venerdì 16 marzo 2012

Permesso di costruire. Risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla lesione dell’interesse pretensivo al rilascio.

La domanda di ristoro di un danno patrimoniale derivante dalla lesione dell’interesse pretensivo diretto a ottenere permesso di costruire gravato da condizioni giudicate illegittime è stato considerato ammissibile dal g.a. sulla base della nuova disciplina prevista dall’art. 30 del c.p.a. che sancisce l’autonomia delle azioni e della proponibilità della domanda di risarcimento dinanzi al giudice amministrativo anche in difetto di previa domanda di annullamento dell’atto lesivo.
Con provvedimento il dirigente dell'ufficio tecnico del Comune ha espresso parere favorevole al rilascio della concessione edilizia, condizionandolo tuttavia a dieci prescrizioni, quattro delle quali considerate dai richiedenti non accoglibili ed in contrasto con il programma di fabbricazione.
La ritenuta illegittimità e pretestuosità delle condizioni è stata fatta presente al sindaco del Comune .
Gli interessati hanno segnalato l'ingente danno economico provocato dal ritardo dell'amministrazione nel provvedere favorevolmente, richiedendo il rilascio della concessione senza condizioni diffidando il Sindaco ed il dirigente dell'ufficio tecnico a revocare le prime quattro prescrizioni all'assenso alla concessione.
A seguito dell' inerzia dell'amministrazione comunale, il ricorrente ha adito il T.A.R. per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale subito a causa del comportamento omissivo dell'amministrazione comunale.
Il ricorrente ha esposto i motivi di illegittimità delle prime quattro condizioni apposte al parere favorevole dell'ufficio tecnico e quantificato il danno - depositando a sostegno della richiesta una perizia di parte- a titolo di lucro cessante per mancato utilizzo della struttura per venti anni nonché di danno emergente, per la maggiorazione dei costi di costruzione, oltre ai costi amministrativi sostenuti ed al danno da disturbo.
Ha chiesto, altresì, disporsi consulenza tecnica d'ufficio al fine di verificare l'impossibilità di ottemperare alle prescrizioni e di determinare il quantum del risarcimento dovuto.
La questione della pregiudizialità della domanda di annullamento dell'atto illegittimo rispetto all'azione di risarcimento del danno è ora disciplinata dal codice del processo amministrativo, che all'art. 30 prevede che l'azione di condanna al risarcimento del danno può essere proposta in via autonoma entro il termine di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.
La domanda di ristoro di un danno patrimoniale derivante dalla lesione dell'interesse pretensivo diretto ad ottenere la concessione edilizia senza le quattro condizioni giudicate illegittime, proposta entro il termine quinquennale di prescrizione ai sensi dell'art. 2947 cod. civ., è stata considerarsi, pure in assenza della previa domanda di annullamento dell'atto lesivo, ammissibile.
Le censure sollevate in ordine alle quattro prescrizioni sono state ritenute fondate.
Considerando che l'insindacabilità delle scelte di natura tecnico discrezionale operate dall'amministrazione incontra un limite nell'irragionevolezza, illogicità o errore di fatto (Cons. Stato Sez. V, 21102011, n. 5637; Sez. IV, 16092011, n. 5229),
Il giudice ha ritenuto fondati i rilievi secondo cui la destinazione di un'area così vasta a parcheggio confligge, in base all'applicazione di elementari calcoli matematici sulle volumetrie del progetto, non contestati dal Comune, con le norme tecniche di attuazione del piano urbanistico che prevedono la destinazione ad area di parcheggio in ragione di mq.1 ogni 20 mc. di volume realizzato.
Così come ha condiviso la censura di illogicità della prescrizione, non contestata dal Comune, riguardante la traslazione non motivata delle costruzioni tale da alterare le zone di rispetto tra edifici e tra essi ed i confini e rendere impossibile la circolazione.
Parimenti incongruente è stata considerata la decisione di ridurre l'altezza degli edifici di un metro, così impedendo la realizzazione della progettata sala convegni, fulcro attorno al quale ruota la principale attività dell'impresa da svolgere nella struttura, la cui altezza non supererebbe i tre metri, senza alcuna plausibile motivazione.
Altrettanto illogica è stata ritenuta l'imposizione dell'unico accesso, se si considera la circostanza esposta dal ricorrente, non contestata dall'amministrazione comunale, per cui la stessa via si interromperebbe in prossimità del fronte roccioso su cui è posizionata l'area oggetto di intervento.
La fondatezza delle indicate censure ha comportato, pertanto, l'illegittimità dell'atto impositivo di prescrizioni la cui illogicità ha reso impossibile la realizzazione del progetto.
In conformità, poi, ad orientamenti consolidati (Cons. St. Sez. IV, n. 4325/2009), deve considerarsi dimostrato anche l'elemento della colpa data la negligenza ed imperizia dell'amministrazione valutabile alla stregua delle presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per non aver condotto i necessari approfondimenti istruttori circa l'imposizione delle contestate prescrizioni e per non avere essa dimostrato che l'errore fosse addebitabile a fattori esterni (Cons. St., Sez. IV, 7.9.2010 n. 6485).
La mancata impugnazione dell'atto lesivo, da considerarsi come fatto valutabile ai sensi dell'art. 1227 cod. civ. al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale ipotetico prognostico, sarebbero stati evitati attraverso una tempestiva impugnazione ed una richiesta cautelare di sospensione dell'atto lesivo.
A riguardo soccorre il comma 3 del citato art. 30, secondo cui nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti nell'interpretazione fornitane dalla citata decisione dell'Adunanza Plenaria n.3/2011.
La latitudine del generale riferimento ai mezzi di tutela ed al comportamento complessivo consente di soppesare l'ipotetica incidenza eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento dannoso, ma anche dell'omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi amministrativi e l'assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell'autotutela amministrativa (cd. invito all'autotutela)."
E’ sufficiente che l'amministrazione sia stata messa in condizione, tramite un apposito "avviso di danno" consistente nell'invito all'autotutela, di ritornare sul proprio atto, assolvendo, in un regime di risarcibilità della lesione dell'interesse legittimo, l'obbligo (o, meglio, l'onere) di annullamento d'ufficio dell'atto illegittimo (art. 21nonies l. 241 del 1990), al fine di evitare di incorrere nella condanna al risarcimento del danno anche per le spese ulteriori sostenute dal privato (Cass. Sez. III, 3 marzo 2011, n. 5120).
Nella specie, il ricorrente ha tenuto un comportamento rispondente al canone di ordinaria diligenza preordinato ad evitare il danno, dapprima comunicando all'amministrazione analiticamente, le ragioni per le quali riteneva ciascuna delle quattro prescrizioni illegittime.
Per decidere sul quantum debeatur, il g.a. ha disposto una consulenza tecnica d'ufficio tecnico contabile affinché il consulente tecnico d'ufficio accerti, attraverso, ove possibile, i dati disponibili della locale Camera di Commercio, tenuto conto dell'andamento del flusso turistico del Comune nel periodo considerato, dei prezzi ufficiali per la categoria del centro e della sua capacità ricettiva, come desumibile dal progetto, gli effettivi utili realizzabili a partire dalla data di presumibile ultimazione della struttura., al netto di tutti i costi (anche relativi all'accesso al credito per l'investimento) e dell'ammortamento del bene.

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