espropriazione. Atto di acquisizione, ex art. 34, d.l. 6.7.2011, n. 98. Disciplina.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, che disciplinava l’atto di acquisizione per violazione dell’art. 76 della Costituzione.
È incostituzionale, in relazione all'art. 76 cost., l'art. 43 d.p.r. 8.6.2001 n. 327 per violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti con legge delega di mero riordino n. 50 del 1999.
La norma censurata ha ad oggetto la disciplina dell'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico e consente all'autorità che abbia utilizzato a detti fini un bene immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, di disporne l'acquisizione al suo patrimonio indisponibile, con l'obbligo di risarcire i danni al proprietario (cd. "acquisizione sanante"); la disposizione regola, inoltre, tempo e contenuto dell'atto di acquisizione, l'impugnazione del medesimo, la facoltà della p.a. di chiedere che il g.a. "disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo", fissando i criteri per la quantificazione del risarcimento del danno; anche la disciplina inerente all'acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6 bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi censurati, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l'applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi. Orbene, la legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad un coordinamento "formale" relativo a disposizioni "vigenti"; viceversa, l'istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata è connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega 15 .3. 1997, n. 59, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale.
Alla stregua dei rilievi svolti, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'intero art. 43, d.p.r. n. 327 del 2001, poiché la disciplina inerente all'acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6 bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l'applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi.
(Corte cost., 8.10.2010, n. 293).
La norma censurata è contenuta nel testo unico, in materia di espropriazioni che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione. La legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere ad un coordinamento formale relativo a disposizioni vigenti; l’istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata, viceversa, è connotato da numerosi aspetti di novità. L’ art. 43, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, infatti, ha anzitutto introdotto la possibilità per l’amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione. (Mirate S. L’acquisizione sanante è incostituzionale:la Consulta l’eccesso di delega, in Urb. App., 3, 61).
Esso estende tale disciplina anche alle servitù, rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso l’applicabilità della c.d. occupazione appropriativa, trattandosi di fattispecie non applicabile all’acquisto di un diritto reale in re aliena, in quanto difetta la non emendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale dell’opera pubblica. Infine, la norma censurata differisce il prodursi dell’effetto traslativo al momento dell’atto di acquisizione. (Corte cost., 8.10.2010, n. 293) .
Il legislatore è intervenuto con una nuova norma l’art. 34, d. l. 6 .7.2011, n. 98, che introduce l’art. 42 bis al posto dell’abrogato art. 43 , d.p.r.327/2001, a regolare l’istituto per adeguarsi ai dettati della Corte .
La norma afferma che valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
L'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile Per il periodo di occupazione senza titolo e' computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma, ex art.42 bis, d.p.r. 327/2001 e mod. art. 34, l. 15.7.2011, n. 111.

Il provvedimento di acquisizione deve essere motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione.
Il corrispettivo complessivo risulta formato da tre addendi: il valore venale del bene, l’indennità per il pregiudizio non patrimoniale e l’indennità per il periodo di occupazione senza titolo.
Per il pregiudizio non patrimoniale deve essere corrisposto forfettariamente il 10% del valore venale del bene.
L’indennità per il periodo di occupazione, se il ricorrente non prova il maggior danno, è determinata nel 5% del valore venale. La dottrina nota che tale indennità è inferiore a quella prevista per la indennità di occupazione che è calcolata in 1/12 del valore venale ossia in percentuale pari al 8,33%, ex art. 50, d.p.r. 327/2001, con conseguente illegittimità costituzionale della stessa disposizione per violazione al principio di uguaglianza. (Maccari L., La nuova disciplina dell’acquisizione sanante, in Urb. App., 10, 1146).
L’autorità che emana il provvedimento deve darne comunicazione alla Corte dei Conti perché si attivi qualora riscontri nei comportamenti tenuti dall’amministrazione un danno erariale
La giurisprudenza ritiene che la ratio sia quella di garantire che l'espropriazione della proprietà privata per scopi di pubblica utilità non si trasformi in un danno ingiusto a carico del cittadino e che l'ablazione del bene ed i connessi effetti indennitari e/o risarcitori conseguano necessariamente ad un formale provvedimento della p.a.
Quanto all'accertamento dell'elemento soggettivo della responsabilità extracontrattuale, poiché il soggetto danneggiato può limitarsi ad indicare gli elementi costituenti indici presuntivi della colpa della pubblica amministrazione, sulla quale incombe l'onere di provare il contrario, ovvero la sussistenza di un errore scusabile.
La conduzione negligente del procedimento espropriativo che non rispetta l'iter di formazione della deliberazione di localizzazione, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, e in carenza di dimostrazione circa la sussistenza di un eventuale errore scusabile da parte del Comune, fa presumere sussistente anche l'elemento soggettivo dell'illecito procedimento ablativo.( T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 19.8.2011, n. 2102).

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